Capitolo 2

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La squadra s'imbarcò su un mini-shuttle. Zoran pilotò il velivolo in maniera da apparire come un vecchio satellite dismesso in decadimento orbitale. Il veterano utilizzò solo un paio di volte i getti stabilizzanti per avere il giusto angolo di entrata ed evitare di rimbalzare sugli strati densi dell'atmosfera di Awasis come un sasso piatto in uno stagno. Atterrarono col favore delle tenebre nella periferia della capitale, Cree City, situata nel continente Inuk, nell'emisfero settentrionale del pianeta. Non fu difficile passare inosservati. La zona periferica industriale era completamente abbandonata. Tutta la macchina produttiva del paese era in lock-down da più di tre mesi.

Occultarono lo shuttle con dei proiettori di ologramma che simulavano vecchi autoveicoli rottamati, poi si misero in cerchio. Johanna diede le indicazioni prima di muoversi - Bene, ripassiamo le regole: punto primo non ci si toglie la Talos; finché non siamo sicuri che il virus non circoli per via aerea dobbiamo tenere la massima cautela. Secondo, profilo basso; c'è il caos e questo non ci aiuta nel compito, dobbiamo recuperare informazioni il più in fretta possibile, prima che l'unica pista che abbiamo si raffreddi. Terzo, non ci si allontana troppo dalla squadra, le comunicazioni fanno schifo –

Tutti assentirono agli ordini del loro capitano.

- Ok, le Talos sono state programmate per riprodurre i colori delle uniformi locali –

- Polizia o esercito? -

Johanna si girò verso Welde - No, niente polizia e non esiste un esercito vero e proprio, ci sono solo compagnie di contractor assoldate dai vari conglomerati... noi saremo uomini della Manetti & Harper Inc. –

- Che cazzo di compagnia è? Chi l'ha mai sentita? – obiettò Aaron.

- È proprio quello che vogliamo Goncalves, anonimato... è una piccola società inter-sistema che si occupa di produzione e lavorazione di alimentari... ora settiamo le tute e muoviamoci –

Tutti attivarono il sistema di mimesi delle Talos, che riprodusse fedelmente i colori grigio chiaro e verde delle uniformi della sicurezza della Manetti & Harper Inc.

Il cielo era offuscato dal fumo degli incendi che erano scoppiati in più punti della città. Antiquati velivoli a rotori solcavano il cielo in continuazione, mentre bande di disperati correvano per le vie semi deserte in cerca di un bottino facile. Quando incrociavano la squadra, bastava una rapida occhiata alle divise e ai fucili d'assalto H&K 816 per far desistere da qualsiasi cattiva intenzione. Impiegarono quasi due ore per arrivare nel centro della capitale. La città aveva un suo fascino. Eretta in stile neo brutalista era costellata di grandi edifici e palazzi in cemento, leghe di polimeri e duralluminio. Più volte avevano dovuto deviare dalla strada principale per evitare le pattuglie della polizia. Era una precauzione, forse le loro divise sarebbero state sufficienti a scongiurare un controllo, ma un esame più attento avrebbe rilevato la natura delle loro uniformi ed erano comunque sprovvisti di chip di riconoscimento. Più di una volta avevano udito distintamente colpi di arma da fuoco.

Il tessuto sociale iniziava a disgregarsi. Ormai cibo e acqua cominciavano a scarseggiare e gli appelli dei politici a restare a casa, ad aver fiducia nelle istituzioni non erano più in grado di placare la folla. Il virus continuava a mietere un numero impressionante di vittime ogni giorno e i servizi ospedalieri erano al collasso. I cadaveri non venivano più ritirati, tanto che la popolazione aveva cominciato ad abbandonarli in sacchi di plastica lungo le strade.

- Capitano, questa è una polveriera pronta scoppiare... mi sono già trovata in situazioni come questa... - La memoria di Fatimah Welde tornò al suo battesimo del fuoco sul pianeta Tassili nel sistema di Hoggar. Ricordò la puzza dei corpi carbonizzati nel suk di Ghardaia, il pianto dei bambini e le urla delle donne.

- Mantieni la calma soldato, faremo quello che dobbiamo e ce ne andremo in fretta da questo inferno –

- Sissignore! –

Welde era un soldato affidabile, ma il suo nervosismo era più che giustificato e Johanna lo sapeva bene. La situazione stava peggiorando ora dopo ora e non sarebbe passato troppo tempo prima che gli scontri aumentassero d'intensità. Dovevano darsi una mossa. Un'improvvisa detonazione risuonò nella notte, così forte da spingere ogni membro della squadra ad accucciarsi o sdraiarsi.

Goncalves si alzò da terra guardingo - Che cazzo era? –

- Artiglieria pesante – Il veterano Zoran aveva subito riconosciuto la natura dell'esplosione.

- La polizia dispone di artiglieria pesante? – continuò il ragazzo.

Johanna rispose stizzita, intuendo la natura di quello scoppio - No, no di certo... seguitemi! –

Avanzarono guardinghi in direzione dei tafferugli. Più si avvicinavano, più cresceva il rumore della battaglia, fino a distinguere le voci e il suono delle armi utilizzate. Quando poterono avere una visuale sicura, Johanna attivò la funzione zoom del visore della Talos per ingrandire il campo visivo del combattimento.

- Merda! –

- Che c'è capo? – chiese Tawara.

- Guarda tu stesso Wlad... -

- Il soldato si sporse cautamente oltre l'angolo dell'edificio dietro il quale si erano appostati e grazie alla sua tuta da combattimento riuscì ad avere una visione nitida e precisa dello scontro. Le forze di polizia, benché più numerose, stavano soccombendo al fuoco incrociato di un gruppo di mercenari pesantemente armati.

- Figli di puttana! Quelli sono Alphadogs... uomini del Bastardo! –

Gli Alphadogs erano una delle compagnie di ventura più spietate e truci in circolazione. Non avevano rispetto per niente e nessuno. Il loro condottiero Intirius Demedicis, detto "il Bastardo", era noto per la sua efferatezza. La compagnia accettava tutti gli incarichi più spregevoli, quelli che violavano sistematicamente i diritti umani e le leggi interplanetarie. L'unica condizione era che la paga fosse alta.

Goncalves cominciò a innervosirsi, non pensava che la missione contemplasse uno scontro con altri mercenari - Che cazzo ci fanno qui? –

- È molto semplice ragazzo, quello stronzo di Shemar ha affidato l'incarico anche a loro e magari a chissà quante altre squadre! – ringhiò il suo capitano.

- Non erano questi gli accordi – disse Tawara.

- No che non lo erano... ci puoi giurare che non lo erano Wlad! – Johanna, fece un cenno con la mano e i suoi soldati obbedirono prontamente. Cambiarono per l'ennesima volta strada, cercando di aggirare l'inconveniente incontrato. La concorrenza di un'altra crew di mercenari rendeva ancora più cruciale l'elemento tempo.

- Ok, cerchiamo di battere quei coglioni in velocità. Più loro perderanno tempo ad aprirsi una strada, più possibilità avremo noi di trovare per primi il rampollo di casa Shemar –

- Dove andiamo capo? – chiese Aaron.

- Laggiù Goncalves, la sede della Media Libre, una stazione multimediale dove sembra che Marc Aurelius Shemar lavorasse –

- Cos'è? Giocava al rivoluzionario, sparando merda contro le fabbriche del paparino? – chiese Zoran

- Sì Duncan, sembra proprio così. Ora facciamo silenzio, comunicazioni radio ridotte al minimo finché non siamo dentro, solita formazione –

Il gruppo si mise in marcia, percorrendo di corsa l'ultimo chilometro che li separava dal loro obiettivo. Quando arrivarono di fronte al basso edificio che fungeva da sede per l'emittente, constatarono che i tafferugli avevano interessato anche quella zona. Un senso di urgenza s'impadronì di Johanna, che abbandonò la consueta prudenza, decidendo di irrompere nello stabile a due piani. La porta d'ingresso era spalancata e in parte divelta dai cardini. Lungo le scale che portavano al piano superiore, dove erano ubicati gli studi, c'erano evidenti segni di colluttazione, ma nessun colpo visibile di arma da fuoco. Forse il posto era stato semplicemente oggetto di saccheggio e vandalismo.

- Capo il bio-scanner rileva solo una forma di vita... dietro a quella porta – disse Tawara.

- Ok Wlad, Fatimah falla saltare –

La giovane piazzò la microcarica e quando tutti si furono messi al riparo, la fece detonare. La porta blindata si aprì come una scatola di latta. Duncan Zoran buttò all'interno una granata fumogena e il gruppo fece irruzione.

- Sono disarmato! Sono disarmato! – urlò qualcuno all'interno.

L'unico occupante dello studio era un ragazzo poco più che ventenne. Aveva dei corti ricci biondi, occhi porcini e l'incarnato rubicondo. Dei cavi per connessione neurale pendevano dalla sua nuca e correvano fino ai processori della stazione multimediale.

- Dov'è Marc Aurelius Shemar? –

- Ma di che cazzo state parlando? –

Goncalves si avvicinò di fretta al giovane spaventato e gli puntò alla testa il fucile - Non fare lo stronzo! Sai bene di chi stiamo parlando! –

- Calmati ragazzo! – Duncan aveva messo una mano sulla spalla di Goncalves per trattenerlo, ma il giovane si era divincolato con un gesto di stizza.

Johanna digitò una breve sequenza sul polso della sua tuta e il proiettore olografico trasmise l'immagine tridimensionale del volto dell'erede dell'impero Shemar.

Il ragazzo sbiancò in volto e deglutì come se avesse visto un fantasma - Quello è Youber... -

- Che cazzo stai dicendo? – replicò la condottiera.

- Quello... quello che ho detto... è Youber... -

Goncalves lo guadò stranito - Chi? –

A Johanna quel nome diceva qualcosa, ma non riusciva a ricordare dove l'avesse sentito - Senti... non vogliamo farti del male, stiamo cercando questo ragazzo e abbiamo fretta -

- Che cosa gli farete? –

- Non sono cazzi tuoi! – scattò Aaron.

- Goncalves vedi di darti una calmata! Vai a controllare il perimetro e avvisaci se arrivano ostili ok! – tagliò corto Johanna.

Il giovane obbedì contro voglia al comando del suo superiore e si diresse alla finestra.

- Non faremo del male neanche a lui, siamo qui per portarlo in salvo – continuò la donna.

- Ci deve essere un errore... non può essere lui –

- Cosa vuoi dire? E chi è questo Youber? –

- Non conoscete Youber? Ma dove vivete? –

Duncan lo strattonò per una spalla e il ragazzo alzò le mani in un goffo tentativo di calmare i suoi interlocutori - Ragazzino! Le domande le facciamo noi! Vedi di rispondere e alla svelta! –

- Sentite... non dovrei parlarne, ma visto che sta andando tutto a puttane sul pianeta, tanto vale che ve lo dica... il volto che mi avete fatto vedere appartiene a Patrick Bernasalle, conosciuto nel super web con il nome di Youber –

Johanna finalmente riuscì a ricordare dove aveva sentito quel nome. Youber star del multi-web, la rete informatica che connetteva tutti i sistemi planetari. I suoi filmati e olo, riprendevano la tradizione vecchia di secoli di fare contro informazione. File pirata che venivano sparati illegalmente su vari canali del web, denunciando presunte o vere nefandezze delle società multi-planetarie. Una star in molti sistemi solari, rimasta sempre senza un volto, ma con un seguito di milioni di followers.

- Come fate a non conoscerlo? – esclamò il ragazzo della stazione.

- Siamo soldati, non ci occupiamo di cazzate del genere! – esclamò Zoran.

- Certo, siete al soldo di chi vi paga meglio, cioè quei porci spazio-capitalistici delle multi-planetarie! –

Anche Duncan cominciava a perdere la pazienza. Johanna precedette la sua reazione con un gesto della mano - Ascolta... non siamo qui per parlare di politica, ci basta sapere dove trovarlo –

- Non ci credo che sia il figlio di Shemar, quel bastardo ha... -

Johanna si mosse veloce come un crotalo kepleriano, estrasse dal fodero la Colt ZL1 CQBP e punto la canna sotto la gola del ragazzo inerme.

- Senti! Quello che tu credi non è rilevante, hai capito? Dicci dove possiamo trovare questo Youber o ti faccio saltare il cervello! –

Il giovane chiuse gli occhi e reclinò la testa cercando di allontanarla dalla pistola. Una macchia di urina si stava lentamente formando sui suoi pantaloni.

- Vi prego! Vi prego! Vi... vi dirò quello che so... quando la zona è diventata troppo pericolosa, hanno deciso di trasferire la sede dell'emittente in periferia, verso i monti del Nuovo Yukon, nelle zone più colpite dal morbo... io dovevo solo fare da ponte, finché la nuova base non fosse pronta a trasmettere! –

- Perché andare in una zona ad alto rischio di contagio? – chiese la donna.

- Perché chi ci vuole imbavagliare non sarebbe venuto a cercarci laggiù -

- Dacci le coordinate –

- Ascoltate... io... -

Johanna armò il cane della GSh-34 e gliela puntò alla fronte.

Il ragazzo chiuse gli occhi e alzò istintivamente le mani.

- Ok, ok! Victroria district, fifth avenue... Trudeau plaza... -

- Capitano! Ostili in avvicinamento! – urlò il più giovane della compagnia.

- Lettura Goncalves! –

- Alphadogs... due scout, sicuramente il resto della truppa sarà qui a breve! –

- Come ti chiami? – chiese Johanna al ragazzo della stazione.

- Chi? Io? ... -

- Michael, questo edificio ha un'uscita secondaria? –

- Sì, il bagno, c'è la scala antincendio –

- Ok, facci strada, dobbiamo levare le tende e alla svelta! –

- Non posso lasciare la stazione, finché nella nuova sede non saranno operativi per trasmettere! -

- Michael, forse non hai capito, altri mercenari stanno arrivando e non si limiteranno a minacciarti. Puoi scegliere se rimanere qui e morire o venire con noi e portarci da Youber –

Il ragazzo ebbe un momento di tentennamento, mentre sudava abbondantemente. Non era un eroe e non ci teneva a fare la conoscenza con altri tagliagole - Va bene... andiamo –

Johanna pensò che ciò che aveva detto lo sfortunato ragazzo avesse un senso, un'emittente clandestina che remava contro il potere in un periodo di crisi sarebbe stato il primo bersaglio della macchina di repressione e propaganda. Quale posto migliore dove nascondersi che nelle zone dove l'epidemia era più diffusa? Rischioso, dannatamente rischioso, ma la vita del ribelle lo era per antonomasia. Scesero dalle scale di emergenza sul retro del palazzo, appena l'ultimo del gruppo tocco l'asfalto del vicolo, furono investiti da una pioggia di proiettili. Le Talos ressero la prima salva. Michael, che ne era sprovvisto, non fu altrettanto fortunato. Il suo corpo crivellato si accasciò a terra in una nuvola purpurea di sangue.

- Fuoco di copertura! Fuoco di copertura! -

L'ordine impartito da Johanna fu subito eseguito da Zoran e Welde, dando a lei e Goncalves il tempo di ripiegare in una zona riparata da dei cassonetti per rifiuti. Poi, a turno, anche gli altri due commilitoni si disimpegnarono, raggiungendo i compagni.

- Sono gli Alphadogs! Sono più di quelli che pensavamo! – disse Fatimah.

Fortunatamente un antiquato elicottero della polizia illuminò con un faro gli assalitori e l'armiere del vetusto veicolo fece cadere su di loro una pioggia infuocata di pallottole all'uranio impoverito.

- Devono aver fatto incazzare le forze dell'ordine locali. Leviamoci di torno prima di finirci dentro! -

Il diversivo permise al gruppo di disimpegnarsi dal conflitto. Corsero per diversi isolati senza mai voltarsi indietro. Fino a un negozio devastato dai saccheggi che si rivelò un ottimo rifugio per riprendere fiato. Johanna osservò le scaffalature rovesciate per terra, poi improvvisamente tutto si fece confuso.

Mi guardo in giro sconsolata, ci sono letti ovunque, tanto che è difficile anche solo muoversi. Ogni paziente è intubato sotto spettrali teli trasparenti di plastica. Il mio turno sarebbe finito da più di tre ore, ma i pazienti continuano ad arrivare incessantemente. Il suono delle sirene delle ambulanze che vanno e vengono dall'ospedale continua incessante, martellandomi i timpani. Continuo a pensare ai miei poveri e anziani genitori ad Alzano, barricati in casa, soli da settimane ormai. Ogni volta che mi squilla il cellulare, temo che sia una brutta notizia, che il COVID-19 si sia preso anche loro. Con la coda dell'occhio vedo un'anziana signora che cerca di richiamare la mia attenzione con uno stanco gesto della mano. Mi assicuro che i miei logori dispositivi di protezione personale siano al loro posto e mi avvicino.

- Sto morendo... -

- Signora non dica così, vedrà che andrà tutto bene -

Sorride. Un sorriso amaro e pieno di consapevolezza.

- Quando avrai la mia età, te lo auguro, saprai riconoscere quando sta per succederti qualcosa... e raramente è qualcosa di bello -

Non so cosa risponderle, ho visto la sua cartella clinica e so che la sua situazione è compromessa.

- Vorrei tanto salutare i miei cari... rivedere i miei nipoti -

Sotto il letto trovo la sua borsa, dalla quale estraggo uno smartphone. Mi faccio dire il PIN per sbloccarlo e il numero che devo chiamare.

- Pronto mamma! -

È la voce di una donna, la figlia della signora. Sembra sorpresa e allarmata. Probabilmente non parla con sua madre da giorni, da quando l'hanno ricoverata in questa struttura -

- No, sono un'infermiera dell'ospedale... -

- Oh, mio Dio! -

- No, stia tranquilla, sua madre... è che vorrebbe parlare con lei... anzi vorrebbe vedere lei e le nipoti... potremmo fare una video chiamata -

Resta in silenzio per qualche secondo, sento quasi il rumore del suo cervello che processa le mie parole. So quali domande si starà facendo. So a quali tremende conclusioni arriverà.

- Va bene, mi dia qualche minuto... la richiamo io -

- D'accordo -

Il tono rassegnato della voce mi comunica che ha capito, che ha compreso quello che sta succedendo, che quella sarà l'ultima volta che vedrà sua madre. Quando arriva la video chiamata, cerco di mostrarmi serena. Tengo il cellulare davanti alla paziente, in maniera che possa vedere e salutare per l'ultima volta la sua famiglia. Purtroppo, sento tutto, sento le parole che pur non esplicite sanno di addio, sento la voce rotta dall'emozione e dalle lacrime. La cosa più atroce è che è lei a consolare la figlia, a cercare di tranquillizzarla. Nell'anziana donna c'è già l'accettazione della morte incipiente. Ma questa consapevolezza non riesce a lenire lo strazio di un commiato così asettico e freddo. Il tutto dura pochi minuti. La signora, il cui nome è Marisa, fa fatica a parlare. Prima di chiudere la comunicazione la figlia in lacrime mi ringrazia e io non so cosa rispondere, non ho fatto altro che comporre un numero e reggere un cellulare. Quando chiudo la comunicazione, l'anziana signora ha già chiuso gli occhi. Il suo respiro si fa sempre più flebile, mentre le sue pulsazioni sul monitor continuano inesorabilmente a scendere. Sto con lei fino alla fine, anche se non serve a nulla dato che è incosciente, ma credo che nessuno dovrebbe andarsene da solo. Ho bisogno di farmi una doccia e di dormire qualche ora se non voglio crollare. Mi avvio negli spogliatoi e mi libero di tuta e dispositivi di protezione, smaltendoli negli appositi bidoni. Quando entro nella stretta stanza quasi non me ne accorgo, poi accendo la luce e la vedo lì, penzolare dal soffitto. È Maria, una mia collega. Non ha retto a questo incubo e l'ha fatta finita. Guardare il suo viso sfigurato dall'asfissia è troppo anche per me, tutto si fa buio, l'ultima cosa che vedo sono le piastrelle azzurre che si avvicinano sempre di più.

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