78.

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30 aprile 2001

Mi vedevo quasi bella e la cosa mi creava imbarazzo. Ero ancora più truccata che al servizio fotografico e adoravo come mi avevano sfumato il trucco nero sugli occhi. I capelli pettinati così all'indietro erano proprio come li avrei voluti sistemare io in altre occasioni, ma non ero mai riuscita nel mio intento. Però, anche questa volta, l'idea che gli altri notassero la differenza con la mia normalità mi pesava, erano servite delle mani esperte per arrivare a quel risultato. 

Chissà cosa stava facendo Damien. Di sicuro per sistemare lui ci avevano messo ben poco.

Quando mi era passato a prendere lo avevo trovato serio, pensieroso, distratto. Non mi aveva baciata e, se da una parte mi ero sentita sollevata per tutti i pensieri che ne sarebbero seguiti, dall'altra mi aveva turbata perché pensavo non ne avesse più voglia. Aveva cercato comunque di sorridermi e, mentre guidava, la sua mano teneva salda la mia. Provai a concentrarmi sullo spettacolo, quel giorno doveva essere la mia priorità.


Frastornata dall'agitazione generale, seguii la costumista che mi indicò il vestito nella plastica trasparente sulla quale c'era scritto il mio nome. Lo scrutai con terrore, mentre in sottofondo sentivo Alessia e Giulia fare gridolini entusiasti per i vestiti che erano toccati a loro. Ognuna di noi ne aveva uno diverso, tutti neri. Il mio era un abito a sottoveste di seta con bretelline sottili, lungo fino a metà coscia. Non mi piaceva un granché, era un genere di abito giusto per chi aveva un fisico perfetto, non copriva i difetti e non esaltava le forme, era troppo semplice, non mi avrebbe mai aiutata a sembrare più bella.

Rimasi zitta e lo indossai col magone.

Davanti allo specchio, notai che la scollatura era più ampia di quello che sembrava in stampella e, sebbene acquistò qualche punto, mi sentivo troppo nuda, troppo me stessa.

Quando uscii dai camerini mi stavo tormentando le mani, me ne resi conto incrociando lo sguardo severo di Mathias. Damien sbucò dal nulla e mi si avvicinò.

«Non dire nulla», lo avvisai. Se avesse provato a farmi i complimenti per tirarmi su, avrei fatto in modo di discutere.

Poi mi allontanai e andai a recuperare il mio lettore cd portatile con gli auricolari e alzai a tutto volume girandomi verso la parete in un angolo, cercando di cancellare il mondo dalla mia testa.


«Tutto ok?» Mathias mi toccò la spalla. Non potendo udirlo, lessi il labiale.

«Sono leggermente nervosa, diciamo che mi sta salendo il panico», tolsi gli auricolari.

Annuì. «Allora continua a sfogarti così, ti aiuta.»

Sfogarmi così? Perché, cosa stavo facendo? Ballavo e cantavo come una matta rivolta verso il muro. Un figurone.

Alla fine le prove andarono abbastanza bene, per quanto fossi più agitata delle volte precedenti. Il direttore d'orchestra cercò di mettere tutti a proprio agio ed effettivamente i piccoli gesti che Damien mi rivolgeva mi tranquillizzarono, a dispetto di quello che pensavo.

Damien mi propose di passare la serata insieme, ma avevo mal di testa e mi portò a casa. Il giorno dopo sarebbe stato occupato dalla mattina con delle interviste e lo vidi cercare una soluzione per passare a prendermi e recarci all'hotel dove avremmo dormito. Dovetti insistere per evitare che trovasse chissà quale compromesso assurdo per farlo e permettermi di andare per conto mio.


Mi aggregai alle mie amiche e non lo vidi per tutto il giorno, neanche per cena. Immaginai che dopo le interviste fosse andato a mangiare con qualcuno, gli unici messaggi che mi aveva inviato risalivano alla mattina.

Ormai chiusa nella mia stanza d'albergo, ero in preda all'ansia che non mi faceva dormire. Erano le 23 e anche se non era troppo tardi, sentivo già che non sarei riuscita a chiudere occhio.

Cercai di ricordarmi il numero della stanza di Flavia che condivideva con Viviana. Dormivano tutte a coppie, l'unica che stava da sola ero io, ben felice di esserlo perché non avrei potuto sopportare di avere qualcuno accanto a me quella sera.

Provai a digitare l'interno e mi rispose Viviana.

«Vivi, chiedi per cortesia a Flavia se ha con sé la sua scorta di bustine di camomilla? Io non chiuderò occhio stanotte e dentro la stanza ci sono solo bustine di the.»

La sentii rivolgere la mia richiesta a Flavia, rispose che me ne avrebbe portato un paio. Dopo qualche minuto bussò alla porta e mi precipitai ad aprire.

Era Damien. Con in mano tre bustine di camomilla. Lo guardai, poi con la coda dell'occhio vidi Flavia in pigiama in fondo al corridoio, che tornava verso la sua stanza. 

Non sapevo cosa dire, se chiedergli di restare o meno.

«Grazie», presi la camomilla dalla sua mano.

«Posso entrare?»

Gli aprii la porta di più per farlo passare e, guardandomi allo specchio lì vicino, mi ricordai di indossare uno dei babydoll che mi avevano regalato i miei amici. Per fortuna il più sobrio. Ma sempre quasi trasparente era, aperto davanti sulla pancia da sotto il seno, col brasiliano in pizzo. Riuscii a dissimulare l'imbarazzo dirigendomi subito al bollitore elettrico, praticamente col sedere di fuori.

«Ho bisogno di rilassarmi, Flavia ne ha sempre una scorta con sé», ciarlai tanto per non stare zitta. Avrei voluto chiedergli come era andata la giornata però avevo paura pensasse che volessi impicciarmi e quindi sperai ne parlasse da solo. Non lo fece.

«Mi dispiace, abbiamo buttato una giornata.»

«Dovevi farlo, non è un problema.»

Lì, davanti a lui, così poco vestita, mi stavo agitando, nonostante qualche giorno prima avessi dormito a casa sua con solo la camicia addosso e avessimo vissuto delle ore intense.

Silenzio.

Appena l'acqua fu pronta, misi dentro le tre bustine di camomilla e, per non rimanere davanti ai suoi occhi che mi scrutavano, sedetti sul letto.

«Siediti, se vuoi.» Era rimasto in piedi a fissarmi.

«Cosa stavi facendo?» Si avvicinò al letto.

«Cercavo di addormentarmi guardando dei documentari, purtroppo la vita di quei lemuri è così dinamica che non ci sono riuscita», scherzai poco convinta.

Pensavo si sarebbe seduto sul bordo, invece si mise accanto a me, sull'altra metà del letto matrimoniale. Non capivo per quale motivo fossi così agitata, eravamo stati molto più a contatto di così. Eppure sentivo nell'aria qualcosa di diverso, il suo umore era diverso.

Bevvi la camomilla e posai il bicchiere sul comodino, spostai l'attenzione sulla tv, come se fosse vero che me ne importasse qualcosa.

«Sdraiati, così ti rilassi.»

Lo feci, sentendo il suo sguardo addosso pur continuando a tenere i miei occhi verso la tv, posta non in fondo al letto, ma sulla parete al mio lato. Gli stavo dando le spalle. Sentii che si stava sdraiando anche lui. Ok, fin qui poteva starci, in fondo ero io che ogni volta avevo la necessità di ricominciare da capo, per lui quello era qualcosa che avevamo già fatto. Niente di nuovo, niente di sbagliato.

Dopo qualche minuto, durante i quali lo avevo ignorato, sentii la sua mano accarezzarmi il fianco. Feci finta di niente. Poi scese lungo la coscia e risalì, passando sulla pancia. La sua testa ora era accanto la mia e prese a baciarmi il collo da dietro. Io già avevo perso lucidità e realizzai in quel momento che lui non l'aveva mai avuta da quando era entrato nella stanza. Quella sera, non sapevo perché, ero convinta che non si sarebbe arreso tanto facilmente.

La mano iniziò a salire verso il seno ma la bloccai con la mia.

«Damien, ti prego, non riesco a resisterti», ammisi con un filo di voce.

«No, sono io che non resisto a te», proseguì a baciarmi e accarezzarmi.

«Ti prego, domani abbiamo il concerto.»

Ma non mi ascoltava, mi girò con forza mettendosi sopra di me. Non lo trovai minaccioso ma irresistibile.

«Allora continua a fare come fai sempre. Fingi che non stia succedendo...»

Iniziò a baciarmi il collo e poi la bocca, io cercavo di non rispondere.

«... fingi che questi non siano baci...»

Scese giù sulla pancia e ci passò la lingua, poi arrivò all'inguine e leccò anche lì, esternamente.

«Ti prego», mugolai.

«... fingi che non ci sia niente tra noi...»

Risalì fino ad arrivare al seno e passò la lingua sulla georgette inumidendo il capezzolo mandandomi in tilt.

«Ti prego smettila, non riesco...»

«... fingi di non capire quanto ti voglio...»

Tirò giù la bretella e tutto quello che copriva il seno e prese a baciarmi e leccarmi. Riuscii solo a mettergli una mano sulla testa, ma invece di spostargliela, gliela stavo tenendo ferma.

La mia schiena prese a contorcersi e le mie gambe lo catturarono. Continuavo a ripetergli di smetterla, il mio corpo era di tutt'altro avviso.

«Oddio Damien ti prego... non mi fare questo», e intanto mi strusciavo a lui.

Si tolse al volo la maglietta, poi leccò l'altro seno. Il suo torace caldo a contatto col mio mi faceva impazzire. Scese di nuovo e mi baciò l'interno delle cosce, qualcosa che avevo sempre detestato ma che in quel momento gli avrei fatto fare per il resto della vita. Risalendo verso la mia bocca, cercò di tirarmi giù gli slip. Gli bloccai le mani, non sapevo per quanto sarei riuscita a fermarlo. Lui non era quello di sempre e sembrava molto più determinato delle altre volte.

Mentre inarcavo la schiena dopo la sua ennesima passata di lingua, sentii che si stava slacciando i pantaloni. Oddio nonononono. Tornò alla mia bocca e mi baciò, io risposi senza ritegno e lo sentii entrare dentro. Sbarrai gli occhi, aveva appena dovuto spostare le mie mutandine. Non gli era servito altro, io ero così eccitata, così sconvolta da quello che stava succedendo che neanche mi ero accorta lo avesse fatto, mi sentivo drogata, senza forza di oppormi né a lui né al desiderio che avevo di lui. Pensai che ancora potevo rimediare, che se avessimo smesso in quel momento potevamo considerarlo un errore ma niente di irrimediabile, sì lui era dentro di me però avevamo appena iniziato, non era nulla di serio né di troppo sporco, insomma potevamo ancora guardarci il giorno dopo senza pensarci e... iniziò ad aumentare il ritmo.

«Fermati, fermati ti prego.»

Ma spinse di più facendomi ansimare. Cercavo di trattenermi, di nascondergli quanto mi desse piacere, non doveva conoscere quella parte di me.

Mi guardava, voleva leggere le mie espressioni e questo non potevo sopportarlo, quindi lo baciai. Io non volevo vedere le sue, sarebbe stato troppo, mi sarebbero rimaste in testa e le avrei ricordate per sempre.

Tornò a baciarmi il collo e poi il seno e io lo pregai ancora di smettere, di certo le mie gambe incrociate intorno a lui non mi stavano aiutando e lui non tentennò nemmeno un secondo. Anzi, iniziò a toccarmi e lì capii che non sarei più tornata indietro, che il nostro rapporto era cambiato, si era distrutto, andando in frantumi, e c'era qualcos'altro al suo posto, qualcosa di nuovo che non riconoscevo, non capivo, mi spaventava. Afferrai il cuscino per tenermi, lui comprese che aveva centrato in pieno il modo per darmi più piacere e continuò, mi baciò e poi mi fissò negli occhi.

«Ti amo.»

Mi crollò il mondo addosso. Forse il momento più sbagliato della storia dei "ti amo". Non poteva dirlo così, mentre facevamo l'amore o sesso o quello che era. Era senza valore, preso dalla foga, dall'istinto sessuale che preme per concludere con un orgasmo e ti fa dire cose che non pensi. Forse immaginava di darmi più piacere, forse pensava a un'altra, forse lo avrebbe voluto veramente, però era buttato lì e io non lo colsi. Non era vero, non poteva esserlo, non ci capivo più niente. Ma le sue dita presero il punto giusto e il movimento esatto e dopo poco inarcai la schiena e iniziai a tremare venendo. Potevo controllare la voce ma di certo non il corpo. 

Alla fine dei lunghi spasmi lui cambiò ritmo, adeguandoli al suo massimo piacere, avvertivo che si tratteneva dall'ansimare e, mentre ancora avevo l'orgasmo in circolo, capii dai suoi movimenti che stava per venire anche lui. Pur non volendo, lo guardai fino alla fine. Il suo sguardo estraneo mi terrorizzò. Era diverso da qualsiasi altro sguardo avesse fatto in tutti quei mesi, delle piccole vene si gonfiarono sul suo viso, vicino agli occhi. Forse si era reso conto di aver fatto una grande cazzata, forse temeva che da quel momento avessi chissà quale pretesa o speranza. E se questo era vero, non aveva capito con chi aveva appena fatto l'amore.

Rimanemmo a guardarci qualche secondo, entrambi sconvolti, come se fosse accaduto qualcosa nostro malgrado, come se non avessimo avuto il potere di evitarlo. Non potevo aspettare che fosse lui a dirmi che era stato uno sbaglio.

«Ok, allora fingiamo che è stato solo un sogno, non è mai successo niente», mi tolsi da sotto a lui mettendomi di fianco, dandogli le spalle. Il modo peggiore per terminare quell'enorme errore.

Non disse nulla, rimase lì accanto a me finché non mi addormentai. Lo sentii andare via molto più tardi, in piena notte.  

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