1. Chi non muore si rivede

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Vestri è caotica, non saprei in che altro modo descriverla. Con le sue strade trafficate e la cappa perenne di smog, le biciclette che sfrecciano peggio delle automobili, il mercato cinese in una piazza e la sinagoga in quella adiacente, la puzza delle fogne... la città perfetta per una campagnola come me.

E per una come me prendere la metro corrispondeva a un incubo a occhi aperti, specie se aggiungiamo la totale mancanza di orientamento. Dopo sette mesi e l'aiuto di due amiche esuberanti, però, mi sembrava già di non poter sopravvivere senza una galleria sotterranea e un paio di rotaie.

Ormai avevo imparato a riconoscere le facce di coloro che aspettavano alla mia fermata e finivano per appigliarsi ai pali dello stesso vagone, mostrandomi le ascelle delle loro belle camicie prive di pieghe. E così avevo memorizzato più o meno quelli che salivano dopo e sceglievano ogni giorno la medesima carrozza.

Nascondevo sempre il naso dietro un buon libro, eppure mi piaceva osservare. Mi piaceva molto.

Ecco perché quando giunsi a destinazione, e seguii la fila di studenti, mi cadde il romanzo dalle mani. Lo notai subito, con ancora un piede sul convoglio.

Non lo vedevo dalla seconda superiore e per un attimo non fui nemmeno sicura che fosse davvero lui, eppure quella massa di riccioli scuri era inconfondibile. Il naso era un po' all'insù come ricordavo, il viso aveva mantenuto le linee infantili e il corpo era rimasto asciutto come allora. Di troppo c'erano i tatuaggi, tantissimi segni neri che gli ricoprivano le braccia e raggiungevano il colletto della t-shirt.

Mi sfilò davanti con eleganza e, rapido, si confuse con le persone dirette in superficie. Non mi diede il tempo di fermarlo, salutarlo, o chiedergli perdono.

Raccolsi il libro frastornata, ignorando le occhiatacce di chi mi dovette raggirare e il suono assordante delle porte che si chiudevano.

Che cosa ci faceva in città? Da quanto eravamo stati costretti sullo stesso mezzo? Da dove era salito?

Con una smorfia, riposi il romanzo nella borsa. Più tardi avrei dovuto disinfettare ogni cosa.

«Diana Barbieri, sei appena diventata la ragazza più invidiata del mondo.»

Serena era minuta, addirittura più di me, ed era un concentrato di energie. Non avevo idea di come facesse a essere ogni mattina tanto pimpante, anche se era un lunedì. Spuntata da dietro l'angolo, mi intrappolò in un abbraccio e iniziò a saltellare con lo zainetto che rimbalzava con lei.

«Dio, ma ci credi? Tra tutte le smorfiose ha scelto te, l'innocente!»

«Potresti non urlare?» sibilai contro il suo caschetto moro. La galleria stava già cominciando a riempirsi, e i signori con le ventiquattrore non erano altrettanto allegri. Mi scostai e osservai le sue lunghe ciglia sbattere entusiaste. Strinsi le palpebre. «Di chi stai parlando?»

Smise di mordersi il labbro carnoso e strillò: «Edoardo Ferretti!»

«Chi?»

Mi fulminò con le iridi verdi. «Sai benissimo chi è.»

«Mi ha detto che ti trova molto carina e ovviamente Sere è impazzita» intervenne Ginevra, l'amica esuberante numero due.

Studiai la sua faccia squadrata, incorniciata da riccioli d'oro, e incrociai le braccia sotto il seno. «Non uscirò con tuo cugino» le dissi. «Non uscirò mai con ness...»

«Bla, bla, bla.» Serena mi afferrò il polso e mi trascinò su per le scale, facendomi quasi scivolare sulle cartacce abbandonate a terra. «Hai cambiato idea sul sesso dopo il matrimonio, quindi devi iniziare a guardarti intorno e caso vuole che abbiamo trovato il candidato perfetto.»

Giunte in superficie, con i raggi di marzo che mi accecarono, mi liberai dalla presa sudata. «Vuoi abbassare la voce?» Non mi vergognavo di essere stata una cattolica praticante, ma non volevo finire al centro dei pettegolezzi.

«Non ha tutti i torti, però» mormorò Ginevra, intanto che messaggiava al cellulare. Le sue unghie laccate di rosa antico scorrevano velocissime sullo schermo. «Edo può sembrare il classico dongiovanni, eppure è il ragazzo più fedele che io conosca. Se non fossimo parenti ci farei un pensierino.»

La incenerii, adesso si metteva a darle corda? Non faticavo a crederle comunque, avevo incontrato suo cugino qualche volta e sapevo che avevano ereditato la medesima chioma bionda.

«È già tutto organizzato, l'ho invitato alla mia festa» squittì Serena compiaciuta.

Scattai, pronta a ringhiare, ma alla fine alzai soltanto gli occhi al cielo di fronte al suo sorrisetto dietro l'accendino. Adorava stuzzicarmi, però io mi ero accorta della verità celata sotto il fare spumeggiante: non riusciva a trovare la persona giusta – non che avesse per forza bisogno di qualcuno – e ne soffriva, occuparsi della mia felicità la distoglieva dalla propria.

«Bellezze, guardate chi ho incontrato!»

E, nel voltarmi, ciascuna fibra del mio corpo pensò inevitabilmente a lui, i miei occhi lo videro persino.

«Finalmente Nicola si è degnato di tornare a lezione.»

Non prestai attenzione al ragazzo di Ginevra e a quel Nicola che si era portato appresso. Sulla gradinata dell'Università di Economia, tra studenti spaparanzati e professori in pausa, c'era la sua figura fasciata di nero. Camminava lieve, come se gli stivaletti sfiorassero appena il pavimento, e faceva ondeggiare allo stesso modo le braccia lungo i fianchi.

All'improvviso mi parve di non essermi mai diplomata: ero di nuovo in ritardo a fare lo slalom fra le macchine parcheggiate male – non capivo proprio cosa costasse alla gente fermarsi prima che il muso occupasse l'intero marciapiede. Ero a un passo dal cancello arrugginito del liceo, quando udii un gemito.

Non gli avevo mai chiesto scusa.

«Ma Diana sta bene?»

Misi a fuoco Gabriele, appiccicato a Ginevra, e sollevai gli angoli della bocca. Confermavano proprio la teoria degli opposti che si attraggono, loro due: alta e sofisticata lei, più basso e schietto lui; lei che non usciva mai con una ciocca fuori posto e lui che portava i capelli crespi sempre sciolti sulle spalle.

Sistemai gli occhiali sul naso ingombrante. «Certo, tutto okay.»

Non gli avevo mai chiesto scusa.

L'inizio delle lezioni mi tolse dall'impaccio, però non smisi un attimo di pensare a Rhydian. Davvero non mi ero mai resa conto che frequentasse la mia facoltà?

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro