Diciassette - Pearl.

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NON ODIATEMI PER QUESTO CAPITOLO!   ( ཀ ʖ̯ ཀ)

Il navigatore segna che ci impiegherò quindici minuti, anche se ciò è improbabile. Con tutto questo traffico ci metterò il doppio, penso sbuffando e adagiandomi al sediolino. Per non parlare del fatto che, andare a questa stupida festa in maschera, mi annoi tantissimo. Mi sarei divertita molto di più restando a casa con Alisya, magari avremmo potuto vedere un film. Mamma e papà, però, hanno insistito affinché ci andassi. In effetti, hanno ragione: cosa c'è di meglio di una festa in maschera, se devi controllare delle persone, e non vuoi essere notata?

Meglio così, dico tra me e me, mordendomi il labbro dal nervosismo. In questi giorni, è stato davvero difficile guardare Alisya negli occhi, senza poterle dire nulla. Senza volerle dire nulla. La barca che circonda le mie palpebre si inonda di lacrime calde, ma le ricaccio subito indietro, imponendomi di non reagire così. Non posso affondare. Odio mentire, è una cosa che mi fa sentire sporca, imbrattata di una macchia indelebile; la disonestà non fa parte di me.

Accendo lo stereo, provando inutilmente a distrarmi, ma il traffico mi fa impazzire, Raffaele mi fa impazzire e tutto questo schifo mi fa impazzire. Per fortuna, sono ancora le otto e mezza; la festa dovrebbe iniziare alle nove.

Per quanto riguarda quel Michelangelo, dovrei parlargli?, la domanda lampeggia nella mia mente come un segnale d'allarme. Sono stata molto chiara con lui, stanotte. Gli ho detto esplicitamente che Alisya non deve sapere nulla, perché ancora non sappiamo se è proprio lei che stanno cercando, quindi, per ora, non mi sembra il caso di metterle ansia.

Dio, ma se è davvero così come faccio a dirglielo? Non credo sia una cosa semplice, andarle vicino ed esclamare:"Hey, ciao Alisya! Sai, devi stare molto attenta! Perché, forse, c'è una banda di criminali che è tornata a Rimini e sta cercando proprio te!". Sbuffo, coprendomi gli occhi, ancora. Dio, fa' che nessuno voglia fare del male a quella ragazza, che nella vita già ne ha passate tante. Spero che Michelangelo non le dica niente, altrimenti lo gonfio di botte. Stanotte, quando mi ha vista entrare in casa sua coi miei genitori, è rimasto a bocca aperta.

Ci siamo trasferiti in Sicilia, tre anni fa, perché dovevano smascherare quel gruppo di trafficanti - almeno non ho detto tutte bugie ad Alisya. A giugno I carabinieri hanno ricevuto una soffiata certa: l'omicidio di Gabriele Sedita si può risolvere solo entrando all'interno di quel gruppo; Michelangelo stanotte ha dovuto per forza rivelare ai miei che proprio lui ne fa parte, infatti ci ha confermato che stanno cercando una ragazza. Stasera ne chiederà il nome. «Che casino...» - impreco, sperando che quella ragazza non sia proprio Alisya.

Quando ci siamo incontrati, quasi una settimana fa, Michelangelo non aveva capito chi fossi, mentre io invece lo ricordavo bene. L'ho riconosciuto subito, quella sera al Beach Club. Tutti sanno quello che ha passato, tre anni fa; tutti lo conoscono. Michelangelo, però, non conosceva né me né Alisya, ovviamente. E il fatto che si siano incontrati per caso sottolinea sempre di più la mia fede nel destino.

Tornando alla loro situazione amorosa, devo ammettere che Michelangelo aveva cominciato a starmi sulle palle. Davvero tanto. Se Alisya è perennemente acida in questi giorni, è solo colpa sua. «Vaffanculo.» -mormoro, maledicendo il traffico e guardandomi intorno distrattamente. Un po', devo ammetterlo, mi manca la Sicilia. Spero di tornarci un giorno, e di portare anche Alisya con me. Almeno... una volta che sarà finito tutto. Come è ovvio che sia, mi manca la mia vecchia città; Alisya, però, mi mancava di più. Su questo non ci sono dubbi; a Catania avevo amiche, certo, ma nessuna come lei. E' l'unica a cui voglio dare tutto l'affetto del mondo. Ed è a casa da sola, Cristo.

Sfilo le chiavi dal quadro e recupero qualche secondo per ragionare lucidamente. Okay, Perla, con calma, non c'è bisogno di agitarsi. Allungo un braccio verso il sediolino del passeggero e afferro la maschera dorata che ho acquistato ieri sera, per poi indossarla. Se quei bastardi cercano davvero Alisya, allora saranno tutti alla festa di stasera. Lei è al sicuro, adesso. Lei è a casa. Cerco di convincermene, ma ho un brutto presentimento. E il mio istinto non sbaglia mai.

Il locale è illuminato da una scritta dorata e fucsia, a zigzag: CA R N A B Y. Ci sono davvero tante persone, tutte travestite, e il pensiero che quei drogati bastardi siano qui in mezzo mi fa chiudere I pugni dalla rabbia. «Signorina, qual è il suo gruppo?» - la voce autoritaria di un uomo, mi fa voltare di scatto. Mi ritrovo dinanzi una figura alta, robusta, calva e con I peli del petto chilometrici che scappano dalla camicia.

Mi mostra una lista, e la scorro con gli occhi. «Quello di Raffaele Bertozzi.»

«Lei è...?».

Sbuffo, guardandomi attorno per assicurarmi che non ci sia alcun orecchio indiscreto. «Frisoni.» - mormoro. «Perla Frisoni. Chi devo cercare?» - ci muoviamo, sì o no?

«La signorina Lucia Guerra.».

Tiro un sospiro di sollievo, che fortuna. E' una delle poche persone che maggiormente ricordo; il suo caschetto nero lo riconoscerei subito.

«Stanza tre, primo piano.» - aggiunge il buttafuori. Cosa? Devo cercarla in una stanza? Devo addirittura impegnarmi per questo stupido gioco?

Annuisco rapidamente e avanzo, in fretta, verso le scale che portano al piano superiore. Mi guardo intorno distrattamente, appurando che, più che una festa, sembra un puttan tour, come direbbe Alisya: cameriere, infermiere sexy, cow girl; sono ovunque.

Trovare la stanza numero tre non è stato difficile come credevo. Faccio il mo ingresso, esitante, constatando che è una camera molto grande, ma le persone che la occupano sono poche. Le luci si alternano, vanno dal bianco al blu, e trovare la sagoma di Lucia è molto facile: è travestita da cat-woman, i suoi occhialoni neri non passano di certo inosservati. Il vestito scuro è in pelle e sul capo ha delle adorabili orecchie da gatto. Oh mio Dio, sono bellissime. «Ti ho trovata!»- urlo, vergognandomene subito dopo. Adesso I presenti mi prenderanno per mentecatta, mi avranno sentita tutti, la musica non è molto alta.

Si avvicina, facendomi segno con l'indice di abbassare la voce. «Sei Perla?» - chiede, guardandomi da dietro I suoi occhialoni.

«Yes, sono io!» - rivelo, sollevando le braccia - «Le tue orecchie sono troppo kawaii!» - mi complimento, sfoggiando I termini giapponesi che ho appreso dopo infiniti cartoni e fumetti in lingua straniera.

«Shhh, non farti scoprire.» - mi ammonisce, il sussurro mi fa rabbrividire e fare spasmi imbarazzanti - «Qualcuno ti starà ancora cercando!».

Ah, già, sto partecipando a questo stupido gioco. Sistemo meglio la mascherina, l'elastico bianco e sottile che la tiene fissa al mio viso mi provoca un fastidio enorme alle orecchie. «Vieni.» - continua, invitandomi a seguirla. Mi prende per mano, e camminiamo insieme, mentre io provo in tutti I modi a non ritrarre la presa, nonostante il fastidio che provo nel contatto fisico con le persone. Sospiro, continuando a seguirla, arricciando le labbra. Se Mastrolindo mi ha assegnato questa stanza, vuol dire che tutto il nostro gruppo è qui, a pochi metri da me. Vorrei andare a salutare Raffaele.

Abbandono questo pensiero, quando siamo oramai giunte al tavolo delle bevande, dove giacciono delle brocche con fluidi dai colori strani. Non c'è nessun barman ed io, diffidente quale sono, decido di non prendere nulla, mentre Lucia si riempie il bicchiere di un liquido verde, che mi ricorda la melma.

Storco la bocca, fissando di sottecchi il suo bicchiere, e ci sediamo sui divanetti In pelle. Mi adagio allo schienale e accavallo le gambe. «Tu chi devi cercare?».

«Marta, ma l'ho già trovata.» - risponde, indifferente, per poi alzare un sopracciglio e rivolgermi un'occhiata scettica. «Chiunque la noterebbe.».

Aggrotto le sopracciglia in seguito alla sua espressione, per cui sollevo lo sguardo e mi guardo intorno.

Non è difficile individuarli; di fronte, su uno dei divanetti, Marta e Michelangelo sono seduti assieme a parlare. I capelli di lei, biondissimi e liscissimi, splendono anche con le luci soffuse. Socchiudo le palpebre, mettendo a fuoco la coppia e cercando di capira da cosa si sia travestita. «Scherziamo?» - strillo, sconvolta, agitando le mani. Ha un camice verde, chiuso solo da due o forse tre bottoni nella parte inferiore, mentre è chiaramente visibile il bordo del reggiseno nero che indossa. Scuoto la testa, esasperata. «Ma perché fa così?».

Lucia scrolla le spalle, arricciando le labbra in un sorriso. «Per riconquistare Michelangelo.» - risponde, scettica.

Soffoco una risata, con ironia. «Convinta lei.» - borbotto, fissando il mio sguardo su Marta. «Michelangelo è di Alisya, illusa.».

«Però, sai una cosa?» - domanda retoricamente, bevendo un sorso del suo cocktail. «Non è una cattiva ragazza.»

«No, per carità.» - ribatto sarcastica, con un sopracciglio sollevato.

«Te lo giuro.» - si porta la mano al petto - «Veniva in classe con me, non è una tipa facile. Fa così solo con lui.» - continua, cercando di convincermi.

«Sarà.» - sussurro, per nulla convinta, afferrando le sue orecchie da gatto. «Mi stanno bene?» - domando, indossandole.

«No.».

«Come no?».

«Stanno bene solo a me.» - afferma, riprendendosele.

Ridacchio, divertita, e le chiedo dove le ha comprate. Mi risponde che le ha trovate ad una fiera del fumetto, e che mi ci porterà un giorno, se ci organizziamo in gruppo. Distolgo per un attimo lo sguardo da Lucia, sollevandolo in avanti. Anche se sono distanti sì e no dieci centimetri, in ogni caso Michelangelo non sembra interessato a quello che gli sta dicendo Marta; perché ora guarda verso me.

Quando I nostri occhi si incrociano, per un attimo sussulto, ma quando Michelangelo si alza in piedi – evidentemente vuole salutarmi, faccio lo stesso. Cammina nella nostra direzione, camicia scura e jeans abbinati, mani in tasca e aria sfacciata. Lo prenderei a schiaffi, come osa stare con Marta mentre Alisya è da sola a casa?

«Indovina chi sono?» - lo esorto ad intuire, a braccia incrociate e con un sorrisetto furbo.

Si avvicina e per poco non fuggo. La vicinanza ad un ragazzo mi fa rabbrividire, ma decido di non scappare. «Perla, non conosco molte ragazze basse quanto te.» - mi sussurra ad un orecchio, malizioso.

Ridacchio, mordendomi un labbro, e mi allontano raggiungendo una distanza di sicurezza appropriata. «Ciao» - sorrido, fa lo stesso e mi lascia un bacio sulla guancia.

Quando ci separiamo, per qualche attimo fisso I miei occhi nei suoi, blu come il mare. Se si potesse anche solo comunicare con lo sguardo, gli direi che sono con lui. Che non è solo. Che questa grande situazione può affrontarla con più leggerezza se si confida con me.

Questo è quello che gli ho sussurrato stanotte, prima di andare via da casa sua. Purtroppo o per fortuna, io ci sono abituata, l'ansia non mi appartiene più, dato che è da una vita che I miei genitori combattono per la giustizia ogni giorno. Però lui è un ragazzo di diciannove anni, non è addestrato e, le poche conoscenze che ha, le ha apprese da Internet. Mi mordo un labbro, cercando di non piangere. Perché mi affeziono così facilmente alle persone? Se questo ragazzo è in grado di portarci la verità, allora i sospetti di mia madre sono fondati, e Alisya è in grave pericolo. Michelangelo sospira e, come se avesse letto i miei pensieri, mi avvolge di nuovo con le sue robuste braccia, che in questo momento sono la culla dove vorrei cadere in un sonno profondo, fin quando tutto ciò non sarà finito. «Dov'è Raffaele?» - gli sussurro ad un orecchio, cercando di smorzare la tensione.

Fa un cenno col mento, verso un gruppo di persone, tenendomi ancora ben stretta. «Cercatelo!» - risponde, allargando le braccia e schernendomi. «Ma, aspetta un attimo... Alisya?» - si guarda intorno, aggrottando le sopracciglia, come a cercarla.

Conto fino a tre, prima di rispondergli. Uno, due, tre.

Tu? Tu mi chiedi dov'è Alisya? Dopo che l'hai ignorata tutto questo tempo? Dopo che hai ricominciato a punzecchiare quella Marta?

«Cercatela.» - ribatto, sorridendo acidamente e sbattendo le palpebre, In modo angelico. Senza dargli il tempo di rispondere -ed è meglio per lui, che non aggiunga nient'altro-, mi avvicino a quel gruppo di ragazzi e riconosco subito il mio...

Eros.

E sembra davvero una divinità greca. Raffaele indossa una toga bianca, un'aureola tra i ricci scuri lo definisce un angioletto sebbene sia tutto tranne quello. E' magnifico.

«Dove hai lasciato le tue frecce, Eros?» - lo punzecchio, alzando la voce affinché possa sentirmi.

Si volta a guardarmi, I suoi occhi blu mi scrutano, ricordi dell'altra notte riafforano prepotentemente facendomi quasi arrossire.

«Angela?».

Sbatto le palpebre, titubante. «Che?».

Raffaele mi osserva a lungo; quando sorride e si passa una mano fra I capelli, imbarazzato, capisco che mi ha riconosciuta. «Perla.».

«Sai che ti ammazzerò per avermi confusa con qualcun'altra, vero?» - sussurro, avvicinandomi e fissandolo con gli occhi spalancati ed un sorriso inquietante. Non stiamo insieme, e le probabilità che ciò avvenga sono poche, però... dannazione... sono gelosissima di lui. E non accetto questa mia reazione. E poi, chi dannazione è questa Angela?

«Scusami... non ci vedo molto bene!» - esclama, prendendomi in giro. «Andiamo un po' fuori, mi accendo una sigaretta.».

Prendiamo posto sulle sedie in acciaio, dopo essere arrivati sulla terrazza del Carnaby, al secondo piano. Non fa molto freddo, si sta bene, il cielo è pieno di stelle ed è possibile ammirare l'incantevole panorama di Rimini. Mi guardo intorno, appurando che attorno a noi ci sia solo una coppia di amiche e due fidanzati. Si può sentire la musica, ma non intralcia le nostre parole.

«Raffi, secondo te Michelangelo prova qualcosa per Alisya?» - chiedo,timorosa. Perché, se è così, allora comincio a credere davvero nel destino.

Fissa lo sguardo oltre il muretto che delimita la terrazza. «Non saprei, se devo essere sincero.». Grazie, molto soddisfacente.

Alzo un sopracciglio, irritata. «Puoi rispondermi con decenza?!».

«Sì, secondo me si.» - sbuffa, esasperato e annoiato. «Con Marta sta solo facendo il coglione.». Mi appunto mentalmente di riferirlo ad Alisya, intanto che provo immensa soddisfazione nell'aver catturato questo chiarimento.

Sospiro, un po' in imbarazzo, dato che per alcuni secondi restiamo in silenzio. Purtroppo o per fortuna mi torna in mente una domanda. «Chi è Angela?». E' vero, non stiamo insieme, ma non può già andare a letto con un'altra. Io lo ammazzo.

Esita nel rispondermi, forse perché lo sto guardando truce. «Ecco... è la mia ex. E' anche lei qui alla festa, ed è bassa come te.».

«Io sono di certo più bella!». E vorrei davvero tanto stare con te. Mi adagio allo schienale della sedia, perdendomi nuovamente in quel panorama, un velo di tristezza mi avvolge facendomi sospirare.

«Che pensi?».

Faccio una smorfia con le labbra, piegando gli angoli della bocca verso il basso. «A tutto questo casino che sta succedendo con Alisya e Michelangelo. E poi, prima pensavo che mi manca un po' la Sicilia.» - ribatto con sincerità, cercando disperatamente di cambiare argomento.

«Io non ci sono mai stato. Di che parte eri, precisamente?» - chiede, facendo un cenno nella mia direzione e aspirando del fumo.

Mi mordo l'interno della guancia, alla tristezza si aggiunge la malinconia. «Catania.».

«Ti mancano i tuoi fratelli?» - domanda, voltandosi per guardarmi.

Inaspettatamente, riesce a strapparmi un sorriso. Probabilmente, adesso, nonna starà sgridando Simone, affinché spenga il computer, mentre Giulia starà già dormendo. Annuisco, restando comunque in silenzio.

«Vuoi parlarmi del tuo trasferimento?» - dice, interrompendo i miei pensieri. Ancora.

Scrollo le spalle, cercando di non rispondergli male. Non è certo con l'acidità che lo conquisto. «Non c'è molto da dire.» -mormoro. «Quando mi trasferii a quindici anni, allora sì che fu un trauma. Non sapevo tutta la storia che ci fosse sotto, ero piccola e non davo importanza a certe cose. Alisya mi mancava, davvero tanto; dopotutto lei era la mia migliore amica ed io ero l'unica amica che aveva.».

«Anche Alisya sembra tenerci a te.» - osserva, lo sguardo indagatorio, le labbra arricciate.

Annuisco, sorridendo. Certo che ci tiene a me, che domande! «E adesso sono qui, a dare un piccolo aiuto ai miei genitori.» -aggiungo, allargando le braccia- «Credo che, se non ci fosse stata tutta questa situazione, sarei tornata comunque da Alisya, ora che ho diciotto anni. Ho saputo tutto un mese fa, e dopo aver fatto l'esame sono partita.»

Resta in silenzio, giocherellando col posacenere. E' visibilmente nervoso, e maledettamente sexy; e vorrei quelle mani su di me, adesso. «Te, invece?» - chiedo, mordendomi il labbro per quei pensieri. «Tu cosa hai in mente?».

«Mhm?».

«Non fare finta di nulla! Io lo so che hai qualcosa che non va.».

«E come fai a saperlo?».

«Istinto.».

Scrolla le spalle, sorridendomi appena. «Quando avevo tre anni i miei genitori si separarono. Mia madre tradiva mio padre. Così, dopo alcuni mesi, andammo a vivere in un altro appartamento.» -si passa una mano fra i ricci, ancora nervoso, mentre comincia il suo racconto - «Quando iniziai le elementari, - ho fatto la primina, quindi a cinque anni, mio padre conobbe la madre di Marta. Vennero a vivere da noi e, dopo qualche anno, si sono risposati.».

E questo è quanto?

Non voglio fare altre domande indiscrete, così metto a tacere la mia lingua curiosa. Ma ho intuito che, il suo odio verso le relazioni, è dovuto al comportamento di sua madre. Questo è certo. Spegne la sigaretta nel posacenere e si alza in piedi. «Andiamo a ballare, dai.».

Abbiamo appena cominciato a ballare, ma qualcuno mi picchietta fastidiosamente un dito sulla spalla. Mi volto, pronta a mandare a quel paese il proprietario della mano che ancora si poggia sulla mia spalla. Alzo gli occhi al cielo ma, quando incontro lo sguardo cupo di Michelangelo, divento più seria. «Che vuoi?».

Si avvicina al mio orecchio, gli occhi lucidi. Il mio cuore comincia a battere all'impazzata. «Dov'è Alisya? Non la trovo!».

Lo guardo, incredula. «Coglione, stavo scherzando!» -Oddio, come si può essere così stupidi? - «Tu - sì, hai capito bene, tu! - non l'hai invitata, così lei è rimasta a casa.» - esclamo, storcendo la bocca.

Mi ispeziona a bocca aperta, ferito. «Sei impazzita? L'ho cercata tutta la serata e tu adesso me lo dici!?» - sbotta, visibilmente nervoso.

Mi guarda, come se avesse qualcosa da dire, boccheggia senza proferir parola. E la sua espressione sconvolta non mi piace.

Poggio le mie mani sulle sue spalle, stringendo forte. Michelangelo cinge le braccia attorno al mio busto, saldamente. «No, Michelangelo, dimmi che non è quello che sto pensando» - sussurro disperata, il battito cardiaco aumenta, un leggero mal di testa mi fa ondeggiare, l'incredulità del momento che tanto temevo mi porta a pensare che sia tutto un incubo.

«Ascoltami...» - gli occhi fissi nei miei, sbarrati, pieni di lacrime. Non posso accettarlo. Scuoto la testa, schiudo le labbra, boccheggio per prendere aria, ma non riesco a dire nulla. «Ti prego, no, no, no, dai» - mi carezza una guancia - «Non fare così.».

Deglutisco, fissando un punto impreciso sulla sua camicia. «Michelangelo...» -balbetto, col cuore in gola. «Qual è il problema?».

I nostri sguardi si incrociano, attendo la sua risposta e avverto le gambe tremare dalla paura.

«Perla, ho saputo una cosa.».


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