52.

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26 febbraio 2001

Era passato parecchio tempo dall'ultima volta che mi ero seduta là sopra, sul mio davanzale. Guardavo fuori verso il nulla, illuminata dal sole che tra non molto sarebbe andato a riposarsi. Aspettavo con ansia il passaggio all'ora legale, ma mancava ancora un mese e a quel punto avrei iniziato anche a fare il countdown per lo spettacolo. E lui, quando sarebbe partito, poi? Un nodo alla gola non mi permise di continuare a canticchiare la canzone che stavano provando le altre.

Con la coda dell'occhio lo vidi avvicinarsi, chissà se seduta così con la gonna stavo dando mostra di qualcosa. Di certo più che una donna sexy, sembravo una ragazzina che ancora non sedeva composta.

Si appoggiò con un braccio al muro sul quale tenevo le spalle, ma quell'inquadratura non mi donava quindi mi spostai mettendomi dapprima seduta, poi visto che continuavo a ciondolare le gambe come una bambina sull'altalena, decisi di scendere mentre mi chiedeva dove volessi andare quella sera.

«Stasera?» Non volevo passare a casa sua a prendere i regali.

Fece spallucce. «Sì, hai da fare?»

«Domani ho un'interrogazione, dovrei ripassare.» Era vero anche se non ne ero molto preoccupata.

«Su cosa?»

«Letteratura inglese.»

«Perfetto, sono laureato in letteratura inglese.» Ma mentre parlava già ridevo. «Non ci credi?»

«No.» Quanto mi piaceva quando faceva il finto serio.

«Ti giuro.» Scuotevo la testa per fargli capire che non riusciva a darmela a bere. «Scommettiamo. Se è vero, ti porto fuori a cena.»

Probabilmente feci una delle mie espressioni inorridite perché lui mi prese in giro riproponendomi la mia espressione per poi mettersi a ridere. «Oh mio Dio! Che cosa ha detto!» continuò facendomi il verso.

«Sei simpatico», feci finta di non pensarlo. Però lo pensavo, era una persona molto divertente. Lo punzecchiai, dicendogli che erano passati talmente tanti anni da quando si era laureato che di sicuro ricordava poco e avrei rischiato di andare male all'interrogazione per colpa sua.

«Nessun brutto voto. Dai, quando usciamo da qui...»

Un'ombra mi passò sul viso e la notò. Come potevo dirgli che non volevo passare da lui?

Mi puntò un dito sulla fronte e formò dei piccoli cerchi. «Cosa stai pensando? Riconosco quando ti arrovelli.»

«Niente», pensa, pensa, pensa.

«Ho i regali qui con me.» Il guizzo nei miei occhi gli confermò che era quello il mio pensiero, ma non commentò. «Dove vuoi andare? Intanto parliamo di letteratura inglese...»

«Ehi, voi, laggiù. Ci state facendo vomitare con tutto quel glucosio! Ve ne andate? Oggi siete liberi, non vi vogliamo più vedere», Steve usò un microfono tanto per umiliarci ben bene. Poi scambiò due parole con Marzio e, sempre al microfono,: «Non venite neanche domani, così siete liberi di pomiciare tutto il pomeriggio altrove».

Bastardo.

Damien mi guardò muovendo le sopracciglia in uno sguardo provocante e gli lanciai un'occhiataccia.


«Passeggiata in centro?» Intanto si immetteva sulla strada principale.

Mi allarmai.

«Non hai paura che...» lasciai la frase a mezz'aria.

«Mi riconoscano? No. Non credo, poi è buio, gira poca gente. E comunque non sarebbe un problema.» Mi guardò. «Per te lo è?»

Squartare qualche stronza che ti si avvicina? No.

Feci un'espressione di indifferenza, per nascondere l'ansia e la gelosia che mi pervadeva. Se lo avessero fermato per strada, io cosa avrei dovuto fare? Di sicuro spostarmi e lasciare spazio libero alle altre. Ma dovevo allontanarmi facendo finta che non stessimo passeggiando insieme? Quanto sarebbe stato umiliante? Se qualcuno ci avesse fotografato e la foto fosse finita in giro, cosa avrebbero detto? Damien Loonz con la ragazzina scialba? Damien Loonz in Italia ha abbassato i suoi standard? Dio, avrei fatto meglio ad andare a casa sua, almeno avrei dovuto lottare solo contro me stessa.

Cambiò volutamente discorso.

«Allora, Miss Ginevra... come fai di cognome?»

«Semilli.»

«Ok, Miss Semilli, di quale autore mi vuole parlare oggi?»

«Non sei credibile come insegnante», lo smontai sorridendo, «e non ho intenzione di parlare con te di questo.»

«Hai paura, come per tutto il resto, di far vedere che sei brava?» distolse lo sguardo dalla guida per un attimo.

«No, ho paura di rendermi conto di non essere brava e di conseguenza pensare al fatto che dovrei stare a casa sui libri.»

Mi domandò se amassi studiare, risposi che mi impegnavo soprattutto per la vergogna che avrei provato a prendere voti bassi.

«Pretendi troppo da te stessa.»

«Io? Non faccio niente che richieda un grande sforzo. Non mi ci metto in gioco se già so che non posso vincere, perciò non pretendo niente di particolare. Nel mio mediocre mondo devo solo cercare di fare il meglio che posso. Ma è pur sempre un mediocre mondo.»

«Perché dici così? In fondo stai per fare uno spettacolo importante.»

«Non per mia volontà.»

«Per quella di chi?»

«Lasciamo perdere.»

«Quel giorno, dopo le feste, quando ti ho vista parlare fuori con Steve, eri venuta per mollare?»

«Sì ma poi alcune cose sono cambiate e ho dato priorità ad altro. Non ne parliamo.» Rimasi in silenzio qualche secondo poi iniziai a parlare di Virginia Woolf.


«Perché proprio letteratura inglese?» Il lungotevere era illuminato dai lampioni. In lontananza, Castel Sant'Angelo.

«Per non deludere i miei. A me non interessava molto, preferivo suonare col gruppo, ma decisi comunque di laurearmi in qualcosa, senza però pensare di avere un futuro in quella direzione

Continuammo a camminare un altro po', faceva freddo ma era quasi piacevole. Si fermò ad ammirare l'isola Tiberina. Roma lo affascinava, disse, si dispiaceva di averla visitata poco, ma non aveva nessuno con cui farlo.

«Tu?» esclamai ridendo.

«Io.» Mi regalò un altro di quei suoi sguardi che mi facevano sciogliere, dritto negli occhi, potente, lucido, penetrante. «Mi hai sempre detto di no.»

Quanto tempo avevo perso? No, stupida, dovevo ragionare.

«Siamo circa due milioni e mezzo di abitanti», mi spostai per far passare un signore con un bassotto.

«Però non voglio gli altri 2.499.999.»

«Quindi vuoi l'unica persona che conosce Roma meno di te?»

«Sì.» Continuava ad avere quello sguardo e non sapevo più dove rivolgere il mio. Il fiume, andava bene il fiume.

«Promettimi che da oggi in poi ci ritaglieremo del tempo per fare questo almeno una volta a settimana. Quando vuoi tu.»

«Lo sai che mi stai obbligando a studiare qualche guida di Roma in fretta e furia?»

«Non dirmi di no.»

Cercai di trattenere un sorriso, lo prese per un sì.

«E vorrei che mi insegnassi qualcosa di italiano.»

«Cosa? Non sono capace, sai quanto sono schematica. Dovremmo partire dalla grammatica ma è complicata.» Mi tornarono in mente tutte le volte che avevo provato a insegnare l'inglese a Enea. Un fallimento dietro l'altro: lui non era portato e io non avevo pazienza. E la grammatica italiana era ben più difficile di quella inglese.

«Non ti agitare. Non so, se mentre parliamo mi viene in mente di chiederti qualcosa, tu me lo spieghi.»

«Insomma mi stai sfruttando.»

«In qualche modo me lo dovrai pur ripagare il tuo compleanno.»

«Lo sapevo! Va bene, iniziamo dalle basi della lingua parlata: le parolacce.»


Camminammo molto, parlando e scherzando. Era divertito dal suono della parola "cazzo" e dal suo utilizzo come intercalare o rafforzativo. A ogni passo che facevo accanto a lui, mentre ci infilavamo nei vicoli del centro, Damien mi entrava sempre più dentro al cuore. Adoravo passeggiare lungo quelle stradine, davano un senso di intimità.

Non guardai mai l'orologio, perdendo la cognizione del tempo, come ogni volta che ero con lui. Però avevo iniziato ad avere fame quindi immaginai che fosse ora di cena e, se pure non volevo lasciarlo, sapevo che a breve mi sarei trovata in difficoltà.

Infatti: «Dove mangiamo?».

«A casa.»

«Mia?» con un sorrisetto.

«Sì, tu a casa tua.»

«Non puoi pensare di lasciarmi a digiuno ogni volta che usciamo! Dai, ti prego!» cercò di impietosirmi, poi visto che rimanevo impassibile, mi prese la mano con la sua intrecciando le dita.

Trasalii.

Lo notò ma non lasciò la presa. Ora era serio. Mi sentii in dovere di giustificarmi ma non andò meglio.

«Scusa, non ero pronta», farfugliai.

«Non devi esserlo per forza.» Continuava a tenerla, il solo contatto mi mandava in confusione.

«Ho capito. Sarò più rilassata, non farò queste scene. Ricevuto.» Si avvicinava qualcuno, la usai come scusa per togliere la mano dalla sua presa. Guardò appena in direzione delle voci che arrivavano alle sue spalle, poi tornò a me.

«Pensi che lo abbia fatto per lo spettacolo? Quello che tu hai capito è che devi essere rilassata altrimenti se ti prendo la mano durante lo spettacolo ti irrigidisci o la togli?» mi fissò e io non risposi. «Oh Signore! Come fai a riportare tutto lì? Io non ci sto pensando per niente allo spettacolo, non mi è passato proprio per la mente! Tutti questi ragionamenti che ti fai...»

«Damien, ho fame. Mangiamo?»

Lo spiazzai.

«La rapidità con cui cambi le tue priorità è impressionante.»

Gli sorrisi e ripresi a camminare. Era qualche passo dietro di me ma lo ritrovai subito dopo accanto, mi aveva di nuovo preso la mano.

«Così non vale!»

«Vale tutto», e mi passò un dito in mezzo al palmo. Non riuscii a mascherare la mia espressione di piacere, era inaspettato.

«Sei sempre così sensibile?» con un sorriso accattivante.

«Sei sempre così stronzo?» Si mise a ridere. Io ero paonazza.


Lo feci girare per mezz'ora a vuoto per poi concludere che non volevo mangiare. Avevo cambiato di nuovo le mie priorità. In realtà era stato solo un diversivo per non affrontare il discorso di prima, non avevo mai avuto intenzione di farlo. Lui insisteva, aveva fame, oltretutto ero sicura che volesse anche farmi cedere.

«Deciso. Avrei tanta voglia di un frappè.» Semplice, con la cannuccia, poche possibilità di sporcarmi e potevamo mangiarlo, o meglio berlo, mentre tornavamo alla macchina.

«Eri capricciosa da bambina?» socchiuse gli occhi.

«Ero una santa.»

«Quindi perché ora fai così con me?»

«Sto facendo uno sforzo così grande proprio per te, non pensare che non mi costi nulla.» A quel punto mi salì di colpo l'angoscia perché sicuramente l'avrebbe voluto pure pagare. «Anzi, no no no. Andiamo a casa.»

«Cosa è successo ora?»

«Niente, voglio andare a casa.» Il panico. Vedevo nero.

«Dimmi che cos'hai!» era allarmato.

«Niente. Voglio solo andare a casa. Ti prego.» Gli occhi fissi a terra, non ce la facevo a guardarlo in faccia.

«Spiegami», così dicendo si avvicinò con aria estremamente preoccupata, gli occhi sbarrati che cercavano di leggermi dentro e intanto farsi venire in mente qualcosa. Mise entrambe le mani intorno alla mia testa, aperte all'altezza delle orecchie, un tocco leggero ma presente.

Mi fece così tenerezza che scoppiai a ridere lasciandolo ancora più attonito.

«Non voglio che me lo paghi», ridevo senza guardarlo.

«Oh Signore!» si piegò su di me mettendo la sua testa sulla mia, poi mi abbracciò. «Tu sei pazza certe volte, lo sai?» Si fece una risata liberatoria. «Non puoi fare così! Come faccio a capire cosa hai in questa testolina se viaggi alla luce del suono in un altro universo?» Continuava a tenermi stretta, avevo la testa contro il suo petto. «Pensi veramente che non ti possa pagare un...»

«No.»

«Ma con chi stavi prima? Come facevi col tuo fidanzato?»

«Intanto, era il mio fidanzato», sottolineai, «poi non mi facevo pagare niente neanche da lui.»

«E lui accettava?»

«Non era questione di accettare o meno. Discutevamo sempre ma io ero irremovibile e, quando lo faceva comunque, mi dava molto fastidio. Mi sentivo in debito finché non lo ripagavo.»

«Come?»

«Come si ripagano i fidanzati», scherzai.

«Vuoi essere la mia ragazza?»

Mi sciolsi dall'abbraccio dandogli uno schiaffetto sul petto. Mi allontanai di qualche passo e mi appoggiai su un muretto. Poi lo guardai.

«Portami a casa», ma ero poco convinta.

«Mi vuoi ripagare prima di bere il tuo frappè?»

«Casa mia», sorrisi.

«Vedi, se noi parliamo, riusciamo a ridere anche delle cose che ti imbarazzano di più. Se non lo facciamo, si creano tensioni evitabili. Tu cambi completamente espressione all'improvviso, io non so proprio cosa potresti pensare. Non ho mai incontrato nessuna persona che si faccia tutti questi problemi.»

«Allora scegline una tra le altre 2.499.999. Di sicuro ti andrà meglio.»

«Non voglio nessun'altra.» Per il modo in cui lo disse, mi partirono gli ormoni. «Voglio te e voglio che stai tranquilla quando sei con me. Non c'è alcun dubbio che ogni volta che staremo insieme pagherò io.»

«Devo diventare il genere di persona che odio tanto?»

«Non lo sarai mai. Però tu sai bene che non può essere diversamente, ecco perché non discuti con me, ma eviti di trovarti di fronte alla situazione.» Da come parlava e per quello che diceva, si vedeva che era più grande delle persone che solitamente frequentavo. Mi piaceva. Ci guardammo in silenzio. «Poi, se dopo volessi ripagarmi come facevi col tuo fidanzato, mi piacerebbe parecchio», concluse scherzando.

«Guarda, per un frappè potrei...» feci finta di pensare poi lo guardai con uno sguardo accattivante e mezzo sorriso sulle labbra e allargai di appena qualche centimetro le gambe. Gli vidi un'espressione sorpresa che si trasformò subito in eccitata. Dopo un attimo di esitazione percorse con trasporto i pochi passi che ci dividevano, ma io mi ricomposi. «Andiamo? Ho fame». Lo guardai negli occhi da vicino, aveva le pupille dilatate.

«Tu non puoi fare così», mormorò.

«L'ho appena fatto.» Il motivo non lo sapevo. Come tutto quello che facevo quando c'erano gli ormoni che giravano indisturbati nel corpo neanche fossero un gruppo di ragazzetti che bullizzavano organi e arti facendogli fare quello che non avrebbero mai fatto sotto il controllo del cervello.

La sua reazione mi aveva soddisfatta. Non ero solo io quella che aveva reazioni non controllate quando l'altra persona si spingeva oltre. Poi avrei avuto tempo, in un secondo momento, di insultarmi e di valutare le sue espressioni come piene di disgusto nei miei confronti.


Tornammo alla macchina con ancora il bicchiere di frappè in mano, la mia era congelata, ma nonostante i commenti di Damien sulla scelta poco consona al periodo, mantenni il punto: era la miglior cena che mi potesse offrire. Tra l'altro, vederlo pagare mi aveva fatto vergognare moltissimo, nonostante i discorsi fatti.

Buttammo i bicchieri mezzi pieni in un cestino, mentre mi continuava a guardare male ed entrammo a scaldarci in macchina.

«Non provare a dire che hai freddo!» mi minacciò. Mi faceva ridere, possedeva una mimica facciale che rivelava ogni giorno di più.

Passò una canzone stupida alla radio che cantammo entrambi e mi sentii felice di essere lì con lui, felice senza tensioni, né belle né brutte.

Poi mi chiese come fosse andata la festa alla quale non lo avevo voluto.

«Non è che non ti ho voluto. Te l'ho spiegato, l'ho fatto per te. Comunque bene.»

Mi fece diverse domande per sapere se mi fossi divertita, se avessi ballato, se avessi fatto tardi. Risposi a monosillabi.

«C'era anche il tuo ex?»

Sì e poi ci ho scopato come se non ci fosse un domani solo per smaltire la tensione sessuale tra noi due.

«Sì.»

«E com'è andata con lui?»

«Bene.»

«Come mai è passato alle prove se sapeva che poi vi sareste visti alla festa?»

«Damien, cosa vuoi sapere?»

«Era per parlare. Mi domandavo come andasse tra voi.»

«Bene.»

«Ti ha pagato qualcosa?» fece finta di fare lo spiritoso.

«Tante cose.»

Rimase in silenzio per un minuto.

«E io solo un frappè?» sbottò poi.


Arrivati sotto casa, gli diedi un bacio sulla guancia al volo e scesi dall'auto.

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