Sedici.

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Capitolo revisionato.


Oggi si prospetta una nitida giornata di sole, ma tira vento, dunque non fa molto caldo. Scendo le scale rapidamente e chiudo con veemenza il portone, lasciandomi alle spalle un tonfo risonante.

Stupido Michelangelo.

Devo smetterla di pensare che, vicino all'anta del portone, ci sia la sua testa a mo' di ghigliottina. Finirei per distruggerlo.

E' colpa sua se, ieri sera, tornata a casa, ho fatto stretching e per poco non mi strappavo nell'inguine, al contempo mi sono rimpinzata in modo eccessivo; do risposte secche a Perla e percuoto ogni cosa che mi circonda. Povera ragazza, davvero non mi spiego come stia facendo a sopportarmi.

Ieri sera, probabilmente è tornata tardi, infatti sta ancora dormendo e non si è nemmeno struccata: due archetti hanno macchiato il suo cuscino, ora simile al velo della sacra Sindone. Per non parlare di quel disgustoso cerchio di bava impresso sulla federa.

Arrivo alla fermata e poggio le spalle al muro, incrociando le braccia. Ho lo sguardo puntato in avanti, nervoso ma anche un po' risollevato, il pullman non è ancora passato ed io, fisicamente parlando, sono in perfetta forma.

Sbuffo, chiodi pungenti irritano i miei occhi. Stupido Michelangelo. Non ha più risposto al mio messaggio e, per un attimo, ho anche creduto che potesse essere geloso della mia idea di andare al Coconuts, da sola con Perla. Ma, poi, ho riflettuto sul fatto che lui non ci abbia pensato due volte ad accettare l'invito al Carnaby, proprio davanti ai miei occhi, e non appena gli sia stato detto il nome di Marta. Dopo, però, mi ha chiaramente fatto capire di volerci provare con me.

Finirò per impazzire.

Respiro a fatica, in questo momento se fossi un animale sarei un toro. Probabilmente, ci sarebbe andato comunque alla festa del cavolo che si terrà stasera, indipendentemente da me; non potrei saperlo, però, dato che con lui non ne ho parlato. E dato che non mi ha invitata. Inutile dire che, in questi giorni, sono diventata la regista dei migliori film mentali della storia del cinema; e sono arrivata ad una conclusione: Michelangelo ci ha ripensato ed è tornato da Marta. Non ho avuto una testimonianza diretta, ma sono sicurissima di ciò, pronta a metterci la mano sul fuoco.

So bene che è una convinzione affrettata, oserei dire irrazionale; ma cosa dovrei pensare, dal momento che lui non mi rivolge la parola? Gli ho fatto qualcosa? Non lo saprò mai.

Scorgo da lontano il pullman arrivare alla mia fermata, quindi avanzo di poco per farmi vedere. Le porte si aprono, col solito sbuffo, salgo e prendo posto avanti a tutto. Nel periodo scolastico, a quest'ora, c'era sempre un gran baccano e l'aria era irrespirabile. Mi guardo intorno, posso constatare che, in estate invece, per esempio oggi, sono da sola e c'è un piacevole silenzio. La città è ancora spenta, dopotutto sono le sette del mattino.

Ieri sera, tornata a casa dopo lo strambo saluto di Riccardo, ho deciso che oggi pomeriggio sarei andata al mare. Ho scritto un bigliettino a Perla, per invitarla, ma sono più che certa del suo rifiuto: è una di quelle persone che, se va in spiaggia, vuole passarci tutta la giornata, partecipare a tutti i balli di gruppo e ai tornei di beach volley. Essendo impegnata la mattina col lavoro, ho deciso che andrò al mare solo per poche ore, giusto il tempo di abbrustolirmi.

Mi adagio al sediolino e poggio la testa contro il vetro; quasi mi ci voglio scaraventare dentro, quando il pullman passa davanti alla fermata dove c'è la mia vecchia casa, e dove c'era anche Michelangelo, sabato scorso, a controllare che io prendessi il pullman.

_

«Com'è?» - Jessica esige il mio parere, guardandomi divertita.

«Buonissima.»- rispondo, dando il mio giudizio, dopo aver deglutito. Non che avessi potuto rispondere in modo diverso. Stamattina in casa non c'era nulla di buono con cui fare colazione, quindi ho acquistato allo Shine una fetta di Red Velvet.

Pulisco gli angoli della bocca da briciole bordeaux e bevo un generoso bicchiere d'acqua. Quasi rischio di strozzarmi quando mi squilla il telefono, annunciando l'arrivo di un messaggio. E' Michelangelo. Mi balza il cuore in gola e, con mano tremante, sfilo il telefono dalla tasca. Un po' ci resto male, quando constato che è Perla.

"No, mi scoccio".

Grazie mille, penso, ma poi scrollo le spalle. Alla fine non importa, perché sono abituata ad andare al mare da sola. Anzi, più in generale, sono abituata ad essere sola. E in questo momento lacrime calde tentano di uscire dalle mie palpebre, per la tristezza della frase appena meditata.

Infilo il telefono in tasca, l'entrata di un cliente mi costringe a ricacciare in fretta le piccole gocce di afflizione all'interno. Un uomo di - a mio parere - trent'anni, attraversa il locale arrivando al bancone dove sostiamo io e Jessica; ha i capelli scuri, la pelle abbronzata e lucida, ma il centro della mia attenzione è il tenero frugoletto che porta in braccio: un bimbo piccolissimo, dall'aria simpatica, gli occhi grandi ed azzurri sono circondati da un caschetto di pochi capelli color grano. «Buongiorno!» -saluta, a voce alta e con un accento tipico del sud.

Con un cipiglio in volto, sorrido dinanzi a tanta allegria.«Buongiorno.» - rispondo educatamente, a mia volta. «Mi dica.».

«Devo ritirare la torta di compleanno, il cognome è Sorrentino.».

Annuisco, dirigendomi al grande frigo, posizionato di fronte il bancone; apro l'anta, e ne estraggo l'unica torta di compleanno presente, non ci vuole molto per intuire quale sia; è ricoperta di pasta di zucchero bianca, con cerchi rosa e la scritta 'Auguri amore'.

Evito di storcere la bocca, per tutta questa dolcezza. Poggio il vassoio e l'involucro con il logo dello Shine sul bancone, e la incarto ordinatamente. Sospiro, prendendo di nuovo posto sullo sgabello, mentre Jessica fa lo scontrino al ragazzo. Di sfuggita, lo guardo pagare e salutare; mi piace pensare che ogni persona che entra ed esce da questo bar, come tutte quelle che si incontrano per strada, abbia la propria vita, la propria famiglia, la propria storia.

Scendo in modo veloce le scale del lido, in preda alla gioia; finalmente, dopo un mese di esami e crisi isteriche notturne, mi godo qualche ora di mare. Per fortuna, a Rimini, ci sono numerosi stabilimenti ed io ho scelto quello più vicino casa nostra.

Mi avvicino alla cassa e pago per un ombrellone; dopo qualche attimo, un ragazzo alto e moro mi raggiunge, ed io provo disperatamente a non ridere davanti a lui; ha un mento così strano, che mi ricorda Crimson Mentone. Indossa una canotta rossa da cui fuoriescono troppi muscoli -sul serio, sembra un cornetto- e mi porge la mano, aspettando lo scontrino. Allungo un braccio e glielo mostro; fa un piccolo strappo con pollice ed indice, e me lo ridà, avanzando lungo la passerella bianca e azzurra, che si estende per tutta la spiaggia e termina al bagnasciuga.

Adoro la spiaggia riminese, perché è larga ed io posso mettermi in disparte, senza essere disturbata da bambini che giocano o, peggio... animatori. «Dove vuoi stare?» -chiede, distrattamente, quasi annoiato, come se mi stesse facendo un piacere. Ragazzo, potresti anche metterci un po' di ardore.

«Lì.» - rispondo, con la stessa freddezza, indicando un ombrellone isolato dal mondo, beccandomi una sua occhiata confusa; dovevo immaginarlo. «Cosa c'è, la peste, in quella zona?».

Crimson Mentone scoppia in una fragorosa risata, ma decide finalmente di mettersi a lavoro. Discende sulla passerella, mettendo piede sulla sabbia, ed io cerco di stare al suo veloce passo. Armeggia vicino all'ombrellone, aprendolo e rivelando un'ampia copertura ambra che sfuma in un energico blu reale. «Grazie.» - mormoro invano, dato che il ragazzo è già andato via, quasi correndo.

E' scappato da me, esattamente come Michelangelo.

Distendo le braccia lungho il busto, spazientita con me stessa. Adesso dovrei godermi il meritato pomeriggio di mare, il pensiero di quell'imbecille non dovrebbe minimamente sfiorare la mente. Apro lo zainetto ed afferro il telo azzurro, sistemandolo accuratamente sulla sabbia; lo aggancio con una spallina all'ombrellone, per poi cominciare a spogliarmi, rivelando il nuovo acquisto di quest'estate: a due pezzi, nero con vari strass dorati, che mette in risalto le mie forme ottime e duramente guadagnate.

Mi volto e, quasi sofferendo, appuro che il mio ombrellone si trova davvero molto lontano dall'acqua, e la sabbia è altrettanto bollente. Bando alle ciance, mi decido a correre velocemente, trovando riparo sotto gli ombrelloni altrui.

Quando la sabbia che scotta è sostituta da quella fresca del bagnasciuga, provo una piacevole sensazione di sollievo, constatando di essere arrivata ad un metro dall'acqua. Faccio dei piccoli passi verso il mare e porto una gamba in avanti; immergo di poco le dita, scoprendo con piacere che l'acqua non sia tanto fredda. Dopotutto, sono le quattro del pomeriggio, ed il sole batte forte sui miei capelli e sulla distesa d'acqua.

Mi immergo gradualmente, osservando i miei i piedi attraverso l'acqua limpida. Quando sono immersa fino alle spalle, sollevo lo sguardo verso l'Adriatico; sugli scogli, un gruppo di ragazzi sta cercando di morire.

Volevo dire, sta facendo una compilation di tuffi acrobatici.

Più vicino la riva, ce ne sono altri che giocano a pallavolo, ed anziane signore che li maledicono.

Mi volto, per verificare che nessuno sia dietro di me; quando me ne sono assicurata, faccio un piccolo saltello e sollevo il mio corpo, facendo 'il morto' a galla. Divarico le braccia e chiudo gli occhi, godendomi la sensazione di fresco dovuta all'acqua che mi bagna l'attaccatura dei capelli. Sorrido debolmente, mentre nelle orecchie c'è solo il mio respiro. Nient'altro. Un respiro profondo, che mi fa pensare alla vita, e a quanto siamo fortunati ad averla.

Pare che sia davvero cominciata l'estate.

L'estate che tutti definiscono più bella, perché è quella dopo la maturità. Per quanto mi riguarda, se non fosse tornata Perla, sarebbero stati tre mesi come tanti, sinceramente. Chissà cosa avrei fatto, in alternativa; l'anno scorso, almeno, ero all'Addolorata, ho dovuto badare a quegli insopportabili marmocchi del campo estivo. Ad agosto ho compiuto diciotto anni ed ho deciso di andare a vivere da sola in quel monocale e, dannazione, dovrei mettere un freno ai miei pensieri, no, cavoli, non devo assolutamente pensare che è lì che ho incontrato Michelangelo per la seconda volta.

Aggrotto le sopracciglia, ancora ad occhi chiusi, quando mi rendo conto che, come un'idiota, ho dimenticato di chiedergli come conoscesse il signor Sedita. Sbuffo. Non me ne frega un tubo. Meglio riportare i pensieri sulla retta via.

Volevo andare a vivere da sola, per cominciare ad essere indipendente. Sapevo che non avrei potuto gravare sulle spalle di suor Lorena per sempre, così intrapresi qualche lavoretto per guadagnare qualcosina. Facevo ritratti, dipingevo quadri su richiesta, decoravo scarpe, davo ripetizioni: questo è quello che farebbe qualsiasi studentessa del liceo artistico, con ottimi voti. Nonostante la mia forte passione, avevo bisogno davvero di quei solidi, così cominciai a metterli da parte.

Però, pensandoci, potrei andare al Carnaby stasera, e trascorrere una bella serata.

Sul mio volto compare una smorfia e torno coi piedi sulla sabbia, tornando lentamente al mio ombrellone. No, non voglio.

Mi stendo sul telo e chiudo gli occhi, lasciando che il sole asciughi le gocce sparse sulla mia pelle, e permettendo di riscaldare il mio cuore. Chissà cosa sta facendo Michelangelo in questo momento.

«Ciao!».

Apro gli occhi di scatto, dallo spavento, e mi porto una mano sul petto d'istinto. Due occhi castani mi stanno fissando, dire che sono inquietanti è poco.

«Ciao?» - mormoro, infastidita, mettendomi a sedere. Il ragazzo accovacciato sotto il mio ombrellone, ha i capelli biondi leggermente lunghi; una maglietta larga e gialla canarino fascia il suo corpo, e porta un nome sopra. 'Francesco'.

Evito di guardarlo come se fosse un mostro, quando riconosco che è un animatore. «Vuoi venire a giocare con noi?» - mi invita, rivolgendosi a me, sorridente.

Prima che possa mandarlo educatamente a quel paese, per avermi fatta spaventare, mi interrompe. «Facciamo i giochi aperitivi lì» - afferma, portando un pollice in una direzione dietro di sé. «e ci divertiamo assieme. Non fa così tanto cagare, dai.».

Sbatto le palpebre, bocca serrata, perplessione. Almeno ne è consapevole.

«Dai, è sicuramente meglio di stare qui tutta sola.» - mi esorta, allargando le braccia; quando appuro che ha l'espressione simpatica e mi ricordo che passerò la serata da sola in casa, almeno adesso che posso decido di accettare.

Ridacchio per la sua proposta stramba e sollevo un angolo della bocca. «E va bene.» - accetto, anche un po' per accontentarlo. Ci alziamo, Francesco scrocchia la schiena, per riprendersi da quella scomoda posizione. Ci avviamo al bar dello stabilimento, avanti cui dei tavolini sono stati disposti ordinatamente. «Iniziamo tra poco.» - mi informa - «Com'è che ti chiami?» - aggiunge.

«Alisya.» - rispondo, scandendo bene il mio nome, per evitare fraintendimenti.

Annuisce, sinceramente soddisfatto di aver portato una preda al suo branco. «Okay. A tra poco, Alisya.» - mi saluta, prima di congedarsi e raggiungere altri animatori.

Dopo aver tracannato un po' troppi aperitivi, segno della mia astuzia e bravura nei giochi da tavolo, Francesco saluta animatamente gli altri partecipanti e si siede al mio fianco, un po' troppo vicino per i miei gusti. «Com'è che sei da sola?» - chiede, cercando di apparire cauto.

Oh, no. Ci risiamo. Scrollo le spalle, ostentando sicurezza ed indifferenza. «La mia amica non poteva farmi compagnia.» - mento, con tranquillità.

Si avvicina ancora di più. «E quindi non hai un ragazzo.» - osserva, sollevando le sopracciglia.

Soffoco una risata, per non cominciare a piangere disperata avanti a lui, pensando a Michelangelo. Proprio no.».

«E neanche una famiglia.» - chiede, ancora.

Mi volto di scatto a guardarlo, cipiglio in volto e inquieto che mi fa strabuzzare gli occhi. «Perspicace, direi.» -ribatto, incrociando le braccia. «Finito l'interrogatorio?» aggiungo, con ironia, anche se sono infastidita dalla sua affermazione, come se ce l'avessi scritto in fronte.

Scoppia in una grassa risata, sinceramente divertito dalla mia risposta, nonostante io non ci trovi nulla da ridere. Poi, controlla l'ora dal cellulare poggiato sul tavolino. «Sono le sei, tra poco cominciamo i balli di gruppo.» - mi informa, invitandomi implicitamente, esattamente come due ore fa.

Spalanco gli occhi.«Le sei?» - domando, sconvolta -«Dio, è tardissimo. Scusa, devo andare.» - mormoro, alzandomi dalla sedia in plastica con velocità, temendo che possa trattenermi in qualche modo.

Un'ora e mezza dopo, chiudo l'acqua e mi avvolgo in un morbido asciugamano bianco, notando una leggera abbronzatura che ha reso la mia pelle meno chiara. Tengo ben stretto il telo, adagiandomi alla parete e facendo un lungo sospiro. Tra poco Michelangelo andrà ad una festa, dove c'è anche Marta, e so che è inutile continuare a pensarci, ma saperlo mi manda leggermente in panico.

«Ti muovi!?» - le urla di Perla mi risvegliano dalla tristezza in cui ero precipitata - «E' tardissimo!».

«Sì, eccomi...» -mormoro, infilando rapidamente il pigiama. Il mare mi ha stancata, non ho neanche la forza di urlare. Esco dal bagno, per poi ritrovarmi di fronte ad un esemplare di Perla in intimo, con le braccia incrociate e l'espressione innervosita.

«Sei lì dentro da un'ora!» - sbotta,superandomi ed entrando nel bagno, visibilmente infuriata.

Sospiro, camminando lentamente verso il mio letto. Devo ancora abituarmi al fatto di non essere sola in casa; mi sembra ovvio che Perla si sia arrabbiata. Mi precipito sul letto, sfinita, avvertendo anche un leggero freddo. Mi rannicchio, poggiando la testa sul cuscino e le mani chiuse a pugno.

Mi risveglio solo quando una piccola manina mi percuote le spalle. Apro gli occhi, scoprendo la proprietaria. «Mi aiuti col vestito?» - chiede, l'espressione angelica in volto.

Sollevo il busto, stanca e un po' stordita. «Tu sei un diavoletto, non un angelo.» - mormoro, sbadigliando e mettendomi a sedere.

Mi stropiccio gli occhi con le spalle e allungo le mani in avanti, focalizzandomi meglio sulla sua figura. Fra le mani, il vestito da odalisca che le ho dato ieri, con la maschera ed il velo. I ricci castani sono intrecciati in morbide trecce, che io non saprei assolutamente fare. La aiuto ad infilare il vestito accuratamente, stando ben attenta a non farlo stropicciare; passo ad aggiustarle il velo, che va dai capelli fino ai polsi.

«Riuscirai a guidare così?» - chiedo, preoccupata.

Alza un sopracciglio, quasi offesa. «Io posso tutto,baby.» -risponde, sollevando le braccia, con l'intonazione di una convinta cheerleader dei film americani.

Alzo gli occhi al cielo, divertita; mi risiedo sul letto, credo proprio che appena Perla uscirà di casa crollerò dal sonno. Lo squillo di un telefono, attira la mia attenzione: non è il mio, ma quello della mia amica.

Si gira di scatto, come se avesse appena sentito un rumore terrificante. Poi, stranamente, sembra risollevarsi. «Vedi chi è.» - mormora, continuando la sua immaginaria sfilata davanti allo specchio.

Allungo un braccio e sblocco il suo telefono. «Raffaele» - la informo - «Posso leggere?».

Quando Perla annuisce, apro il messaggio e leggo ad alta voce il contenuto:«"Ci vediamo lì alle otto e mezza. Non fare tardi. Ci saranno anche Greta, Roberta, Angela, Lucia, Riccardo, Giovanni, Achille, Michelangelo e Marta."» -finisco di leggere, storcendo la bocca per gli ultimi due nomi.

«Non ho idea di chi siano tutte queste persone.» - si dispera, agitando il capo - «E se non trovo Raffaele?».

Mi trattengo dall'alzare gli occhi al cielo, dato che per lei è una cosa davvero davvero seria. «Sono certa che lo troverai, Perla. Hai un radar infallibile.» -cerco di calmarla-«Perché ti ha elencato tutte queste persone?».

Scrolla le spalle. «Perché gliel'ho chiesto io.» - risponde, afferrado la maschera fra le mani e allungando un braccio per prendere il telefono. Glielo consegno, e intuisco che sta per andare alla festa. «Allora... io vado.» - continua, incerta. «Mi raccomando, non farmi stare in pensiero. Tornerò tardi.»

«Perla, devo ricordarti che ho vissuto da sola un anno?» -chiedo, ridacchiando ironicamente- «Tranquilla, non mi rubano.».

«Lo spero.» - aggiunge, storcendo la bocca e lasciandomi perplessa. «Ali, io... Mi dispiace che tu non venga.».

Infastidita dalla ripetizione ossessiva della sua frase, sollevo lo sguardo verso il soffitto. «Non devi sentirti incolpa, Perla. Sono anche stanca... Tranquilla, non mi offendo.» - le ripeto la filastrocca.

Fa le spallucce, e mi lascia un bacio sulla guancia. «A domani.».

Le sorrido, avvertendo la stanchezza gravare sulle palpebre. «Divertiti, e trova Raffaele.».

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