9. QUELLI DEL PICK-UP NERO

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«Emma, vieni un attimo devo parlarti» sentii una voce perentoria alle mie spalle.

Non la riconobbi subito e proseguii a camminare come se non l'avessi udita. Non ero certo l'unica al mondo a chiamarsi Emma.

Avevo optato per un vestitino leggero, nero, corto quanto bastava per esaltare le curve senza trascurare l'eleganza. Avevo raccolto i miei lunghi capelli in una crocchia, ma alcuni ciuffi si erano ribellati all'acconciatura. Quando arrivai sulla parte larga del patio antistante l'ingresso principale del Motel, i maledetti erano liberi dalle forcine e accarezzavano il mio volto con leggere onde. Mi avviai verso il gabbiotto della reception con l'intenzione di intercettare la proprietaria per chiederle altri asciugamani puliti, quando mi sentii raggiungere con passo deciso e una mano mi toccò lieve la spalla.

«Emma, ti stavo chiamando».

Mi girai e mi trovai a fissare Ethan. Un leggero profumo di lozione per il viso mi fece intuire che si era fatto doccia e barba. Indossava una t-shirt nera e attillata che abbracciava gli addominali scolpiti come una seconda pelle e metteva in risalto la sua silhouette atletica. Le maniche, arrotolate con precisione fino ai gomiti, sottolineavano la definizione dei bicipiti. I jeans blu scuro, aderenti e segnati da tagli strategici sulle ginocchia e vicino alle caviglie, fasciavano le sue gambe, suggerendo una noncuranza studiata. Sneakers basse, scure e semplici, ai piedi e un cappellino da baseball rosso ben calato sulla fronte si adattavano bene alla sua personalità sportiva.

«Scusami, non ti avevo sentito. Dimmi, cosa succede?»

«Prima di decidere di intraprendere questa missione li hai fatti i compitini a casa?» domandò a bruciapelo.

«Che intendi dire?», mi misi subito sulla difensiva.

«Vieni con me» disse, facendomi strada verso il pick-up parcheggiato.

Le sue labbra serrate e l'espressione glaciale dello sguardo non promettevano niente di buono.

«Dove andiamo?» chiesi, allacciandomi la cintura di sicurezza.

«A fare un giro qua in paese e nel frattempo ti racconto una storia. Quella che avresti dovuto raccontarci tu e che è ben più importante rispetto alla favoletta della strega mangiabambini».

«Ethan... »

«Zitta e ascolta» mi ordinò, mentre la chiave girava nella serratura dell'accensione e l'auto ruggiva risvegliandosi. «Poco fa, ho fatto questo giro da solo. Volevo tirare un po' il polso alle persone del posto. Fare quattro chiacchiere coi gestori dei negozi, quelli che incontri passeggiando in strada, mi stai seguendo?»

«Sì, capisco», annuii.

«Volevo capire chi fossero i tizi che hanno strusciato il pick up e che ci volevano buttare fuori strada. E sai, ho scoperto un sacco di cose interessanti. Al di là delle metropoli costiere, in queste zone, l'abuso di farmaci oppioidi è un problema serio. Una vera piaga sociale che si è diffusa a macchia d'olio, soprattutto nelle comunità già provate dalla crisi economica. Quindi, proprio nelle città vicine alla zona degli avvistamenti della tua fantomatica strega. Parlo di Dove Creek, in Colorado, ma anche in questa zona del West Virginia. Tutti questi territori sono stati invasi dal mercato degli oppiacei, che approfitta della vulnerabilità delle persone che sono già messe male e finisce per creare una marea di dipendenti da queste sostanze».

«Sì, conosco questa storia. È triste, ma è un problema che affligge molte parti del paese. Se non sono oppiacei, si parla di cocaina. Le droghe si spacciano ovunque».

«La conosci, davvero? Non l'hai menzionata, però» incalzò, stringendo le labbra per la rabbia repressa.

«Perché non era rilevante per il nostro scopo» mi giustificai. «Nel 2016, Trump ha ottenuto un sostegno straordinario in questa zona grazie alle promesse di rivitalizzare l'industria del carbone. Però l'estrazione del carbone stava già calando, in proporzione la disoccupazione e la povertà crescevano. Gli abusi di oppioidi e i suicidi sono diventati all'ordine del giorno. In questa località, la maggior parte dei residenti conosce qualcuno, amico o parente, che è dipendente dagli oppioidi. Questo Stato detiene il triste primato nazionale sia in termini di morti per overdose che di suicidi. Tanto Trump quanto Joe Manchin, il politico locale del Partito Democratico, hanno agito per gli industriali piuttosto che per i minatori».

«Infatti. Era il caso di dirlo prima e non solo adesso, sotto mio sollecito».

«Per quale motivo? Questa lezioncina sociopolitica non sarebbe servita a cercare la strega» ribattei.

«E cos'altro sai?» chiese lui senza rispondermi, sguardo fisso sulla strada.

«La situazione per i minatori è tragica» ripresi con aria di sfida. Volevo dimostrargli che non ero stata superficiale né, tantomeno, sprovveduta: «Più di duemila persone soffrono di una patologia detta "il polmone nero", causata dall'inalazione della polvere di silicio. Questa malattia oscura il tessuto polmonare, portando alla sofferenza e al soffocamento. Non c'è cura e la maggior parte dei pazienti muore. Le agenzie di controllo hanno chiuso gli occhi sui danni della polvere di silicio, mentre i minatori affrontano le conseguenze. E ti dirò di più, mio caro professorino, so anche che Trump e Obama hanno favorito l'industria del carbone. Mentre i minatori soffrono, i profitti crescono. Il carbone è responsabile dell'inquinamento e del riscaldamento globale. Nonostante questo, l'industria è stata favorita e le energie alternative rinnovabili ignorate», avevo parlato senza neanche riprendere fiato. Feci una breve pausa e chiesi: «Spiegami tu, e fallo ora, come tutto questo avrebbe potuto esserci utile? Dimmi perché avrei dovuto dirvi queste cose che non c'entrano niente con la Strega degli Appalachi?».

«Tutto è concatenato al luogo in cui ti trovi. Tu che giri il mondo dovresti insegnarlo a me, non viceversa. Come hai detto, tantissime persone sono drogate. Abusi di oppiacei, giusto? I trafficanti sono ovunque. Ti pare che non ci siano posticini allettanti tra i meravigliosi monti Appalachi dove nascondersi, coltivare e spacciare indisturbati? Ti rendi conto che qua, incontrare loschi individui impegnati in traffici illeciti è facile come bere un bicchier d'acqua?»

«Continuo a non capire dove vuoi arrivare».

«Certo che lo capisci. Non sei stupida. Siamo andati in giro a far domande come se niente fosse, ma non puoi farlo da queste parti. Anche se non li cercavamo, abbiamo rotto le palle ai trafficanti di droga. Oggi, con l'inseguimento, volevano darci un avvertimento. Stiamo curiosando troppo».

«Ma non siamo andati in giro a far domande su di loro o a cercare le loro riserve di oppiacei»

«Sono lì, le loro riserve di droga! Pensi di andare in giro a fare spedizioni in sentieri non turistici, in zone non battute, senza incrociarli?»

«Abbiamo chiesto di animali spaventati o uccisi. Abbiamo parlato con bambini importunati da una vecchia. Niente che riguardasse dei trafficanti di droga»

«Ora ti spiego una cosa che alla tua età dovrebbe esserti ben chiara in testa. Le streghe non esistono. Questa è una leggenda messa in piedi per far sì che i bambini non andassero a giocare da soli per i boschi. È stata raccontata per impedire che incontrassero i trafficanti e predatori»

«Ok, questa è la tua opinione e la rispetto» risposi, usando il suo stesso tono. «Tornatene stasera stessa dalla tua fidanzata. Ti ringrazio per aver perso del tempo con me. Ora, non serve più».

«Non reagire così. Con questa tua ossessione hai messo in pericolo te stessa, me e anche i due idioti» Fece una pausa, poi aggiunse: «Vado a casa io, ma ci tornate anche voi».

«No, io faccio ciò che voglio. Sono grande abbastanza per poter decidere da sola della mia vita. E loro decideranno per proprio conto cosa vorranno fare» ribattei.

Lo vidi irrigidirsi, stringere forte il volante fino a far diventare bianche le nocche delle mani. Frenò brusco e parcheggiò bordo strada, poi si voltò furioso verso di me.

«Pensi che sia venuto qua, mettendo in pausa la mia vita, per tornarmene a casa subito dopo e lasciarti morire in questi boschi? Chi ti difenderà la prossima volta che ti avvicinerai troppo alle loro riserve di droga?» mi aggredì rabbioso.

«Calmati» gli dissi, un po' spaventata dal suo atteggiamento.

Quella reazione non mi risultava affatto familiare, soprattutto se la confrontavo con l'Ethan che avevo conosciuto e di cui mi ero innamorata tre anni prima. «Non mi devi proteggere per forza. Non sono più una ragazzina e non sono più la tua fidanzatina. Mi dispiace, ho sbagliato a chiederti di venire qua con me. Non eri tenuto a farlo».

«Poco, ma sicuro» rispose cupo e tornando calmo.

Rientrammo al Motel nel più completo silenzio. Davanti all'insegna, c'erano Frank e Louise ad aspettarci. Sembravano agitati. Telecamera accesa tra le mani, come al solito.

«Cosa succede?» chiese Ethan, raggiungendoli dopo aver parcheggiato.

«Abbiamo trovato un biglietto anonimo sotto la porta della camera di Frank» rispose Louise.

«Posso leggerlo?», chiesi allungando la mano per prenderglielo dalle mani.

Ethan sbuffò infastidito dalla telecamera puntata diretta sul viso.

Louise protese la mano che stringeva il foglietto verso di me, continuando a registrare il filmato e a ripetere come un Mantra ciò che vi era scritto.

Poche parole, in realtà.

«Incontriamoci sulla cima di Byrds Nest. Stanotte alle due»

«Cosa vorranno da noi? E chi sono?» domandò Frank.

«Potrebbero essere i trafficanti di droga che hanno i loro depositi in quelle zone» ipotizzò Ethan.

«Trafficanti di cosa?» chiese Louise con voce acuta.

«Sì, ho eclissato su alcune cose che avrei dovuto raccontarvi» mormorai, abbassando gli occhi. «Scusatemi».

Avrei desiderato solo scomparire in quel momento. Li avevo messi tutti nei casini.

«Piccoli dettagli, vero?» mi chiese Ethan sarcastico.

Non infierire, lo supplicai con lo sguardo.

«Mi dispiace, ragazzi. Ammetto di aver sottovalutato la situazione. Facciamo così, voi rimanete qua al Motel e all'appuntamento ci andrò da sola» proposi, poi in risposta alle loro facce sbigottite aggiunsi. «Non sono impazzita. Voglio andarci e lo farò prendendo le mie precauzioni, ma ci andrò da sola».

«Perché mai vuoi infilarti in un'evidente trappola?» chiese allibito Ethan. «Crescendo ti sei persa quel poco di sale in zucca che avevi quando ti ho conosciuta, per caso?»

«All'epoca eri tu a premere l'acceleratore per indagare, ricordi? L'ho imparato da te»

«Poi sono cresciuto e sono diventato più saggio. Ci tengo alla mia pellaccia e dovresti tenerci anche tu»

«Voglio capire cosa c'è dietro, Ethan»

«E che cazzo vuoi che ci sia dietro?» sbottò, gesticolando nervoso. «Ti faranno sparire per sempre, dannazione!»

«Voglio parlarci» insistei. «Sono grande e vaccinata posso decidere da sola della mia vita»

«E a quanto pare anche della tua morte» ribatté lui.

«Spengi la telecamera, Frank» ordinò Louise, che era rimasta in silenzio sino ad allora non perdendosi una sola parola della nostra discussione.

Il ragazzo obbedì e una volta che la telecamera fu spenta, la biondina disse decisa: «Veniamo anche noi con te, Emma».

«Ma siete tutti impazziti!» urlò esasperato Ethan. «Ti prego Signore, sgancia un meteorite sopra a queste teste di cazzo! Dammi un segno che esisti!»

Alzò le braccia al cielo con un gesto teatrale, un'interpretazione melodrammatica che lasciava intravedere una mescolanza di frustrazione, sarcasmo e rabbia.

«Ethan, smettila!» lo intimai. «Per me è importante chiarire questa storia» dissi, abbassando la voce e fissandolo.

«È importante rimanere viva, Emy» mi sussurrò lui. «Voi due, se andate, schiattate prima di lei. Poco ma sicuro» aggiunse rivolto a Louise.

Frank seguiva la conversazione da spettatore, sembrava proprio deciso a non aver voce in capitolo e a farsi pilotare da Louise.

«Ci andremo» ribadì la biondina, poi notando lo sguardo perplesso di Frank, aggiunse: «Le visualizzazioni. Saliranno alle stelle, vedrai... »

«Non potete pensare di andar lì e filmare dei trafficanti di droga» la interruppe Ethan ridendo incredulo.

«No, Louise. È una cosa pericolosa. Non puoi pensare di farlo» concordai. «Ha ragione Ethan».

«Con la micro telecamera portatile si può fare» esclamò Frank. «Ha poca autonomia rispetto a questa, ma si può provare»

«Ottimo, lo faremo» decise Louise ignorando sia le mie proteste sia quelle di Ethan.

«Bene! Fantastico! Ma evitate di portarvi le armi, almeno non sprecherete i proiettili per niente. Secondo me, vi è più utile prenotare un posto al cimitero e farvi costruire delle belle bare» esplose Ethan, camminando nervoso su e giù per il selciato. «Io rimango qua a organizzarvi i funerali. Avete delle richieste? Volete dei fiori particolari?»

«Ethan, calmati. Ragazzi, capisco le vostre esigenze ma preferirei andare da sola»

«Crepare in compagnia porta male» intervenne ancora Ethan.

«Non siamo venuti qua per stare chiusi in un Motel, Emma» rispose Louise.

«Ovvio, siete qua per morire a centinaia di miglia di distanza da casa. Devo riprendere i vostri funerali e metterli su Instagram, su TikTok e su Youtube a reti unificate? Volete che fotografo i vostri cadaveri crivellati prima di infilarvi a forza nelle bare?»

«Ethan, calmati» ripetei. «Frena il sarcasmo»

«Quando tu accenderai il cervello»

«Voi rimarrete tutti qua al sicuro. Andrò da sola... »

«A fare la martire per chissà quale cazzo di motivo»

«Ethan! Accidenti!» gridai esasperata.

«Sono grandi abbastanza per fare quel che vogliono, me lo avevi detto tu» mi ricordò lui con un sorrisetto.

«Non molli mai tu, eh?» chiesi. Poi senza aspettarmi risposta, mi rivolsi a Louise: «Ok, venite. Però, non combinatemi pasticci. Fate attenzione con questa micro telecamera»

Annuirono.

«Tu ci aspetti qua e se non torniamo entro tre ore, fammi il favore di chiamare la polizia» dissi a Ethan.

«Dopo tre ore non ti servirà la polizia, ma un becchino» ribatté Ethan passandosi una mano tra i capelli. «Emy, ricordi il proverbio? La curiosità uccise il gatto

«Lui non era armato».

Fece un lungo sospiro poi disse seccato: «E non aveva la mia mira. Forza andiamo!»

«Grazie».

«Taci!»

*****SPAZIO AUTRICE*****

Dicendo "la curiosità uccise il gatto" Ethan fa riferimento alla frase "curiosity killed the cat" noto proverbio inglese.

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