7.

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Controvoglia, misi i piedi fuori dal letto. Erano le 10, non mi alzavo mai così tardi. E soprattutto dal momento in cui aprivo gli occhi a quando facevo colazione potevano passare al massimo 120 secondi. Mi svegliavo sempre con la fame ed era il mio pasto preferito: latte e biscotti. Lo mangiavo spesso anche per cena e avrei voluto farlo pure a pranzo ma mi davo un contegno.

Quindi considerato il fatto che, non volendo escludere il suicidio, saltare la colazione era di sicuro il modo più lento per portarlo a termine, decisi di andare a mangiare.

Mia madre stava lavorando nella camera da pranzo come al solito, con le sue riviste di moda sparse per il tavolo. Mi salutò dolcemente, io le diedi un bacio sulla guancia abbracciandola da dietro. La sua pelle era liscia e tirata, nonostante l'età, gliela invidiavo. Proseguii verso la cucina.

«Ginevra, che hai? Hai litigato con Enea?»

Enea? E ora chi cazzo è Enea?

Lo avevo dimenticato. Completamente. Non era nei miei pensieri. Non era assolutamente nei miei pensieri. Poteva rientrare nei miei pensieri? Lo avrei mai più pensato? Avrei mai più pensato a lui nello stesso modo?

«No», con malcelata titubanza. Poi, prima che mi facesse altre domande: «C'era l'interrogazione della De Carlo, oggi sicuramente mi avrebbe chiamata perché non mi interroga da diverso tempo. Ho studiato poco e male e avevo troppa ansia».

«Hai fatto bene a non andare, non manchi mai. Solo... non è che ti stai stressando troppo per lo spettacolo? Insomma, fai quello che ti senti, ma non trascurare lo studio che sei tu la prima a starci male.»

«No, no. Riesco a fare entrambe le cose. Giusto questa era un'interrogazione difficile. Mi serve solo più tempo per prepararmi, mi rimetto in pari questa settimana», mentre pensavo che non ce l'avrei mai fatta.

«Sarebbe solo un peccato che cedessi proprio ora, sei sempre stata brava a scuola, quest'anno hai anche gli esami di maturità.»

«Infatti, approfitto proprio di oggi per studiare.»

Feci colazione in preda a pensieri catastrofici sul mio avvenire, scuola, concerto, Enea... Enea, mi ero scordata di Enea! Ma come avevo fatto? E cosa gli avrei detto ora? Sai quell'attore di cui sono follemente innamorata e per cui ti avrei lasciato se solo mi avesse guardato anche distrattamente? È qui e ci duetto al concerto! Quindi, grazie per il tempo trascorso insieme, è stato bello ma proprio non reggi il paragone.

Grande, grandissima stronza. Ma poi perché lasciarlo? Perché avevo visto l'uomo più bello della terra e il cuore mi era esploso nel petto? Vabbè, seria. Perché lasciarlo? In fondo Damien non lo conoscevo, magari era anche antipatico, magari di persona non mi sarebbe piaciuto. Magari. Invece no, quel poco che avevo visto rispecchiava l'immagine dorata che mi ero fatta di lui, anzi, ancora meglio. Mi era venuto a cercare anche un paio di volte, sprecando il suo tempo con me! Certo, sicuramente ce l'aveva mandato Marzio oppure Dari, solo per far sì che mi dessi una calmata. O per farmi sentire importante. Insomma, solo per portarmi a cantare in maniera decente.

La cosa strana è che non provavo nessun tipo di sentimento pensando a Enea, non riuscivo a ricordare cosa effettivamente mi piacesse di lui, tutto lo struggimento vissuto prima di metterci insieme. Niente. Il vuoto. Sentivo solo un fuoco ardere dentro per Damien, lo avevo impresso sulle mie iridi, al posto delle piastrine nel sangue, occupava abusivamente il cervello. Ok, forse era lo shock per averlo incontrato per la prima volta. Forse tutto questo sarebbe passato nel giro di qualche giorno. I sentimenti non si cancellano così, solo perché si incontra il proprio idolo. Avevo bisogno di tempo. Per il momento, non avrei detto nulla a Enea, l'avrebbe presa nel modo sbagliato e comunque ci avevano fatto richiesta di non parlarne con nessuno.

Andai in camera mia a studiare. Almeno quella era l'intenzione. Invece ripresi a riavvolgere nella mia testa il nastro della memoria su cui avevo registrato il pomeriggio precedente.


Verso le 13 andai a fare una passeggiata sotto casa con Meringa e Roby. Quando rientrai, dopo una mezz'ora, mia madre mi fece trovare un piatto di pasta col prosciutto. Mangiammo davanti alla tv e poi tornai in camera mia per prendere una decisione.

Sarei andata alle prove?

Certo che sarei andata, anche se una parte di me mi diceva di chiuderla lì, che non ero adatta a trovarmi in contesti del genere in cui dovevo dare il meglio invece che il peggio. Ma potevo perdermi l'occasione di frequentarlo per un po'? Era lì, a due passi da me, avevo agognato di incontrarlo per anni. Di sicuro non avrebbe mai provato nessun interesse per me, brutta com'ero. Insignificante. No, più brutta che insignificante. Prima o poi l'avrei avuto davanti ai miei occhi in compagnia di qualcun'altra e sarei impazzita dalla gelosia. Sarebbe andata sicuramente così. Però potevo saperlo vicino a me ed evitare di vederlo? Sarei impazzita lo stesso. Ma quando sarebbe ripartito, come avrei reagito? Se mi fossi innamorata veramente di lui e non del personaggio televisivo? Come sarei andata avanti, dopo?

I pensieri rimbalzavano a destra e sinistra. Mentre pensavo a una cosa venivo distratta da un pensiero ancora più pesante del precedente. Poi mi raggiunse quello peggiore: se vado, cosa mi metto?

Aprii l'armadio e decisi di uccidermi con una stampella. Non sarebbe stato facile ma potevo riuscirci. Non avevo idea di cosa indossare. Jeans, no. Assolutamente. I pantaloni mi stavano male, li mettevo solamente per andare a scuola. Quindi gonna o per meglio dire, minigonna? Ma non volevo fare la parte di quella che si veste bene solo perché sta per incontrare lo strafigo del secolo. Chi se le sarebbe sentite le altre, non vedevano l'ora di mettermi in mezzo. Decisi per una gonna con un maglioncino che avevo indossato altre volte sia a scuola che da Irma's, così nessuno poteva fiatare.

Prima mi feci una doccia e cercai di dare vita col mascara a quelle quattro ciglia che mi ritrovavo. Mi infilai i vestiti e rimasi un paio di minuti buoni davanti allo specchio a rimuginare su quanto mi facessi schifo.

Cominciai ad avere fretta di andare. Dovevo arrivare per prima perché volevo parlare con Marzio e chiedergli di farmi cantare col coro. E basta. Niente duetti, niente canzoni da solista. Sarei rimasta solo se mi faceva fare parte del coro. Sarei stata bravissima, avrei dato il massimo. Il mio cuore si sentiva più leggero. Ecco, che ci avevo messo? Il tempo di arrivare da casa alla fermata dell'autobus e avevo trovato un buon compromesso. Sarebbe stato perfetto, senza pressioni addosso avrei cantato meglio e avrei potuto gustarmi lui. Mi sarei vergognata molto di meno. Non dico per niente, ma non c'era paragone. Sì, avrei fatto così. Perché non ci avevo pensato prima? C'erano Vania e Viviana che potevano sostituirmi senza problemi, o magari qualche altra ragazza. Convinta, non mi avrebbe mai potuto dire di no.


«No», continuò a sistemare gli strumenti.

«E dai Marzio, ma perché? Lo hai visto che disastro ho fatto, non pensare che migliorerò!»

«Sei già migliorata, le altre due volte sono andate bene.»

«Sì? Quello me lo chiami bene? E sai che "bene" non basta. Non dobbiamo fare il canto di Natale davanti a mamma e papà. Dobbiamo dare il massimo, lo hai detto tu. E ora ti accontenti?»

«Non mi sto accontentando, ti dico solo che abbiamo il tempo per migliorare. Capisco che all'inizio ci sia un po' di emozione, lo avevo messo in conto.»

«Non puoi sapere quello che sto provando! Io non ci riuscirò mai. Lo so. Non ti sto pregando di mettermi in risalto, ti sto chiedendo di mettermi nel mucchio. Cosa ti costa?»

«Sei la migliore cantante del gruppo, ecco cosa mi costa!» Si fermò a guardarmi negli occhi. «Non c'è possibilità di fare un concerto tenendo te tra il coro. Dobbiamo mettere in evidenza qualcuno e quel qualcuno, mia cara, sei tu.»

Ma perché? Praticamente la mia voce è uguale a quella di Vania e Viviana!»

«Non lo è», riprese a muoversi per la sala. «E se pure lo fosse è il modo in cui si canta che rende una persona diversa e speciale.»

«Ok. Siamo diverse. Ma sono bravissime! Più di me. E rendono meglio, non si vergognano e ogni sfida per loro è uno stimolo, mentre per me è una montagna impossibile da scalare, girarci intorno e farci un tunnel in mezzo. Marzio, aiutami. Ti prego. Non lo voglio fare, non sono capace. Lo spettacolo, ti giuro che sarà meglio senza di me là davanti.»

Si fermò di nuovo e mi squadrò.

«Certo che sei strana forte. Tutto avrei pensato, tranne questo. Io ti faccio conoscere il tuo attore preferito, di cui parli ogni volta in cui non usi la bocca per cantare, e la tua reazione è quella di scappare a nasconderti? Di cosa ti vergogni, di far vedere che sei brava?»

«Io non sono brava. E io non sono capace di fare questa cosa», dissi con fermezza. «Stai solo rischiando di perdere tempo con me e renderti conto che avevo ragione quando sarà troppo tardi per sostituirmi. Ti chiedo di farlo per il bene di tutti.»

Si fece una risata.

«Mhmm, mi sa di no. E ti dico chiaramente che non sarebbe neanche per il tuo bene. La devi superare e la supererai.»

«Non ci riuscirò.»

«Ci riuscirai.»

Prese a spostare dei fili dell'impianto acustico.

Dopo un paio di minuti in cui mi sentivo persa e non sapevo più come convincerlo, riprese a parlare.

«Apro questo giornale di musica e leggo un articolo con la foto a tutta pagina. Ho pensato: "Ma questo non è l'attore che piace tanto a Ginevra?"» e così scoprì che, prima di diventare attore, Damien aveva cantato in un paio di band, niente di ché, ma dichiarava che avrebbe preferito fare il cantante piuttosto che l'attore, nonostante non si potesse lamentare della sua carriera. E lì Marzio ha avuto l'illuminazione. Aveva già in mente di fare un concerto benché non lo avesse immaginato in quei termini, pensava a qualcosa di più modesto. Poi aveva smesso di farsi troppe domande, che lo avrebbero solo limitato. «Ho contattato un po' di persone che conoscevo, ne ho contattate molte altre che non conoscevo affatto ed eccoci qui. Se mi fossi fermato a rimuginare avremmo fatto al massimo il canto di fine anno con mamma e papà, come dici tu. Impara a non porti dei limiti.» Keira e Damien sapevano bene cosa li aspettava, non erano venuti alla cieca. «Non saranno dei cantanti professionisti ma non sono stupidi né loro né i manager che gli stanno dietro, ricordalo, e se anche non partecipano per soldi, di certo non possono mettere la faccia su un progetto che è un suicidio, uscì dalla sala ed entrò nel piccolo magazzino. Non lo seguii, sarebbe stato inutile in quel momento.  

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