Nove.

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Capitolo revisionato.

Michelangelo interrompe il bacio, con un movimento che definirei più che brusco, cambiando espressione. Ha un cipiglio in volto, e sembra che un pensiero terribile gli abbia appena attraversato la mente. Adesso sicuramente dirà una battuta delle sue, poi afferrerà il mio volto nuovamente e mi bacerà fino a farmi perdere il fiato. Andrà sicuramente così.

Mi incanto a guardarlo, le sopracciglia aggrottate e uno strano, terribile presentimento che mi porta ad emettere uno sbuffo. «Che hai?» - domando, intanto che Michelangelo mi fa spostare dalle sue gambe con un movimento per nulla cortese e aggraziato. Ma che modi!

Si alza, senza rivolgermi uno sguardo o una parola, come se non mi avesse appena baciata, come se non avessimo passato una serata quasi perfetta assieme, come se non avesse provato nulla durante tutto questo tempo. Mi prende per mano e mi trascina -letteralmente- verso la macchina. Credo l'abbia fatto solo perché, in questo modo, avanzo più velocemente.

Se c'è una cosa che non sopporto, sono proprio i cambi repentini d'umore. Ma che diamine gli prende? Mi fermo, incrociando le braccia e inchiodando i tacchi sul terreno. Non ha capito che da qui non mi muovo fin quando non ho una degna spiegazione da parte sua. «Che hai?» -ripeto, con tono più fermo e deciso.

Quello che ottengo, però, è solo mutismo. Tra di noi, ora, c'è solo silenzio. Un silenzio assordante, coronato solo dalle macchine che sfrecciano, in lontananza. Dal mio respiro che si fa sempre più strozzato, ma che cerco di placare, perché col cavolo che piango avanti a lui.

Guarda distrattamente oltre la sua spalla sinistra, ignorandomi. Come se stesse cercando qualcosa. Sconvolta da tanta indifferenza, proseguo. «Sono anch'io un essere umano, Michelangelo, e -in quanto tale- ho un cuore. Non voglio che ci ribaciamo, anzi, guarda, con questo comportamento del cazzo non voglio nemmeno sfiorarti, ma adesso devi dirmi qual è il fottuto problema, così-».

«Cazzo, è così difficile da capire!?» -mi interrompe, sovrastando le mie ultime parole con la sua voce alzata ed imponente, quasi disperata. «Io... sono in un casino più grande di me. Non posso... Io non posso fare nulla, Alisya. Ho sbagliato. Ho sbagliato tutto!»-si prende la testa fra le mani, gesto dettato dalla disperazione -«Io... io stanotte starò con Marta. E' lei che amo. Fine.»

E' lei che amo, fine, ripete l'eco della sua voce nella mia testa; ed è un po' come se mi avesse conficcato un coltello nel petto. Ma cosa mi aspettavo? Dopotutto, ne ero consapevole. Perché mai avrei dovuto piacergli? Aspettavo solo che mi sbattesse la verità in faccia.

Da stronza quale sono, non posso che rispondergli nel mio stile. «Oh, guarda, non c'è proprio bisogno di dire "Fine", perché, a dirla tutta, da uno come te non voglio proprio niente!» - rispondo, mentre calde lacrime mi si formano agli angoli degli occhi. Giusto in tempo, dannazione, volto le spalle e a passo svelto mi dirigo alla macchina.

Sono un'idiota. Una completa idiota. Dice di amare quella Marta, eh? E allora che se ne vada al diavolo, assieme a lei. Che torni a farle il cagnolino dietro, quello è il suo ruolo probabilmente. E' davvero un idiota. Lui è un idiota, mica io. Che cavolo mi porta a fare a cena fuori se poi è innamorato della sua ex? Con cui, tra l'altro, stanotte ha fatto sesso; dettaglio fondamentale, che anticipava ciò che sarebbe senza dubbio successo stasera, ma che io ho volutamente ignorato, perché probabilmente mi ha trasmesso la sua stupidità. Michelangelo è un deficiente. Menomale che la cosa, qualsiasi cosa fosse, si è conclusa dopo neanche un giorno. Meglio così, decisamente. Anche se, dannazione, poteva evitare di baciarmi, e va bene, è vero che l'ho fatto io, però lui mi ha portata in quel posto con quell'intenzione, di questo ne sono certa.

Grazie al cielo, siamo tornati in città. Non ne potevo più, questo viaggio sembrava infinito. In ogni caso, il silenzio è un rumore insopportabile certe volte. Questa è una di quelle volte in cui, però, il silenzio è l'unico rumore che io possa sopportare senza impazzire o cominciare a strillare.

Parcheggia dinanzi il palazzo in cui io e Perla viviamo; spegne la macchina e guarda in avanti, attendendo. Anch'io attendo qualcosa, magari un miracolo.

Sono più che certa che Michelangelo abbia gli occhi lucidi, forse è per questo che non mi guarda e non si volta nella mia direzione. Direi che è pentito, o almeno così sembra. «Beh, grazie di tutto.» -affermo, con freddezza, facendo eco alla parte gentile di me.

«Alisya... dammi un po' di tempo.» -mormora, seriamente, adagiandosi al poggiatesta.

«Oh, te lo scordi, caro.» -ribatto, con un sorriso acido di cui, in questo momento, vado decisamente fiera. «Michelangelo, non sono usa e getta come la tua amica.» -termine che sottolineo con non poco disgusto- «Non è che torni quando ti pare e piace, come se io fossi sempre qui ad aspettarti. Non posso assicurartelo, anzi, non voglio.».

«Hai ragione.».

E il premio per la risposta più intelligente dell'anno va a...

Figuriamoci, ovvio che ho ragione! Lo guardo, esitante. Avrei tante da dirgliene, ma crollo nel percepire i suoi sensi di colpa. Sono acida la maggior parte del tempo, ma io -a differenza sua- porto rispetto per i sentimenti degli altri. «Ciao.» -borbotto, prima di scendere dalla macchina e chiudere la portiera.

Apro la porta di casa, con le chiavi di riserva che Perla mi ha gentilmente offerto oggi pomeriggio. Avrebbe potuto ritirarle ieri sera, prima di andare al Beach Club. Almeno avrei evitato di rivedere Riccardo e sprofondare nell'angoscia dei ricordi.

Accendo l'interruttore, permettendo ad una calda luce dorata di illuminare la stanza. Il salone della mia nuova casa. Sfilo i tacchi, esausta. «Torture di Satana.». Li afferro con due dita e li ripongo nella scarpiera, vicino l'ingresso.

Vado in bagno e sfilo il vestito blu, che tanto amo perché mette in risalto le mie forme perfette; lo lancio nella cesta dei panni da lavare e lego i capelli con un elastico, che ho abbandonato sul mobiletto del bagno prima di uscire. Prendo il telefono e, con gran sollievo, Perla mi ha avvisata del fatto che non tornerà stanotte. Almeno non dovrò dare spiegazioni a nessuno; e, almeno, lei è fuori a divertirsi.

Poggio la schiena alla porta del bagno, chiudendola. Sospiro. Non so come mi sento. «Come ti senti, Alisya?». «Una bella merda.» -mi rispondo da sola, socchiudendo le palpebre e cercando in tutti i modi di rimuovere i ricordi di stasera. Cervello, aiutami tu a non pensarci.

Mi manca Michelangelo, attesto, quando lascio scorrere l'acqua nella vasca, privandomi dell'intimo. E lo so che ci conosciamo da neanche un giorno; è solo che io, in lui, avevo visto quella figura confortante e rassicurante, che spesso si identifica nel fidanzato. Non saprei spiegarlo a parole, però, sai, quando non sai come andrà a finire una cosa, ma in cuor tuo hai la sensazione che andrà tutto bene. Ecco, è stata questa a trarmi in inganno.

Mi immergo nella vasca, sbuffando, e mi insapono il corpo con il nuovo bagnoschiuma a Mela Verde. Un flashback attraversa come un lampo la mia mente. Un lampo che ha la forma di alberello verde, Arbre Magique.

Al ricordo di quegli attimi, crollo. Tanto, sono da sola. A chi diavolo importa se è troppo presto?

Mi lascio sfuggire una lacrima. Una sola, che come me attraversa il campo desolato delle mie guance, prima segnate dai baci di Michelangelo. Menomale che Perla non c'è, altrimenti direbbe cose scontate ma, senza dubbio, giuste: è troppo presto, ce ne sono altri, non ne vale la pena. Se esiste un angelo custode per ognuno di noi, sono certa che il mio mi stia guardando dall'alto, deluso. Lo immagino, mentre scuote la testa e si mette le mani fra i capelli. Sono un caso perso.

Chiudo gli occhi, lasciando che un'altra lacrima calda mi percorra le guance. E' stata colpa mia, continuo la mia conclusione. Me l'aveva detto, che andava dietro alla sua ex. «Cioè, no, aspetta Alisya» -esclamo, convinta, sollevando le mani dall'acqua- «Non è andata esattamente così. Lui mi ha detto addirittura di fidarmi! Che non provasse più niente! Bah, io davvero non lo so...».

Sospiro, esausta. Doveva andare così e basta.

E anche questa mattinata è andata, penso, carica, mentre esco dallo Shine e mi dirigo al supermercato. Sto fingendo così tanto che vada tutto bene, che addirittura io stessa comincio a crederci. Non è una cosa negativa, giusto?

Devo comprare un bel po' di roba, spero di farcela a portare tutto sul pullman, mi auguro, mentre faccio il mio ingresso da star del cinema nel supermercato. Non dovrei andare in un luogo pieno di gente in questo stato; sono ridotta davvero uno schifo: occhiaie, pelle bianchissima, coda di cavallo spettinata, ricrescita sulle gambe e pantaloncini. Dovrei andare al mare. E dovrei fare una ceretta. Anche se all'esterno sono abbastanza trasandata, comunque, ho riflettuto a lungo e sono arrivata ad una conclusione: me ne farò una ragione e dimenticherò tutto.

E' il mantra che continuo a ripetere, insistentemente, intanto che attraverso ben tre reparti del supermercato. Decido di comprare anche qualche dolce, non so, magari cioccolata e caramelle, per passare il pomeriggio ad ingozzarmi come un suino.

Mi reco presso il reparto delle schifezze glicemiche e, mentre mi avvicino per afferrare delle confezioni di m&m's, la mia attenzione è completamente rivolta ad una coppia di ragazzi a pochi metri da me. Lui, maschio alfa, possessivo e dominatore, ha la mano ben salda sul sedere della fedele ragazza, che, come da copione, ha dei perfetti, liscissimi, biondi capelli, e ci scommetto che ha anche un seno enorme e due splendenti occhi blu.

Poi, è come se Eros volesse infilzarmi il sedere con un forcone: nello scontro, io mi volto e lui mi colpisce improvvisamente al petto.

Non ho neanche il tempo di dileguarmi, quando li riconosco, perché Michelangelo subito solleva lo sguardo nella mia direzione, pietrificandosi all'istante. Resta a guardarmi con le labbra schiuse e gli occhi leggermente dilatati.

E la mano ancora sul sedere di lei.

Io, al contrario, ho una dignità, quindi rivolgo la mia completa attenzione agli m&m's. Non posso fare altro, dal momento che la bionda e bellissima Marta è al suo fianco. Ieri sera mi ha baciata, e adesso è qui con lei. Indossa un top azzurro, dal quale fuoriescono due bombe. Mi guardo istintivamente il petto, constatando che, dopotutto, il mio seno non è mica tanto piccolo, anzi. Mi focalizzo sul suo volto, però, perché se proprio dobbiamo fare una guerra io voglio conoscere bene il mio nemico: candido, coronato da una chioma liscia e bionda, e... un attimo, perché questo visino non mi è nuovo?

Mentre mi dirigo alla cassa, le rivolgo un ultimo sguardo. Scuoto la testa, quando appuro che è la tizia che qualche giorno fa ho incontrato sul bus, quella che mi aveva detto di coprirmi il collo. Sorrido, per questo tragico scherzo del destino, al pensiero di quella scena. Scena che lei, capisco da suoi gesti, sta spiegando a Michelangelo.

Oh, ma in effetti i due divi starebbero davvero bene insieme. Sono entrambi perfetti. Michelangelo soprattutto. Quest'ultimo finge di ascoltarla e mi fissa, ma i suoi occhi sono su di me per altri motivi, non di certo per intravedere la mia stupida voglia di fragola.

A volte vorrei che la mia vita si trasformasse in un film d'amore. Non uno di quelli strappalacrime, dove succede il peggio e tu resti ferma lì, dinanzi alla tv, a dare ordini ai personaggi. Ma uno di quelli dove tutto va alla meglio, uno di quelli in cui Michelangelo mi avrebbe rincorsa e avrebbe detto "Scusami, è uno sbaglio, posso spiegare! Io voglio te!"; ma, visto che qui non siamo in un film e, dato che non sono nessuno per volere delle spiegazioni, pago alla cassiera e mi accingo ad uscire.

Salgo e scendo dal pullman come un personaggio automatico. Sono più apatica di un Sim. Adesso mi rendo conto di non poter competere con una bellezza soprannaturale come quella. Io sono alta, come un albero con qualche forma accennata, rispetto alle sue, e le spalle enormi. Lei è perfetta. E' normale che lui sia ancora infatuato di Marta.

Mi ero rassegnata, ripetendomi continuamente che dovesse andare così e basta. Rivederli stamattina, insieme, ha fatto rinascere qualcosa dentro me. Qualcosa di violento e spietato, come la gelosia. Gelosia insensata, dato che lui non è e non sarà mai mio.

Sono stesa sul letto, con la faccia impressa nel cuscino; e, no, non sto cercando in alcun modo di soffocarmi. Allungo un braccio verso il comodino, afferro il telefono e lo sblocco.

Le quattro.

Dannazione, ma da quanto sono in questo stato pietoso? Mi alzo un po' dolorante, a causa della scomoda posizione. Vado in bagno e, come la ciliegina sulla torta, mi è arrivato il ciclo. Karma. Fortunatamente non ne soffro molto, a stento me ne accorgo; ho da sempre il flusso scarso, quindi, con indifferenza, mi cambio e applico l'assorbente.

Mentre esco dal bagno, trovo il coraggio di specchiarmi: nulla da fare, sono orribile. Il rumore del campanello mi distrae. Perla, penso, con la stessa voce del padre di Timmy Turner quando dice 'Dinkleberg'. Perla.

Perla che ha le chiavi, ma si scoccia di frugare in borsa. Trascino le gambe fino alla porta ed apro.

CAPITOLO REVISIONATO.

Wo, wo, wo! Qualcosa in Alisya sta cambiando. E Michelangelo? Cosa avrà pensato del loro incontro? Lo scopriremo con un capitolo dedicato interamente a lui!

Baci, Shana!  

(∩ ͡° ͜ʖ ͡°)⊃━✿✿✿✿✿✿

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