Capitolo 16 - I ricordi di Daniel

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[Attenzione: ci sono state delle modifiche, il nome Rufus è stato sostituito con Anselm]

Una coltre grigia si stendeva sopra Londra, la bucavano solo le smerlature delle torri più alte che si stagliavano distinte nel cielo plumbeo.

Davanti a quel banco di nebbia abbassai lo sguardo. Avevamo impiegato troppo tempo per arrivare.

L'ordine di raggiungere la capitale era giunto poco dopo che le fiamme avevano smesso di bruciare Liverpool. Le rivolte però, ci avevano rallentati. Si erano diffuse, divampate a macchia d'olio con una rapidità che lasciava supporre un disegno preciso, o almeno una forza che si muoveva a nostro sfavore. Ovunque mettessimo piede, la follia era lì ad aspettarci. Aveva forme sempre diverse, ma tutte osteggiavano l'avanzata e la nostra fede.

Arrivammo a Londra come uno sparuto gruppo di mistici rispetto all'armata che si era riunita a Liverpool.

Temevo che il caos serpeggiasse dietro questi avvenimenti, ma il modo in cui agiva rimaneva un mistero. Le persone sembravano semplicemente impazzire. Nessuna delle lezioni in Accademia mi aveva preparato ad una cosa del genere. Il concetto del "caos" era tramandato come una forza indefinita, il nome attribuito a stravolgimenti appartenuti a tempi antichi, un'energia che si diffondeva distruggendo intere civiltà e lasciando di esse solo ruderi.

Era possibile che il segreto di quel fenomeno fosse celato in tomi polverosi all'Accademia, ma non mi era possibile tornare, la biblioteca del Sole a Londra era la mia unica speranza. Tuttavia, la sensazione di tormento che proveniva dalla città era una morsa che stritolava ogni mia speranza.

Il generale Anselm si fece avanti e la sua voce tuonò nel silenzio in cui erano piombate le nostre schiere.

"Invochiamo il Sole, arcano onnipotente, signore glorioso di tutto ciò che è giusto. Perché noi siamo la sua mano e attraverso di noi porterà la luce nell'oscurità."

Guardai il cielo coperto, non era un buon segno. L'avanzata era stata disgraziata dall'ombra fin dai primi momenti e Anselm lo sapeva fin troppo bene. Il Sole si asteneva dal volgere lo sguardo verso la nostra impresa. La ragione ci era oscura.

"Oggi porteremo la Sua luce dentro di noi, e così la ragione dove c'è follia e la salvezza dove c'è disfatta."

Sentii la convinzione di Anselm tremare, il suo volto però, rimase duro. Le sue parole, però, non attecchirono nemmeno nell'anima di coloro che, tra di noi, già credevano di trovare il Reggente appeso per il collo.

Non ricevevamo dispacci da Warner da molti giorni. Avevamo visto troppo per credere che non fosse un brutto segno.

Anselm fece correre per l'ultima volta gli occhi sugli accoliti che rivolgevano lo sguardo al cielo, così come le loro preghiere.

"Questo è il momento di dimostrare la forza della nostra mano e con essa la forza della nostra fede. Avanzeremo senza paura, in nome del Sole e in nome di tutto ciò che è buono."

Baciammo il palmo e lo alzammo al cielo, poi, nel silenzio, avanzammo oltre il muro di nebbia.

Tutto in città era avvolto in una coltre fitta, riuscivo appena a distinguere i compagni al mio fianco. Lo scacciademoni che mi aveva salvato era accanto a me, riuscii a mantenere la calma aggrappandomi alla sensazione confortante che mi trasmetteva la sua fermezza.

In quella penombra grigia, uniforme, ci orientavamo con difficoltà. Costeggiavamo il fianco dei palazzi. A stento riconoscemmo la città illustre dei racconti. I portoni erano sfondati, i palazzi vandalizzati, molte delle mura erano crollate.

Giunti in una strada rettilinea avvertimmo un rimbombo che si avvicinava.

Sentii il suono schioccante di chi caricava i fucili, la luce era troppo fioca perché fosse semplice generare armi dalla consistenza adeguata, pochi erano nell'animo giusto per attingere alla propria luce interiore. Dal canto mio non amavo il peso delle armi, il contatto gelido con il metallo. Ignorai quell'iniziativa. Rimasi in ascolto. Percepii un'emotività sconvolta, un nugolo ronzante di panico e orrore.

I tonfi si trasformarono nel suono di una corsa spasmodica. Nella coltre emerse la sagoma indistinta di un individuo. La voce di Anselm riecheggiò ovattata. Gli intimò di fermarsi, ma quello non diede risposta, proseguì imperterrito. Percepivo ansia. Rabbia. Una scintilla di felicità. Ci correva incontro.

Qualcuno gli sparò. Sentii il colpo, ma ancora di più sentii il dolore che causò.

L'individuo in corsa franò con uno slancio in avanti, finì ai piedi della prima linea. Scattai in direzione della caduta, sfuggii alle mani dello scacciademoni che tentò di fermarmi e mi gettai su un ginocchio.

Il mio sguardo incrociò occhi stralunati, sbarrati, solcati da vene livide, appartenevano ad un volto rugoso e contratto, sentii l'odore acre del sudore e la sua gioia selvaggia. Poi, tutto scomparve in un'ultima esalazione.

Coprii i suoi occhi e lo guardai. Non aveva vestiti a coprire il suo corpo floscio, solo un paio di scarpe. Rabbrividii per il freddo e per quel sorriso storto che non si era spento quando ciò che l'animava l'aveva abbandonato.

L'uomo che mi aveva salvato mi strattonarono via e attonito tornai al mio posto.

Cominciò allora, nella massa di nubi increspate, un frastuono cupo, un rimbombare di tuoni, come se si avvicinasse una tempesta invisibile. Un boato che si gonfiò a dismisura, s'infranse contro le pareti degli edifici, riecheggiò dilatato, si attenuò per poi risalire ad un'intensità mostruosa, rintronò lungo la strada.

La paura dei miei compagni si mescolò ad un'ondata di frustrazione che s'infranse contro i miei nervi. La nebbia ci impediva di vedere qualsiasi cosa e anche se potevamo percepire la direzione da cui provenivano quei suoni, avanzare alla cieca era un atto di fede forse fin troppo grande.

"Avanti! In nome del Sole, avanzate!"

Eravamo la forza della ragione. La mano del Sole. Anselm lo ripeteva infinite volte, seguimmo la sua voce invece di ciò che ci aspettava al di là di essa. Ad unirci era la paura di rimanere soli nella nebbia.

Tutt'intorno cominciammo a sentire un coro di gemiti e lamenti, inframmezzati dalle grida acute delle persone in preda ad una follia che percepivo omicida. La nebbia si animò di decine e decine di ombre agitate, una danza che si fece ad ogni passo più vicina.

Si abbatterono contro di noi, uno dopo l'altro, individui schiumanti di rabbia. I suoni degli spari si fecero frequenti, assordanti. Un sentore di sangue si diffuse in tutta la zona. Ho ancora vivo il ricordo di una donna incinta che si reggeva la pancia, si gettò ai miei piedi aggrappandosi ai calzari. Pronunciava preghiere lamentose. Mi piegai per aiutarla a sollevarsi, ma non appena fui abbastanza vicino mi si aggrappò ai capelli e cominciò a tirare.

Rideva sguaiata mentre mi trascinava a sé nella coltre.

Nel tentativo di liberarmi franai a terra. In un attimo mi si avventò addosso, afferrò l'elsa della mia spada per sfilarla. Le afferrai le braccia. La guardai. Il suo volto era paonazzo, gli occhi sgranati, fuori dalle orbite. La violenza del suo sguardo e delle sue intenzioni mi sconvolgeva e in qualche modo mi attirava a sé. Qualcosa mi strattonava verso l'abisso che intravedevo nei suoi occhi. Non appena sbirciai il buio oltre il dirupo delle sue ciglia, fui percorso da un brivido.

Fu la paura a spingermi a cercare dentro di me la luce. Era la stessa che mi aveva afferrato quando anni prima ero con Amis al tempio dell'Accademia. Percepii distintamente la presenza del Sole dentro di essa. La strinsi a me, m'invase un senso di quiete come un flusso di calore che nasceva da quella sorgente. Poi, la lasciai andare.

Emisi un'onda che mi costò buona parte della mia tempra, ma che disarcionò la donna, scaraventandola a terra. La radiazione luminosa che l'accompagnava attraversò la nebbia per un tratto, breve, ma sufficiente a restituire chiarezza. Allungai una mano per trattenere quella luce. Pregai il Sole perché mi aiutasse a condensarla in un unico punto, una sfera, che si formò sul mio palmo.

Mi alzai e tornai di corsa dai miei compagni. Si aprì davanti a me un mare di carne in movimento. Corpi sporchi di polvere contro i miei compagni dalle armature sfatte. Tra loro si svolgeva una lotta feroce. Non potevo fare a meno di trovare in quello spettacolo convulso qualcosa di grottesco che faceva pensare a dei vermi che si attorcigliavano gli uni agli altri. D'improvviso calmo e distaccato vedevo l'assurdità di quell'avvenimento nella sua crudezza. Lottavamo contro persone prive di senno. Era una guerra senza senso.

Mi mossi tra le urla stridule, di trionfo e di dolore, tanto dei folli quanto dei fedeli del Sole. Vidi una donna dai capelli rossi che staccava a morsi l'orecchio dal cadavere di una donna. Scorsi gli occhi vitrei di Astrea. Una spada si abbatté sibilando, tagliò la gola della donna, che si rotolò nel suo stesso sangue, contratta da spasmi.

Qualcuno mi afferrò il braccio. La luce che trattenevo sul palmo sfarfallò. La vertigine di paura che mi fece scattare verso la spada scomparve non appena incrociai gli occhi di Anselm. Fissava la luce che avevo sul palmo. Le sue labbra si muovevano svelte, snocciolavano preghiere rivolte al Sole.

"Anselm!" posai la mano sulla sua spalla, lo scossi per distrarre la sua attenzione dalla luce, "dobbiamo ritirarci, stiamo massacrando dei civili innocenti".

Dalla sua gola emerse una risata roca, "innocenti?".

Affiorò nella sua anima quel nugolo di sentimenti confusi in cui avevo imparato a riconoscere la pazzia.

Alzò gli occhi con un movimento meccanico, innaturale. Non riconobbi l'uomo che aveva pregato il Sole insieme ai suoi soldati.

"Chi è innocente? Nessuno di noi riesce ad usare alcun incantesimo. Non c'è luce dentro di noi. Non c'è luce da nessuna parte. Siamo maledetti, Daniel. Il Sole ci ha maledetti."

Non riuscii a rispondere. La luce stava attirando l'attenzione, non solo dei miei compagni che si facevano sempre più stretti, ma anche dei folli. Si avventavano sulla schiera accalcata intorno a me, erano tutti troppo distratti dalla luce per poter reagire, così finivano per essere sopraffatti sotto i miei occhi.

"Tu a quanto pare no, Daniel. Perché? Perché riesci ad evocare la luce?".

Non lo guardai, avevo gli occhi incollati ai fedeli che continuavano ad assieparsi intorno alla luce.

"Non lo so. Ma devo spegnerla."

Anselm emise un grido che si articolò in un "no" violento come uno schiaffo.

"Dalla a me! Ne avrò cura, la porterò lontano."

Anselm era fuori di sé.

Tutti erano furi di sé.

"Questa dev'essere opera del Matto. Ma non so come abbia fatto a far impazzire un intero paese."

Anselm alzò lo sguardo, qualcosa lo aveva riscosso, per un secondo pensai che fosse tornato in sé, ma poi sorrise e compresi che niente di quello che dicevo avrebbe avuto un senso per lui.

"È quello che succede senza la luce. Dammi la tua, Daniel. Dammi la tua luce. Devi essere misericordioso, ricordi? Dammi la tua luce".

Si aggrappò al mio braccio, l'altra mano corse all'elsa della sua spada.

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