xxxᴠɪ - ʏᴏᴜ'ʀᴇ ɴᴏᴛ ᴍʏ ʜᴏᴍᴇʟᴀɴᴅ ᴀɴʏᴍᴏʀᴇ ꜱᴏ ᴡʜᴀᴛ ᴀᴍ ɪ ᴅᴇꜰᴇɴᴅɪɴɢ ɴᴏᴡ?

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È tardi. Lo so.

A breve sarà ora del coprifuoco e tutte le luci verranno spente.

Addison si chiederà dove sia, anche se, conoscendola penserà sia rimasta con River in isolamento.

Ma non è così.

River non mi ha voluta, mi ha cacciata via senza neanche spiegarmi realmente il motivo di tutto questo.

E per quanto stia cercando con tutta me stessa di non soffermarmi nell'idea che sia colpa mia e che le sue parole così dirette e affilate non fossero vere e dettate solo dalla rabbia, il tarlo è sempre lì.

Ho sempre creduto che il mondo intorno a me fosse tossico, ma se la vera parte tossica fossi io?

River ha detto che gioco il ruolo della vittima perché è l'unica opzione che conosco, perché ci galleggio da così tanto tempo che non ho idea di come fare altrimenti.

E nel farlo, non faccio solo male a me stessa, che è sempre stato il mio obbiettivo, ma lo faccio anche agli altri che non sanno più come rimettermi in piedi.

Fa sorridere se ci penso, quanto io sia una buffona.

Non mi rende neanche conto che le mie gambe una volta ripreso il controllo di me stessa, mi portino quasi per inerzia, verso la tana.

L'unico luogo dove posso essere da sola con me stessa. Sola, in un posto pieno di gente.

Quando apro la porta, la tana si presenta a me come al solito. Spoglia, colorata solo da qualche post it attaccati al muro con frasi motivazionali in una calligrafia tondeggiante scritti da Addison, probabilmente quando solo lei abitava questo posto.

Evito le poltrone, le sedie, mi getto con tutto il peso, incurante delle botte e dei lividi che probabilmente mi appariranno in un futuro imminente per la noncuranza dei miei movimenti.

La schiena aderisce con la parete gelida di un muro pieno di umidità, le gambe si ritirano al petto, storte, quasi gettate così per caso.

Non so neanche se sto davvero guardando davanti a me o dentro di me.

Le mie dita si muovono quasi senza che io le comandi. Si infilano con lentezza all'interno dei miei pantaloni, non alla ricerca di un piacere fisico, ma di dolore. Quello vero, quello che conosco talmente bene da averne sentito quasi la mancanza.

Devo smetterla di mentire a me stessa dopotutto. Le cose non cambiano, le persone non lo fanno, l'ha detto anche lui.

Estraggo l'accendino. Lo faccio scattare senza pensarci troppo. Il suono è familiare, un clic che interrompe il silenzio opprimente della stanza. Guardo la fiamma danzare per un istante, ipnotizzata dal suo bagliore. C'è qualcosa di così seducente nel fuoco: è piccolo, innocuo, eppure capace di distruggere tutto se gli si dà abbastanza spazio. Mi rispecchio in quella fiamma. Io sono quella fiamma che ora ha bisogno di rifocillarsi di quell'unica energia che conosce.

Malsana sì, ma tremendamente necessaria per una come me.

Forse River ha ragione. Forse non conosco altro modo di essere. Non so cosa significhi vivere senza il dolore come bussola. Mi muovo solo quando lo sento, mi oriento solo quando mi brucia.

Avvicino la fiamma alla pelle, lì dove le vecchie cicatrici non si sono mai del tutto rimarginate. Sui polsi che raccontano la mia storia. La pelle che inizia a scaldarsi, una fitta che risale, prima lenta, poi sempre più acuta. Non riesco a capire se è un sollievo o una condanna a morte, ma so solo che, in quel momento, la mia mente si svuota. Tutto il rumore, tutte le voci, anche quelle di River, di Addison, della Worley... tacciono.

Perché in fondo è questo che voglio, no? Il silenzio. L'assenza di tutto. Il vuoto.

Anche Will ha ragione. Hanno tutti ragione. Tranne me.

Eppure, mentre la fiamma scema e il dolore lascia il posto a un intorpidimento familiare, io ne ho bisogno sempre di più.

Spingo la mano che regge l'accendino verso il polso incriminato, lascio che il fuoco bruci, ustioni, faccia partire delle piaghe di cui mi pentirò dopo. Trattengo apparentemente la sofferenza con lo stridere dei miei denti e i miei occhi serrati.

Non mi accorgo neanche di piangere. Non importa più niente, mentre l'ardere di un aggeggino così piccolo continua a perpetuare sulla mia epidermide.

E non sento. Non sento più nulla di ciò che mi accade attorno, di come il mondo si sgretoli e di come, mani più forti delle mie mi tirino via dalla mia volontà di smettere di sentire.

«Cosa cazzo ti dice il cervello?» arriva come una botta nel silenzio, come un fulmine nel mio status mentale intorpidito.

Emmett, Cole, chiunque sia, traspare dalla vista dei miei occhi appannati e bagnati.

Le sue dita sottili, scheletriche mi cingono il polso intaccato permettendo all'accendino di cadere a terra con un tonfo echeggiante.

O almeno, lo è nella mia testa.

Mi ritrovo a guardarlo, incapace di ribattere, con la bocca impastata di contrasti e sentimenti.

Mi sta toccando, con forza bruta, ma il mio pensiero ora non è questo. Non mi importa che lo stia facendo ma il perché.

Non vuole farmi del male, ma vuole evitare che io me ne faccia.

E per la prima volta non ho paura di subire ma di evitare che qualcuno mi permetta di farlo.

«Hai idea di cosa sarebbe successo se fosse stata la biondina a trovarti?» sputa la rabbia contro il mio mutismo.

Occhi che vibrano di una stilla di delusione e di ira rivolta tutta a me stessa.

«Fanculo» molla la presa, permettendo al mio corpo di ricadere a terra, libero da qualsiasi stretta.

Il polso ferito pulsa, brucia, ora lontano dalla sua fonte di energia mentre lui raccoglie l'oggetto dannato e se lo intasca.

«Ridammelo è mio» urlo, ma non so con quanta voce. Non sono cosciente di ciò che produco al momento.

«Non ti ridò un cazzo di niente Flame.» continua, dilania, mi allontana da ciò che agogno di più in questo momento.

Fare la vittima. Esserlo anche se inconsapevolmente.

«Cazzo, cazzo, cazzo» ripete sfiatando a denti stretti. Le sue mani vanno alla testa, contrariato dai miei gesti. «Chi ti ha dato l'accendino?»

«Non sono affari tuoi» bisbiglio, stringendo il polso bruciato e che ora fa malissimo, fra le dita della mano opposta, mentre i miei occhi si volgono al pavimento.

«Ripropongo la domanda...» sta perdendo la pazienza.

«Non te lo dirò Cole.» ribatto, ora tornando a guardarlo.

Provo rabbia, perché non ho bisogno di un baby sitter che controlli i miei movimenti. Anche se sto sbagliando, voglio sbagliare. Voglio fare le mie scelte e morirci dentro se necessario.

Lui di tutto contro non la prende bene. La sua espressione, tutto, cambia.

Avanza come una bestia verso di me, come se stesse schiumando dalla bocca per la rabbia.

Le sue mani si spingono con forza spingendomi ancora di più verso la parete, intrappolandomi come un animale in gabbia.

«Hai rotto il cazzo principessina» ringhia incontrollato. I suoi occhi sembrano perforarmi mentre io immobile tremo priva di voce. «Vuoi ammazzarti? Vuoi tornare indietro sui tuoi passi, fallo. Ma aspetta almeno che lei sia fuori da qui»

Ho le lacrime ancora ferme alle guance, incapaci di scendere. Vacillo nella paura di ciò che potrebbe succedere, quando forse, sono più al sicuro con lui che da sola con me stessa.

Cole sbuffa aria dalla bocca, sento il suo respiro troppo vicino mentre deglutisco stringendomi ancora su me stessa, non in grado di mollare il polso dolorante.

«Mi dispiace» esalo in un bisbiglio.

«Ma ci credi a quello che dici? Io non penso» sbotta lasciandomi andare nuovamente prima di voltarsi di spalle e prendere un respiro profondo come se volesse calmarsi, ma non nel modo in cui tutti penserebbero.

Non posso vedere il suo volto contorcersi, la sua espressione cambiare prima di girarsi nuovamente verso di me.

«Flame, va tutto bene?» il tono cambia, i contorni espressivi si addolciscono. La preoccupazione che si riflette nel suo viso.

«Qualcuno ti ha fatto del male?»  mi chiede, mentre mi ritrovo paralizzata ancora attaccata al muro.

Ma non ho il tempo neanche di rispondere, che le sue mani sono di nuovo alla testa, un cambio repentino che sostituisce di nuovo quel frammento di anima che si ritrova ad esporsi.

Un sorriso leggero, felice che mi guarda come se fossi la compagnia desiderata.

«Sei tornata alla tana!» un gridolino eccitato di un bambino che rivede uno degli amici più cari. Innocente sincero.

«P-Pin?» balbetto cercando la parete sempre di più.

Lui annuisce con la contentezza naturale di un ragazzino poco meno adolescente.

Deglutisco mentre il mio cervello macchina la cosa più sbagliata che io possa fare.

«Pin, mi hai detto che mi hai portato un regalo ricordi? Sta nella tasca dei tuoi pantaloni.» il mio respiro pesante, le mie dita ancora strette al polso che pulsa.

Lui contrae la fronte, confuso, prima di portare le mani alle tasche ritrovando l'accendino sequestrato da Cole poco prima.

«Questo?» chiede con purezza.

Annuisco, cercando di non far cadere quella maschera di convinzione. Ci sono quasi.

Mi sto approfittando di un bambino ma ci sono quasi.

Lui sbatte le palpebre, rigira l'accendino fra le dita come se lo stesse studiando prima di rivolgermi un nuovo sorriso e allungarlo verso di me.

Ma è nel momento in cui sto per prenderlo, che la sua faccia si contorce di nuovo. Immobilizzandomi nuovamente, in quella manciata di secondi che mi separano dalla realizzazione del nuovo switch.

Ma non è come al solito. Sono troppi. Di seguito.

Ghigni diversi, espressioni diverse che si scambiano fra loro.

Bisbigli interrotti, quasi stanchi, mi impediscono di fare quel gesto in avanti per riprendere ciò che è mio, forse per paura di una reazione.

Shey lo aveva detto che Cole era stanco. Aveva detto che le cose non stavano andando bene. Che loro non stavano andando bene. Lo stress, la litigata con River e ora... me.

Ma non gli ho chiesto io di essere qui, di trovarmi mentre cercavo di cancellare il mondo al di fuori di me.

Il suo petto si alza, come se si risvegliasse da un sogno, gli occhi si aprono, mi fissano.

Il palmo si apre rivelando l'accendino che ha al suo interno, prima di lasciarlo cadere ai miei piedi ed indietreggiare.

Inizia a far susseguire parole in una lingua che non conosco.

«kje so Kateri kraj je to?»*

Interdetta, mentre lo vedo muoversi per la stanza, quasi più spaventato di me. Le braccia che si stringono al corpo, come se sentisse un freddo che non esiste. Le labbra che tremano e il respiro che si fa pesante.

«Come ti chiami?» chiedo, ma ho timore anche di questa domanda.   

Lui si gira, come se mi notasse di nuovo e precedentemente si fosse dimenticato della mia presenza.

«Me vidiš»** si avvicina indicando sé stesso nel farmi una domanda che non capisco e che mi porta a scuotere la testa.

Mi dimentico anche dell'accendino vicino ai miei piedi.

«Io non parlo la tua lingua» dico scuotendo la testa.

Lui apre e richiude gli occhi, prende aria nei polmoni prima di provare a pronunciare con fatica.

«E...mmett» un tono diverso, quasi forzato.

Strabuzzo gli occhi. Avevo già visto il corpo, l'entità originale, ma solo per qualche secondo durante la terapia di gruppo e per quanto sembrasse confuso anche lì, aveva risposto a Dustin e alla sua domanda senza usare un'altra lingua.

Deglutisco, incapace di parlare senza aver paura di sbagliare.

Cerco di allontanare il dolore che mi sono inflitta, per spostare il mio pensiero su ciò che sta accadendo.

«Posso... fare qualcosa?» domando perpetuando il mio sguardo su di lui, ma noto la confusione nel suo sguardo.

Il non capire le mie parole.

Strizza gli occhi, aggrotta la fronte producendo delle rughe di pensiero su di essa prima di riportare la mano alla fronte come se volesse strappare ogni capello che ha sulla testa. L'altra mano fa lo stesso ma chiudendosi in un pugno.

Lo vedo combattere contro una fitta interna alla testa, contro una guerra che lui non è conscio di combattere ma gli altri sì.

«Cazzo» mugugna in uno sfiato lasciando che il polso si spinga contro la fronte, affiancandomi contro la parete, seduto, stanco.

«Cole sei tu?» ho di nuovo il timore di chiederlo.

«Sì e ringrazia per questo.» continua a tenere gli occhi chiusi, colpito ancora da quel tremendo male alla testa che trasmette con i gesti.

«Che è successo?»

«Succede che mi hai fatto incazzare deficiente. E sono stanco di farlo.» esala un respiro.

Butto giù della saliva.

«Ci è mancato poco che Eli uscisse fuori e questo...» la mano di lui va prontamente a prelevare l'accendino da terra, come se ne fosse stato conscio per tutto questo tempo «...sarebbe stato acqua fresca.»

Si alza da terra, ancora scosso, con le palpebre semichiuse e delle ossa sa sgranchire. Le occhiaie fanno due mezzelune sulla pelle.

«Chi è Eli?»

«Qualcuno che ti assicuro... non vuoi incontrare per niente al mondo.» dice, come se stesse cercando di chiudere la questione. Ma io non posso lasciar perdere, non ora. Ho bisogno di sapere. Cosa potrebbe essere così pericoloso da spaventare anche lui?

«Cole, dimmi chi è.»

«Eli non è come gli altri. Non è come me o Shey, o... chiunque tu abbia incontrato finora» mormora, massaggiandosi la fronte, come se il solo parlarne gli causasse dolore. «È... diverso.»

«Diverso come?» Insisto, anche se una parte di me vorrebbe smettere di chiedere. C'è qualcosa nel modo in cui lo dice che mi fa venire i brividi.

Cole mi guarda per un istante, i suoi occhi pieni di una stanchezza che non avevo mai visto prima. Poi si passa una mano sui capelli rasati, tirando un respiro profondo. «Eli... è il tipo che non ti fa domande. Fa quello che vuole, quando vuole. Non ha limiti. Non capisce cosa è giusto o sbagliato. Non gliene frega un cazzo di chi sei, di cosa hai fatto. E se ti vede come un problema...» si ferma, lasciando che la frase rimanga in sospeso, ma il messaggio è chiaro.

Deglutisco, sentendo il cuore accelerare. «Ma... come fai a controllarlo? A tenerlo dentro?»

Cole ride, ma non c'è nulla di divertente nel suono. «Non lo tengo dentro. Non lo controllo. Nessuno lo fa. Ogni tanto esce fuori, quando sono troppo stanco, troppo debole per tenerlo giù. Quando le cose... vanno troppo per le lunghe.»

Mi sento come se il pavimento sotto di me stesse crollando. «Cosa accadrebbe se... Eli uscisse?»

Cole mi lancia uno sguardo intenso, quasi come se mi stesse avvertendo di qualcosa che non posso nemmeno iniziare a capire. «Se Eli esce, non hai scampo. Non importa cosa tu dica o faccia. Lui... non smette finché non vede qualcuno soffrire. Finché non... finisce.»

Il gelo mi attraversa. Finché non finisce?

«E se fosse successo qui?» chiedo, la mia voce si abbassa senza che io possa controllarla, il terrore che mi attanaglia.

Cole si ferma, fissandomi con una serietà tagliente. «Sarebbe stata una dannata carneficina. E fidati, non vuoi essere nel mezzo quando Eli prende il controllo. Perché quando lo fa, qualcuno finisce morto. Punto.»

Le parole mi colpiscono come un pugno allo stomaco. È come se mi fosse stato tolto il respiro. «Vuoi dire che è già successo?»

Cole distoglie lo sguardo per un istante, come se non volesse rispondere alla mia domanda. Ma so di aver toccato un nervo scoperto. Lo vedo combattere con sé stesso, il suo petto che si alza e si abbassa, come se ogni respiro gli costasse fatica.

«Sì» dice infine, con una voce così bassa che potrei quasi non averlo sentito. «È già successo.»

Il mio cuore batte all'impazzata. Non so se voglio davvero sapere cosa è accaduto, ma ormai sono troppo dentro per fermarmi. «Chi... chi è morto?»

Cole mi osserva per un momento, poi si stringe nelle spalle.

«Non importa.»

Lo vedo voltarsi verso la porta.

«Azzardati a dire qualcosa a blondie e sarò io ad ammazzarti non Eli» sbotta senza neanche guardarmi. «E ora ricomponiti, nascondi quelle cazzo di bruciature, e torna nella tua stanza»

Lo guardo allontanarsi, la sua figura che si dissolve nell'ombra mentre la porta si chiude con un tonfo sordo.

Abbasso lo sguardo sulle mie bruciature, nascoste sotto la pelle arrossata. La tana sembra improvvisamente troppo stretta, troppo soffocante.

Non so perché Cole abbia ceduto e si sia confidato in parte. Non so perché proprio con me.

Non so come sentirmi a riguardo, se non vuota.

Completamente.


●●●



* «Dove sono? Che posto è questo?»
** «Tu mi vedi?»

La traduzione dallo sloveno è stata fatta con google translate, se c'è qualche errore fatemelo sapere grazie ❤️


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NOTE DELL' AUTRICE

Questo capitolo non mi convincerà mai.
Una sola scena, ma troppa roba.
Sono stata costretta a dividerlo in due parti (è collegato al precedente) perché c'è troppo da digerire, troppo da dire.

Probabilmente in fase di revisione, ci saranno dei miglioramenti, ma ora è il massimo che sono riuscita a fare e spero che vi sia arrivato.

Quindi...

Flame e la sua ricaduta. Aspettata, naturale, che diciamo?

Emmett, gli switch, la verità dietro la sua più grande paura.

Non starò qui a farvi domande, non ce ne sono molte da fare, sentitevi liberi di dirmi ciò che pensate.

Noi ci vediamo settimana prossima o al FRI se sarete lì.

Vostra, col cuore e l'anima.
Neens

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