4. LA SCELTA DI ETHAN

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La nottata successiva alla discussione con Ethan fu una delle più lunghe e tormentate della mia vita.

Mentre il respiro del buio sembrava intrecciarsi con le ombre dei miei pensieri, mi ero ritrovata a rivivere ogni parola, ogni sguardo e ogni sfumatura della conversazione che avevo avuto con lui.

Dentro di me, avevo cercato di modificare le mie risposte, di cambiare ciò che era accaduto durante la cena. Nonostante tutto, però, i miei sogni erano destinati a trasformarsi in incubi. Proprio come era accaduto nella realtà.

Quando ci eravamo separati tre anni prima, eravamo ancora molto giovani e ingenui. Guardando indietro, mi resi conto di quante questioni irrisolte avevamo lasciato in sospeso.

Era stato un taglio netto e improvviso come una brusca frenata accompagnata dallo stridio delle ruote sull'asfalto. Dopo il nostro ultimo confronto, mi era apparso evidente che la confusione emotiva che n'era scaturita non si era dissolta in quegli anni e che aveva continuato a sconvolgere anche la sua vita.

Il pensiero e il rimorso di come avevo interrotto la nostra relazione mi aveva tormentato per molto tempo. Un legame come il nostro non meritava di essere spezzato in un modo così crudele. Nessun viaggio era riuscito a farmi dimenticare il profondo senso di colpa che ne era derivato.

All'epoca avevo optato per la via più semplice, gli avevo solo detto che tra noi non funzionava più. Non lo avevo tradito con un altro, in questo ero molto diversa da mio padre, ma alla fine il mio rifiuto era stato, in qualche modo, come un tradimento.

Siamo troppo diversi, gli avevo detto attraverso un vocale su whatsapp.

Freddo, cattivo e impersonale. Avrei voluto tornare indietro e cancellare quell'addio frettoloso, ricucire lo strappo che avevamo inferto al nostro rapporto. Le mie scuse, arrivate tardi negli anni successivi, non avevano attenuato ciò che avevo fatto. Non ero neanche riuscita a raccogliere un po' di coraggio per dirgliele in faccia quelle poche, misere parole.

Avevo solo quindici anni e avevo creduto che fosse la cosa giusta. E il modo giusto.

Passai la notte rigando il cuscino di lacrime, consapevole che quella era la mia punizione. Lo avevo perso per egoismo. Mi ero meritata quelle parole. Mi ero meritata quello sguardo.

Mi ero meritata anche quell'esilio autoimposto.

Non avevo creduto in noi.

Le nostre strade avevano preso direzioni diverse.

Siamo diventati come due rette parallele, mi dissi, non possiamo più incrociarci. Mai più.

Nessuna delle motivazioni logiche che mi diedi, quella notte, riuscì a sopprimere il senso di perdita e di vuoto che provavo.

Le mie ambizioni avevano preso il sopravvento, mettendo noi due in secondo piano.

Pensai, rigirandomi nel letto per l'ennesima volta, a quanto mi era sembrato poco intraprendente all'epoca. A come lo avevo considerato poco desideroso di migliorarsi, di fare le cose in grande.

Poi alla fine, in questi tre anni, chi è progredito davvero tra noi due?

Io studiavo, viaggiavo e avevo visto posti, conosciuto persone e culture nuove. E basta. Una diciottenne con tanta ambizione e un bagaglio a mano di esperienze di vita altrui.

Lui era rimasto ancorato alle sue radici. Si era trovato un lavoro, una ragazza e aveva saldato i suoi legami. Pure con mia madre che, forse, conosceva meglio di me.

Chi ha perso e chi ha guadagnato seguendo le proprie scelte?

Mi addormentai con questa domanda in testa che si muoveva come una ballerina impazzita tra i neuroni.

La mattina seguente, mentre i primi raggi di luce filtravano attraverso la finestra, mi alzai con una decisione salda in mano e ben chiara in testa. Il mio desiderio più grande era non perdere Ethan. Se non avessi potuto riaverlo come fidanzato, cosa che mi sembrava alquanto improbabile che si verificasse vista la situazione, almeno lo potevo avere come amico. Col tempo il dolore mi sarebbe passato, forse anche il rimorso, e avrei avuto con lui un rapporto simile a quello che esisteva tra i nostri genitori. Lo speravo con tutto il cuore.

Almeno quello, mi dissi asciugandomi le lacrime. Almeno quello.

Dall'altro canto, ammisi a me stessa, che non potevo neanche rinunciare alla mia ossessione. Quella nata nello stesso istante in cui avevo incrociato lo sguardo della bestia, nei boschi dell'Alaska. Non potevo fermarmi. Avevo il bisogno irresistibile di esplorare i misteri e scoprire se davvero esistessero questi mostri mitologici. Non potevo soltanto ignorarli o negarli.

Dopo la colazione, mi sedetti sul divano e inviai un messaggio a Ethan.

Mi dispiace per come è andata la serata, ieri. Hai ragione, scusami, gli scrissi.

Non volevo perdere quel minimo di legame che ancora ci teneva vicini. Affossai in quelle due righe tutto mio orgoglio.

Aspettai che mi rispondesse.

Nella tarda mattinata, notai che aveva letto il messaggio, ma non aveva risposto.

Attesi irrequieta fino all'imbrunire. Poi mi arresi.

Anche se avevo perso le speranze in una sua replica, non riuscii ad archiviarlo e rimasi nervosa per tutta la serata. Il ticchettio seccato dei miei passi risuonava sul parquet. Le luci dei lampioni filtravano attraverso le tende semiaperte, creando un gioco di ombre e riflessi sulla parete. Sapevo quanto fosse inutile farlo, ma non potevo evitare di posare lo sguardo, di tanto in tanto, sullo schermo del telefono, sperando ancora in un miracolo.

Avevo deciso di indossare una semplice t-shirt bianca e un paio di jeans aderenti, abbandonando del tutto il glamour universitario, l'atteggiamento sofisticato e i buoni propositi di rinnovamento per lasciar spazio alla solita Emma. Ero a casa, davanti ai miei spettri ed era inutile nascondersi.

Il cellulare giaceva sul comodino accanto al letto, silenzioso e immobile. Inspirai, cercando di calmare i battiti accelerati del cuore. Poi, con un gesto impaziente, lo afferrai e sbloccai lo schermo, verificando per l'ennesima volta la mancanza di nuovi messaggi. La frustrazione mi suggeriva di lanciarlo con violenza contro il muro, urlando come una pazza. Avrei voluto assecondarla. La ragione mi fermò con una sonora pacca sulla nuca.

Il silenzio dell'attesa era opprimente e l'ansia cresceva ogni secondo che passava. Diverse volte, nel corso della giornata, mi era venuta la malsana idea di chiamarlo io stessa per chiedergli perché diavolo non rispondesse a quel messaggio. Però, mi ero sempre frenata in tempo dal farlo. Non ne avevo il diritto.

In quel momento, un brivido lungo la schiena accompagnò un suono acuto che squillò nell'aria. Il cellulare, ancora tra le mie mani, iniziò a vibrare. Così, all'improvviso. Con il cuore in gola, accesi il display e lessi il nome sulla notifica. Era lui. Un mix di emozioni mi attraversò l'animo, mentre accettavo la chiamata e portavo il telefono all'orecchio, sperando di ricevere una spiegazione indolore a quel silenzio.

«Emma, ciao... » la voce di Ethan portò con sé una serie di emozioni che non riuscivo del tutto a decifrare.

«Ciao!» risposi, cercando di apparire disinvolta: «Come va?»

«Hai qualche minuto?» mi chiese serio. «C'è qualcosa che voglio farti vedere sul pc».

Subito mi incuriosii. «Aspetta un attimo, accendo il portatile» risposi, mettendomi il pc sulle gambe. «Intanto, spiegami di cosa si tratta».

«Va' su YouTube. Cerca i video di questi Frank e Louise. Esiste un canale tutto loro» mi ordinò.

«Frank e Louise? Va bene» domandai confusa.

«Li hai mai visti questi video prima di contattarli e chieder loro di partecipare alla tua stronzata sui monti Appalachi?» mi chiese brusco.

«Sì, so come lavorano» risposi, mettendomi subito sulla difensiva.

«Lavorano?» ripeté sarcastico. «Li hai visti o no? Ne sto guardando uno adesso. Stanno addirittura facendo un'evocazione di un demone. Di un demone, capisci?»

«Sì, fanno anche queste cose. Ma non è quello che voglio fare io sui monti» mi affrettai ad aggiungere.

«Emma, è tutto palesemente finto e mette a disagio solo pensare di essere accostati a simili personaggi».

Era innervosito. Potevo immaginarmi la sua espressione ombrata.

«Come hai fatto anche solo a pensare di coinvolgerli?», domandò ancora.

«Ti ho spiegato il motivo ieri sera».

«Ma chiedi a tuo padre di finanziarti la spedizione, piuttosto!» suggerì con tono esasperato.

«No, mai!» risposi decisa. «Meno ho a che fare con lui, meglio sto. E poi, almeno con Frank e Louise avrò compagnia durante l'esplorazione».

Mentre parlavo, le immagini del video dell'evocazione esplosero davanti ai miei occhi. Lei si teneva la telecamera puntata sul viso. Una luce verde la illuminava dando al suo volto scarno un aspetto sinistro e spettrale. Era avvolta nella più completa oscurità.

«Ora, amici, Frank mi chiuderà in questa toilette chimica e io dirò la formula magica per farmi raggiungere dallo spettro» diceva in tono grave rivolta alla telecamera.

«La stai guardando?» chiese Ethan.

«Sì» confermai distratta dalla visione della ragazza che si faceva chiudere al buio in una stretta e angusta toilette chimica, nel bel mezzo di quello che sembrava essere un cantiere isolato di alcune palazzine in costruzione.

Frank rimaneva fuori e commentava rivolgendosi alla telecamera. «Ora dovrà dire la formula in celtico antico e poi aspetteremo cinque minuti».

Dopodiché, lei confabulava una specie di filastrocca in lingua sconosciuta.

Celtico? Boh, pensai sbigottita.

Poi prese a urlare.

«Oh, Dio! Li senti questi rumori, Frank?» chiedeva nel panico.

«No» rispondeva lui.

E in effetti, non si sentiva alcun rumore.

«Ahhhh!! Chi c'è qua con me!!»

«Li senti questi terribili rumori!»

«Ahhhh!».

Dopo cinque minuti usciva sconvolta dalla toilette chimica con degli strati di carta igienica incollati ai capelli e stampati sui pantaloni.

«Ragazzi, mi sono spaventata tantissimo. Mi raccomando, voi non fatelo! Se vi è piaciuto mettete un like nei commenti. A presto!» concludeva poi il video.

«Hai visto il filmato?» mi chiese Ethan che era rimasto in religioso silenzio per lasciarmi libera di guardarlo con attenzione.

«Sì».

«Con questi due vuoi andare sui monti Appalachi?» chiese di nuovo.

«È solo un video su trecento che hanno fatto. Non puoi giudicarli solo per questa cazzata» li difesi, anche se ero poco convinta.

«Vogliamo verificare anche gli altri?» mi provocò. «Non è mica l'unico filmato che ho visto. Ho iniziato a guardare le loro stronzate stamattina alle sette. Non se ne salva neanche uno di questi video!»

«Non esagerare, Ethan»

«Hai visto quello che hanno girato nel cimitero?»

«Sì, certo»

«E ci credi?»

Titubai e fu un errore perché come uno spietato squalo si attaccò proprio a quel mio attimo di incertezza per proseguire nella sua offensiva: «Ma come puoi crederci! Lo sai benissimo anche tu che sono stronzate. L'hai definite tu stessa così ieri sera, ricordi? Guardalo di nuovo quel video girato nel cimitero. Osserva bene come si spaventano del nulla infinito. Come scappano inciampando sulle tombe. Certo, se vai in un cimitero e per giunta di notte non ti servono effetti speciali hollywoodiani per cagarti sotto. Basta l'ambientazione di per sé, no?»

«Fanno tanti soldi con questi video stupidi. Voglio che mi finanziano la spedizione. Perciò, sì, andrò con loro»

«Lo sai che se una lepre si avvicinerà a voi anche solo di qualche passo, ti molleranno lì? Potrebbero pure spararti scambiandoti per la lepre stessa, lo sai questo?»

«Era quello che cercavo di spiegarti ieri sera» gli risposi altrettanto seria.

Rimase in silenzio per diversi secondi.

«Ethan, ci sei?» chiesi, temendo che fosse caduta la linea.

«Domattina passo a casa tua. Devi spiegarmi un po' l'itinerario. O almeno cosa ti gira per la testa»

«Non capisco»

Lo sentii sospirare: «Vengo anch'io. Non posso lasciarti sola con questi due dementi».

Rimasi attonita, seduta sulla sponda del letto per diversi minuti, dopo che la comunicazione fu interrotta. La visione delle stupidaggini che facevano quei due era bastata da sola per convincerlo a partecipare alla spedizione. Non era servito pregarlo. Lo avrei avuto sempre vicino per settimane intere.

Una parte di me stava esultando, mentre i miei occhi inespressivi rimanevano incollati sul display del cellulare come sotto ipnosi.

Immaginai la Emma quindicenne che ballava scatenata su un cubo da discoteca urlando: «Sarà mio! Ethan sarà di nuovo tutto mio!».

Ma in un angolo, nella zona prive, seduta su una poltroncina rosso fuoco, c'era anche la Emma diciottenne più assennata che severa fissava la ragazzina e sussurrava: «No, non tornerà più con te. Sei stata una merda e non ti perdonerà. Sarà dura conviverci in questi lunghi giorni. Vedrai come sarà doloroso. Vedrai, piccola stupida! Ti sei scavata la fossa da sola e lui ti ci seppellirà dentro con molto piacere».

Avrei tanto desiderato credere alla me stessa di tre anni prima e gioire con lei, ma sapevo che la diciottenne che ero diventata aveva perfettamente ragione.

Perché ha cambiato idea? Perché vuole venire? Cos'ha in mente? Non potei evitare di chiedermi.



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Chiacchiera Time

Ciao! Di solito non metto momenti di così nelle mie storie, ma sono troppo curiosa di sapere cosa ne pensate della storia, di loro, di cosa sta accadendo.

Allora, vi siete fatti delle idee sul motivo per cui lui ha cambiato idea?

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