2. A ogni tuo passo

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Ero sempre stata una brava ragazza, non dicevo parolacce e andavo a messa ogni domenica. A fregarmi, ovviamente, fu il tragitto.

Non ero mai riuscita a perdonarmi, nemmeno con le rassicurazioni del prete e le varie preghiere. Forse solo Rhydian avrebbe potuto donarmi pace, ma, di sicuro, se quella fatidica mattina l'avessi salvato, non avrei avuto bisogno di cercarlo e lui non avrebbe avuto bisogno di sparire.

Che ironia, mi ero traferita a Vestri per tagliare i ponti con l'ingenua Diana e invece mi ero ritrovata il passato alle calcagna. D'altronde, avrei dovuto capire già da settembre che non sarebbe cambiato nulla dalle superiori: mi ero immaginata l'enorme campus immerso nel verde di cui raccontavano i romanzi americani, non un anonimo edificio fin troppo simile al vecchio liceo.

Serrai di colpo il libro che avevo infilato tra quaderni e computer, la protagonista felice nella sua università dell'Ivy League mi stava decisamente dando sui nervi.

Controllai di nuovo i passeggeri della metro, tutti immersi nei loro cellulari, e tirai un sospiro, non volevo rischiare di incontrare Rhydian senza avere il discorso pronto. Un po' mi sentivo ridicola a rimuginare così tanto su un ragazzo che magari neanche ricordava chi fossi, eppure era più forte di me e soltanto altri anni e altra distanza mi avrebbero placata.

Quello che non avevo fatto era riprovevole.

Il sole delle quattordici ardeva quando riemersi dalla galleria e attraversai il viale. A quell'ora e in quella parte della città il traffico si dimezzava, ci si imbatteva giusto in qualche cane al guinzaglio.

E fu proprio un abbaio ad attirare la mia attenzione. Dal lato opposto della strada, tra gli alberi che costeggiavano l'ampio marciapiede, c'era lui. Procedeva leggiadro, parallelo a me, privo di zaino e ignorando il cane che non smetteva di ringhiare.

Persi un battito nel realizzare che doveva aver preso la mia stessa metro, forse addirittura salendo nel medesimo convoglio. Mi aveva vista leggere quella patetica storiella d'amore? Come avevo fatto a non accorgermi di nuovo di lui?

In ogni caso, pure se non praticavo più, dall'alto mi stavano offrendo sin troppe occasioni per redimermi. Feci un respiro profondo, ancorai la montatura degli occhiali sul naso e azzardai un passo.

Una sbirciata a sinistra, una a destra e... Rhydian era scomparso. Raggiunsi comunque l'altra parte della carreggiata e accelerai verso l'angolo vicino, ma la via si rivelò deserta. Girandomi, vidi solo la signora tirarsi dietro il chihuahua e allontanarsi con la brezza che le scompigliava il foulard sulla testa.

Sospirai. Sarà per la prossima volta.

L'appartamento in affitto era a pochi metri da lì, me lo ricordò lo stomaco brontolante. L'avevo scovato grazie a un annuncio affisso in facoltà dalla mia coinquilina, una calabrese trasferitasi in Lombardia per la magistrale.

Lei e io avevamo ben poco in comune, durante la giornata non ci incrociavamo quasi mai e perciò riuscivamo ad andare d'accordo. Quando tornavo a casa, lei se ne andava al pub dove lavorava e quando rientrava, io uscivo per le lezioni del mattino. Una routine perfetta per una che temeva la convivenza.

Nella mia stanza, sulla mensola, i romanzi erano disposti in ordine alfabetico e i vestiti divisi per tonalità nell'armadio; nella sua regnavano cd e caos. Nelle aree comuni permetteva al mio ordine maniacale di prevalere perché, d'accordo con me, non aveva voglia di pulire più del dovuto e teneva a essere sé stessa soltanto nella sua camera.

Quel lunedì ero tornata prima, per cui la trovai spaparanzata su una poltrona e più amichevole del solito. I colori sgargianti che indossava cozzavano con il salotto austero e minimale, che si univa alla cucina tramite una parete divisoria che mi arrivava al petto.

«Com'è andata oggi?» Quando parlava, pareva sempre avere le narici tappate.

Confusa, lasciai scivolare la borsa dalla spalla al pavimento piastrellato. «Ehm... come sempre.»

Verificai che sul tavolino al centro della sala non ci fossero aloni di caffè o cenere, poi studiai le sue guance stranamente rosa e gli occhi luminosi. Era appollaiata fra i cuscini e si abbracciava le ginocchia, come se stesse provando a tenere ferme le gambe. Il suo corpo era pieno e prosperoso, e io le invidiavo tantissimo il piccolo naso a patata. 

«Hai visto chi è venuto a lezione?» domandò emozionata.

Deglutii, il mio cervello era in grado di pensare a una persona sola.

«Nicola!» strillò, alzandosi di scatto. Quando cominciò a saltellare, con il seno che rimbalzava sotto la camicetta bianca, assomigliò a Serena. «Oh, mio Dio!»

«Aspetta, ma tu come lo conosci?» A malapena io sapevo chi fosse, dato che si era presentato in aula soltanto all'inizio del semestre e non si univa quasi mai alle uscite di gruppo.

Si calmò e risprofondò sulla poltrona, arricciandosi le punte delle ciocche tinte di rosso con aria sognante. «Ricordi quando veniste al pub tutti insieme?»

No, era successo più di un mese prima.

«Vi servii io e dopo la chiusura, quando i tuoi amici ci riaccompagnarono a casa...»

Mi avvicinai. «Un momento. Marika, ha cinque anni in meno di te!» Mi buttai anch'io sulla poltrona a fianco e rimasi a osservarla con le gambe a penzoloni oltre al bracciolo. Le mie, al contrario, erano due stuzzicadenti, nemmeno un po' di muscoli a giustificare la magrezza.

Sorrise, mostrando lo spazietto fra i denti. «Già, mi piace proprio per questo. Che ne dici, sabato scatterà il bacio?»

Non risposi, la sua espressione eccitata e il fatto che Serena l'aveva invitata alla sua festa di compleanno mi sconvolgevano. Quando erano entrate tanto in confidenza? Perché nessuno mi aveva riferito del flirt tra la mia coinquilina e il compagno di corso nerd?

«Comunque, io vado. Devo incontrare una mia amica prima del turno.» Volteggiò fino alla sua stanza con il sorriso e le sopracciglia già molte arcuate che ormai toccavano l'attaccatura dei capelli, mentre io scioglievo la treccia che avevo iniziato a creare distratta. Mi era anche passata la fame, tanto il frigorifero vintage doveva essere vuoto come sempre.

Forse mi stavo scoprendo un po' gelosa di Serena, la sua spigliatezza la faceva subito legare con chiunque. Mi venne da sfiorare in automatico il ciondolo a forma di croce celato sotto la maglietta, i miei genitori non sarebbero stati fieri di me.

Raggiunsi la finestra spalancata e posai i palmi sul davanzale colmo dei cactus di Marika. Non godevamo di chissà quale paesaggio, c'erano solo il muro incrostato del lungo palazzo che scorreva sino al semaforo e le macchine parcheggiate. Eravamo al primo piano e ogni volta temevo di beccare un ladro issarsi – doveva pur esserci qualcuno interessato alla mia collezione di tazze, una per ogni giorno della settimana.

Osservavo un gatto trotterellare sul marciapiede di fronte, quando lo scorsi ancora. Passeggiò tranquillo con le mani in tasca, senza mai sollevare il capo.

Era troppo.

«Rhy...»

«Davide, amore!» Una ragazza dai corti ciuffi sbarazzini si lanciò contro il giovane e lo riempì di baci, facendo fuggire il micio.

Con un sospiro, indietreggiai e mi appoggiai allo schienale della poltrona. Cominciava a mancarmi l'aria. Prelevai il telefono dai jeans e cercai Rhydian sui social, trovando soltanto altri gallesi che non erano lui.

Tolsi gli occhiali e massaggiai le palpebre. Ero io ad avere le allucinazioni o era lui a tormentarmi?

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