27.

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Gli andò addosso come un treno in deragliamento. Lo prese in pieno e quasi si sarebbe divertito se non avesse visto l'espressione del suo viso prima dello scontro: era sconvolta. I tacchi alti la portavano a qualche centimetro da lui e se non l'avesse vista arrivare pochi attimi prima dell'impatto gli avrebbe sicuramente dato una forte testata sul mento, ma aveva fatto in tempo almeno a spostare la testa, pur ritrovandosela tra le braccia.

Lei si staccò subito mormorando delle scuse in italiano, ancor prima di accorgersi che fosse lui. Appena lo riconobbe i suoi occhi si spalancarono per un attimo per poi tornare ad assumere un'espressione cupa, seppur diversa da quella avuta prima dello scontro.

«Ehi, cos'hai? Tutto bene?» Poi ebbe un'illuminazione. «Ti ha infastidita qualcuno?» e guardò oltre le sue spalle, in cerca di qualche viso colpevole o troppo soddisfatto da attaccare al muro.

«No, tutto a posto», e scosse la testa con un sorriso mite che non lo convinse.

«Ti stavo cercando», e lei lo guardò col suo sguardo allarmato, gli occhi spalancati. «Sei andata a ballare?»

«No, sono stata fuori a prendere aria.»

«Ah, volevo chiedertelo io», abbassò leggermente le spalle.

«Usciamo di nuovo!»

Osservò come era vestita, non sarebbe dovuta rimanere fuori con quella temperatura senza un cappotto addosso. Controllò in tasca, aveva le chiavi dell'auto.

«Ti va di andare in macchina a parlare?» Sembrava ci stesse provando come un ragazzino alle prime armi. «Così non prendi freddo.»

«Ok.»

«Vieni», le cercò la mano per non perderla in mezzo alla calca di gente che aumentava sempre più, ma lei la ritirò ancor prima che gliela riuscisse a prendere. Lo guardò con occhi sbarrati e scosse la testa, sulle labbra un sorriso tirato che voleva mitigare la reazione avuta. Lui non disse niente, però l'effetto che aveva avuto su di lei non gli piacque affatto, soprattutto dopo aver visto con quale facilità si era fatta abbracciare da Kevin.

Fu di nuovo colto dal senso di avversione provato nel luogo dell'appuntamento, quando li aveva visti così vicini e a contatto. In un attimo era sfumata tutta l'eccitazione da cui era stato assalito appena era scesa dalla macchina e l'aveva vista in quell'abbigliamento provocante. Di certo non le avrebbe dato diciassette anni. Non era solo per la gonna corta che la fasciava e risaltava il suo sedere alto e sodo, le lunghe gambe perfettamente dritte valorizzate da quelle calze velate e i tacchi alti o il trucco che marcava il suo sguardo, ciò che lo catturava era l'atteggiamento sicuro e sfrontato di chi è consapevole di poterti prendere, se ti vuole. Eppure bastava parlarle per capire che non era cosciente del potere che aveva sugli altri.

Fuori dal locale l'aria pungente gli cacciò via il malumore e raggiunsero la macchina. Avrebbe voluto aprirle lo sportello, ma dato che lei non voleva neanche che le tenesse la porta, lasciò perdere.

Si infilò dentro e accese il motore per azionare il riscaldamento, la radio partì da sola. Non la spense, abbassò solo il volume in modo che non desse fastidio mentre parlavano.

«Devo immaginare che non ti stessi divertendo molto», Ginevra si sistemò sul sedile con le gambe intrecciate in una posa impossibile. Damien si chiese se sarebbe stata in grado di slegarle, dopo. Cercò di distogliere lo sguardo. «Non ti piace questo posto o in generale non è il tipo di locale che preferisci?»

«Oh, beh, qui è carino ma non ballo, quindi dopo un po' mi stanco di cercare di parlare senza riuscire a farmi capire. Poi, sai, Alessandro è abbastanza assillante», finì sorridendo, sapeva che a lei non piaceva.

«Potevi dare buca.»

«Speravo non sarei rimasto tutta la sera con lui.» Lei non abboccò. «E tu? Non balli mai o solo stasera non sei in vena?»

«Mai», serrò le labbra. Non le credeva affatto.

Provò a intavolare una conversazione, ponendole domande banali su come trascorresse il tempo libero e quali fossero i suoi gusti letterari e cinematografici, giusto per metterla a suo agio e cercare di inquadrarla. Ginevra, che inizialmente gli elargì delle risposte vaghe, si sciolse e snocciolò qualche informazione su di sé con un bellissimo sorriso che cercava di tenere a bada mordendosi le labbra di continuo.

«Finita la scuola cosa farai?»

Si fece seria. Le calò un'ombra sul viso.

«Veramente non sono riuscita ancora a pensarci e questo mi spaventa. Adesso, comunque, non prenderei una decisione ponderata.» Si attorcigliò una ciocca di capelli tra le dita e prese a tirarla. Non forte, ma nemmeno troppo piano.

«Cosa ti piacerebbe fare allora? Così, fantasticando...»

«Di getto ti dico viaggiare», lasciò libera la ciocca. «Vorrei viaggiare tanto. Ma non era quello che avevo in testa fino a poco fa, quindi boh. Dovrei studiare, forse lingue. Avrei una mezza idea per archeologia. Non lo so.»

«Potresti fare l'università all'estero, così coniughi lo studio con i viaggi.»

Sorrise tiepidamente per poi abbassare lo sguardo. Un pensiero già si insinuava nella sua testa, lui se ne accorse. Qualcosa l'aveva disturbata, ma non capiva cosa.

«Al momento non so nemmeno se arriverò a domani. Poi si vedrà», dondolava le gambe.

Damien cercò di cambiare discorso chiedendole consigli sui posti da visitare nel suo bellissimo Paese.

«Tranquillo, non c'è bisogno che ci ricami troppo sopra, non sono quel tipo di persona convinta che l'Italia - o Roma in particolare - sia il posto più bello del mondo», si rilassò.

«No, davvero. Qualcosa ho letto, qualcosa ho visto. Ma tu da italiana, cosa mi consigli?»

«Io non mi sento italiana», sorrise, «nel senso, non mi sento appartenente a un popolo, a una cultura. In generale non mi sento appartenente a niente.»

«Ah allora non mi dirai mai: "vieni, ti porto a mangiare una carbonara buonissima!"»

«No! Proprio no!» rise arricciando il naso. «Sulla cucina sono messa piuttosto male, poi. Non sono vegetariana ma non mi piace molto la carne e il pesce quasi per niente, non sopporto l'odore. Però non posso sopravvivere senza fare colazione entro pochi secondi da quando mi alzo», concluse sorridendo. Damien si chiese se avrebbero mai avuto modo di farla insieme. «Per colazione intendo latte e cereali o biscotti, non quelle cose che mangiate voi», riprese con un'espressione inorridita.

«Perché, non faresti colazione con me con uova, bacon e...»

«Neanche morta!» Non lo fece finire di parlare. «Ecco, su questo sono molto italiana», sorrise sistemandosi meglio sul sedile.

«Insomma, tu, dove mi porteresti?»

«Pompei. È estremamente interessante e triste allo stesso tempo.»

«Ti piacciono le cose tristi?»

«No, ma le sento molto vicine», con il dito giocherellò con la punta del naso.

«Bene, Pompei sia!»

Continuarono a chiacchierare per diverso tempo. I vetri si appannarono e probabilmente il buttafuori si stava facendo un'idea diversa dalla realtà.

La trovava pericolosamente attraente, ma non pensò di farsi avanti. Non era certo una ragazza da portarsi in auto per fare una sveltina, anche se poteva essere eccitante. Ma non ora, non la prima volta. Poi l'età era uno scoglio alto da superare. Avevano bisogno di tempo, entrambi. Sarebbe stato rischioso bruciare le tappe visto anche lo spettacolo di mezzo: se qualcosa fosse andato storto avrebbero buttato all'aria il lavoro di tutti. E soprattutto aveva voglia di conoscerla, di parlarle, di vedere i suoi sorrisi timidi e i suoi cambi di umore repentini. Non aveva solo un'attrazione fisica che si sarebbe risolta andandoci a letto, gli era entrata nella testa. Il fascino che subiva non riusciva a spiegarselo, per questo aveva bisogno di sapere di più su di lei, di viverla al di fuori di tutto il resto. Doveva capire cosa gli aveva fatto scattare quel desiderio quasi morboso.

«Vuoi tornare a casa? Ti accompagno.» Aveva notato che ogni tanto si soffermava sull'orologio del cruscotto.

«Marzio ha detto che andiamo via tutti insieme, no?»

«Hai paura di incontrare qualche altro amico? O un ex ragazzo?» sollevò le sopracciglia.

«"Un ex ragazzo" non si avvicinerebbe mai per salutare come hanno fatto Lele e Patrizio», si morse internamente la guancia trattenendo un sorriso nervoso.

«Beh, anche l'altra volta mi avevi detto che non sarebbe mai venuto a prenderti da Irma's, eppure mi sembra di averlo visto lì. Le persone cambiano», usò un tono sarcastico.

«Le persone non cambiano mai. Mai.» Si fece leggermente più seria, guardandolo dritto negli occhi.

«Da quanto stavate insieme?»

«Praticamente... da sempre!» Le scappò un sorriso triste. Spostò lo sguardo fuori dal finestrino.

«Perché lo hai lasciato?» azzardò.

«E chi ha detto che sono stata io?» rispose alzando il sopracciglio con un sorrisetto accattivante. Quando faceva così lo faceva impazzire.

«È stato lui? Per quale motivo?» Gelosia?

«Perché era troppo bello per me», continuò con quel sorriso seducente, solo l'angolo destro della bocca era alzato.

La radio trasmise "You're beautiful" e Damien la canticchiò piano mentre la guardava. Gli ricordava quando si erano incontrati in centro, nel negozio a due piani. Lei, chissà cosa stava pensando.

«Dovresti cantarla al concerto», se ne uscì spontanea Ginevra.

«Non so. Mi ricorda... è troppo intima», e si grattò il sopracciglio col pollice.

«Certo», strinse le labbra ammutolendo.

In quel momento videro uscire dal locale Clara, Alessia e Giulia, vestite con cappotti e borse.

Non fece in tempo a dire niente, che Ginevra era già fuori dall'auto. Le aveva sentito farfugliare qualcosa sul "caso di andare".

Con tutti i tacchi era più veloce di lui, la vide infilarsi nel locale e la raggiunse solo quando arrivarono ai salottini, dopo aver incrociato diverse persone del loro gruppo e comunicato che si sarebbero visti all'esterno. Nicholas insistette nel volerlo aspettare e fu costretto quasi a ordinargli di uscire fuori.

Ginevra stava indossando il cappotto con foga, gli dava le spalle. Damien le si avvicinò, fermandosi appena dietro. Lei si chinò a prendere la borsa e si girò all'improvviso, di nuovo gli fu addosso facendosi scappare un'esclamazione di sorpresa mentre Damien, stavolta pronto allo scontro, non la lasciò e continuò a tenerla a sé con le mani sui fianchi.

«Ho detto qualcosa di sbagliato?»

Rispose ma la musica era così alta che si avvicinò ancora di più, le bocche vicino.

«No, niente.» Due semplici parole che in realtà aveva capito anche prima e che ora, invece di udire, aspirò dalla sua bocca. Erano così vicini, lui ancora con le mani sui suoi fianchi, lei che le teneva sulle sue braccia quasi a respingerlo ma senza metterci né forza né intenzione. La strinse ancora più a lui, sentì il suo corpo irrigidirsi e poi rilassarsi per poi irrigidirsi di nuovo. Stava combattendo una guerra interna. Ma finché non gli avesse fatto sentire la volontà di essere lasciata, l'avrebbe tenuta così.

I loro visi si toccarono, Damien leggermente chino su di lei, ancora poco e nulla lo avrebbe fermato dal gustare il suo sapore.

Ma Ginevra non si mosse, impietrita. Lui iniziò a cantarle dolcemente "You're beautiful", facendo muovere piano i loro corpi come se stessero ballando un lento, mentre tutto il resto del locale continuava a scatenarsi con una musica assordante che non sentiva. Lei respirava appena, come se facesse un respiro ogni quattro dei suoi. Se solo fosse riuscito a capire quello che stava pensando lei, se lei fosse riuscita a capire quello che pensava lui. A ogni parola che cantava la probabilità di baciarsi involontariamente aumentavano, erano così vicini. Sentiva il suo sapore di fragola e lei cosa avrebbe sentito? Di certo non l'alcool, visto che recepito cosa ne pensava, aveva lasciato il suo drink bevendo solo acqua. Aveva quasi terminato di cantare quando sentì esclamazioni in italiano provenienti dalle sue spalle.

E Ginevra si staccò da lui.

La sua faccia era tirata: «Sabina, sarà già andata a raccontare in giro la scena. Solo che le avrà dato un significato sbagliato».

«Perché, quale aveva?»

«Nessuno», e se ne andò spedita.


James Blunt, "You're Beautiful", Back To Bedlam. Atlantic Records – Custard Records, 2005.


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