Capitolo 5

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Erano ormai le 21:00 e Michael si stava stiracchiando sul divano del salotto.

Dovette sbattere più volte le palpebre per mettere a fuoco la stanza circondata dal buio fitto.

Allungò la mano ed accese la lampada posta su ad un tavolino a ridosso del divano imbottito.

Il salotto era silenzioso, il maestoso camino faceva da cornice a quella casa piena di ricordi. Non vedeva l'ora di accenderlo, come quando era piccolo, che lo accendeva seguendo alla lettera le istruzioni di suo padre, sempre accanto a lui.

«Non avvicinarti troppo. Non si scherza con il fuoco. Se fai le cose in modo frettoloso potresti rischiare d'innescare un incendio».

Suo padre glielo ripeteva sempre, facendogli mille raccomandazioni.

Si rese conto di non aver sentito rientrare sua madre.

Dopo essersi alzato dal divano, si diresse in cucina. Il cellulare era ancora appoggiato sul tavolo da pranzo.

"Sicuramente sarà già a letto" pensò.

Si diresse al piano superiore, ma la camera da letto della madre era vuota. Così come tutte le altre stanze.

Alla fine del corridoio vide una fioca luce provenire dallo studio di suo padre. Si avvicinò.

Al suo interno non c'era nessuno, la botola che conduceva alla stanza sotterranea era coperta ed era tutto come l'aveva lasciato.

«Sicuramente ho solo dimenticato di spegnere la luce nella fretta» pensò.

La preoccupazione per il ritardo della madre iniziava a farsi sentire, nella sua mente rimbombavano pensieri poco tranquilli e l'ansia stava per pervaderlo.

In quel momento non sapeva cosa fare. Uscì dall'ingresso principale e fissò la stradina sterrata che portava alla casa, nella speranza di vedere i fari della Jeep in avvicinamento. Buio totale.

Si sedette in veranda accendendosi una sigaretta.

Il cielo era finalmente libero dalle nuvole e le stelle iniziavano a brillare circondate dal buio della notte che stava arrivando.

Prese il cellulare e cercò informazioni sul Greenside Asylum, nella speranza di distrarsi da quell'attesa estenuante.

Su internet non si diceva molto.

Il Greenside Asylum era stato aperto nel 1945 dopo la guerra ed inizialmente ospitava ex militari per poi ufficializzarsi come istituto psichiatrico nel 1951 per poi chiudere definitivamente nel 1993.

Non c'erano notizie recenti e nell'ultimo decennio di attività dell'istituto psichiatrico sembrava essere un buco nero.

Nessuno ne aveva più parlato e nessuno ne aveva fatto più notizia.

Non esistevano nemmeno informazioni sulla sua chiusura. Era come se avesse chiuso da un giorno all'altro.

Oppure, a nessuno interessava.

In quel momento, un rumore di pneumatici attirò la sua attenzione.

Sua madre era finalmente tornata.

Attese che parcheggiasse davanti casa per poi andarle incontro.

«Mamma! Mi ha fatto preoccupare, non ho più avuto tue notizie, pensavo andassi solamente a fare la spesa» disse a Jane, con un tono preoccupato ma accusatorio.

«Perdonami tesoro. Ho dimenticato il cellulare a casa. Ho fatto la spesa ed al bar fuori il supermercato ho incontrato Lisa, te la ricordi? Abbiamo fatto un aperitivo, ma quando sono tornata in macchina mi sono resa conto che una delle gomme era a terra. Lisa ha chiamato per me l'officina di Jackson e sono venuti a prenderla con il carro attrezzi. Ho atteso tre ore prima che la sistemassero e poi sono venuta a casa. Non volevo farti preoccupare» disse Jane abbracciando il figlio.

«Prometto che non dimenticherò mai più il cellulare a casa» continuò con un lieve sorriso.

«Va bene mamma. Andiamo a dormire ora, è tardi» replicò Michael.

Prese le borse della spesa dal baule della Jeep, per poi sistemare i prodotti in cucina, ordinandoli negli scaffali.

«Mich, tesoro io mi faccio una doccia e vado a letto. Buonanotte» annunciò Jane.

«Buonanotte mamma» Rispose Michael con aria pensierosa.

Non aveva sonno, la giornata appena passata gli aveva risvegliato la mente.

Andò nuovamente in cortile, fece un giro intorno alla casa, ammirandola dall'esterno.

Si soffermò davanti al patio, osservando quei pochi metri quadri che nascondevano "quella stanza".

«Chissà se mamma ne è a conoscenza» pensò.

Decise che voleva scoprirne di più prima di parlarne con sua madre. Magari lei non ne sapeva nulla.

Ma quella data sul foglio, quella data era recente. Chissà se rischiavano di trovare qualcuno di estraneo nella villa, un giorno o l'altro.

Stava rientrando in casa quando infilò la mano nella tasca della giacca. Al suo interno c'era un foglietto.

Era il pezzo di una lettera scritta a mano. Doveva averlo infilato in tasca inconsciamente quando Jimmy lo aveva chiamato.

"...sono così sconcertato.

......le mie braccia fanno fatica a sorreggersi.

...chiatrico succede ben altro e nessuno lo saprà mai."

Erano tutte frasi a metà, il resto della lettera doveva trovarsi ancora in quella stanza. A meno che non fosse stata strappata di proposito.

Rientrò in casa ed accese la torcia del cellulare per salire le scale fino alla sua stanza, in modo da non dare fastidio alla madre.

Si spogliò e si mise un paio di pantaloncini ed una t-shirt.

Si mise a letto e si addormentò con molti pensieri per la testa.

«Chi veniva qui? Nella sua casa.

Perché c'era una stanza nascosta?

Chi aveva scritto tutte quelle lettere?

E soprattutto perché?»

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