32.

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Vidi una mano alzarsi a metà del tavolo e farmi cenno di avvicinarmi. Marzio era andato oltre, all'estremità nord.

«Ginevra! Tu stai qui!» mi chiamò Flavia vedendomi impalata.

Ancora frastornata dalla notizia delle riprese, mi avvicinai cauta cercando di capire dove fosse Damien in mezzo a tutte quelle teste lungo il tavolo. C'era poco da cercare, era seduto davanti al posto che avevano lasciato per me. Maledette. Glielo avevo detto in mille modi che volevo stare dalla parte opposta alla sua e me lo avevano fatto di proposito. Perfetto. Non avrei toccato cibo, e la cosa peggiore non era che avessi fame, visto che mi era passata del tutto, ma che non sapevo come giustificare che non mangiassi. Non lo avrei mai fatto davanti a lui. Già quella volta quel cioccolatino mi stavo sentendo in estremo imbarazzo, come avrei potuto farlo per una cena intera? Cercai con lo sguardo un altro posto libero ma Flavia, con un sorriso diabolico,: «No, no. Tu stai qui».

Non risposi e mi cimentai a scavalcare con la minigonna la panca. Sempre peggio. Fu qualcosa di poco elegante, come al solito. La mano che teneva giù la gonna probabilmente non aveva evitato che si vedesse praticamente tutto, d'altronde non avrei potuto far alzare tutti solo per far passare me.

«Brutte bastarde.»

«Tu vai in giro sempre con queste gonne che ti si vede tutto...» Marta era alla mia sinistra.

«Siete delle bastarde», e lei rise.

Quindi, una volta seduta, notai che al mio fianco destro avevo Luca, il quale mi accolse con un grande sorriso, accanto a Damien c'era Keira, poi Flavia che di fronte aveva Viviana. Questi sarebbero stati i miei commensali, visto che gli altri si trovavano troppo distanti per parlarci. Speravo di uscirne viva e pensai che l'unica possibilità era di farmi risucchiare dalle chiacchiere morbose di Luca, evitando così di guardare Damien e di lasciare che le altre mi coinvolgessero nei loro discorsi poco sicuri per me. Per l'ennesima volta scelsi di risultare maleducata piuttosto che affrontare la situazione.

Ogni tanto sentivo gli occhi di Damien addosso, ma era normale visto che gli stavo di fronte. Luca non si zittiva un momento, tuttavia gli ero quasi riconoscente e lo premiavo con qualche "Mhmm" e "Sì" buttati a caso. Riuscivo a sentire gli altri parlare in inglese, soprattutto Keira con la sua voce squillante, senza però prestare attenzione a cosa dicessero e pensai felicemente che, nonostante tutto, la mia mancata partecipazione stava passando inosservata.

Poi udii, con un tono più alto di quello usato fino a quel momento,: «Sì, ma mica solo Enea... lo so io le cose che ha combinato e che mi ha fatto fare!».

Un brivido lungo la schiena. Mi voltai senza più ascoltare Luca e senza scusarmi. In realtà solo la testa si voltò, tipo indemoniata, ruotando a 360° lasciando fermo il corpo. Gli occhi, che si sbarrarono sconcertati all'udire quelle parole, assunsero mentre mi giravo uno sguardo controllato. Fissai Flavia: «Toglietele il vino che ha davanti».

Ma lei continuava come se stesse facendo una confidenza a Keira, ad alta voce in modo che anche Damien fosse partecipe e col sorriso di chi me la stava facendo davanti agli occhi.

«Tu la vedi così, buona buona, controllata, sempre al suo posto, ma quando perde la testa...»

«Fidatevi, toglietele quel bicchiere che potrebbe morire di cirrosi epatica fulminante. Lascia il segno di una coltellata», presi in mano, senza neanche guardare, un grosso coltello vicino a me, di quelli che servono per tagliare il pane. Abbozzai un sorriso gelido.

Keira ridacchiava divertita, capiva benissimo l'intenzione di Flavia.

«La peggiore cosa che mi ha fatto fare era con uno sposato, aveva tipo 35 anni. Gli facevamo le poste sotto casa.»

Io la guardai sconvolta, la mia espressione doveva essere così palese che Keira scoppiò a ridere senza tenersi: «Guarda che faccia ha fatto!».

«Non può averlo detto», mormorai in italiano. «Tu non vuoi arrivare a domani.»

Ma lei continuava imperterrita, accennando a un altro paio di mie cotte verso ragazzi molto più grandi di me. La continuavo a fissare sperando di riuscire a prendere il comando della sua mente con la mia e di ordinarle di andare a darsi fuoco, ma senza risultati. Ero così concentrata che avevo perso il filo del discorso e d'un tratto la sentii dire qualcosa sul fatto che non mangiassi, indicando il mio piatto di pasta lasciato intatto davanti a me, non bevessi e non ballassi. Allo sguardo interrogativo che mi rivolse Keira in attesa di spiegazioni, risposi: «È contro la mia religione».

«Quale?» Damien spostò la bottiglia di vino che era tra noi.

«Quella che sto fondando», e risposi al suo sguardo stupito con: «In America ce ne sono mille...» come se giustificasse tutto.

«Su cosa si basa?» stette al gioco.

«Non si beve, non si fuma, non si balla e poi qualche altra regola che devo ancora definire. Ma di sicuro alla fine ci sarà il suicidio collettivo.»

Risero tutti. Venne da ridere anche a me, ma come al solito cercai di trattenermi e darmi un tono.

Poi Keira chiese: «Dove passerete il Capodanno?».

«Flavia in un fosso e io in un carcere.»


Finì l'interminabile cena, che da buoni italiani era composta da mille portate, durante la quale avevo messo in bocca giusto un pezzetto di carne. Per il resto, il cibo nel piatto era sparpagliato per far finta di aver mangiato qualcosa. Arrivò l'ora dei dolci, quelli che aveva fatto mia madre.

«Ginevra, vai tu a prendere i dolci?»

«Neanche morta.» Mi vergognavo anche di quello. Dio, mi vergognavo di tutto. Mia madre era molto brava a fare i dolci, lo dicevano tutti, ma mi sarebbe sembrato un modo per mettermi in mostra. Oltretutto avevo paura di lasciare Flavia libera di parlare senza la mia presenza, anche se, in fin dei conti, non l'aveva fermata lo stesso. «Non posso alzarmi di nuovo da questa panca con la gonna.»

«Va bene, ci vado io, ma te ogni tanto mettiti un paio di pantaloni!» Viviana si alzò scocciata.

«E perché? Con queste belle gambe... per non parlare del resto!» si intromise Luca del quale mi ero quasi scordata.

Nell'udire le sue parole, arricciai il naso infastidita. Un movimento davanti a me mi costrinse a guardare Damien. Stava ridendo. 

Viviana portò a tavola i dolci, aiutata da un paio di ballerini e da Giorgio. Dovettero fare almeno due viaggi a testa perché come al solito mia madre aveva abbondato. Le avevo chiesto di preparare qualcosa per quella serata, indicando il numero dei partecipanti, e lei si era data da fare come sempre. Aveva fatto due crostate di crema e frutta bellissime, due tiramisù, due profiteroles e due torte con panna e ananas. Avevamo i tavoli pieni e mi vergognai anche per quello, erano troppi. Partirono complimenti a raffica, sia per la bellezza che per la bontà. Keira e Damien si riempirono il piatto mentre io rimasi col mio vuoto. Non sapevo come giustificarmi.

«Non li mangi?» Keira mi guardava stupita.

«No», con un sorriso tirato giocherellai col bicchiere.

«Perché?» Avevo gli occhi di Damien addosso, dovevo inventarmi qualcosa.

«Sai, la storia della religione? Beh questa è la parte finale, quella del suicidio collettivo.»

Sgranarono gli occhi poi si misero a ridere. Sorrisi anche io, li avevo distratti.

Passai tutto il tempo seduta a guardare gli altri che mangiavano, con i gomiti sul tavolo e le mani che si torturavano l'un l'altra davanti al viso, Kevin mi passò vicino e da dietro mi diede un bacio sulla guancia dicendo di ringraziare mia madre.

Evitai di guardare Damien mangiare, preferivo dare attenzione a Luca che faceva il bis di ogni cosa continuando a parlare di come mi avrebbe sposata per vivere insieme e nutrirci di dolci. Notai che Damien lo stava ascoltando perché si pulì la bocca col tovagliolo e si fermò a osservarlo.

«Che dici? Saremmo una bella coppia, non trovi?»

A me venne da ridere e Damien mi guardò con complicità lasciando Luca senza risposta.

*****

Damien era su un divanetto, le ragazze stavano organizzando un gioco puerile, obbligo o verità. Keira era eccitata, sembrava fosse tornata ragazzina.

«Ginevra, venite tutti qui che stiamo iniziando!» urlò Giulia.

«No, io non gioco!» senza muoversi, continuò a parlare con Michele e gli altri della band ancora intorno al tavolo.

«Senza storie, giocano tutti!»

Su un piattino erano stati messi dei pezzetti di carta piegati col nome dei presenti. Iniziò Sabina che estrasse il nome di Alessia e la obbligò a toccare il sedere del ballerino abbronzato.

Ne tirarono fuori altri tre o quattro, sempre tutte ragazze che dissero o fecero cose delle quali sembrava si vergognassero un po'. Fu poi il turno di Damien e una imbarazzatissima Arianna gli chiese semplicemente di sollevarsi la maglietta per far vedere gli addominali. Ginevra non si era neanche girata, nonostante fosse stata chiamata più volte.

Arrivò anche il suo turno.

«Ginevra, ora devi venire! Fatela finita con i discorsi da vecchi, dovete stare con noi!» li rimproverò Sabina.

Sara, che aveva pescato il bigliettino col suo nome, pensò bene a cosa dire mentre Ginevra si avvicinava quasi trascinandosi.

«Dai un bacio in bocca a Damien», Ginevra la fulminò con lo sguardo senza muovere nessun altro muscolo del viso. «O uno schiaffo», si sbrigò ad aggiungere timorosa.

Si levarono una serie di reclami per le due scelte che le erano state date. Ginevra non diede retta a nessuno e andò dritta verso di lui. Aveva un sorrisetto dolce, con un segno della mano gli indicò di rimanere seduto, probabilmente si sarebbe chinata per dargli un velocissimo bacio a stampo per poi scappare di nuovo via. 

Gli arrivò uno schiaffo a mano aperta che quasi gli fece voltare da un lato il viso. Udì gli altri ridere mentre lei lo guardò con uno sguardo stralunato: «Ma non vi insegnano a voltarvi quando vi sta per arrivare uno schiaffo?». Non rispose, scioccato.

Toccò a lei pescare un nome e obbligò Marta a ripetere davanti a tutti il commento che le uscì sul ballerino abbronzato quando era entrato la prima volta nella sala dove si allenavano. Era qualcosa di estremamente osceno, ma fece ridere tutti.

Marta si vendicò e, tirando fuori il nome di Simone, gli ordinò di schioccare un bacio a Ginevra, rimasta in piedi vicino a Damien.

Con andatura convinta e spavalda, Simone si accostò a Ginevra, che gli offrì la guancia. Lui, però, sfiorando il corpo della ragazza con le mani, le prese il viso e le diede un lungo e appassionato bacio sulla bocca. Quando si staccò aveva il rossetto di Ginevra stampato sulle labbra. Damien intuì che non aveva nessuna intenzione di pulirsi. Anzi, Simone lo guardò e gli fece un sorrisetto alzando entrambe le sopracciglia solo per infastidirlo e farlo incazzare. Lo avrebbe attaccato al muro. Ma era un gioco, continuava a dirsi. Lo seguì con lo sguardo finché non si allontanò ed evitò di guardare lei.  

Dopo i primi due secondi di silenzio, ci furono delle risatine e degli sguardi complici che viaggiavano da un viso a un altro.

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