Capitolo 15 - Gli Innocenti

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La guerra era finita molto tempo dopo quegli eventi, non c'erano più case in fiamme, o campi di battaglia, ma cespugli rigogliosi scossi dal vento e un sole brillante cinto di nuvole. C'era pace. Quella pace però, agli occhi di chi aveva vissuto la guerra, ad occhi come quelli di Urian, così come quelli di Daniel, si ammantava di una sensazione irreale, era una quiete partorita dalla tempesta ed era a quella che ancora apparteneva.

"Credevi davvero di poterla salvare?".

Gli occhi di Urian erano finestre sgranate su un mondo di speranza, una speranza tormentata, arrivata come una marea che sollevava l'immagine della prigione in cui era stato gettato. Era facile intuire che i suoi pensieri erano rivolti ai suoi uomini. Tornavano lì seguendo strade battute fin troppe volte perché gli fosse possibile dimenticarle.

Daniel soppesò le parole, eppure la sua voce si ribellò alla ragione, abbracciò quel moto di speranza che un tempo aveva avuto lui stesso. La salvezza doveva pur esistere da qualche parte, anche se forse non gli sarebbe mai appartenuta.

"Mentre moriva sentii il suo sollievo. Lei era ancora lì. Dentro la creatura. Ero convinto che avrei potuto salvarla se ci fossi riuscito".

"Lo pensi ancora?"

Daniel fece per rispondere, ma poi abbassò gli occhi sul selciato, lì dove l'erba si allungava sul terreno tra i ciottoli e la polvere.

"Ebbi modo di studiare il fenomeno. Scoprii che episodi simili si erano verificati in tutta la città. Il responsabile aveva creato delle esche, tutte persone inermi, donne, vecchi, bambini. Vagavano per la città senza meta, come sonnambuli, in attesa di chiunque si avvicinasse. Quando i mistici del Sole li soccorrevano e infrangevano il sigillo le creature uccidevano tutti i presenti."

"Quindi, avevi salvato il tuo plotone."

Daniel distolse lo sguardo e riprese a camminare, "non fui io, ma l'uomo che aveva salvato me".

"Chi era?"

"Uno scacciademoni."

Urian accettò quella risposta evasiva. Registrò quel dettagio, prima di lasciar correre.

"Lui sapeva qualcosa delle creature?".

Daniel alzò gli occhi sulla strada. Fissava un punto più avanti, dove con una curva sinuosa cambiava direzione. Lì c'era solo un enorme cespuglio di rovi, il vento ne agitava il fogliame. Urian non fece in tempo a chiedergli cosa stesse fissando che Daniel si fermò, si guardò intorno e poi riprese a camminare in tutt'altra direzione, calpestò l'erba tagliando verso l'uscita più vicina.

"Dove stai andando?" chiese Urian accelerando il passo per raggiungerlo.

"Era arrivato prima di noi."

"Chi?".

"L'uomo che mi aveva salvato. Lo scacciademoni. Era arrivato via terra. Faceva parte dei volontari che venivano da Londra. Si erano mossi in anticipo, mentre l'Accademia aveva esitato, anzi Amis aveva esitato. C'era disperato bisogno di aiuti immediati e noi eravamo i più vicini, così alla fine aveva dovuto cedere. La verità è che eravamo giovani e inesperti, non voleva mandarci a Liverpool data la situazione, di cui ovviamente ne sapeva molto più di quanto mi aveva detto."

"Potevo dirtelo anche io che Amis stava raccontando un mucchio di frottole."

Un angolo delle labbra di Daniel scattò in alto, un sorriso fugace che lasciò solo ombre nei suoi occhi.

"Nessuno di noi era capace di uccidere persone innocenti. Noi sapevamo di partire per aiutare. Per questo molti davanti alle creature hanno esitato e sono morti. Proprio come stava per succedere a me se non fosse intervenuto lui. Sapeva cosa fare, mi ha salvato e non fu l'unica cosa che fece. Informò Anselm che la creatura era immune alla luce solo quando si trasformava in quella specie di melma nera."

Mentre parlava Daniel proseguiva a passo spedito. Non appena superò l'uscita del giardino e fu sul marciapiede si fermò, chiuse gli occhi e inspirò profondamente.

Urian lo studiò e per tutto il tempo si chiese cosa gli prendesse, se fuggisse da qualcuno, o se fosse fuori di testa, in effetti di segnali ne aveva avuti a bizzeffe. Alla fine si arrese, la risposta non gli interessava quanto invece faceva la questione delle creature.

"Ne avete trovate altre?".

"Molte. Aleph si era dato da fare. Nei giorni successivi riuscii a trovare alcuni... esemplari ancora umani", nella voce si sentì quanto quella parola lo turbasse, "li chiamavano così. Per la necessità di privarli di un'identità quando era diventato evidente che ucciderli era l'unica soluzione".

Urian capiva. Non era facile uccidere un uomo, ma un esemplare embrionale di mostro, sì, era più facile farlo fuori prima che creasse problemi.

"Quindi non esiste un modo per invertire il processo."

Daniel gli rivolse un'espressione crucciata, "fu la conclusione frettolosa di tutti, sì. Io studiai i sigilli e i ricordi delle vittime ancora vive e ancora umane. Mi convinsi che l'incantesimo che generava le creature fosse in grado di corrompere non solo il corpo, ma anche l'anima. La privava della luce."

"In che modo?"

"Era ciò che intendevo scoprire. Trovare il modo per invertire il processo era l'unico modo per fermare la mattanza che si stava diffondendo in tutta la città. Ma la paura aveva messo radici, Liverpool divenne ben presto un buco nero. Molti degli agenti del Sole persero la ragione, mentre altri, più di quanti si ammettesse, persero la fede. Mi convinsi che quello non poteva che essere il risultato dell'operato delle forze del caos."

"Ricordo che la chiesa del Sole negò che si trattasse di un ritorno del caos."

Daniel scrollò le spalle, "la chiesa non poteva fermare quel tumulto. Il fatto che la luce non potesse niente contro quelle entità rappresentava un problema importante. Se il mondo stava precipitando nel caos la fede nel Sole non poteva vacillare. La volontà della chiesa era quella di mantenere il potere il più a lungo possibile."

Urian scosse la testa. Si lasciò andare a pensieri di biasimo e furono quelli che per un po' riempirono il silenzio di Daniel, che dal canto suo si guardava intorno.

In lontananza c'era la sponda del Reno, luccicava dei riflessi del sole. Il fiume era sormontato dalle dita di ferro di un ponte dalla schiena larga. La curva immensa che varcava quella superficie agitata era il risultato della geometria perfetta di quel gigante.

"Il Sole rappresenta la ragione e la ragione è l'unica cosa che può arginare il disordine" disse.

"È questo che vi raccontate per dormire bene la notte?".

"Non ho mai dormito bene", Daniel gli lanciò un'occhiata "e tu? Dormi bene?".

"No, non dormo affatto da quando sono morto."

L'espressione di Daniel si fece più assorta, si scontrava con quella dura di Urian in un frangente che prima era risacca e poi l'annegava avvolgendone gli angoli frastagliati, invadente come schiuma, lo indagava.

"Sei la prima creatura di Aleph che è in grado di parlare in cui mi sia mai imbattuto."

Incerto Urian non sapeva come accogliere quelle parole, troppo impacciato accantonò la confusione per tornare al punto di partenza, "hai mai incontrato Aleph di persona?".

"Sì. Eppure no. Accadde quando Londra è caduta."

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