4.

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«Sono le 6.»

«No, oggi non vado a scuola. Non... non mi va, non lo so, c'è la professoressa di diritto che interroga e non sono pronta.»

«Ok, allora dormi un altro po', non tiro su le serrande.»

Ecco, non tirasse su le serrande che voglio rimanere al buio. Per sempre. Magari sepolta viva.

Avrei avuto il tempo di capire cosa fosse successo prima di morire? Perché era tutta la notte che rivivevo quelle due ore della mia vita del giorno precedente e ora non riuscivo più a capire se me le ero sognate o se quei ricordi li avevo vissuti davvero. Ero terrorizzata al pensiero di uscire dal letto e dover ammettere che fosse tutto reale.

Va bene da capo, chiudi gli occhi, è andata così:

«"...Some people will work things out and some just don't know how to change..."» e coro, Marzio mi fece segno di aspettare, io continuavo a muovermi con la musica tranquilla di essere pronta appena me lo avesse chiesto. Il coro finì il ritornello e io, nonostante Marzio non mi stesse dando il via, magari distratto da qualcosa, ero pronta per attaccare. Però mi fermai perché si voltò verso la mia destra, in direzione della parte buia della sala. E là realizzai che la voce che stavo ascoltando cantare: «"Now, they can see the tears in our eyes, yeah, but we deny the pain that lies deep in our hearts..."» non era una voce a me nota: uomo, non italiano ma neanche inglese, forse americano. Vidi voltarsi anche le ragazze che gli davano le spalle, mentre si avvicinava. Le altre continuavano a fare il coro, io avevo un occhio su Marzio e uno verso la voce.

La prima cosa che scorsi fu una mano, poi jeans blu, maglioncino blu, sneakers bianche.

Viso del mio attore preferito.

Buio. Silenzio.

Dopo alcuni secondo notai un qualcosa muoversi a qualche metro da me. Era Marzio che si sbracciava per dirmi che dovevo attaccare a cantare. Cos'era, folle? Non sentivo nemmeno la musica, non ero neanche più sicura di avere la voce, di sicuro me l'aveva presa Ursula quando avevo firmato il contratto con lei in fondo al mare per avere la possibilità di vedere il mio amore. E mentre cercavo di ricordare qualcosa riguardo alla mia vita precedente da Sirenetta, vidi l'uomo più attraente del mondo passare tra Germana e Alessia e poi tra Monique e Vania - maledette tutte, gli avevano sfiorato il maglioncino girocollo più bello del mondo - per mettersi al centro del cerchio rivolto verso me. Mi resi conto di avere l'espressione tra l'ebete e il terrorizzato ma non riuscivo a cambiarla. Gli occhi mi stavano cadendo per terra a causa della pressione che avevo nella testa, le palpebre facevano molta fatica a trattenerli. Nessuno pensava al lavoro delle palpebre ma anche loro avevano delle giornatacce, le mie più di qualcuna. Sullo sfondo continuavo a vedere una camicia rossa a quadri nera dimenarsi, io bloccata, rigida, esanime. Il coro ripartì e io muta, lui era davanti a me, con gli occhi su di me, e sorridendo col sorriso più sexy che si possa immaginare, mi disse: «Ciao», in italiano. Il mio cuore, che aveva smesso di battere appena lo avevo riconosciuto, pompò un battito. E per tutta risposta, tirai giù la testa e torturandomi le mani per il resto della canzone non lo guardai più, attaccandomi al coro giusto per le ultime battute, quando neanche avrei dovuto e con una voce piatta, incerta e acerba che sarebbe stato meglio se Ursula avesse fatto per bene il suo lavoro.

Quando quel supplizio finì, le ragazze partirono in applausi, esclamazioni di gioia, risate mentre io mi feci sempre più piccola e uscii un piede dietro l'altro dal cerchio per ritrovarmi addosso alla parete al buio.

Per un attimo.

Luci accese per tutta la sala. Le altre gli erano tutte intorno e quando ebbi un barlume di lucidità, decisi che sarebbero morte tutte perché lo stavano toccavano e ci parlavano. Dovevo solo decidere se bruciarle insieme o accoltellarle una per una. Lui con la sua altezza troneggiava su di loro, Marzio cercava di riportarle alla ragione e io continuavo a guardare quella scena surreale. Era mio. Perché lo baciavano sulla guancia, perché gli toccavano le mani, perché? E perché io stavo in disparte come una deficiente quale ero invece di stare lì in mezzo a riempire di gomitate le altre e attaccarmi al suo collo e baciarlo fino a farlo morire senza respiro? Mi aveva anche detto Ciao!, a me... era diretto a me! E io c'avevo fatto quella figura di merda! Neanche avevo risposto, neanche avevo cantato, neanche... Oddio! Ma come mi ero vestita oggi? Oddio oddio oddio... non mi volevo guardare, sicuramente qualcosa che mi stava malissimo... oddio oddio oddio e che capelli avevo? Mi era colato anche il mascara, sicuro come la morte. Sicuro. Ma perché dovevo fare così schifo e «Ciao!» alla mia destra. Stavolta era una voce femminile ma sempre americana. Mi girai e vidi l'attrice che lavorava con lui nella serie televisiva, Keira Noel.

E risfoderai il sorriso da ebete. Che sicuramente non sfigurava con il mio abbigliamento.

Lei si appoggiò al muro accanto a me, era più bassa di dieci centimetri, stupenda, di quella bellezza semplice data da due occhi celesti molto grandi e un sorriso meraviglioso. Non come il mio.

Dopo un paio di secondi sentii diffondersi in me una certa tranquillità, me la stava trasmettendo lei col suo atteggiamento molto pacato e il suo sguardo diretto ma non invasivo, da amica. Anche io riuscii a tirar fuori un sorriso naturale e a non sentirmi più a piedi nudi su dei chiodi arrugginiti. Certo, non è che risposi al suo Ciao.

Sempre con le spalle addosso al muro indicò col mento la scena pietosa che avevamo davanti, e col suo bel sorriso color pesca lucida,: «Stanno impazzendo! Sono molto eccitate, guardale!». Al che si sentì un «Gineeee! Ma hai visto? Proprio l'attore che piace a te! Che fortuna! Ma lo sapevi? Marzio, ma non è giusto, hai chiamato l'attore preferito di Ginevra, quando fai venire il mio? Quello... come si chiama, quello che fa la fiction su Canale 5! Come si chiama, dai! Clara, quello che piace anche a te, quello bello! Non che lui non sia bello, guarda che fico! Però questo, chi glielo tocca a Ginevra!», e fra un «Zitta!», un «Sei matta», un «Quello della fiction in costume? Si chiama Rocco qualcosa...», io mi guardavo la scena atterrita. Sabina era proprio una deficiente. Sabina era proprio una cretina. Sabina... Ma con un microfono sarei riuscita a spaccarle la testa? Era una mina vagante... ma come... ma neanche gli insulti mi venivano in mente. Ma cosa le diceva il cervello, sputtanarmi così come se niente fosse. Poi col mio comportamento idiota stavo solo dando conferma.

«Che dice? Noi parliamo solo inglese, mi dispiace. Abbiamo imparato quattro parole chiave prima di arrivare qui.»

Sperai che tra quelle non ci fossero "proprio l'attore che piace a te".

«Non ti preoccupare, nulla di quello che viene detto qui è così importante da capire», sorrisi e lei ricambiò divertita.

Sembravamo due persone intente a guardare i cani giocare nel recinto al parco, la sensazione di conoscere i loro pensieri ma non troppo, di prevedere cosa faranno ma rimanere stupiti per un movimento inaspettato.

Vedemmo avvicinarsi al gruppo anche Dari mentre Mathias rimaneva qualche passo indietro, come se fosse pronto però a scattare in caso di bisogno, tipo per sedare una rissa. Non ci fu la necessità, già la presenza di Dari aveva fatto sopire le voci e piano piano allentarono la morsa intorno a Damien Loonz.

«Mie care ragazze, il vostro energico benvenuto deve essere rivolto non solo al nostro caro Damien ma anche a Keira Noel!»

Che presentazione a effetto. Fossi stata in lei, sarei andata via.

Si cominciarono a guardare intorno cercandola e soltanto quando l'aguzza Sabina la individuò, «Ah, ma è quella vicino a Ginevra! Ecco chi era...», si cominciarono a riversare dalla nostra parte come se fossero zombie assetati di sangue. Con le spalle al muro, capii che potevo solo scivolare verso sinistra e cercare di sparire di nuovo.

«In bocca al lupo!»

«Grazie», e fu avvolta da corpi che fino a dieci minuti prima erano ancora umani. Non urlò neanche, forse la sua fine arrivò velocemente.

Mentre facevo queste considerazioni, camminando raso muro, imboccai la porta dalla quale ero entrata e mi ritrovai nel disimpegno. Qui si affacciavano altre porte, aprii la prima a sinistra ed entrai in una stanza spoglia. Non accesi neanche la luce. Tempo due secondi durante i quali mi passò davanti non la mia vita, ma tutte le puntate della serie in cui lavoravano Keira e Damien, sentii entrare qualcuno nel disimpegno e fermarsi. Era sicuramente Dari venuto a prendermi per un orecchio per portarmi dagli altri mentre io stavo iniziando a ragionare su un modo per scavare un tunnel sotterraneo e uscire di lì senza farmi notare. Mi voltai mentre mi diceva: «Non ci siamo ancora presentati».

Dio mio.

Cioè, non era Dio. Ma essendo atea, era quello che per me più si avvicinava a una divinità.

I capelli neri portati da una parte, corti ma non troppo, perfettamente sexy. Il collo, Santo Cielo quel collo mi faceva morire! Ogni volta che lo guardavo in tv ripreso di lato, la mia attenzione andava sul collo e l'attaccatura del viso. Occhi verdi, penetranti, cordiali. Ma il collo... e le spalle larghe con quel maglione leggero blu, la bocca, il naso perfetto e di nuovo il coll... Oddio, quanto tempo era passato da quando mi aveva parlato? Cosa mi potevo inventare, dentro quella stanza non c'era niente di niente! Una scrivania con una vecchia poltrona di pelle nera e braccioli rotti - risalente a chissà quando - scatole e scatole di qualcosa che sembrava ferro e plastica sporca, degli amplificatori buttati a terra, sedie di plastica impilate le une sulle altre e... e nel frattempo non avevo trovato una scusa per essere lì. Al buio. Come un'idiota mentre tutte le altre erano fuori a festeggiare l'arrivo di due attori famosi a livello internazionale. E io che ancora non trovavo una cazzata da rifilargli.

«Sono Damien.» Ma dai? Ero riuscita a far dire una cretinata addirittura a lui pur di levarci entrambi dall'impaccio.

«Veramente?» Pure la sarcastica facevo!

Lui sorrise e anche io, per la prima volta con naturalezza.

«Sono Ginevra.»

«Veramente?»

Stava per aggiungere qualcosa ma lo anticipai dicendo una genialata.

«Cercavo il mio zaino.»

«Credo sia quello appoggiato vicino alla porta nella sala dove abbiamo cantato, mi sembra di averti visto metterlo lì.»

Quindi da ciò potevo ben dedurre che mi aveva visto cantare dall'inizio. Grande. Che figurone avevo fatto, sicuramente cretina com'ero avevo anche ballato mentre cantavo. Mi immaginai attraverso i suoi occhi e quello che vidi non mi piacque affatto.

«Ma dove sono quei due? Già si sono imboscati? Ha fatto presto Ginevra!» Era quella cretina di Sabina.

«Conosci l'italiano?»

«No, giusto qualche parola. Mi piacerebbe approfittare adesso per impararlo.»

«No, lascia perdere. È una lingua che non parla nessuno, solo noi italiani ed è facile capire male quello che viene detto se non la conosci bene.»

Intanto ci chiamavano in coro dalla sala canto.

Gli sorrisi. «Pronto a tuffarti nel mare pieno di sirene che ti porteranno negli abissi?» ammiccai con la testa nella direzione delle loro voci mentre mi avvicinavo a lui per prendere la porta e tornare di là.

Mi sorrise, spostandosi un po' per lasciarmi passare.

«E tu, non sei una sirena anche tu?»

«Mhmm no, io sono più uno squalo», gli rivolsi uno sguardo di traverso col sorriso sulle labbra.

Mi seguì e lo sentii dire: «Non sembri feroce».

«No, non lo sembro», proseguii senza girarmi.


Boyz II Men, "Water Runs Dry", II. Motown, 1995.

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