3.

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Alessandro Dari e Mathias si presentarono il giorno dopo. Marzio ci aveva chiesto di esserci tutte e di avere un minimo di professionalità. O almeno di non dare via all'isterismo di massa alla quale aveva assistito in precedenza.

Dari poteva risultare abbastanza piacevole, ma di certo non era il genere di persona con la quale mi trovavo a mio agio. Troppo impostato, formale, finto gentile e quasi autoritario. Non riuscivo a capire quanti anni potesse avere, oscillavo dai 40 scarsi ai 50 portati bene. Occhi castani, capelli biondi, un po' lunghi per i miei gusti, altezza media ma con un certo fascino per chi si faceva affascinare dal genere, non per me. Ci furono un sacco di chiacchiere ascoltate attentamente solo da poche di noi, mentre le altre già stavano dando i voti ai nostri nuovi ospiti. Mathias ricevette votazioni alte, ma se tanto lo premiavano il suo stile hip hop, i capelli biondi ossigenati e alla moda e il pizzetto nero, gli occhi scuri e profondi e il fisico notevole, perdeva punti a causa dell'atteggiamento serioso, che poco si addiceva al personaggio e ai suoi trent'anni scarsi.

In poche parole Dari ci stava comunicando che ci dovevamo mettere sotto: si aspettavano tutti molto da noi perché si stavano mobilitando così tante persone per fare questo spettacolo che non potevamo deludere veramente nessuno; soprattutto visto che, a differenza nostra, gli altri erano tutti professionisti. Insomma, era venuto per metterci ansia e sottolineare che se qualcosa fosse andata storta sarebbe stato per colpa nostra. Perfetto, quello che mi serviva. Ma disse tutto col sorriso, così la maggior parte di noi non recepì quel messaggio, neanche inconsciamente.

Prese poi parola Mathias.

«Buongiorno ragazze, abbiamo un bel po' di lavoro da fare.» Sbaglio o ci stava squadrando? Cos'è, non avevamo una perfetta forma fisica da ballerine? No, non proprio. «Da dopodomani inizieremo a lavorare non tanto sulla vostra forma fisica...», forse leggeva nel pensiero, «quanto sul vostro fiato e la coordinazione. Dovete stare sul palco e sapervi muovere, averne padronanza e non timore, altrimenti penalizzereste il canto e quindi lo spettacolo.»

«Perché da mercoledì e non da domani?» Quasi lo aggredì Alessia.

«Se vi dicessi da domani, trovereste mille scuse per non venire.»

«Macché, ci hanno detto che sarà pieno di ballerini, veniamo eccome!» Seguirono risatine generali.

Mathias rimase serio, aspettò che terminassero i vari commenti e riprese.

«I ballerini verranno se e quando glielo dirò io. Non immaginatevi uno show alla Madonna, non sareste in grado, logicamente», non nascose un sorriso di scherno. «Quindi vedremo quello di cui siete capaci e fino a che punto riuscirete a spingervi, dovrò usare la mia immaginazione ma credo che riuscirò a capire in poco tempo cosa ci si può aspettare da voi.» Sempre meglio. Mister Simpatia.

Almeno le sue frecciatine poco velate avevano punzecchiato qualcuna delle mie compagne.

Marzio, che fino a quel momento era stato in disparte in modo da permettere ai nuovi arrivati di massacrarci ben bene, prese parola proponendo di far sentire qualcosa agli ospiti. E, a dispetto di quello che mi sarei aspettata da me stessa, pensai che avevo proprio voglia di farli ricredere.

Cantammo a cappella, poi con Marzio al piano e per la prima volta mi accorsi di quanto cavolo eravamo brave. Me ne resi conto guardando l'espressione sui volti di Dari e Mathias, partiti scettici e conquistati appena iniziammo a cantare. Forse aveva ragione Marzio, forse sarebbe stato un peccato non provarci.


«Non ce la faccio più!» Giulia, la lamentosa del gruppo.

Fabiana aveva il fiatone, il viso paonazzo: «Ci possiamo fermare un attimo?».

«Vi fermerete quando avrete finito di fare quello che vi ho detto di fare. Non sprecate fiato e continuate», Mathias usò il solito tono scocciato.

«Ma guarda 'sto stronzo!» Marta cercò di non farsi sentire mentre faceva gli addominali vicino a me e Vania. Noi cominciammo a ridere, di quelle risate che aumentano in maniera esponenziale proprio perché sai di non poterlo fare, come quando si è a scuola durante una lezione col professore che dice uno sfondone ma non è il tipo che accetta che gli alunni se ne accorgano. Qui era uguale. Mathias era intransigente, rigido, non si lasciava sfuggire un sorriso o un'espressione rilassata, sembrava che stesse facendo esercitare una truppa che doveva andare in guerra e più si comportava così, più a noi veniva da ridere per ogni minima cavolata.

Le sue lezioni le trovavo comunque divertenti, mi piaceva la ginnastica e quel tipo di fatica mi dava energia. Gli esercizi di stretching, poi, li adoravo: il dolorino che si allungava lungo le gambe, la schiena, le braccia, mi facevano sentire bene, in forma. Cercavo però di stare sempre lontano dal suo sguardo, a differenza di Milena e Gisella che si mettevano in prima fila per farsi notare. Mi mimetizzavo tra le sfaticate e tra le risate portavo avanti al meglio tutti gli esercizi, ma appena lo vedevo passare vicino, iniziavo a farli in maniera svogliata e poco precisa, fingevo di non riuscire a toccarmi la punta dei piedi quando al contrario ero molto sciolta. Non volevo che mi notasse, non volevo che pensasse che potessi eseguire una sorta di coreografia o soloilSignoresacosa durante il concerto. Che lo facessero Milena e Gisella che non avevano problemi a mostrarsi. O anche tutte le altre.


«Io non ho capito una cosa: ma perché ci sta facendo fare tutta questa ginnastica? Perché siamo cessi e dobbiamo dimagrire?» Viviana finiva spesso le domande rimanendo con la bocca leggermente aperta.

«Sembra di sì», Fabiana aveva ancora il viso paonazzo nonostante la doccia. Si legò i corti capelli a caschetto lasciando fuori ciuffi disordinati.

«Beh, non è che in pochi mesi diventiamo tutte queste gran fiche!»

«A me servirebbe pure una plastica facciale», mi chiusi i pantaloni tirando indietro la pancia.

«Eccola! Sempre l'esagerata...»

«Guarda che pure a te!» poi l'abbracciai mentre mi mandava al diavolo ridendo. Atteggiandomi a prima della classe, spiegai che Mathias voleva che facessimo fiato e a partire dalla settimana successiva avremmo fatto lezione con lui prima delle sessioni con Marzio, per farci arrivare a cantare con l'affanno dopo l'aerobica e comprendere cosa volesse dire stare sul palco e esibirci per due ore.

Rimasero stupite che lo avessi ascoltato mentre parlava, visto che davo l'idea di passare tutto il tempo a ridere e fregarmene.


5 Ottobre 2000

Dovevo studiare, dovevo studiare, dovevo studiare. Arrivai da Irma's con questo pensiero in testa. Avevo percorso tutto il tragitto in autobus col libro di diritto in mano e il tratto di strada a piedi mentre ripetevo a voce bassa, seguita a distanza di due metri da Viviana e Flavia che chiacchieravano tra loro. Entrai nella saletta dove solitamente mangiavamo, ma decisi di andare altrove e mi fermai in sala prove per continuare a studiare, sicura che la presenza delle altre mi avrebbe disturbato nello studio e che io avrei dato fastidio impedendo loro di commentare una puntata di una fiction che avevano guardato la sera prima. Il giorno dopo ero certa che la De Carlo mi avrebbe interrogato e non mi sentivo per niente sicura di quello che sapevo. Ok, non mi sarei sentita sicura neanche se fossi stata un giudice di diritto penale, civile, costituzionale o militare, la sicurezza non era il mio forte, ma di certo avevo tolto allo studio parecchio tempo in quel periodo e non volevo essere chiamata e fare una figuraccia facendomi abbassare la media. A pensarci bene avrei fatto meglio a non andare, non sarebbe accaduto nulla se per una volta avessi saltato le prove.

Oltretutto ci trovavamo quasi a un punto morto, avevamo deciso quale erano i pezzi da proporre e, in attesa dell'arrivo di questi fantomatici "ospiti", stavamo solo perfezionando alcune cose. Eravamo andati sul sicuro, buona parte delle canzoni le avevamo cantate anche in passato, non erano nuove per noi. Avremmo dovuto lavorare maggiormente su quelle in cui si esibivano anche le due persone esterne, ma senza di loro potevamo solo sperimentare alla cieca.


Venti minuti prima dell'inizio delle prove erano arrivati quasi tutti e io mi spostai nella stanza alla fine del corridoio, l'ufficio di Marzio. Avevo lasciato detto di chiamarmi nel momento in cui sarebbero stati pronti per iniziare, così da poter sfruttare gli ultimi minuti per memorizzare ancora qualcosa del libro.

Era passata una buona mezz'ora da quando mi ero rinchiusa lì, se la stavano pure prendendo comoda, proprio oggi che avrei preferito che ci sbrigassimo; di sicuro Marzio non riusciva a tenere a bada le ragazze. Però mi era sembrato di aver visto anche Dari prima di rifugiarmi nel mio bunker, solitamente in sua presenza erano più tranquille. Il motivo non era importante, era tardi e io più studiavo meno ricordavo.

Finalmente, nonostante le due porte chiuse e il lungo corridoio, sentii qualcuno gridare il mio nome, appoggiai la testa al muro di fronte al quale stavo ripetendo e decisi che avrei provato ad andarmene via prima. Per una volta potevo farlo, magari aggiungendo che avevo mal di testa.

Andai nella sala delle prove ed entrando accostai lo zaino di scuola al muro, sulla sinistra della porta dalla quale ero entrata. Mi avvicinai alle altre che si erano disposte in un doppio cerchio in mezzo alla sala: il primo, più piccolo, con solo sei aste porta microfoni, il secondo gli girava intorno, con nove compagne che occupavano già tutti i posti. Era una cosa che facevamo abbastanza spesso, ci coinvolgeva di più e ci aiutava a improvvisare, sperimentare, perché bastava uno sguardo per capirci. Era stimolante.

Per arrivare all'unico posto vuoto nel primo cerchio, passai tra Clara e Arianna, entrambe con un bel sorriso sul volto. La sala aveva le luci spente e un paio di grandi riflettori ci illuminavano: erano fastidiosi però dovevamo abituarci non solo all'intensità della luce, ma anche alla sensazione che davano, per questo nell'ultima settimana li usavamo a ogni prova. Non era un'idea nostra ma di Dari, che supponevo fosse seduto alle mie spalle in fondo alla parete, sul divanetto di pelle nera rallegrato da qualche cuscino dai mille colori e varie forme, cuciti all'uncinetto dalla signora Irma in persona. Entrando nella sala non lo avevo visto, in realtà ancora con la mente sui libri non mi ero guardata intorno, prendendo posto mentre mi arrovellavo su un articolo di diritto che non mi entrava in testa, ma una parte del mio cervello aveva registrato delle voci basse che mi avevano portato a dedurre che ci fosse lui e forse qualcun altro, forse Mathias.

«Allora, pronte?» Marzio era seduto al piano. Vicino a lui, al basso, Stefano detto Steve e un altro paio di simpatici tizi dall'aria stravagante e parecchio trasandata alla batteria e al sax, tutti ex membri di una band con la quale Marzio aveva suonato diversi anni prima. Ci aiutavano per le prove, perché con l'orchestra avremmo provato giusto a ridosso dello spettacolo.

«Partiamo con "Water runs dry". Ginevra, tu... vai libera, come l'ultima volta.»

Le prime note e tutto quello che mi pesava in testa era sparito, lasciandomi libera, leggera. Drizzai la schiena. Quella canzone, era nella playlist che avrei fatto mettere al mio funerale, la adoravo. Mi lasciai andare, immergendomi in quel mare di note che mi portavano in un altro mondo, alternativo al mio, lontano dalle sensazioni alle quali ero abituata, verso dei sentimenti più profondi, avvolgenti, pieni. Il corpo seguiva la musica, le parole uscivano da sole, la voce andava dove voleva, non la controllavo e non ci provavo.

«Ok, bene. Adesso rifacciamola ma guarda me. Inizierai come al solito poi ti dirò io quando inserirti e quando no.»

A dire la verità non ero brava a seguire le indicazioni in quella maniera. Andavo molto a braccio e farmi guidare dal maestro del coro mi metteva sempre agitazione perché mi toglieva la naturalezza. Concentrandomi troppo su quello che dovevo fare, mi capitava di sbagliare o di essere piatta nell'esecuzione. Nonostante non mi piacesse molto l'idea, pensai comunque che fosse la canzone più adatta per provarci, la conoscevo bene, era la mia canzone.

Le prime note iniziarono di nuovo a girare per la sala. In quel momento non sapevo ancora che quella canzone per me avrebbe assunto un significato completamente diverso.


Boyz II Men, "Water Runs Dry", II. Motown, 1995.

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