26.

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Quella sera avvertivo bisogno di riscatto.

Preparai un piccolo zaino dove mettere il cambio per il giorno dopo, avevo pensato di rimanere a dormire da Viviana, immaginando di fare parecchio tardi. I suoi genitori erano abituati a quel genere di serate, io invece non facevo mai mattina in giro e non mi andava di ricevere chiamate preoccupate in piena notte da mia madre, di certo non quella notte.

Mi accorsi di aver calcato troppo la mano sul trucco degli occhi, l'inesperienza mi portava a fare errori e a rimediare ripassandoci sopra. Alla fine il risultato non era male ma se mi fossi messa un rossetto troppo acceso sarei sembrata una battona. Quindi optai per un gloss rosa chiaro che stemperasse l'ombretto grigio e nero e la linea marcata dell'eyeliner. Ultima occhiata, l'ennesima, allo specchio nella mia stanza che trovavo più clemente di quello che era in camera dei miei. Avevo indossato una minigonna molto corta che mi fasciava, una maglia nera trasparente con sotto un top nero scollato e gli stivali con tacchi alti. Sì, il rossetto rosso sarebbe stato effettivamente troppo. Prima di uscire misi un cappottino nero corto, ma comunque più lungo della gonna. Già immaginavo quanto mi avrebbe rotto. Non mia madre, Viviana. E questo mi convinse di aver fatto la scelta giusta.

Salutai al volo i miei e dissi a mia madre di non preoccuparsi.

Scesi le scale quasi correndo, come se stessi andando incontro alla felicità, dandomi un contegno solo quando uscii dal portone. Nello stesso momento arrivò Flavia con la sua Carolina, come chiamava la sua auto.

Tirò giù il finestrino: «Che devi andare a battere stasera?»

«Oh! Non cominciare!» Infilai lo zaino col cambio nel portabagagli, entrai in auto e la scrutai: «E non mi sembra che tu sia vestita da suora».

«Sì ma almeno il sedere io ce l'ho coperto!»

Arrivammo sotto casa di Viviana e le facemmo degli squilli al cellulare per avvertirla che la stavamo aspettando. Con i suoi soliti dieci minuti di ritardo, arrivò tutta trafelata. Ero sicura che invece a casa si era mossa al rallentatore. Aprì la portiera posteriore e si infilò in macchina: «Ma non mi sono venute proprio ora? Che palle!».

«Per fortuna che a Ginevra no! Ha brutte intenzioni per stasera...»

Arrivò il momento in cui cominciai a dare indicazioni a Flavia per trovare con esattezza la piazza dove ci dovevamo incontrare con gli altri. Lo stradario non era mio amico e girammo in tondo sbagliando strada diverse volte. Flavia cominciò a sbraitare mentre io e Viviana ridevamo come sceme alle sue esternazioni.

«Ma guarda dove cazzo stanno! Eccoli lì! Praticamente eravamo arrivate venti minuti fa!» e tagliò una strada contromano per imboccare la piazza.

Entrai nel panico, convinta di essere rossa e di avere il trucco colato.

Leggermente spostati sulla destra e a distanza di qualche macchina rispetto a dove stava parcheggiando Flavia, il gruppetto formato da Keira, Dari, Mathias, Marzio, Nicholas e Damien. Ci stavano già guardando, sicuramente qualcuno, cioè Dari, si era infastidito per il ritardo, che in fondo era solo di una decina di minuti.

Aprii lo sportello un secondo dopo Flavia e Viviana e scesi dall'auto.

«Ginevra!» Marzio aveva un tono di voce diverso dal solito, da padre autorevole.

«Già mi cazziano, neanche sono arrivata», mormorai a bassa voce, prima di andare sorridente verso di lui.

Mi sentii squadrare dalla testa ai piedi. I miei occhi erano fissi su Marzio e non riuscivo a distinguere le espressioni degli altri.

«È colpa di Flavia se abbiamo fatto tardi!» Un grande sorriso e un paio di indici che la indicavano dietro alle mie spalle. Tanto per togliermi l'attenzione di dosso.

«Ma non è vero! Ginevra mi ha fatto sbagliare strada mille volte!» e continuò a blaterarmi contro mentre ridevo. Per fortuna potevo contare su di lei e sulla sua irruenta genuinità.

Si avvicinò anche Viviana e per guardare lei i miei occhi incrociarono quelli di Damien, solo un attimo. Ma io ero in modalità perlustratrice e non gli dedicai neanche un saluto, come se fosse uno tra i tanti invece di essere l'unico al mondo.

«Abbiamo detto anche alle altre che arriviamo insieme e andiamo via insieme.» Marzio giocava con l'anello del portachiavi della macchina facendolo roteare intorno al dito. «Perciò, vista la situazione, Flavia lascia la sua auto qui e proseguite con qualcun altro. Al ritorno la passate a riprendere. Con chi andate?»

Un panico perforante mi assalì trapassandomi dai reni verso la pancia. Se Damien mi avesse chiesto di andare con lui? Se invece non lo avesse fatto? Se non avessi trovato posto e fossi stata costretta ad andare con la macchina degli sfigati, tipo con Dari e Marzio? Se qualcun'altra si fosse infilata in auto con Damien? Se... e mi sentii avvolgere la vita da un braccio che mi attirava a sé. Era la seconda volta quel giorno ma di certo non poteva essere Enea.

«Queste bellezze vengono con me!» Uh! Avrei fatto parte della macchina dei fighi! Era Kevin, il ballerino amico di Mathias. Gli rivolsi un sorriso pieno di gratitudine e lui mi baciò forte sulla guancia stringendomi a lui.

«Non sapevo ci fosse tutto questo affetto tra di voi!» Marzio sgranò gli occhioni neri. «Ginevra, tu che sei sempre così fredda con tutti!»

«Mica è scema, se li sceglie bene quelli con cui entrare in confidenza!» Viviana ammiccò. Tra i ballerini, era quello che secondo me aveva il viso più bello. Naso dritto e piccolo, occhi con taglio alla orientale di un colore indefinito tra il marrone e il verde, bocca carnosa il giusto. Ma non era il mio tipo.

Mathias ci guardava basito, probabilmente si stava chiedendo perché fossi simpatica a un suo amico quando lui non mi sopportava.

Damien continuava a fissarmi e, se pure in quel momento pensai di rivolgergli un sorriso, non lo feci, non ora che Kevin continuava a tenere un braccio intorno a me. Allora sorrisi a Keira, sperando facesse da tramite.


Furono venti minuti molto allegri. In auto Kevin mise la musica a tutto volume, come piaceva a me, e la alzava ancora di più mentre, fermi a qualche semaforo, eravamo vicino a una delle auto della nostra comitiva. Cantavamo e ballavamo, già questo era un ottimo segnale che mi stavo svagando, sempre attenta a non ritrovarmi vicino l'auto con Damien. Mi sembrava di stare in uno di quei video girati a Los Angeles o Miami, dove le cantanti della situazione si mettono a ballare in piedi nella decappottabile che gira per le strade piene di locali della città. Diciamo che in comune con quei video non c'era né la città, né i locali, né la decappottabile, né le cantanti. Né tantomeno lo avrei fatto. Insomma, di uguale c'erano le canzoni alla radio.

Dopo aver parcheggiato, non scendemmo finché non finì una canzone degli anni ottanta che stavamo cantando a squarciagola. Kevin disse che bisognava farsi aspettare, per attirare l'attenzione. Esattamente l'opposto di quello che pensavo, ma detto da lui era divertente e mi feci trascinare dal suo entusiasmo. Mentre ci avvicinavamo all'entrata, dove ci aspettavano gli altri, mi mise di nuovo un braccio intorno alla vita. Damien ci osservò sfregandosi il mento col pollice per poi spostare lo sguardo altrove.

Entrammo nel locale che era già pieno di persone.

«Questo è un posto frequentato da ballerini», Kevin si accostò al mio orecchio per via della musica alta che ci avvolse appena entrati. «Noi veniamo sempre qui, è più tranquillo rispetto agli altri locali ed è tutta gente che in qualche modo si conosce.» Ecco perché Mathias aveva proposto quel locale. Quindici ragazze e due attori che dovevano restare il più possibile lontano dai riflettori, lì aveva tutto sotto controllo. Ci stavano tenendo sotto una campana di vetro.

Al centro del locale c'era una grande colonna di almeno tre metri di diametro ricoperta di specchi, tutto intorno una pista ampia gremita di persone con molto spazio per ballare. Sul lato sinistro rispetto all'entrata c'era il bancone del bar e sul destro dei tavolini piccoli con sedie di legno alternati ad altri tavoli molto più grandi circondati da panche. Sul lato opposto rispetto all'entrata c'era una specie di piccolo palco. Non era un arredamento che mi faceva impazzire ma mi ipnotizzava, un miscuglio di stili che cozzavano tra di loro: legno, specchi, tubi argentati e scritte colorate. Qualcosa addirittura di ramato.

Costeggiando il muro di destra salimmo al piano di sopra dove c'erano dei privé. Erano tutti per noi, altro che sotto una campana di vetro, non volevano che ci si avvicinasse nessuno. Non là sopra, almeno.

Alcune posarono le borse e i cappotti e scesero subito a ballare. Le guardai con invidia. La musica era perfetta, non quella tecno che stordiva e basta, ma R&B. Ero nel mio mondo, sentivo il sangue che mi bolliva nelle vene ma mi girai, cercai Fabiana, Vania o Marta, che sapevo non sarebbero mai andate a ballare, e trovandole tutte e tre insieme, mi sedetti vicino a loro su un divanetto. Proprio quello che odiavo. Passare la serata in un locale con la musica perfetta, seduta senza riuscire a parlare, con un bicchiere in mano. Io neanche bevevo alcolici. Al cameriere palestrato che ci aveva raggiunte ordinai un cocktail analcolico e fui schernita dalle altre. Non mi importava, loro tra poco avrebbero avuto un alito da far schifo, io no.

Finsi di interessarmi a discorsi che non riuscivo ad ascoltare, già dopo cinque minuti mi stavo annoiando. Sapevo che sarebbe andata così quella serata e potevo biasimare solo me stessa per non riuscire a superare il mio problema con il ballo. In fondo che male c'era? Tutti ballavano e nessuno li guardava direttamente o li giudicava. Io invece mi sentivo le luci puntate addosso e immaginavo il viso disgustato di Damien. Ecco perché ero lì su quel maledetto divano. E a dirla tutta, non avrei voluto nemmeno vedere ballare lui, sarebbe stato come se perdesse parte del suo fascino, anche se si fosse rivelato bravo. Amavo i ballerini e mi affascinava vederli muovere, ma a me piacevano gli uomini un po' rigidi, che non si lasciavano andare del tutto, che non perdevano il controllo.

Non sapevo nemmeno precisamente dove fosse, immaginavo un paio di salottini più giù con Dari e gli altri. L'entusiasmo che avevo provato all'inizio della serata era sfumato, forse la parte più divertente era stata quella in macchina con Kevin. Mi alzai per andare ad appoggiarmi sulla balaustra a guardare le persone scatenarsi, spostandomi di lato rispetto al divanetto per non togliere la visuale alle ragazze che comodamente sedute riuscivano ad adocchiare i ragazzi.

Il dj mise "Mo money, Mo problems" e chiusi gli occhi per un attimo. Ero concentrata sul controllo del mio corpo, non dovevo ballare, non dovevo ballare, non dovevo ballare. Ma nella mia testa ero lì, in pista a fregarmene di tutto e di tutti, soprattutto di me stessa e dei miei limiti.

«Non vai a ballare?»

Aprii piano gli occhi.

«No, non mi va», poi mi girai verso Damien con aria di sufficienza.

«Non si direbbe da come tieni il tempo con la gamba.»

Dannata gamba maledetta, mi sarei dovuta ricordare di strapparmela a morsi, una volta tornata a casa.

«Allora, pensi che non scenderai in pista e rimarrai tutta la sera ad affogare i dispiaceri nell'alcol?» indicò il bicchiere che non ricordavo nemmeno di avere in mano.

«Io non bevo alcolici», con la mia aria di superiorità.

«Perché sei una brava ragazza?» sollevò le sopracciglia.

«Perché puzzano», arricciai il naso.

L'avevo bruciato, magari se ne era appena bevuto uno e io me ne ero uscita in quel modo. Roba che lo avrei baciato anche se si fosse scolato una tanica di benzina. Ma ormai lo avevo detto, tanto valeva continuare a mantenere il punto e non scusarmi.

«Sai, a volte non riesco a capire quando...»

Arrivò Nicholas che lo interruppe mentre parlava, dicendogli che lo cercava Dari. Damien si girò stizzito e io approfittai per congedarlo con indifferenza.

Quando si allontanò rimasi qualche minuto dov'ero prima di dirigermi di nuovo sul divano.

«Che ti stava dicendo?» Marta aveva quasi finito la birra. Feci un cenno con la mano per dire "niente".

Ogni tanto tornava qualcuna molto sudata che si scolava qualche drink, ci descriveva i fighi che c'erano e poi correva di nuovo a ballare. Milena e Gisella raccontarono di quanti ragazzi ci provassero con loro, ma mentre ero affacciata le avevo viste scatenarsi da sole, quasi creando il vuoto intorno. Logicamente non rovinai quel loro momento di gloria, nessuno credeva a quello che dicevano.


«Accompagnami giù,» Fabiana si alzò energicamente, «voglio prendere un altro cocktail.»

Fui contenta di scendere, anche solo per cambiare aria.

I baristi indaffarati non facevano nemmeno caso a noi, poste all'estremità del bancone e nascoste dai mille bicchieri che erano poggiati sopra.

«"Doing something different for a change..."», canticchiavo mentre accennavo qualche movimento. Avevo controllato, da quella posizione non potevano vederci dai salottini, eravamo coperte dalla colonna centrale. La testa accompagnava la musica, il corpo si muoveva ma ero ferma al mio posto, più di quello non avrei fatto. Fabiana mi guardava con un'espressione mista di rimprovero e compassione.

E tre.

Per la terza volta in quel giorno, mi sentii prendere per la vita. Mentre venivo trascinata via da una sorridente Fabiana, capii che, assodato che non poteva essere di certo Enea, non era neanche Kevin. Lo avevo intuito in una frazione di secondo dal modo in cui ero stata afferrata, non violento ma sicuro e allo stesso tempo estraneo.

Quando mi voltai completamente verso di lui, si era girato a sua volta e mi trascinava in mezzo alla pista, dietro la colonna. Dopodiché mi lasciò la mano e si mise di fronte a me. Ci guardammo dritti negli occhi seri, poi io sorrisi, cosa che lui non fece. E dopo un profondo respiro iniziai a muovermi. Mathias mi venne vicino e ballai con lui come se lo avessi sempre fatto, in maniera del tutto naturale. I nostri corpi si sfioravano senza mai toccarsi, inseguendosi in movimenti sicuri, quasi conoscessero già la mossa dell'altro. Nel frattempo non smettevo di guardarmi intorno nella speranza di non essere raggiunti da Damien. Mathias accostò ancora di più il viso al mio: «Qui non ti vede», e realizzai che aveva capito più di quanto pensassi.

Mi irrigidii, bloccandomi di colpo, ormai incapace di fare un passo da sola. Ero solo una deficiente che si nascondeva dietro una colonna per non farsi vedere da chi non l'avrebbe comunque mai notata. Quella calca ora mi stava soffocando, le luci mi infastidivano, nauseandomi. La musica era d'un tratto troppo alta.

«Portami via.»

Non perse tempo e, prendendomi per mano, mi trascinò facendosi spazio in mezzo alla gente, in meno di un minuto ci ritrovammo fuori dal locale.

Faceva freddo, il mio cervello aveva registrato questa sensazione ma nonostante la magliettina trasparente era come se non mi riguardasse. Dentro ero un vulcano di emozioni e stavo bruciando piano piano, la lava non sarebbe fuoriuscita, mi avrebbe consumata internamente. Mi diressi verso una ringhiera di ferro, qualche metro distante dall'entrata, e mi sorressi su di essa.

Mathias mi si mise a fianco, poggiandosi con la schiena sulla ringhiera. Incrociò le braccia.

«Sono contento di non aver fatto il tuo nome con quel coglione di Dari. Scusami se mi sono comportato da stronzo», spostò piano la testa verso di me, lo sguardo calmo. «Avevi ragione, ti appanichi. Ma è per Damien o per lo spettacolo?»

«Entrambi, sia presi insieme che separatamente.» Scossi la testa, triste. «In realtà mi sono comportata male io per prima. Mi spiace, devo esserti sembrata irrispettosa. Purtroppo non so gestire questa situazione, so di rendermi ridicola davanti a tutti.»

«Nessuno se n'è accorto.»

«Tu sì.»

«Io sono un coreografo, ho visto subito che ti muovevi bene, basta un accenno di movimento, lo sai, per questo rimani immobile più che puoi», mi sorrise. Aveva dei bei lineamenti dolci, quando voleva. «Dai, rientra se no prendi freddo e non puoi neanche più cantare!» Con la mano fingeva di spingermi. «Io rientro tra qualche minuto.»

«Grazie», incapace di aggiungere altro.


Per non salire direttamente ai salottini, una volta dentro, imboccai la sinistra. Appena ebbi superato il bar, mi ritrovai Nicholas davanti.

«Ehi, come va la serata?»

Non risposi e cercai di proseguire, mi sbarrò la strada. Sapevo che mi sarebbe bastata una ginocchiata per metterlo a terra perché si vedeva che non era un granché possente, per quanto non avesse un fisico minuto, ma era uno di quei tipi troppo convinti di sé e della loro perfezione per fare qualcosa per migliorarsi, persuasi di essere perfetti dalla nascita. Sarei stata in grado di spaccargli la faccia se fosse stato necessario, però non lo avrei fatto perché lavorava per Damien.

«Cos'è, non ti va di parlare? Beh, neanche a me. Però ho visto che hai fatto come ti avevo chiesto.»

Cercai di girargli intorno per non sentire quello che stava per dire. Mi afferrò per un braccio e si avvicinò abbastanza per avvertire la puzza di birra: «Vestita così ci metto due secondi per spogliarti e scoparti. Poi, se vuoi, ti raccomando a lui...» tolsi il braccio con forza dalla sua stretta e inorridita me ne andai via. Quello schifoso mi faceva vomitare. Sarei passata in bagno se non avessi avuto la certezza che mi avrebbe seguita anche lì. Decisi di andare dritta ai salottini, a passi spediti, lottando con me stessa per non tornare indietro e prenderlo a calci in faccia. Mi sentivo quasi sconvolta da quello che mi aveva detto, raccomandata a lui? Funzionava così nel loro mondo? No, non potevo credere che Damien fosse quel tipo di persona, non era possibile. Era solo Nicholas a essere un viscido bastardo e a vivere da parassita sperando di avere qualcuna promettendo Damien come premio finale. Ma ci era mai riuscito in passato? Da quanto andava avanti quella storia?


The Notorious B.I.G feat. Puff Daddy & Mase, "Mo money mo problems", Life After Death. Bad Boy/Arista, 1997.


Shaggy feat. Wayne Wonder, "Something Different", Boombastic. Virgin Records, 1995.

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