5. LA SPEDIZIONE

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Mi trovavo nell'atrio dell'aeroporto, il cuore mi batteva accelerato nell'attesa dell'arrivo dei miei compagni di spedizione.

Alla fine, la mattina seguente la telefonata, Ethan non si era presentato a casa mia. E neanche aveva risposto alle mie chiamate. Ero furente, ma sapevo che alla partenza ci sarebbe stato. Sapevo che sarebbe venuto con noi.

Ogni tanto sfogliavo i messaggi sul cellulare, sperando di individuarne almeno uno suo la cui notifica mi era sfuggita.

La luce del sole entrava dalle ampie finestre e creava un gioco di riflessi sui pavimenti lucidi.

Mi specchiai su una vetrata. Avevo deciso di mettermi una camicia leggera e dei jeans comodi, una scelta pratica per l'avventura imminente.

La mente tornò indietro a quando, sempre all'aeroporto, conobbi Ben, il padre di Ethan, che era venuto a prendere me e mia madre. Lei entusiasta e io con l'istinto omicida allertato. Ben all'epoca era una guida locale che offriva ospitalità ai turisti nel loro periodo di permanenza. Non so come mia madre avesse rimediato il suo contatto, ma so che fu provvidenziale per noi. Restammo a casa sua per qualche mese, il tempo sufficiente per trovare una nuova sistemazione. Mi allontanai dai miei ricordi non appena intravidi i miei nuovi compagni di viaggio. Si trovavano proprio dove mi avevano detto che mi avrebbero aspettato, vicino al pannello elettronico.

Louise e Frank si erano presentati puntuali, contro ogni mia nefasta aspettativa. Ognuno con un atteggiamento e un look che lo contraddistingueva.

Lei, una ragazza sui diciannove-venti anni, era in piedi accanto a un banco, saltellava nervosa, passando da un piede all'altro, mentre sfogliava un catalogo di moda. I capelli biondi brillavano al sole e i suoi occhi, vivaci e curiosi, spaziavano ovunque nell'ambiente. Non perdevano alcun dettaglio. Frenetici come una sorta di energia elettrica. Indossava un abito vistoso dai colori accesi e accessori abbinati che riflettevano appieno la sua personalità eccentrica e l'impellente desiderio di attirare l'attenzione altrui.

Lui, un tipo che non aveva più di ventidue anni, teneva le valigie con attenzione quasi maniacale vicino alle gambe, mentre sorseggiava con evidente piacere un caffè d'asporto nella caratteristica confezione Starbucks. I capelli castani, più chiari rispetto ai video che avevo visto, erano ben pettinati all'indietro e aveva un'espressione riflessiva dipinta sul volto. I suoi occhi, calmi e ponderati, suggerivano l'appartenenza a una personalità introspettiva, in contrasto con la briosa energia scomposta di Louise. Anche l'abbigliamento era più sobrio e casual; una camicia beige a maniche corte e dei jeans. Un vestiario che si adattava alla sua aria seria e un po' da intellettuale. Nonostante l'ambiente caotico, sembra rilassato e concentrato nella lettura del tabellone dei voli.

In quel momento, pensai che le cose con loro si sarebbero mantenute sotto controllo. Ipotizzai che avrei avuto il supporto di Frank per contenere le esuberanze di Louise. Avrei compreso da lì a qualche ora dopo, quanto il mio ottimismo si sbagliasse.

Poi, finalmente, arrivò il momento. Il mio cuore balzò nell'istante in cui lo scorsi tra la folla. Avanzava con passo sicuro e sguardo intenso, sembrava scrutare ogni dettaglio che lo circondava. I capelli scuri, disordinati e il fisico atletico facevano emergere uno spirito selvaggio anche in quel contesto più civilizzato. Indossava un abbigliamento casual, in linea con la sua personalità pratica e sportiva. Faticai a distogliere lo sguardo dal suo aspetto, ma solo quando riuscii a farlo mi accorsi che Ethan non era da solo: era accompagnato da una presenza più raccolta e discreta. Compresi subito chi fosse non appena la intravidi. Era la sua fidanzata, la nipote di Annie.

La vicinanza tra loro lasciava trasparire una sorta di connessione profonda, un legame che andava al di là delle parole. Nonostante la mia ritrosia iniziale, non potei fare a meno di notare l'aura protettiva e il modo con cui gli teneva la mano. Con il pollice accarezzava la parte superiore della mano di Ethan, lasciando scorrere il dito lungo l'indice in un gesto che trasmetteva dolcezza e intimità.

Un brivido di disagio mi attraversò la schiena, mentre si avvicinavano. L'incontro era inevitabile, ma la mia incertezza cresceva mano a mano che si approssimavano. Incrociai lo sguardo con quello di Ethan per un attimo e il cuore prese a battere all'impazzata nel petto. Tutto sembrava sfocato, come se il mondo circostante stesse scomparendo davanti ai miei occhi. Ero sopraffatta da un mix di emozioni contrastanti, tra il desiderio di raggiungerlo e il timore di farlo con lei presente.

Cosa mi ero detta tre notti fa? Che avremo potuto costruire un bellissimo rapporto di amicizia? mi domandai con il groppo alla gola che stringeva sempre di più, No, non è possibile. Non ci riesco.

L'aria intorno a noi sembrava densa di tensione, ecco cosa dovevo aspettarmi dal cambio di idea di Ethan. Che si presentasse all'aeroporto con la fidanzata e che se la portasse dietro nel nostro viaggio. Una spedizione di interminabili settimane, fianco a fianco, in cui avrei dovuto sorbirmi le loro effusioni romantiche. Trattenni un conato, sapendo che avrei dovuto trattenere molto di peggio nel mio prossimo futuro.

Gli altri due compagni di viaggio, ignari di tutto, stavano andando incontro agli ultimi arrivati. Ognuno pronto a portare con sé la propria personalità e le proprie motivazioni.

Cercai di nascondere il disagio e la frustrazione dietro a un sorriso teso. Sentivo il cuore battere all'impazzata nel petto e una melma di nervosismo mi scorreva nello stomaco. Ero in gabbia, intrappolata dalle mie stesse avventate decisioni. Avevo contribuito a costruire queste sbarre intorno a me. Mi sarei dovuta aspettare una sua vendetta, però non avrei potuto immaginarla così crudele. Una cosa era certa, non sarei riuscita a sopportare per tutto quel tempo la presenza della sua fidanzata. Non potevo sopravvivere a loro due insieme.

Nel frattempo, un sorriso tenero si dipingeva sulle labbra di Ethan mentre la presentava al gruppo. Avrei voluto schiacciare quell'espressione beata con un pugno, se solo avessi avuto il coraggio di tirarglielo davanti a tutti. Nonostante il senso di colpa nei suoi confronti e la consapevolezza di averlo ferito, non potevo sopportare quell'infantile vendettina. Non dopo tre anni.

Forse, me lo dovevo aspettare, rimuginai e respinsi indietro le lacrime per l'ennesima volta.

Accantonai le mie elucubrazioni giusto in tempo per carpire il nome della mia rivale: Ava, la fidanzata di Ethan.

Nell'istante in cui i nostri sguardi si incrociarono, un tumulto di emozioni violente mi perforò il petto come un fulmine. La osservai meglio, cercando di distogliere lo sguardo dalle labbra di Ethan.

Aveva i capelli rossi che ricadevano morbidi come una deliziosa cornice intorno al viso cosparso di lentiggini. I suoi occhi verdi brillavano di intelligenza e affetto, ma c'era anche un'ombra di timidezza e di imbarazzo che traspariva dalle espressioni del volto. Era un po' più bassa di me, ma questo non era affatto un difetto; al contrario, le donava un'aria delicata e femminile. Il corpo aveva una forma sinuosa. Era una ragazza graziosa e possedeva una risata piacevole che prometteva dolcezza.

Il cuore, ormai da un po', martellava con una cadenza irregolare, quasi come se stesse decidendo se fermarsi di botto o continuare a farmi vivere, nonostante tutto.

Non potevo fare a meno di studiarla, né di paragonarmi a lei. In ogni confronto, perdevo miseramente. Persino quel suo sorriso affettuoso sembrava essere capace di scolpire un taglio profondo dentro di me. All'improvviso, un calore struggente e inspiegabile salì lungo la gola, mentre con le dita stringevo in modo del tutto involontario la tasca dei miei pantaloni.

L'atmosfera era carica di elettricità, almeno per me. Mentre gli altri continuavano con le presentazioni e i convenevoli come se tutto fosse normale, io mi scontravo ancora contro una barriera invisibile tra me, Ethan e Ava. L'immagine di loro due insieme vibrava e si insinuava nella mia mente come un doloroso eco. Avrei preferito ignorare ogni minimo dettaglio della loro interazione, ma non riuscivo a farlo. Ogni particolare era un pugno in pieno petto, un ricordo di ciò che era stato e che non poteva più essere.

Inaspettatamente, Ava si congedò in modo educato ma fermo.

«Scusate, devo andare al lavoro adesso. È stato un piacere conoscervi, fate buon viaggio» annunciò.

Il suo sorriso composto e gentile rimase nell'aria come una promessa non detta.

E poi, arrivò il bacio.

Un contatto dolce e rapido sulle labbra di Ethan, un gesto d'affetto che mi scosse nel profondo. Fu come se il mondo si fosse fermato, mentre assistevo a quell'atto intimo che mi fece sentire, ancora una volta, come un'estranea nel mio stesso cuore.

L'imbarazzo e il disagio si insinuarono in me come un fitto groviglio di sentimenti, annodandosi nel profondo. Vedere Ethan in compagnia di un'altra, non una qualunque, ma una fidanzata mi spinse a riconoscere quanto fosse arduo accettare il mutare delle circostanze. Mi resi conto di quanto la mia superficialità di ragazzina immatura avesse lasciato cicatrici profonde.

Percepii all'istante, una strana mescolanza di gelosia, rabbia e tristezza. Era come se l'immagine di Ethan e Ava insieme avesse illuminato una parte oscura del mio cuore, risvegliando emozioni che avrei di sicuro preferito ignorare. Cercai in quel momento di concentrarmi su l'obiettivo della spedizione che avevo tanto voluto e provai a seguire il filo dei discorsi che facevano gli altri componenti del gruppo, ma li sentivo solo come sottofondo ai miei pensieri. La visione della coppia, il loro legame, mi aveva catapultato all'interno del maelstrom di un profondo turbamento interiore da cui faticavo a riemergere.

Era come se quel breve incontro avesse acceso una fiamma di dolorosa confusione dentro di me, rendendomi, all'improvviso, vulnerabile e sola.

Ci spostammo verso il gate e trovammo ad attenderci l'area delimitata da una corda e una fila di sedie con diversi passeggeri in attesa del decollo. Un addetto alla sicurezza era all'ingresso dell'area di imbarco intento a controllare i biglietti.

«Avete seguito le indicazioni che vi ho mandato per messaggio?» chiesi fissandoli. «Solo bagagli a mano così possiamo portarli con noi. Per questo motivo devono essere leggeri e abbastanza piccoli».

«Non preoccuparti, Emma. Siamo abituati a prendere gli aerei. Sappiamo come fare e, comunque, senza tutta la nostra attrezzatura non andiamo da nessuna parte» rispose Frank sicuro di sé.

Non controbattei, non ne avevo la forza. Tuttavia, volli chiarire con Ethan un concetto importante. «Niente armi, chiaro. Dimmi che nella tua borsa non ce ne sono».

«E per chi mi hai preso? Per uno youtuber? Troverò ciò che mi serve sul posto».

Frank e Louise lo fissarono sorpresi. Dovevano ancora imparare a conoscerlo.

Un sorriso amaro mi sfuggì. Senza dubbio si erano illusi che lui fosse solo zucchero e miele, data la sua presentazione affabile al fianco di Ava. Tuttavia, ciò che avevano visto non era il vero Ethan, o meglio, non era la sua sola natura.

Ci avvicinammo al dispositivo a raggi X per il controllo dei bagagli. Il mio fu il primo a salire sulla cintura dell'apparecchio e dentro di me l'ansia stava già ai massimi livelli storici. Attesi un tempo che mi apparve infinito, mentre il macchinario verificava il contenuto della valigia. Speravo davvero che il personale della sicurezza non decidesse di farmi aprire la borsa e svuotarla sul bancone, mi preoccupavo soprattutto per gli oggetti imbarazzanti che vi erano dentro come assorbenti, reggiseni o simili.

«Ok» mi disse il tizio del personale di sicurezza. «Passiamo alla perquisizione».

Il metal detector mi fu passato velocemente addosso e poi mi fece cenno di andare.

Tirai un sospiro di sollievo. Gli altri superarono la stessa procedura indenni e tranquilli, quasi come se stessero per partire per una vacanza in una spiaggia esotica. Li invidiai.

Nonostante dodici anni di esperienza con i voli, non ero mai riuscita ad abituarmi alla procedura precedente all'imbarco. Portavo con me la sensazione di essere braccata, sempre ricercata e vicina a un arresto immediato, il che mi faceva agire come se avessi qualcosa da nascondere. Ovviamente, questo atteggiamento suscitava sempre molti sospetti.

Alla fine, la mia ansia riuscì a contenersi fino a quando non salii sull'aereo.

Appena arrivata a bordo, mi ero affrettata ad accomodarmi in un posto vicino al finestrino e avevo riservato quello accanto per Louise. Era stata una mossa strategica che mi aveva permesso di mettere una certa distanza da Ethan. D'altro canto, lui non aveva mostrato di prendersela per la mia scelta e si era sistemato vicino a Frank qualche fila di distanza da noi. Adocchiando lungo il corridoio, avevo intravisto le loro figure chiacchierare rilassate.

Sperai che la mia soluzione non si rivelasse un errore. Il viaggio era lungo e senza vie di fuga a disposizione.

Avvertii l'agitazione familiare legata al preludio del decollo imminente. Annunci di routine risuonarono nell'aereo, i passeggeri si muovevano qua e là parlottando, mentre le hostess si occupavano dei loro compiti spingendo carrelli per il corridoio. Notai che Frank si era immerso nella lettura di una rivista, purtroppo di Ethan non riuscivo a scorgere nulla.

Un lieve tremito attraversò l'aereo quando si posizionò sulla pista in attesa del decollo. Con il rombo crescente dei motori, il velivolo si mise in movimento lungo la pista. La pressione nei timpani e la sensazione di essere come schiacciata da un cinghiale contro il sedile accompagnarono l'accelerazione, ma ero riluttante a chiedere aiuto a Louise, temendo di sembrarle una sciocca. Finalmente, l'aereo si staccò dalla pista e iniziò la salita verso il cielo. La pressione si attenuò. Scalciando mentalmente via il cinghiale dal mio stomaco, cominciai a godermi il panorama fuori dal finestrino. Quella miscela inebriante di emozioni - eccitazione, paura e adrenalina - mi toglieva il fiato ogni volta, come se rivivessi sempre il mio primo volo, quello indimenticabile del sesto compleanno fatto con mamma e nonna.

Il suolo si allontanava man mano e la città si riduceva sempre di più, le nuvole si avvicinavano e presto mi ritrovai a vedere solo l'azzurro del cielo ovunque guardassi.

«Allora, Emma raccontami un po' di questa spedizione. Cosa puoi dirmi della zona che hai deciso di visitare?» mi chiese a bruciapelo Louise.

Con la coda dell'occhio, notai che aveva un registratore portatile tra le mani che immaginai subito essere acceso.

Ok, è una youtuber professionale e non perde tempo, pensai cercando di non dar peso al leggero fastidio che mi stava montando dentro.

Mi voltai dietro di noi e vidi c'era una coppia di anziani concentrata in un'animata conversazione, mentre i posti davanti erano stati occupati da due turisti giapponesi che si scambiavano borbottii sommessi intervallati da veri e propri muggiti di disapprovazione. Immaginai che stessero discutendo. Nessuno di loro sembrava particolarmente fastidioso.

Allungai un po' il collo verso i ragazzi e notai che davanti avevano una coppietta innamorata intenta a scambiarsi effusioni e dietro due bambini che si tiravano i capelli. Con un sorrisetto diabolico dipinto sulle labbra, dedussi che loro avrebbero avuto un viaggio meno tranquillo del nostro.

«Non mi racconti niente su questa spedizione?» mi incalzò Louise.

«Oh sì, scusa» risposi arrossendo. «Amo il momento del decollo e mi ero dimenticata che mi avevi fatto una domanda. Allora... ehm... »

«Te la ripeto, stiamo andando un po' all'avventura, ma tu conosci bene il nostro itinerario, giusto?»

«Certo! Mi sono studiata tutto nei minimi dettagli» cominciai, sentendomi a disagio dal suo tono un po' formale.

Mi sentivo come se mi stesse intervistando una vera giornalista.

Dato che continuava a fissarmi con i suoi occhioni celesti e interrogativi, mi affrettai a riprendere il discorso: «La strega è stata avvistata in diverse zone dei Monti Appalachi. Soprattutto sul limitare del famoso sentiero escursionistico che percorre tutta la catena»

«Quindi, è stata vista da molti turisti?»

«Soprattutto da quelli che escono dal percorso raccomandato dalle guide. A volte si sono verificati incidenti, anche mortali, e sparizioni»

«Sparizioni?»

«Persone scomparse nel nulla» specificai, «Il sentiero è lungo circa duemilacentonovanta miglia e collega il monte Springer, nella foresta nazionale di Chattahoochee-Oconee, in Georgia, al monte Katahdin nel Parco statale Baxter, nel Maine»

«Wow! Collega molti Stati» osservò Louise colpita.

«Sì, infatti. In tutto si parla di quattordici Stati, otto foreste nazionali, sei parchi nazionali e numerosi parchi statali, senza considerare poi le foreste e diverse aree di caccia. In pratica, arriva fino al Canada»

«E noi dovremo fare tutto questo bel viaggetto?»

«No» risposi con una risata così squillante e spontanea che Ethan si voltò verso di noi. Finsi di non averlo notato e proseguii la mia conversazione. «Andremo solo nelle zone dove si sono concentrati gli avvistamenti più attendibili. Quindi, in West Virginia».

«Non vedo l'ora di iniziare questa avventura» commentò allegra.

«Oh, mi piace il tuo entusiasmo».

Avrei voluto proseguire la conversazione, magari con un'annotazione più intrigante o una battuta sagace in grado di strappare una risata a Louise e, al tempo stesso, suscitare di nuovo l'interesse di Ethan. Tuttavia, mi ritrovai senza idee su come realizzare tutto ciò.

«Ma... faremo tutta questa strada sempre a piedi?» mi chiese all'improvviso Louise.

La nota di preoccupazione nella sua voce non era facile da ignorare. Decisi di rassicurarla.

«No, tranquilla. Noleggeremo un'auto appena arrivati all'aeroporto».

Mi fissò ancora per qualche minuto, in attesa che aggiungessi chissà quale ulteriore informazione a quella appena data. Non avevo altro di brillante da dire, però. Fu costretta ad arrendersi e spengere il registratore. Poco dopo, mi annunciò con un sorriso stanco: «Adesso faccio un riposino».

«Ottima idea» convenni e, mio malgrado, soffocai a stento uno sbadiglio.

La osservai, mentre si sistemava un cuscino da viaggio gonfiabile attorno al collo per poi estrarre dalla borsa una coperta, una mascherina per gli occhi e due oggetti minuscoli tondeggianti.

«Quelli a cosa servono?» chiesi incuriosita.

«Sono tappi per le orecchie. Non sopporto i rumori quando dormo».

Ricevuto.

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