Capitolo 2 - Il Sole

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Urian abbassò gli occhi perché nell'altro scorgeva una pace che non riusciva a sopportare. Vide la propria mano ancora accolta nella sua presa. La svincolò con uno strattone e lasciò cadere il pezzo di vetro che aveva raccolto.

Arretrò fino ad incontrare il fianco del palazzo alle sue spalle. Vi si appoggiò, stringendosi la mano nell'altra. Il coccio gli aveva tagliato il palmo, il dolore era una fitta che gli mordeva la pelle.

L'estraneo si avvicinò, con quell'aria pacifica stampata sulla faccia. Urian si ritrasse con l'impetuosità di un cane rognoso. Strinse la mascella. L'uomo alzò le mani in segno di resa.

Urian lo squadrò con aria sprezzante, ma l'alcol gli faceva brutti scherzi, perché aveva la sensazione d'intravedere un movimento particolare della luce intorno alla sua figura; galleggiava in pulviscoli chiari tutt'intorno ai suoi folti ricci. Illuminava la sua fronte pallida, si concentrava nei suoi occhi chiari, come luccichii su un lago cristallino. Vi scorse calma, intenzioni innocue e un richiamo che prometteva affetto.

Davanti a quegli occhi Urian trovò difficile rimanere sulla difensiva. Si aggrappò tenacemente agli ultimi scampoli di diffidenza, ma quando l'estraneo avvicinò la mano per prendere la sua, lo lasciò fare.

L'attenzione di quell'individuo si concentrò sul taglio sanguinante che gli attraversava il palmo. Vi avvicinò le dita, lo sfiorò appena, ma al loro passaggio si illuminò una luce dorata. Era calda, piacevole. Durò poco più di un secondo, un tempo tanto breve che Urian ebbe appena il tempo di riscuotersi dalla sorpresa. Ritrasse malamente la mano e la studiò, pulì il sangue con il pollice e scoprì che la pelle era tornata integra.

L'estraneo era un mistico.

"Non avresti dovuto" latrò con poca convinzione. Il conforto era una dipendenza insidiosa, non poteva, anzi non doveva, accettarlo. Eppure, la riconoscenza era lì nella sua voce.

Lo sconosciuto, in tutta risposta, scrollò le spalle. Accennò un sorriso a labbra chiuse, che bastò ad illuminare i suoi occhi. Una reazione che infastidì Urian, puntò di nuovo il suo sguardo furente sulla mano risanata. Non c'era nemmeno una cicatrice a dimostrare la sua debolezza.

"Sei uno di loro, non è vero?" mormorò disgustato, "un accolito del Sole."

Quella razza di mistici era la peggiore. Li conosceva da una vita, ma comprese la loro natura solo quando gli era capitato di vedere alcuni preti del Sole alle mense dei poveri, o ai riti religiosi che venivano imposti nei centri di accoglienza, dove potevi rimanere per la notte a patto che ti sorbissi una lunga messa. Si comportavano come fossero appollaiati su un piedistallo molto alto, da cui osservavano con misericordia la sofferenza umana.

Lo sguardo di Urian si fece più duro. Cercò sul volto dello sconosciuto la sua confessione, ma vi trovò solo un'espressione indecifrabile. Sulla sua fronte si corrugò un'onda accigliata. Quando parlò, Urian credette di scorgere nella sua voce un dolore tanto profondo da fargli sperare, per un attimo, di potersi rimangiare le proprie parole.

"Perché lo dici?"

"È così?"

L'estraneo esitò, sul suo volto si animò un'espressione pensierosa. Poi, scrollò la testa, "no".

"E allora chi sei?"

"Daniel."

Urian ripeté quel nome tra i propri pensieri, non gli era del tutto estraneo. Al mondo, però, potevano esserci milioni di Daniel del Sole, sebbene fossero davvero pochi quelli di cui poteva aver sentito parlare.

"E tu?"

"Cosa?"

"Chi sei?"

Urian allontanò lo sguardo. S'infilò le mani nelle tasche del suo cappotto cencioso in cerca delle sigarette.

"Non sono nessuno. Perché vuoi saperlo?"

Daniel si strinse nelle spalle, "non so, credo che tu sia importante per qualche ragione".

Urian si fermò, con una sigaretta in una mano e il pacchetto accartocciato nell'altra.

"Ti ho detto che non sono nessuno."

"Tutti siamo qualcuno nel grande equilibrio delle cose", Daniel pronunciò quella frase come fosse un'ovvietà, tanto scontata da farlo sorridere, un sorriso cordiale.

Urian avvicinò la sigaretta alle labbra.

L'equilibrio.

Emise un verso infastidito.

"Allora tu chi sei nel grande equilibrio?" pronunciò quella parola facendo svolazzare la mano con voluta ironia. Poi, cercò nei pantaloni l'accendino.

Daniel sorrise, un sorriso ampio questa volta. I suoi occhi catturarono la luce, un lampo divertito che gli attraversò lo sguardo. L'azzurro delle pupille sembrò diventare dorato. I suoi occhi avevano qualcosa di strano, innaturale. Urian ne aveva già visti di simili, in un mistico che gli aveva dilaniato l'anima. Tuttavia, Daniel non possedeva nemmeno l'ombra della perversione che aveva visto in lui.

"Non rispondi?" lo incalzò Urian con una vena di cattiveria nella voce. Non per ferirlo, o forse sì, per fare breccia dentro di lui, farlo crollare. La curiosità era un'alleata indiscreta, ma aveva bisogno di sapere tutto ciò che poteva su di lui per riuscire a sfuggire a quella necessità intima e vergognosa di avere ancora il conforto della sua compagnia.

"Sono un guaritore."

"Della Temperanza?" domandò avvicinando l'accendino alla sigaretta.

"Non appartengo a nessuno".

Urian scoppiò a ridere espirando una boccata di fumo grigio, "non c'è mistico che sappia usare la magia senza l'aiuto di un Arcano".

Non ricevette risposta.

Urian alzò gli occhi su di lui, lo osservò inspirando a fondo dalla sigaretta.

"Perché mi hai salvato?"

Daniel incrociò i suoi occhi. Urian vi scorse tristezza. Parve affranto, non pentito, ma consapevole del fatto che quella scelta in qualche modo l'avesse ferito.

"Sentivo che dovevo farlo. Credo che tu sia importante. Per quanto desideri di morire, sento che hai ancora un ruolo da svolgere in questa vita. E non è quello di fare da custode del lutto che ti porti dentro, ma qualcosa di più grande."

La sua voce conteneva incertezza e convinzione insieme, un fuoco incrociato che si dibatteva nelle sue parole. Però, non fu questo che colpì Urian come un pugno allo stomaco. Non fu nemmeno la promessa di un nuovo misterioso scopo. Fu la sua precisa conoscenza del segreto che gli si ritorceva nel cuore.

Proprio quando Urian comprese chi fosse, il volto di Daniel si rabbuiò.

"Tu sei quel Daniel, non è vero? Sei lo Splendente."

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