66.

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Tornammo di là dove alcune ragazze partirono con un applauso.

«L'hai fatto scappare! Era nero, se n'è andato con una scusa. Avevi l'espressione da fuori di testa, tipo quella che fa Mel Gibson in Arma Letale!» sghignazzò Sabina. «Stasera tutti a bere! Vi porto in un pub fico!»

Forse non era una cosa tanto buona, quella di aver fatto gli occhi da pazza, ma quasi mi fece sorridere l'idea. Andare a festeggiare mi sembrava comunque esagerato, però Sabina insisteva per passare una serata rilassata insieme e subito Damien incrociò il mio sguardo: «Andiamo!». Convinse Flavia e Viviana rassicurandole che avrebbe accompagnato a casa anche loro. Si aggregarono Vania, Marta, Fabiana, Clara e Giulia, oltre a Giorgio e Michele. Io già mi stavo angosciando certa che avrebbe pagato Damien, continuavo ad avere la sensazione che ci stessimo approfittando di lui, io più degli altri.

Dopo le prove, ci trattenemmo a chiacchierare nel parcheggio di Irma's, per non arrivare troppo presto. Poi Flavia, Viviana e Sabina salirono in macchina con noi.

Il pub, ampio e piuttosto buio, era semivuoto. Mi diressi in bagno senza seguire gli altri al tavolo, per codardia: non volevo avere l'impaccio di scegliere dove sedermi. Quando tornai, mi avevano lasciato il posto accanto a Damien, sembrava mi spettasse di diritto.

Mi accolse col suo sguardo sempre attento, si accostò a me col busto chiedendomi cosa volessi ordinare, insistendo affinché prendessi qualcosa oltre a delle patatine.

Giorgio e Michele, seduti davanti a noi, ci osservavano. Dai loro sguardi, capii che avevamo un atteggiamento molto intimo. Quasi cercai di ricompormi, ma Damien continuava a parlarmi tenendo il suo viso a pochi centimetri dal mio e io non riuscivo a non guardarlo come se dio Eros mi avesse appena trafitta con tutte le sue frecce.

Giorgio propose una birra artigianale a Damien, che scelse di bere solo acqua.

«Ma non dare retta a lei!» intervenne subito Flavia che vedeva in me la causa di ogni male. «È una rompiscatole, bevi quello che ti pare!».

«Perché, ti dà fastidio se beve?» Michele mi guardò con curiosità.

«Io non ho detto niente!» alzai le mani con innocenza.

«Seee, che non ti conosco! "La birra puzza, il vino pure, ti ubriachi..."» mi fece il verso Flavia.

«Sei fuori? Secondo te posso dire a lui di non bere?» cercai di riportarla alla ragione. Poi, di ritorno a casa, l'avrei buttata dall'auto in corsa.

Per farla breve, ordinò una birra irlandese. Puzzava.


Durante la cena, mi divertii ad ascoltare Giorgio e Michele che scherzavano, li adoravo. Avevano un tipo di umorismo molto simile al mio e mi feci trasportare dalla loro allegria. Nel frattempo il pub si era riempito e ci avevano portato via i piatti, il mio quasi vuoto perché Michele aveva mangiato i miei avanzi, pure quelli sbocconcellati.

Bruscamente sentii spostare la mia sedia all'indietro e vidi muovere anche quella di Damien. Entrambi ci voltammo sorpresi.

Lele, una persecuzione.

Abbracciò Damien che si era alzato, poi mi indicò alcuni suoi amici che conoscevo, a qualche tavolino di distanza da noi, che salutai con un gesto della mano, dopodiché partì coi rimproveri, come al solito.

«Non ti fai più vedere!» Si rivolse a Damien: «Da quando ci sei tu, è sparita!».

Damien gli sorrise compiaciuto.

«Veramente, se non sono alle prove, studio.»

«Sì, ci credo. Parlo con lui che è più serio. Che cosa devi fare a Pasquetta?»

Damien corrugò lo fronte.

«Lele, non sa neanche cos'è Pasquetta! E poi ha da fare», immaginavo già cosa gli avrebbe proposto.

«Shhh!» Si mise seduto sulla mia sedia, facendomi spostare in pizzo, voltandomi del tutto le spalle. «È il lunedì dopo Pasqua, il 16 Aprile,» gli spiegò, «venite a casa mia, fuori, in campagna. Stiamo insieme con gli altri, facciamo la carne alla brace.»

Si mise d'accordo con Damien dandogli tutte le indicazioni per arrivare a casa sua, sicuro che se lo avesse fatto tramite me, avrei trovato la scusa per non andare.

Poi mentre si alzava: «A proposito, come le stavano poi quei completini intimi? La taglia era giusta?»

«Perfetti», Damien gli regalò un'espressione convinta, mentre davo uno schiaffetto sulla schiena a Lele.

«Vattene!» gli ordinai.

Se ne andò salutando. Giorgio e Michele passavano lo sguardo da me a Damien, incerti.


Forse le locandine appese avrebbero dovuto farcelo capire, che quello era il giovedì del karaoke. Dio mio. Non lo sopportavo. Solo una volta ero stata costretta a partecipare con delle amichette conosciute al mare, esortate dai nostri molesti genitori, e ancora al ricordo rabbrividivo. Erano passati otto anni.

Non mi divertivo, né a cantare né ad ascoltare gli altri. Era qualcosa di forzato, aveva un non so che di cameratismo che non condividevo. Sembrava che dovessimo far finta di essere tutti uguali, un insieme, partecipi, uniti, amici, fratelli, complici. Ma chi cazzo vi conosce?

Quando il deejay annunciò l'inizio della "serata karaoke" mi irrigidii subito, avvertendo una corrente di aria gelida che mi girava intorno, come se stesse per formarsi un vortice che mi avrebbe risucchiata. All'incirca quello che si prova mentre i professori guardano il registro per scegliere chi interrogare.

I primi due intrepidi andarono a cantare, convinti delle loro capacità o dell'effetto che la birra avrebbe dovuto avere sugli altri.

Dopodiché il deejay riprese parola.

«Mi hanno detto», e già volevo scappare, «che stasera tra noi abbiamo due cantanti molto bravi.» Chiusi gli occhi in attesa di ascoltare il resto: «Damien e Ginevra venite qui, fateci sentire!». Ecco, cazzo.

Chiusi i pugni conficcandomi le unghie nei palmi.

«Maledetto Lele, lo ammazzo!» Se avessi avuto il potere di annientare tutte quelle vite con una esplosione lo avrei fatto senza pentirmi.

«Ginevraaa!» sentii Lele chiamare.

Mi uscì un sorriso nervoso, aprii gli occhi guardando una Flavia sorridente. «Bastardo!»

«Andiamo.»

Mi voltai a guardare Damien come se mi avesse detto che in realtà non era un uomo ma un bigattino con gli arti.

«Dai, tanto tra meno di un mese lo dovete fare al concerto!» pensò di spronarmi Giorgio.

«Scherzate, vero?»

«Andiamo», ripeté Damien infilando a forza le sue dita tra le mie, ancora chiuse a pugno.

«No! Sei matto?» sorrisi incredula.

«Come se fosse una prova generale», provò Michele.

Anche le altre mi incoraggiavano ma non avevo intenzione di andare. Il deejay ci richiamò di nuovo, ma non capii bene cosa disse perché avevo le orecchie ovattate dal panico.

«Non ci riesco, no! Mi vergogno! Davanti a tutte queste persone? Non ce la faccio!» Scuotevo la testa allarmata senza alzare gli occhi dal tavolo. Erano sbarrati.

«Allora è proprio il caso che tu vada», Giorgio si era fatto serio, proteso verso di me, con un dito leggero mi aveva tirato su il mento. Il suo sguardo mi fece capire che era veramente preoccupato per una mia reazione del genere la sera dello spettacolo. Anche tutti gli altri lo erano, persino Damien.

Mi alzai di scatto, spinta dalla vergogna per il mio comportamento. Stringendomi saldamente la mano, Damien mi portò lì davanti a tutti e scelse una canzone che riconobbi dalle prime note.

«"I am here to tell you we can never meet again..."» iniziai senza guardare lo schermo, non tanto perché conoscevo tutte le parole, quanto perché mi serviva il suo sostegno. Mi stavo aggrappando a lui e questo mi piacque tanto, ma mi spaventò molto di più. Se fino a poco tempo prima riuscivo ancora a scappare da lui, ora era il mio unico appiglio. Questo cosa mi avrebbe portato in futuro?

Continuammo fino alla fine, con addirittura l'intervento delle mie compagne durante il coro che cantarono a squarciagola dal tavolo. Applaudirono tutti entusiasti, ci chiesero di cantare altro ma mi dileguai.

La complicità avuta con Damien fu palese anche per me stavolta. Era stata veramente una specie di prova generale, solo noi davanti a un pubblico formato da persone che non conoscevo, fuori dalla tana della sala prove. Non si poteva paragonare alla festa di Luca al centro sportivo, era diverso: in quel caso ero carica di un sentimento di rivalsa, con quello stato d'animo potevo fare qualsiasi cosa.

Lo sguardo rasserenato di Damien mi ripagò dello sforzo e mi fece capire quanto tutti avessero paura di dover contare su di me.


Prima di tornare al nostro tavolo passai per quello di Lele per insultarlo un po', lui rideva divertito.

Riprendemmo i nostri posti, notai lo sguardo che i tre uomini si scambiarono e sperai di essere stata soddisfacente. Chissà cosa avrebbero detto il giorno dopo a Marzio.

Per il resto della serata le mie compagne si esibirono senza problemi e si divertirono molto.

Quando fu l'ora di tornare a casa, Damien andò a pagare il conto e successivamente seppi che pagò anche quello del tavolo di Lele. Era proprio di un altro livello.


Accompagnammo Sabina, Viviana e infine Flavia a casa. Pur abitando a pochi passi da quest'ultima, Damien mi portò fino al portone e scese dall'auto con me.

Lo ringraziai per tutto, allungandomi a dargli un bacio sulla guancia. A volte lo facevo, a volte no. Tutte le regole che gli avevo elencato all'inizio erano state cestinate.

Mi venne in mente una cosa. «Tu lo sapevi che ci stavano fotografando di nascosto?»

Mi fissò. «Non ti fiderai mai di me, vero?»

Sostenni il suo sguardo per poi guardare a terra, sentendomi in colpa per la poca delicatezza.

«No,» riprese, «non lo sapevo, come non lo sapevi tu. Quelli eravamo noi. E tu eri bellissima.»

Ero. Per merito dei truccatori. «Ok, grazie. Ciao.» Mi infilai nel portone.


Elton John e LeAnn Rimes, "Written in the stars", Elton John and Time Rice's Aida. Rocket Records, Island Records, 1999. 

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