11. L'OMBRA

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Fui svegliata all'improvviso dalla melodia squillante del cellulare e il mio corpo rispose con una sinfonia di dolori muscolari. Aprii gli occhi facendo un enorme sforzo e mi sfregai il viso per scacciare via la stanchezza che ancora mi avvolgeva. La stanza era immersa nell'oscurità, il suono insistente del telefono sembrava davvero fuori posto in quel momento di quiete.

Nella penombra, cercai di orientarmi. Il cuore sussultava a ogni squillo, non potevo evitare di interrogarmi su chi potesse chiamarmi così presto. Gettai uno sguardo alla mia destra, pensando di scorgere Louise ancora addormentata accanto a me, invece, trovai il suo lato del letto vuoto e i lenzuoli lasciati aperti alla rinfusa.

«Pronto?»

Non rispose nessuno, ma inspiegabilmente il cellulare continuava a vibrare. Guardai meglio il display e notai che era una videochiamata.

«Emma, vieni nella mia camera. Subito» mi ordinò il faccione di Frank spremuto sul monitor del suo cellulare.

Con la coda dell'occhio notai il rec acceso, stava videoregistrando.

«Louise non c'è», riuscii a dire soffocando a stento uno sbadiglio. «È sparita».

«Tranquilla, è qua con me. C'è anche Ethan, manchi solo tu. Vieni»

«Ok» mormorai, chiudendo la videochiamata.

Con gli occhi ancora gonfi per il sonno, scivolai fuori dal letto, appoggiandomi su un braccio indolenzito che sembrava avere la stessa consistenza di un noodles. In un vano tentativo di evitare i grovigli della biancheria che sembravano avere vita propria, finii per inciampare. Mentre tentavo di alzarmi, il lenzuolo, come un polipo affamato, mi trascinò giù dal letto con un tonfo fragoroso.

Mi ritrovai distesa sul pavimento, intrappolata in quelle malefiche strisce di stoffa che mi avevano avvolto in un abbraccio mortale novanta per cento cotone. Iniziai a liberarmi con movimenti lenti e misurati, cercando di mantenere la calma. Tuttavia, la chiamata urgente della natura trasformò la mia lotta per la libertà in una danza frenetica e disordinata.

Zoppicando e ancora avviluppata al lenzuolo, mi trascinai al bagno, con passi goffi e sgraziati. Finalmente raggiunsi la toilette e mi sedetti sulla tazza con un sospiro di sollievo. Ma appena cominciai a fare pipì, il sonno e l'equilibrio precario si allearono contro di me. Con un urto e un grido soffocato, sfiorai per un pelo l'orlo del water, riuscendo per miracolo a mantenere l'equilibrio in una bizzarra posizione alquanto instabile. Alla fine, quando ebbi finito di espletare il mio bisognino, mi spostai verso il lavandino per sciacquarmi il viso e la mia sonnolenza si dissolse all'istante.

Aprii l'acqua fredda e, con un urlo di sorpresa, la gettai rapida sul viso. Gli occhi si spalancarono e il mio corpo si irrigidì. Come avevo previsto, quello stratagemma fu una sveglia brusca e vigorosa. Ero pronta per affrontare il gruppetto di cospiratori.

Mi vestii rapida indossando un paio di jeans strappati, una t-shirt verde acqua e delle sneakers nere. Mentre camminavo lungo il patio, mi legavo i capelli con un elastico e non potevo fare a meno di pensare che si erano riuniti come i cavalieri dell'Apocalisse nella stanza di un Motel. Se avessero voluto partire senza fare storie mi avrebbero chiamata all'ultimo minuto e mi avrebbero aspettata davanti al taxi con il motore acceso. Saluti, abbracci, baci e a mai più rivedersi. Invece, Frank mi voleva in camera sua come ultima convocata, tra l'altro.

È una cospirazione ai miei danni, non può essere diversamente, conclusi. Vogliono convincermi a desistere.

Bussai decisa alla porta della stanza dello Youtuber, che mi aprì subito. Non proferì parola, neanche un buongiorno, si limitò a farmi un cenno con la mano per invitarmi a entrare. Era impeccabile con una camicia grigia, un paio di pantaloni scuri e i capelli pettinati all'indietro. I suoi occhiali, dalla montatura classica, poggiavano sul naso e aveva un'espressione seria in volto.

È successo qualcosa, mi allarmai.

Appena dentro, notai Ethan seduto sul letto con il laptop di Frank poggiato sulle ginocchia. Il suo profilo era concentrato sul monitor, non dava alcun segno di aver notato la mia presenza. Accanto a lui c'era Louise con un vistoso vestito giallo canarino che non si poteva proprio fare a meno di notare. Anche lei aveva gli occhi fissi sullo schermo.

«Cosa sta succedendo?», mi decisi a chiedere.

«Vieni a vedere cosa ha ripreso Frank ieri sera» rispose laconico Ethan.

Mi avvicinai incuriosita e Louise mi offrì subito il suo posto. Mentre mi sedevo, il mio braccio sfiorò quello di Ethan e sentii la sua pelle nuda, lasciata scoperta dalla t-shirt con le maniche tagliate. Un'ondata di inquietudine mi investì, ma cercai di non far trasparire il mio turbamento. Con la coda dell'occhio, mi sincerai che nessuno dei presenti se ne fosse accorto e notai che erano tutti concentrati sul video. Sembrava davvero che ciò che aveva registrato Frank fosse importante.

«Lo rimando dall'inizio» mi informò lui.

Fissai lo schermo buio fino a quando non apparve l'immagine della schiena di Ethan che guidava la spedizione della sera precedente. Nonostante l'oscurità che ci avvolgeva e le luci infrarosse che non erano state di grande aiuto, riuscii a riconoscere il sentiero. Intravidi anche i miei capelli ondeggiare poco lontano, riconobbi le nostre voci e il caratteristico fondoschiena di Louise...

Porco di un Frank hai indugiato parecchio sul culo della tua amica, osservai divertita.

Nessuno commentò la ripresa, quindi, evitai di fare la battutina che avevo sulla punta della lingua. Strano che Ethan non avesse ancora colto l'occasione per punzecchiarlo.

La scena proseguì come la ricordavo. Osservai con attenzione ogni dettaglio, aspettandomi che da un momento all'altro potesse comparire chissà cosa, ma tutto sembrava identico a quanto avevamo vissuto.

Il filmato scorreva liscio fino al momento in cui Ethan aveva preso a spintonarsi con lo spacciatore. Davanti ai miei occhi appariva Frank che se la faceva sotto in un angolo dello schermo, mentre i narcotrafficanti sghignazzavano soddisfatti. Poi vidi Ethan che, come al solito, si mostrava impavido e rischiava l'osso del collo. Nel frattempo nella mia mente, fuori dalle scene riprese dalla telecamera, rivivevo il ricordo di Louise che invece portare via le armi, come le avevo ordinato di fare, le nascondeva tra i cespugli in dono agli scoiattoli.

Niente di nuovo, mi ripetei delusa.

Stavo per protestare, convinta che mi avessero svegliata per niente, quando ecco che iniziai a notare qualcosa di sinistro poco distante dal gruppo di stronzi che osservavano la discussione tra Ethan e il loro capo. Strinsi gli occhi riducendoli in piccole fessure con l'unico scopo di focalizzare meglio l'immagine. Una figura scura, molto inquietante, si trovava proprio dietro la scena principale che, purtroppo, oscurava in parte la mia visuale.

«Manda indietro» ordinai. «Mi è passata troppo veloce davanti agli occhi».

Ethan obbedì in silenzio.

L'ombra solenne, troppo grande e contorta per appartenere a una figura umana, si stagliava tra gli alberi.

«Ma che diamine... cos'è?» chiesi sconcertata.

«Ce lo stiamo domandando anche noi» mi rispose Frank.

Notai che si curvava un po' su se stessa, imponente e angosciante, come una minacciosa sentinella nell'oscurità. Sembrava immobile, ma emanava comunque un'aura di paura palpabile. Del suo corpo erano appena visibili i contorni, mentre i lineamenti erano avvolti in una coltre nerastra che si mescolava con le tenebre circostanti. Nonostante quel punto fosse ben illuminato dalle numerose torce dei trafficanti, sembrava proprio che nessuno avesse notato la sua presenza.

«Mentre eravate lì non l'avete neanche intravista?» chiesi, per confermare il mio ragionamento.

«Emma, mi pare evidente che fossimo occupati a fare altro» mi rispose Ethan.

«Non essere acido. Sto cercando solo di capire. Sembra che non stia insieme agli uomini. Mi ricorda tanto... », ma non continuai a esternare i miei pensieri.

Rimasi in silenzio, abbandonandomi ai ricordi, mentre intraprendevo un viaggio mentale a ritroso nel tempo. Ripercorsi le strade del passato e tornai ai mesi trascorsi in Alaska.

Mi immersi nelle reminiscenze di quando io ed Ethan avevamo concluso la nostra prima indagine sugli attacchi degli orsi mannari. Una vicenda che ci aveva portato a scoprire l'oscura trama di Karl Smith, uno spietato imprenditore, che aveva sfruttato il mito degli orsi mannari e la credulità della comunità locale per perseguire i suoi loschi obiettivi. Avevo ben impresso nella mente ogni momento di quelle investigazioni. I flashback mi colpirono, come un pugno nello stomaco, con l'immagine di quegli occhi rossi e minacciosi. Quella presenza selvaggia che scorsi tra i cespugli nel bosco quel maledetto giorno in cui tutto, dentro di me, cambiò per sempre. Ricordai con sgomento l'orso mannaro che ci spiava, gli attacchi e la paura di morire. Riflettei sul segreto che avevo custodito nel mio cuore per tutti quegli anni e su come avesse cambiato irrevocabilmente la mia vita.

«Cosa ti ricorda?» mi incalzò Ethan, fissandomi.

Decisi di svuotare il sacco. Raccontai nel dettaglio quel segreto che avevo custodito per tre lunghi anni. In quel momento, perfino Ethan avrebbe compreso la ragione della mia ossessione per i miti e i mostri. Quel giorno nel bosco avevo scoperto che poteva esserci del vero in quelle storielle. Avevo cominciato a pormi delle domande, a fare delle ipotesi e ad avere l'esigenza di indagare e di scoprire se esistessero, nel mondo, altri sguardi terrificanti e malevoli come quelli della bestia che mi aveva turbato da quindicenne. Desideravo la verità e una comprensione profonda di ciò che si nascondeva nell'oscurità.

«La stai riprendendo?» sentii chiedere Louise che mi fissava con gli occhi spalancati, mentre parlavo a ruota libera, vomitando loro addosso tutto ciò che mi sentivo pressare dentro da tanto, troppo tempo.

«No» rispose Frank. «Sto solo ascoltando».

Ethan era altrettanto sorpreso. «Perché non me l'hai detto prima?» mi chiese con un filo di voce.

«Te l'ho detto più volte e non mi hai creduto. Neanche una volta»

«Quando sei arrivata in Alaska dalla California, Emma, non potevo crederti perché avevi paura di tutto»

«E dopo? Mi hai creduto, dopo?»

«No» ammise. «Non so se crederti anche adesso. Potresti aver avuto solo un allucinazione dovuta alla suggestione del momento, Emma. Hai davvero impostato tutta la tua esistenza, gli studi e i viaggi su qualcosa che forse è stata solo una suggestione?»

Rimasi senza parole.

Possibile che non mi capisca?

«Ecco perché ho fatto bene a tacere in questi anni e perché ho sbagliato a confidartelo adesso» esclamai con amarezza. «Non sono stata l'unica a non aver creduto in noi».

Mi alzai e senza voltarmi dietro imboccai la via d'uscita.

Basta, torno a casa!

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