22.

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Non so se ero più nervosa, imbarazzata o soddisfatta di me stessa per avergli risposto come avevo fatto. Al solo pensiero mi veniva da sorridere. Quel modo arrogante di parlare mi mandava ai matti, non capivo perché Marzio gli permettesse di comportarsi come se comandasse lui. Possibile che si fidasse così ciecamente del suo lavoro da lasciargli avere quell'atteggiamento da stronzo? Capivo cosa intendesse Dari, era anche un discorso accettabile sotto un certo punto di vista, ma il suo intervento e il modo di additarmi come se fosse colpa mia quella di essere minorenne, mi faceva uscire di senno.

Non sapevo ancora cosa pensare della reazione di Damien, invece. Mi aveva guardato con stupore, forse era arrabbiato anche lui? Lo avevo messo in difficoltà? Magari il mondo pretendeva che andassi in giro con un cartello appeso al collo sul quale c'era scritta la mia data di nascita? Avrei fatto diciotto anni tra qualche mese, potevano dormire tranquilli.

Addirittura avevamo smesso di fare le prove in anticipo, come se fosse stata una rivelazione che sconvolgesse gli animi di tutti, quando in realtà si poteva contare sulle dita di una mano il numero di persone che non conosceva la mia età. Mi sembrava di essere catapultata in una soap opera. Così, dopo aver ridacchiato e scherzato facendo uno sforzo enorme per celare i miei pensieri e mentre buttavo un occhio su Marzio e Dari che parlavano e cercavo Damien che era sparito con Nicholas, decisi che forse era il caso di tagliare la corda e andarmene a casa. Aspettai che qualche ragazza iniziasse ad uscire, per non dare l'impressione di scappare per prima perché ferita nell'orgoglio, poi mi avviai verso la cucina per prendere lo zaino che avevo lasciato all'ora di pranzo.

Flavia e Viviana sarebbero andate con Fabiana e Marta al cinema a vedere una commedia romantica, io non ne avevo alcuna voglia, sia per il genere di film sia per i compiti da terminare, quindi declinai l'invito.

Entrando in cucina mi accorsi che avevo lasciato i libri aperti sul tavolo e iniziai a buttarli nello zaino alla rinfusa, rendendomi conto solo quando ne rimase uno fuori, che avrei dovuto metterli in ordine per farli entrare tutti.

Svuotai lo zaino sul tavolo e ne uscì di tutto, almeno le cartacce le avrei dovute buttare. Feci una palletta di carta e la tirai verso il cestino, ovviamente cadde fuori.

«Quasi», Damien aveva l'avambraccio sullo stipite della porta.

«Eh, già», mi apprestai a raccogliere la carta da terra per poi buttarla nel cestino. Il cuore mi batteva forte, pensavo fosse andato via e non sapevo ancora come valutare la sua reazione di prima.

Mi guardò per un minuto mentre sistemavo lo zaino, mi sentivo impacciata anche a fare una cosa così stupida se c'era lui presente. Con le dita si tormentava le labbra.

«Ti ha dato fastidio? Quello che è successo prima, intendo.»

Calai una maschera, dietro si stava così bene.

«No,» con aria tranquilla, «è che mi diverte far innervosire Dari», terminai con un ghigno.

Lui sorrise, guardandosi le scarpe. Io ne approfittai per terminare quello che stavo facendo.

«Sembri più grande», suonava come una giustificazione.

«Davvero? Eppure mi dicono tutti il contrario», inventai tanto per dargli contro.

«Quindi non vai all'università...»

«Sembra proprio di no.»

Silenzio.

«Senti, se ti hanno mandato qui per... per... non so, qualsiasi motivo, io non ho problemi. Non sono arrabbiata né offesa... né niente. Capisco che è una cosa delicata, per quanto faccia finta del contrario e non sopporti Dari. Ma c'è ampia scelta: insomma, tutte le altre ragazze sono più grandi di me quindi può cantare qualsiasi altra al mio posto. Era quello che avevo chiesto a Marzio dall'inizio perciò per me va più che bene, anzi!» Ero di nuovo partita a razzo senza fermarmi.

Damien era confuso come se ora avessi detto che ne avevo duecento di anni.

«Non mi ha mandato nessuno... io... Ok, cos'è questa storia che non volevi cantare?»

«Ascoltami, io non sono fatta per tutto questo,» sorrisi imbarazzata, «mi sembra chiaro.» Abbassai lo sguardo per un attimo arrossendo. «Ho subito detto a Marzio che avrei potuto contribuire in altro modo ma non cantando, o al massimo nel coro. Non mi piace esibirmi, non sono in grado e, per quanto ci metta la buona volontà, so già che farò un casino. E non voglio rovinare lo spettacolo perché so che ci state mettendo tutti grande impegno e tu e Keira ci siete venuti dall'altra parte del mondo.» Mi resi conto che mi stavo sfogando proprio con lui. «Qualsiasi ragazza di là canterebbe meglio di me, ne ho la certezza, sono tutte molto brave», conclusi guardandolo dritto negli occhi.

«Vieni con me.»

Tentennai un attimo ma lui era lì ad aspettarmi e lo seguii.

Non c'era più nessuno, erano andati tutti via. La sala canto aveva una luce accesa a illuminare gli strumenti e regalava all'ambiente un'atmosfera intima. Ma mi distolsi da quel pensiero, c'era poco da pensare all'intimità.

Lui proseguì verso lo stereo e si chinò a cercare nell'armadietto accanto un cd. Prendeva in mano ogni custodia e leggeva in silenzio i titoli delle canzoni contenute, alcuni erano solo basi musicali. Alla fine scelse uno di questi ultimi e lo infilò dentro lo stereo. Prese due microfoni e li accese, io volevo scappare.

Risuonarono le note di "Private emotion" e iniziò a cantare. Feci la mia parte, sentendomi scombussolata. Che significato aveva, cosa voleva dire? Che era l'ultima canzone che cantavamo insieme? Per un attimo mi salì il panico ma era quello che avevo chiesto, mi aveva solo ascoltata. Senza battere ciglio.

Il suo modo di porsi mi ricordò di quando mi aveva preso per ballare nello studio. Ora non si stava avvicinando tanto, ma era come se sentissi le sue braccia intorno a me, i suoi occhi cercavano un contatto e se fossi stata un'altra avrei raccontato in giro che forse gli piacevo. Per questo non credevo mai alle persone, si accontentavano di accettare la realtà così per come la vedevano, non per quello che era. In questo caso, una finzione.

Alla fine della canzone mi sorrise.

«Non sono come te,» mi allontanai, «non so recitare.»

«Recitare?»

«Sì, interpretare un pezzo», andai a posare il microfono sul piano. «So che si dovrebbe fare così però non so farlo a comando. Nella mia semplice vita canto una canzone allegra quando sono allegra, una d'amore se mi sento innamorata, una triste se sto giù». Mi stavo innervosendo, mi sentivo presa in giro. «Non riuscirò mai a cantare fingendo emozioni che non provo, è una qualità che non ho. Una delle tante.»

Mi fissò. «E ora come ti senti? Quale sarebbe la canzone che calzerebbe col tuo stato d'animo?»

«"The death song"

Scoppiò a ridere. Sorrisi anche io della sua reazione. Chissà da dove l'avevo tirata fuori, non ricordavo neanche di conoscerla.

Volle precisare che non stava recitando, sentiva di avere una forte intesa con me.

«Io non sto dando niente. Non darò mai niente, per quanto mi possa sforzare. Con le altre non hai provato, magari...»

«Tu non hai bisogno di dare, tu sei tu. Io non ho intenzione di cantare con nessun'altra, anche se me lo dovessero chiedere», si fece ancora più sostenuto. «Mettiti l'anima in pace.»

Silenzio.

«Credo sia ora di andare.» Stavo scappando, incapace di crogiolarmi in quei pochi momenti che passavamo da soli, timorosa di leggere in lui insofferenza nei miei riguardi.

Si offrì subito di accompagnarmi e al mio rifiuto alzò gli occhi al cielo per marcare la sua esasperazione.

«Non penserai davvero che ti lasci andare da sola a quest'ora col buio? Per chi mi hai preso?»

«Per uno che accetta il mio "no, grazie".»

«Ginevra, non renderla più difficile, tanto ti accompagnerò a costo di metterti di peso in auto.»

La sola idea mi fece inorridire. Pensare che potesse prendermi in braccio e valutare negativamente il mio peso mi tolse la parola.

«Ecco, brava. Vedo che siamo d'accordo», concluse soddisfatto del mio silenzio.


Ricky Martin feat. Meja, "Private Emotion", Ricky Martin. Sony Music, 2000.

Marilyn Manson, "The Death Song", Holy Wood (In the Shadows of the Valley of Death). Nothing, Interscope, 2000.

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