77.

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Dopo pranzo, il suo telefono squillò e un'ombra gli oscurò immediatamente il viso. Cercò poi di rilassare i lineamenti e sembrare tranquillo, andò a rispondere altrove.

Io rimasi con me stessa provando a non ascoltarmi mentre mi buttavo giù, mi tormentavo con i dubbi riguardo al rapporto con Damien e iniziavo a farmi salire l'ansia per lo spettacolo. Il tutto nel giro di dieci minuti.

Quando tornò, mi trovò a lavare i piatti, avevo preferito tenermi occupata piuttosto che mettere tutto in lavastoviglie e rimanere a fissare il vuoto. Stavo cantando e solo allora mi resi conto che potevo avergli dato fastidio mentre era al telefono: ero così presa dall'ostacolare l'invasione del cervello da parte di un'armata di pensieri negativi, da non averci fatto caso.

«Scusa, non mi sono resa conto di cantare ad alta voce, sono...»

«... nervosa», concluse lui per me.

«», ammisi con un debole sorriso.

«Vuoi provare qualcosa? Domani abbiamo le prove generali, ma se preferisci possiamo farlo anche ora.»

«No, è proprio l'ultima cosa che vorrei fare. Avrei preferito andare lì e improvvisare piuttosto che sapere di aver fatto mille prove e per questo dover essere necessariamente perfetta. Non so dove mettere le mani, non so dove guardare, non so niente!» mi stava per venire da piangere. Guardai nel lavello, sperando che le lacrime che sentivo negli occhi non si mostrassero. «Farò fare una figura di merda a tutti», mi coprii il viso con le mani.

«Tu farai un figurone e noi di rimando, sei bravissima. Ora immagino tu ti possa sentire frustrata e sotto pressione, è normale. Ma andrà tutto bene, perché hai una voce meravigliosa e nessuno starà a guardare le tue mani.» Mi abbracciò e io nascosi la testa nel suo petto. «E quando sarò vicino a te, puoi stringere le mie.»

«Sì, come no!» mi venne da ridere. «Mi è stata data una fiducia che non merito», di nuovo angosciata.

«Solo tu pensi di non meritarla,» mi accarezzò i capelli, «dovresti guardarti con i miei occhi, capiresti come sei veramente vista da fuori.»

«Uno scarabocchio.»

Mi tirò su il viso e sorrise scuotendo la testa.

«Con te non si ragiona», poi mi baciò dolcemente. All'inizio risposi poi mi scansai.

«No, no, no, no!» allarmata con gli occhi sgranati. «Questo volevo evitare, avere un... un... qualcosa che vada al di là del canto. Quando farò schifo non voglio vedere la tua delusione. Non dovevamo arrivare a questo, per me è un'altra preoccupazione.»

«Ma tu non deluderai nessuno!»

«Invece sì, lo so! Mi bloccherò appena vedrò tutta quella gente. Sono fatta così, non mi piace esibirmi.» Di nuovo le mani in faccia e mi accorsi che erano bagnate dalle lacrime.

«Allora focalizzati sul motivo per cui lo stai facendo. Hai scelto di continuare nonostante avessi gli stessi dubbi che hai adesso. Ripensa a cosa ti ha fatto decidere di andare avanti.»

Marzio, i bambini. Mi fissai quei pensieri in testa e piano piano mi calmai. Le lacrime continuavano a scendere ma più lentamente. Tornò ad abbracciarmi e glielo lasciai fare, cantò un motivetto che non riconobbi e mi cullò in un dolce lento.

«Non mi deluderesti nemmeno se rimanessi lì ferma senza cantare tutta la sera. O se stonassi. O se ti scordassi le parole...» riprese dopo qualche minuto.

«Grazie, sei proprio d'aiuto!»

«... o se rubassi le mie parti.»

«Stai certo che questo avverrà sicuramente, ancora devo capire quali sono le mie!»

Rimanemmo abbracciati un altro po'.

«Usciamo, hai bisogno di distrarti.»

Forse era quello che mi serviva, rimanere in quella casa avrebbe voluto dire lottare contro il desiderio di stargli sempre addosso o contro le mie paure. In entrambi i casi, avrei perso.

«Mi dispiace farti uscire se avevi altri piani.»

«A me basta stare con te. E tanto per essere chiari, non credo che tra noi due sarebbe mai potuta andare diversamente. Era inevitabile.»

Era così bravo a recitare che quasi credetti alle sue parole e non replicai.

«Sei mai stato ai Musei Vaticani?» cambiai discorso.

«No.»

«Dovresti visitarli», poi pensai lucidamente, «però è domenica pomeriggio, ci sarà una fila infinita!»

Mi guardò con un piccolo sorriso nascente sulle labbra.

«Dio, quanto sei odioso!» esclamai. «"Mr. Passo Davanti A Tutti"!»

Si mise a ridere.

«Dai, fammi provare. Sento se riescono a farci entrare.»

«Sì, ma senza guida,» lo anticipai, «L'ho appena studiato a scuola, ti spiego tutto io.»

Cercò di nascondere un sorriso. «Ok, andiamoci a vestire, intanto provo a chiamare.»

Chi dovesse chiamare di preciso per avere le porte dei Musei Vaticani spalancate non lo sapevo, forse qualche agenzia che gli fornisse un pass speciale pagando un prezzo d'ingresso esorbitante. Oppure gli sarebbe bastato chiamare Nicholas che avrebbe fatto tutto al posto suo. Ma in quel momento ero assorbita dalla paura di infilarmi il vestito che mi aveva comprato e scoprire che non mi entrava. Cosa avrei fatto?

Ed eccomi lì, chiusa in bagno con la busta appoggiata sul water e io che la fissavo senza avere il coraggio di aprirla. Dopo qualche minuto lo sentii parlarmi attraverso la porta.

«Ok, possiamo andare ma dobbiamo sbrigarci. Tu sei pronta?»

«Ehm, no.»

«Non ti piace?» Forse voleva chiedere se mi entrava.

«In realtà devo ancora aprire la busta», così ora si sarebbe chiesto cosa stavo facendo. Oddio, non è che pensava che dovessi andare in bagno? O che orrore! Dovevo rimediare, meglio essere sincera. «È che mi mette agitazione ricevere regali, comunque ora mi sbrigo!»

Aprii di getto la busta e trovai due pacchettini. In quello più piccolo era avvolto un completo intimo di pizzo color lilla. Santo Cielo e ora con quello che ci dovevo fare? Lo aveva preso per vedermelo indossare? Oppure era stato solo gentile e aveva capito che avevo bisogno di un cambio completo? Sicuramente la seconda. Nell'altro pacchetto c'era un abito corto di georgette dello stesso color lilla. Meraviglioso, ma mi sarebbe entrato? Già la taglia mi metteva un forte dubbio.

Tolsi la camicia e il tanga e mi provai di corsa tutto quanto. Mi entrava, grazie ad Armani! Non mi specchiai molto, l'importante era che non mi stringesse, cadeva morbido e le balze che aveva lo rendevano armonioso col mio corpo. Sollevata, tirai fuori i pochi trucchi che avevo con me e cercai di darmi una sistemata, così come per i capelli.

Uscii dal bagno terrorizzata dalla faccia che avrebbe potuto fare guardandomi e realizzando di aver buttato i suoi soldi.

«Ero sicuro che ti sarebbe stato perfetto addosso», era alle mie spalle.

«Non mi sembra sia andato tu a comprarlo», proprio da stronza ingrata.

«No, ma ho parlato al telefono con la commessa e me lo ha descritto bene.»

Quella puttana. Ero gelosa anche di lei, sicuramente ci aveva flirtato. Oddio, che nervoso! Lo avrei rinchiuso in una gabbia per averlo solo per me e portato in giro col guinzaglio e i paraocchi.

«Ti ha descritto bene anche quello che c'è sotto?» Acida.

«No, quello no. Dovresti farmelo vedere.»

«Passa al negozio che ci pensa lei!»

Glissò.


Dopo aver passato il resto del pomeriggio all'interno dei Musei, mi chiese di nuovo se volessi dormire da lui. Risposi che preferivo tornare a casa. Sarei voluta rimanere, ma più tempo passavamo insieme rinchiusi, più sentivo l'esigenza di avere contatti fisici, e cercando di evitarli, la frustrazione mi portava a dire o fare qualcosa di sbagliato.

«Certo che sei parecchio gelosa.» Eravamo in auto, nel traffico di una piovosa domenica pomeriggio. Mi sentii avvampare.

«Aggiungilo alla lista dei difetti.»

«Non ho una lista dei tuoi difetti e non ho detto che lo sia.»

Guardai fuori dal finestrino, un'auto passò su una pozzanghera e bagnò due ragazzi, inveirono alzando gli ombrelli.

Rimasi in silenzio, c'era poco che potessi dire a mia discolpa e probabilmente avrei fatto in modo di litigare.

«Mi dispiace solo che percepisca le cose in maniera distorta», aggiunse.

«Damien, ti chiedo scusa. Sono una brutta persona, fuori e dentro, ne sono consapevole. E qualsiasi cosa tu dica al riguardo non cambierà il mio pensiero quindi, se dici il contrario, mi fai credere solo che stai mentendo.» Sapevo di dover essere riconoscente per tutto quello che faceva per me e lo ero, perché cosciente di non meritarlo, eppure non ero in grado di esprimerlo. Pensavo una cosa e ne dicevo un'altra. Invece di ringraziarlo e aprire il pacchetto davanti a lui come tutte le persone educate del mondo, avevo subito pensato che il vestito mi sarebbe stato male perché non poteva essere altrimenti. Quindi, incupita, avevo fatto la stronza nella speranza che mi mandasse al diavolo e non mi ritrovassi più in una situazione del genere. «E se tu parli al telefono con una commessa di un completo intimo, la mia testa mi dice che sarebbe stato meglio indossato da lei, anche se non la conosco e anche se fosse un uomo. Questo è quanto e ne potremmo parlare altre mille volte ma non cambierebbe niente.» Parlai velocemente, tutto d'un fiato ma con voce calma, continuando a guardare fuori. Mi prese la mano e guidò così fino a casa mia.

La mattina dopo aveva degli impegni, ma sarebbe passato a prendermi in tempo per andare insieme alle prove e non accettò di vederci direttamente a teatro.

Non sapevo come salutarlo, dopo aver dormito insieme e tutti quei baci scambiati, mi sembrava troppo poco un semplice "ciao", ma trovavo esagerato baciarlo al di fuori delle mura di casa sua, perché avrebbe avuto tutto un altro significato.

«Quelli non sono i tuoi cani?» indicò lui col mento attraverso il finestrino mentre mi arrovellavo.

Sgranai gli occhi, stavano passando vicino all'auto con dietro mio fratello e la fidanzata. Lei mi vide, fece finta di niente e cercò di distrarre Francesco prendendolo sotto braccio.

«Vi somigliate, è tuo fratello, vero?»

Annuii col groppo in gola. Mi sentivo una ragazzina scoperta a pomiciare di nascosto col fidanzatino. Che aveva 31 anni.

«Ok, vado», in preda all'imbarazzo per la mia reazione, appena immaginai che fossero entrati nel portone del palazzo.

Lui mi fissava e sentii di dovergli dare una spiegazione.

«Senti, non c'è nessun problema, faccio quello che mi pare. Solo, non saprei proprio cosa dire e quindi preferisco non dire niente. Semplice.»

«Ti posso baciare?» era serio.

«No», poi mi avvicinai e lo baciai a lungo io. 

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