Quaranta.

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Perla ha avuto la fantastica idea di invitare tutte le ragazze a casa nostra, per la fase del trucco e dei capelli, neanche dovesse sposarsi e festeggiare l'addio al nubilato. E' per tale motivo che, dalle sei di questo pomeriggio, c'è un continuo via vai, tra piastre e arriccia-capelli.

Dovresti seriamente smetterla di brontolare, Alisya.

Preferisco aspettare che le acque si calmino rilassandomi sul letto, mentre Lucia si piastra i capelli, contemplandosi allo specchio agganciato all'armadio della mia camera; le altre ragazze, Roberta, Grazia e Angela sono nel bagno, o almeno credo: il loro canto sembra provenire da lì.

«Non oso immaginare cosa succederà, quando andremo in vacanza.» -borbotto annoiata, piegando gli angoli della bocca verso il basso.

«Stasera dobbiamo decidere la meta, absolutely.» -ribatte Lucia, guardandomi dallo specchio. «Dobbiamo prenotare.».

«Sono passata dal non aver mai viaggiato in vita mia, al fare due viaggi in una sola estate!» -attesto ridacchiando, per poi scorrere una mano fra i capelli, liscissimi e profumati grazie allo shampoo che ho fatto oggi pomeriggio, prima che arrivasse la ciurma.

«Mi rincuora renderti felice.» -dichiara, scrollando le spalle. Sebbene ciò che ha detto sia piacevole e gentile, tuttavia i suoi occhi e il suo carattere risultano freddi, come il ghiaccio. E' probabile che per lei sia stato un grande sforzo, dire una frase del genere. Com'anche è prevedibile che, se provassi ad abbracciarla, mi scaglierebbe dall'altra parte della stanza.

«Cos'è questa?» -chiedo, interessata, guardando una strana borsa quadrata e dalla tinta nera, poggiata sul letto. Allungo una mano, curiosa di scoprirne l'interno.

«Non toccare!» -urla Lucia, come se le avessi appena puntato una pistola contro.

Il suo strillo mi fa sobbalzare, e istintivamente porto le mani al petto. «Ma che problemi hai?» -sbotto, stufata ma anche un po' divertita.

Con ancora una mano puntata verso di me, mi rivolge un sorriso calmante. «E' la mia macchina fotografica. Non sfiorarla.».

Scoppio a ridere. «Tu l'hai messa sul mio letto, che ne sapevo io!».

«Ora lo sai.».

«E perché hai una macchina fotografica?».

«Sono la fotografa del Carnaby.».

«Ahhhh.» -bofonchio, dimenando le mani, una volta compresa la situazione.

Restiamo per alcuni minuti in silenzio. Comincio ad essere sonnolenta, sdraiata su questo letto da ore. «Come mai Marta non c'è?» -chiedo, sinceramente interessata, fissando lo sguardo sulla sua schiena.

Mi piacerebbe coltivare un'amicizia con quella ragazza, soprattutto adesso che abbiamo chiarito. Insomma, non è che dobbiamo essere amiche per la pelle da un momento all'altro, ma sembra essere l'unica mancante oggi, e la sua assenza si avverte.

«Ci raggiunge stasera con Raffaele. Neanche Giovanni, Achille e Riccardo saranno dei nostri, dato che vanno alla festa di un loro amico.».

E guarda caso, qual è il nome che ha messo per primo?

«Ah, ho capito...» -sussurro, mescolando alla frase un prolungato sbadiglio. Mi alzo malvolentieri dal letto; percorro adagio i pochi metri che ci distanziano, come se le mie gambe pesassero dieci chili l'una.

«Dobbiamo andare ad una festa.» -mormora Lucia, distrattamente. «Un po' di vitalità, Alisya.»

«Tanta, guarda...» -sussurro a voce così bassa che dubito mi abbia sentita. Nella mia mente continuano a roteare le immagini di quel parco abbandonato sul Rubicone: a strozzarmi è la consapevolezza che se quell'uomo, quel tale Giuseppe Iannuzzi, diciannove anni fa avesse deciso di uccidermi, probabilmente non sarei qui. Se fossi morta, nessuno mi avrebbe trovata. O, almeno, l'avrebbero fatto qualche anno oltre, e del mio corpo non si sarebbe trovato neanche un dito, perché la donna che mi ha messa al mondo ha deciso di denunciare solo cinque anni dopo. Perché? Cosa ho fatto di male?

Sbuffo, aprendo l'anta dell'armadio per decidere cosa indossare stasera, al Carnaby.

Esisti, Alisya. Ecco cosa hai fatto di male.

«Come vanno le cose col mio big cugino?» -chiede, passando le dita fra i capelli neri e lucidi, come a testare l'esito del suo lavoro. «Ah, ti serve la piastra o stacco?».

Scuoto la testa. «No, lasciala, mi serve per dopo.» -ribatto, mentre con le mani navigo fra i vestiti. «Vanno alla grande, anche se credo di star diventando un po' troppo... gelosa?» -rispondo, rivolgendole un sorriso imbarazzato.

«Addirittura, gelosa?» -chiede meravigliata, agitando il caschetto nero. «E perché mai? Miche non è quel tipo di ragazzo che...» -agita una mano, cercando le parole adatte- «che fa il coglione con tutte, ecco.».

Soffoco una risata, scuotendo la testa. «No, infatti, non è questo. E' colpa mia...».

E' sempre colpa mia.

Mi guarda stranita, la fronte corrugata e il labbro inferiore sporto in avanti. «Ma è successo qualcosa?».

«Mah, niente di che in realtà... L'altra volta abbiamo avuto una piccola discussione, per stupidaggini; dopo qualche ora l'ho incontrato in spiaggia con un'altra tizia e-».

«E chi era?» -mi interrompe, spalancando gli occhi dalla sorpresa. Ghiaccio che si espande.

«Nulla di grave, una cugina.» -mormoro, fingendo che la cosa non mi abbia infastidita affatto. Ma sarebbe ridicolo essere gelosa di una cugina, no? Se la mettiamo su questo piano, dovrei essere gelosa anche di Lucia. E non lo sono. «Non hai idea di quanto mi sia arrabbiata!».

Lucia corruga la fronte, insospettita. «Cugina?» -domanda, socchiudendo gli occhi- «E quale cugina?».

«Non so come si chiami, sinceramente.» -mi accarezzo il mento, dubbiosa. «Ah, sì! Si chiama Nina, o una cosa del genere. Ha i capelli rossi e... due tette enormi, posso dirti solo questo. Magari è una cugina dal lato paterno...» -dichiaro sorridendo, abbandonando l'argomento con una scrollata di spalle. «Ti piace questo vestito?» -aggiungo, mostrandole l'abito che ho scelto per la serata.

L'ho comprato oggi pomeriggio con Perla. E' semplice: nero, ricoperto interamente da pailettes; mezze maniche e orlo a metà coscia. Ai piedi, un paio di decolletè nere lucide.

«Pieno di brillantini, come una stella.» -giudica Lucia, schernendomi e aprendo le mani teatralmente, mostrando le dieci dita.

«Signore, venite tutte qui per favore, è importante!».

La voce di Perla, proveniente dall'altra camera, interrompe la nostra conversazione. Ci guardiamo dubbiose; a passi veloci esco dalla stanza, Lucia dietro di me.

La scena che si presenta dinanzi ai nostri occhi è a dir poco esilarante. Perla è in piedi sul divano di fronte la televisione; un bicchiere di vetro in una mano, una forchetta nell'altra. Batte più volte l'una contro l'altro, per attirare l'attenzione. «Accorrete, accorrete!».

«Che cosa sta succedendo qui, mio Dio...» -borbotto, quando sopraggiungono anche le ragazze dal bagno.

Fa un saltello e atterra abilmente sul pavimento. Ripone il bicchiere e la forchetta sul tavolino in vetro dinanzi alla TV, per poi tornare al suo trono, solenne. «Gente, ho una cosa da dirvi!» -annuncia, facendo poi una pausa.

«Beh, dilla.» -ribatte Grazia, poggiando i gomiti sulle spalle di Roberta e Angela, ai suoi lati.

«La qui presente Perla Frisoni, a settembre lascerà i sudditi e la patria, per cambiare dimora!».

Dopo agitazione e sconcerto collettivi, Perla spiega che andrà a studiare a Firenze, perché è stata presa all'UniFi di Giurisprudenza, cosa che ha scoperto stamattina. Promette inoltre di passare a trovarci tutti i weekend, rivelando di aver già indagato per eventuali abbonamenti ai treni, e che nel caso sarebbero comunque tre ore di macchina, dunque poco.

Con un cipiglio sul volto, fisso lo sguardo su Lucia, che ha cambiato totalmente espressione. Credo addirittura che la sua pelle si sia impallidita. Ha le labbra schiuse e gli occhi bassi. Non ho fatto molto caso a quello che hanno detto le ragazze in seguito alla triste notizia, indaffarata a mettere in ordine la casa; ma sono certa che Lucia non abbia proferito parola. E' rimasta tutto il tempo seduta sulla sedia accanto al tavolo della cucina, giocherellando con il cellulare.

Scuoto la testa, sorridendo. La raggiungo e afferro la sua mano, saldamente. Sussulta. «Che c'è?» -mormora, la voce tremante e gli occhi pieni di lacrime.

«Mi fai compagnia?» -chiedo, ignorando l'increspamento della sua fronte. «Sono le sette e mezza e dovrei prepararmi, sai com'è!».

Sbuffa, lasciando la mia mano. Si alza con un movimento rapido e mi rivolge un'occhiata eloquente.

Quando arriviamo al bagno, chiudo la porta alle mie spalle e ripongo il vestito sull'armadietto bianco. Incrocio le braccia e scruto la cugina di Michelangelo, chiaramente triste per la partenza di Perla.

«Smettila di fare così.» -le intimo, guardandola nei suoi occhi chiari, color fiordaliso, quasi come quelli del cugino.

«Scusa?» -chiede, alzando un sopracciglio e poggiando una mano sul bordo del lavandino, sollevando di conseguenza una spalla.

«A settembre comincerà un nuovo percorso per tutti noi. Perla, per volontà e per dovere, andrà a Firenze. E hai ragione ad essere triste, mancherà a te, a me, come mancherà a tutti.» -spiego, cercando di essere convincente. «Ma la vita va avanti. Anche noi intraprenderemo una nuova strada, ma non per questo dobbiamo allontanarci gli uni dagli altri. Viviamo in un'epoca dove ormai anche se vivi a mille chilometri di distanza, puoi vedere e sentire le persone a cui sei più legata. Anche io sono triste, e ti capisco perfettamente, ma so che in un futuro non troppo lontano ci incontreremo di nuovo. E poi, dannazione, Firenze dista da qui solo tre ore!».

Ride amaramente, contro ogni mia aspettativa. «Alisya, guarda che hai frainteso tutto.» -ribatte, scuotendo la mano.

Annuisco, piegando verso il basso gli angoli della bocca. «Certo, come no.».

Schiude le labbra per annunciare qualcos'altro di tagliente e diretto, ma la interrompo. «Lascia perdere, davvero. Adesso devo prepararmi, non ho tempo per ascoltare le tue fandonie.».

«Tutte pronte?» -urla Perla, mentre facciamo il nostro ingresso nel salone. «Wow, Alisya, mi sa che stasera torni a casa senza mutande!».

«Perla!» -urliamo all'unisono io e Roberta, guardandoci interdette per poi scoppiare a ridere.

«Oh, ma davvero? Perché dici così? Credi che sia troppo corto?» -chiedo più a bassa voce, presa dal panico e dallo sconforto, dato che dovrò scegliere un altro vestito in alternativa -che non ho.

«No, tesorino, sei davvero uno schianto. Sexy ma non volgare, come è nel tuo stile.» -mi sussurra ad un orecchio, per poi strizzarmi un seno con la mano.

«Ahi!» -urlo, contorcendomi dal dolore. «Allora trova anche tu un vestito sexy ma non volgare, magari è la volta buona che Raffaele te lo-».

«Chiudi la bocca, scarafaggio!».

Scoppio in una fragorosa risata. «Va bene, va bene. Ma anche tu non sei niente male.» -la elogio, scrutandola dall'alto del mio metro e settantacinque -più dodici centimetri, con i tacchi.

Indossa un top a giro maniche nero, merlettato e coperto solo all'altezza del seno, e una gonna acquamarina. Ai piedi, dei sandali color carne. «Ma sei seria? Sembrano le scarpe di Padre Pio.».

Tutte le altre ridacchiano, Perla mi guarda offesa e trafitta, sentitamente colpita nell'orgoglio. «Perché non guidi tu, Alisya? Fai conoscere a tutte le tue doti alla guida, su.».

Colpita e affondata.

«Sì, dai Alisya, guida tu!» -esclama Grazia, passandosi una mano fra il caschetto biondo. «Vogliamo morire stasera!» -aggiunge, battendo le mani.

«Non scherziamo proprio, io ci voglio arrivare sana e salva al Carnaby!» -contesta Lucia, con un ghigno divertito in volto.

Infilzata profondamente dalle loro prese in giro, senza proferir alcuna parola rivolgo a tutte il mio chilometrico dito medio e afferro le chiavi della macchina di Perla, poggiate sul tavolo. Mi prendono sempre in giro credendo che io non sappia guidare, solo perché non ho una macchina. Ma sono persone normali?!

Con indifferenza indosso il leggero copri spalle in cotone nero, prendo le Superga bianche per guidare ed esco di casa, chiudendomi la porta alle spalle.

Quando apro la portiera della macchina di Perla, mi volto di scatto all'angolo della strada, presa dall'inspiegabile sensazione di essere pedinata. Qualcosa dietro l'estremità dell'edificio sparisce. Aggrotto le sopracciglia.

Non dovrei farlo, ma richiudo prontamente la portiera e la macchina e decido di andare a controllare.

Con le labbra chiuse in una linea dura e la fronte corrugata, avanzo in quella direzione. Le pulsazioni del cuore avvinghiano le vie polmonari, e il respiro diventa quasi un singhiozzo. Mi porto la mano chiusa a pugno sulle labbra, cercando di camuffarlo con un colpo di tosse. Forza, Alisya.

Quando volto l'angolo, però, la strada è vuota.

O, almeno, è quello che inizialmente credo.

Riesco a vederlo solo di spalle. Un ragazzo? Suppongo di sì; indossa una maglia bianca e dei jeans scuri; uno scalda collo gli copre metà viso, lasciando scoperti solo gli occhi neri come il carbone. Un po' per l'ombra del palazzo, un po' per la tarda ora, non riesco a distinguerne i tratti del volto.

«Chi sei?» -mormoro con un fil di voce, prima che possa infilarsi nel portone di un palazzo a qualche metro di distanza. Si ferma di scatto, rivolgendomi ancora le spalle. Allungo lo sguardo, ma nulla: lo scalda collo ne ostacola il riconoscimento.

Il mio respiro si fa sempre più ansimante, in particolar modo quando comincia a fare degli impercettibili passi all'indietro. Quando lo scalda collo si abbassa leggermente, intravedo l'ombra di un tatuaggio sulla nuca. Credo di sbagliarmi. Dovrei darmela a gambe levate, ma voglio capire chi diamine sia. Se non si volta, allora è vero che mi stava spiando, altrimenti non si spiegherebbe questa reazione.

Ad un tratto compie uno scatto veloce nella mia direzione: così rapido, che non riesco neanche ad incrociare i suoi occhi, a capire chi accidenti sia. Mi intrappola tra il muro ed il suo corpo, poggiando la testa sulla mia spalla sinistra, restando quindi non identificabile; mi stringe i polsi, ostacolando la fuga. Trattengo il fiato e spalanco gli occhi, in preda al terrore.

Non devo urlare, non devo scappare. E' sabato sera, siamo in pieno centro e ci sono altre persone attorno. Non devo fuggire, non sono in pericolo.

«Perché mi stai seguendo?» -chiedo, con la voce sicura, cercando di spostare lo sguardo nel suo, invano: ha praticamente spiaccicato il naso alla parete alle mie spalle, e non ha la minima intenzione di spostarsi. La sua barba mi pizzica la guancia; la pelle emana una puzza terribile. Che schifo.

«Che cosa sai?» -sussurra tra i denti, con la voce dura e brusca.

«Di cosa?» -ribatto, corrugando la fronte, fingendomi indifferente.

Mi afferra per i fianchi e mi spinge di lato, facendomi perdere l'equilibrio a causa dei tacchi. «Ma che cosa...» -mormoro sorpresa, per poi aggrapparmi al muro e voltarmi nella sua direzione. Come un razzo, lo vedo correre di spalle e filarsela a gambe levate; ancora una volta, mi sembra di scorgere una strana linea sulla sua nuca, e sono quasi certa che sia un tatuaggio.

Faccio un lungo respiro, gli occhi dilatati; poggio la schiena al muro dell'edificio, abbasso lo sguardo e osservo il mio petto fare su e giù a causa dell'affanno, mentre le pailettes luccicano per le luci bianche dei lampioni. Ma che cosa diamine è appena successo?!

E' chiaro che quel ragazzo mi stesse seguendo, com'è ovvio che c'entri qualcosa con tutta la situazione incasinata di Testa.

Devo parlarne o no con Michelangelo e Perla? Dopotutto non è successo niente di eclatante; insomma, che mi stessero seguendo già lo sapevo.

Scelgo di non comunicarglielo; decisione presa abbastanza in fretta, dato che avverto il brusio delle ragazze che stanno scendendo, pronte ad uscire dal palazzo.

Do un'ultima occhiata a quella che ormai è una strada vuota, e mi accarezzo i polsi -che quel tizio ha toccato meno di un minuto fa. Che disgusto. Appena arrivo al Carnaby dovrò disinfettarli al bagno.

Sono stata appena aggredita ed io penso a decontaminare la mia pelle. Tutto nella norma, insomma. Deglutisco. Coraggio, Alisya.

Raggiungo in fretta l'auto bianca di Perla; giusto in tempo. Infilo la chiave nella serratura ed apro, per poi prendere posto alla guida.

«Oh no, Alisya, mettiti le scarpe altrimenti ci appesti tutti.» -protesta Perla, prendendo posto al mio fianco -intanto che io infilo le Superga bianche.

Fingo di non sentirla, mentre Lucia, Roberta, Grazia ed Angela prendono posto dietro. Dannazione, dovrebbero esserne tre sui sedili posteriori, non quattro.

Sbuffo, mettendo in moto e inserendo la cintura di sicurezza. «Dov'è questo Carnaby?».

«Ti do io le indicazioni, Ali.» -rassicura Perla.

Scuoto la testa, risoluta. «Non mi fido di te.». Mi prenderebbe in giro ulteriormente per la mia inesperienza alla guida, mettendomi in ridicolo davanti alle altre.

«Dai, ragazze, non litigate.» -si intromette Angela, sollevando il suo telefono dinanzi ai miei occhi, col navigatore aperto.

Cerco di capire più o meno la zona, percorrendo con lo sguardo le varie strade. «Fai sul serio, Alisya?» -sbotta Perla, indignata. «Te la dico io, muoviti.» -aggiunge, tentando di strapparmi il telefono dalla mano. Mi spiega velocemente la strada, dandomi dei punti di riferimento, ed io metto in moto.

E' la prima volta che mi reco al Carnaby, sebbene sia una discoteca molto famosa qui a Rimini, grazie ai suoi tre piani di alcool e musica. Dall'esterno si avverte già il trambusto e, mentre chiudo la macchina con le chiavi, mi soffermo ad osservare l'entrata del locale. Davvero orribile; chi l'ha ideata deve avere senza dubbio un pessimo gusto.

Sulla sinistra ci sono delle grandi palme, circondate da una superficie marroncina; l'ingresso è spaccato da una ringhiera arancio fluo, al di sopra della quale c'è una tenda nera, calata, che fa da fondamento ad una macchina d'epoca completamente gialla. Sul serio, c'è una Cinquecento gialla su una tenda!?

Al suo fianco, sventola una bandiera anch'essa gialla, con la scritta C-A-R-N-A-B-Y a zig zag. La mia espressione muta in una smorfia, mentre insieme ci posizioniamo a cerchio dinanzi l'entrata, intanto che aspettiamo Marta e Raffaele. Quando arrivano, quest'ultimo ci informa di aver inviato un messaggio ad un certo Marco -il 'socio' di Michelangelo-, che a breve verrà a prelevarci, per farci entrare -naturalmente gratis.

«Alisya, dall'alto del tuo metro e ottanta riesci a vedere qualcosa?» -chiede Perla, incrociando le braccia, annoiata.

Alzo un sopracciglio, stringendomi nelle spalle. «Sono alta, mica un falco.»

Lucia col suo pass da fotografa è già sgattaiolata all'interno appena siamo arrivate, quindi adesso siamo solo io, Roberta, Grazia, Angela, Marta e Raffaele; e ovviamente Perla, che non la smette di sbuffare. «Ritardato?» -attira l'attenzione, rivolgendosi a Raffaele, tutto preso da un dialogo con la sorellastra.

Emetto uno sbuffo, divertita ed esasperata; tuttavia decido di non intromettermi.

«Sottospecie di essere umano?» -continua, indispettita dall'indifferenza di lui.

«Che cazzo vuoi?» -ribatte Raffaele, irritato e stufato, voltandosi e abbandonando per qualche attimo la conversazione con Marta.

«Manda un altro messaggio a quel tizio.» -dichiara, comandante come al solito. «Voglio entrare.».

«L'ho già mandato, ma sei scema allora?» -risponde, agitando le mani dopo averle unite in preghiera.

«E quando arriva questo coglione?» -sbotta, seccata, alzando la voce.

«Adesso.».

Ci voltiamo in sincronia tutti e sette, fissando lo sguardo su un ragazzo abbastanza alto, con i capelli rigonfi e scuri; un sorriso sul volto, che rivela i denti bianchissimi, in antinomia con la pelle olivastra. Sorride, incrociando gli occhi di Perla, come a prenderla in giro.

«Oh, finalmente!» -prorompe la mia migliore amica, senza alcun'ombra di imbarazzo per la figuraccia appena fatta. «Andiamo!» -continua, sistemando sulla spalla la cordicella della sua borsetta nera.

«Ciao» -esclamo, richiamandolo e allungando una mano per presentarmi. «Piacere, Alisya.».

Corruga la fronte, guardandomi stranito. Ti prego, fa' che non abbia nulla in faccia. D'un tratto sembra che un pensiero gli abbia attraversato la mente e, di sorpresa, mi saluta, stringendomi la mano:«Marco.».

Mentre siamo in fila, Greta, Roberta ed Angela si scattano alcune foto; nel frattempo, Raffaele e Marta continuano a parlare; sembra che negli ultimi tempi vadano molto d'accordo, e questo mi rincuora: Perla un giorno mi disse che, essendo fratellastri, non avevano un buon rapporto. Continuo a fissarli, tuttavia mi rendo conto di poter sembrare invadente, così raggiungo Perla davanti a tutto. «Allora, che si fa?» -chiedo imbarazzata, mentre Marco continua a fissarla divertito.

«Entriamo!».

La festa copre tutti e tre i livelli; al piano terra c'è l'impianto audio e l'angolo fotografie, al primo c'è l'alcool, al secondo una terrazza, mi ha spiegato Perla. Ciò significa che Michelangelo è su questo piano, il problema è capire dove. Mentre la musica rimbomba nelle mie orecchie, ci immergiamo nella sala più grande: al centro c'è un'ampia pista da ballo, mentre ai lati ci sono file di tavoli di legno, circondate da doppie colonne di acciaio.

«Dio mio, quante troiette...» -Perla alza la voce per farsi sentire; prende la mia mano e segue Marco.

«Un puttan-tour...» -commento ridacchiando, avvicinandomi al suo orecchio, mentre ragazze più o meno grandi -ma non alte- quanto me ballano sinuosamente, esibendo le loro ragguardevoli forme.

In diversi punti della sala ci sono dei bodyguard in piedi su alcune sedie, che di tanto in tanto segnalano comportamenti scorretti con un laser verde. Attraversiamo la pista da ballo e, finalmente, scorgo delle grandi e nere casse; quasi temo di avvicinarmi ad esse per paura di stordire le mie povere orecchie.

La mia espressione muta da sorridente a disgustata per ciò che i miei occhi stanno osservando in questo preciso momento. Mi arresto di botto incrociando le braccia e tirando un lungo sospiro. Perché il mio ragazzo vuole morire?

Michelangelo è dietro un ampio tavolo; indossa delle grandi cuffie bianche, collegate ad un apparecchio rettangolare e scuro, che da qui non riesco a scorgere bene.

Porta ancora la camicia rosso carminio di oggi pomeriggio, segno che non ha neanche avuto il tempo di tornare a casa, indaffarato e impegnato a montare tutte le attrezzature e gli impianti.

Sembra essere molto preso dal suo 'nuovo' lavoro; di continuo con pollice ed indice fa ruotare delle levette. Preme l'orecchio sulla spalla, forse per sentire meglio la musica emessa da quelle cuffie.

Ma il problema è che non è solo.

Il suo braccio destro avvolge i fianchi di una ragazza dai lunghi capelli rossicci portati sul lato, di cui non riesco a scorgere bene i tratti, dato che il suo volto è poggiato sulla spalla di Michelangelo.

Indossa un vestito fin troppo elegante per una festa in discoteca, a mio parere, completamente trasparente e ricoperto da merletti rosso acceso, a tema floreale, coprente solo all'altezza del seno e delle altre parti intime.

Uno, due, tre, Alisya, mormora Sybil, massaggiandomi le tempie con le sue zampe ricoperte da squame celesti. Contiamo insieme: uno, due, tre.

Non sono quel tipo di ragazza irascibile, che in una situazione del genere raggiungerebbe Michelangelo e lo prenderebbe a schiaffi avanti a tutti. Ma in questo momento lo farei: mi sfilerei le scarpe, andrei lì a tamburellare il tacco nei suoi occhi e scaverei fino al petto, per verificare la presenza di un cuore e assicurarmi che lui abbia dei sentimenti. E, soprattutto, che possegga un cervello.

Decido di non farlo, quando la ragazza si scosta guardando in avanti, e riconosco Nina, la cugina di Michelangelo. Tiro un sospiro di sollievo e sorrido distrattamente, passandomi una mano sul volto. Quanto sono stupida?

Mollo la presa di Perla, dato che siamo arrivate a destinazione. Giro attorno al tavolo, schivando alcune ragazzine di non più di quindici anni, stando ben attenta a non capitombolare nella decina di fili neri che circondano il bancone con l'impianto.

Procedo quindi con cautela, salendo i tre scalini che ci separano. Raggiungo Michelangelo alle spalle, ridendo sotto i baffi, e gli lascio un rapido bacio sulla guancia. Si volta di scatto a guardarmi, e non appena le sue gemme incrociano le mie, la sua espressione si amplia in un sorriso che mi fa sciogliere il cuore.

«Ciao amore!».

Con un movimento repentino si sfila le cuffie e, mentre è ancora in procinto di poggiarle sul tavolo, avvolge le braccia attorno al mio collo, stringendomi forte a sé e baciandomi le labbra e le guance come se non ci vedessimo da secoli.

Ridacchio, intanto che avverto il sangue affluire più velocemente nelle guance. «Ciao al mio dj preferito...» -sussurro ad un orecchio con malizia, mentre lui mi accarezza i capelli con dolcezza. Mi distanzio in modo automatico; credo che debba lavorare, e ho paura di distrarlo.

«Che mi racconti, bambolina?» -chiede, fissando lo sguardo sulla platea che balla e si scatena senza freni. «Siete qui da molto?».

Scuoto la testa sorridente, incrociando le mie dita alle sue. Nel guardare le nostre mani, osservo le pailettes del mio vestito nero che sfavillano a causa delle teste mobili che proiettano sfere colorate su tutte le pareti e su tutti i presenti. Mi torna di nuovo alla mente lo strano incontro avuto con quel ragazzo neanche un'ora fa. Dovrei dirglielo?

«Perla si trasferisce di nuovo, lo sapevi?» -informo, avvicinando le labbra al suo orecchio.

No, devo cambiare argomento.

Si volta a guardarmi di scatto, le labbra schiuse e gli occhi sbalorditi. «Veramente?».

Storco la bocca. «Sì.» -ribatto, annuendo.

«Michiii.».

Sta per rispondere, ma una voce stridula e lacerante rompe con violenza la nostra soave casa di zucchero filato. Nina avvolge il busto di Michelangelo con le sue braccia, e gli lascia un tenero bacio sul collo. Mi volto nella sua direzione, il mio ragazzo fa lo stesso, scollandosela da dosso.

E' la prima volta che ci guardiamo a distanza così ravvicinata e, anche se è la cugina di Michelangelo -mi dispiace pensarlo-, è davvero inquietante. A partire dai suoi occhi spalancati, circondati da una bocca che diviene enorme quando sorride.

E adesso sta sorridendo.

Ed è agghiacciante, sul serio.

«Dimmi, Nina.».

«Mi presenti la tua ragazza?».

Oh no, oh no...

«Ma certo!».

Dannato Michelangelo...

Avverto uno strano fuoco dentro, e mi dispiace. Non voglio provare un odio incondizionato per questa ragazza solo perché dimostra affetto verso il cugino, eppure non riesco proprio a fingere che non mi dia fastidio. Anche Lucia è affettuosa con lui, ma perché lei non mi infastidisce?

«Ciao Nina, piacere Alisya...» -mi faccio avanti; non ho mica bisogno di essere presentata. Con un sorriso in volto tendo la mano verso di lei.

La osserva, come se fossi saporita. E questo la rende ancora più spaventosa. Chiarisco: non è brutta, anzi: è davvero una bella ragazza. Solo che quando sorride spalanca gli occhi, ed è pauroso.

Finalmente, dopo aver analizzato la mia mano, si decide ad allungare la sua e a stringermela delicatamente. «Nina.».

Sorrido, imbarazzata. Che razza di nome è? Parli proprio tu, Alisya?

Nina. Quella che era appiccicata a Michelangelo l'altro giorno; quella che io ho definito troia senza motivo; quella che adesso definisco spaventosa solo per il suo modo di sorridere. Sono davvero perfida.

Michelangelo nel frattempo ha indossato di nuovo le sue enormi cuffie, avvisaglia di essere tornato nella sua bolla fatta di casse, mix e musica assordante.

Faccio per andarmene e raggiungere Perla, ma il suo braccio avvolge nuovamente i fianchi -questa volta della ragazza giusta; con un movimento deciso mi riporta vicino a sé, facendomi sbattere contro il suo corpo e rischiando di precipitare. «Questa è per te.» -emette un sussurro lieve, per poi lasciarmi un bacio sulla guancia. «Non è niente di che, lo sai che ti dedicherei tutte le canzoni del mondo, ma qui devo adattarmi.» -aggiunge, scrollando le spalle, con un'espressione innocente e amabile al contempo.

Arriccio le labbra, felice. Ad un tratto, quindi, la musica sfuma e contemporaneamente ne parte un'altra. Michelangelo si sfila le cuffie e si porta una mano al petto, mentre l'altra è sollevata nella mia direzione.

«I don't wanna lose you

I'm lost in dream without you

Keeping on love

Keep beside of me

Time from mid to morning, we gonna keep on loving

Run away with me to my beautiful world.».

https://youtu.be/8D4UMr3D9HE

Comincia a cantare come un artista neomelodico, e la situazione è abbastanza imbarazzante. «Dio mio...» -mi passo una mano sul volto, cominciando poi a ridacchiare, mentre lui muove il bacino compiendo dei piccoli cerchi e piega un braccio dietro la testa, l'altro sul fianco. «Non sei per niente sexy, Michelangelo!» -borbotto divertita, soffocando una risata contro il palmo.

«Come, non sono sexy?» -chiede, continuando la sua originale e stramba danza. «Mi sto impegnando!».

«Evita!» -ribatto, scoppiando poi a ridere.

«C'è qualcuno che ti chiama...» -mormoro, facendo un cenno alle sue spalle, riprendendomi dalle risate, mentre una ragazzina picchietta con un movimento delicato e soave la spalla di Michelangelo. Ha una treccia bionda adagiata ad una spalla e un vestito nero semplice, simile al mio; lo sguardo vispo, un rossetto viola pastello applicato alla perfezione, il sorriso smagliante coronato da uno smiley -il piercing sulle gengive.

Il mio vestito è brillantinato, molto più bello del suo. E quel rossetto è davvero troppo scuro.

Michelangelo si volta di scatto nella sua direzione. «Dimmi cara.» -asserisce con un sorriso smagliante, mentre la ragazzina non mostra la minima intenzione di sradicare quella mano da lì; anzi, si avvicina maggiormente, fino a raggiungere il suo viso e sussurrargli qualcosa all'orecchio.

Alzo gli occhi al cielo. Il cretino vuole farmi ingelosire, sorridendole in quel modo? Non ci riuscirà. La ragazzina avrà al massimo quattordici anni ed io sono molto meglio di lei. Non lo sai che ti arrestano per pedofilia, caro? Quando si distanzia, Michelangelo annuisce e approva ciò che gli è stato detto. Indossa nuovamente le cuffie e, sempre premendo l'orecchio sulla spalla, pigia circa cinque tasti in meno di dieci secondi; la musica cambia e comincia un'altra canzone remixata, abbastanza famosa, di cui, però, al momento non ricordo il titolo.

Quando diversi uomini che hanno l'aria da tecnici cominciano ad affiancarlo, capisco di essere di troppo.

«Raggiungo gli altri.» - lo informo, mentre lui solleva il pollice, indaffarato, facendomi segno di aver capito. Prima che me ne vada, afferra il mio polso per poi lasciarmi un veloce e casto bacio sulle labbra, e tornare al suo lavoro.

Dall'altro lato del banco, vicino le casse a destra, c'è un esemplare del socio Marco che tenta un approccio con Perla. Povero illuso.

Decido di salvare la mia amica, che guarda il ragazzo dalla pelle olivastra con animo scocciato e supplica silenziosamente di essere trascinata via dalle sue grinfie. «Perla, andiamo a trovare Lucia?».

Annuisce calorosamente. «Buona idea.».

«Alisya, chi era quella tizia di prima?» -mi chiede, quando siamo abbastanza lontane dai ragazzi.

«Una cugina di Michelangelo.» -rispondo mentre camminiamo, guardando con apatia tutto ciò che mi circonda.

«Mongoloide, stai attenta!» -sbraita, dinanzi ad una povera ragazza il cui unico peccato è quello di aver indossato i tacchi e averle calpestato i piedi. «Ahia, madre mia, che dolore...».

«Mi sembra fin troppo affettuosa, comunque.» -commenta, voltandosi di nuovo nella mia direzione e camminando più lentamente.

«Perla, a te sembra tutto affettuoso, anche una carezza.» -ribatto, alzando gli occhi al cielo. «Il tuo parere non lo prendo in considerazione.».

«Che schifo le carezze.» -mormora, disgustata.«Ho i brividi.» -aggiunge, strofinandosi le braccia.

Dopo aver attraversato la folla di ubriachi e sgualdrine, finalmente raggiungiamo Lucia. Si trova all'angolo della sala, dove termina la lunga fila di tavoli in legno, vicino all'ingresso. Almeno venti persone sono in attesa per fare delle foto, mentre la nostra amica ne sta già scattando varie ad una coppia di ragazzini, in posa avanti ad un pannello bianco decorato dagli sponsor della festa.

Al lato del pannello c'è un divanetto, sopra cui giacciono strambi cappelli, eleganti boa gialli e fucsia, curiosi occhiali da sole e vignette con 'simpatiche' frasi come "Mamma non temere, bevo solo Belvedere", che i ragazzini indossano per rendere la foto 'originale', pubblicarla sul web e fingere di avere una vita appariscente.

Emetto uno sbuffo. Dovrei seriamente smetterla di pensare.

Tentenno un po' quando siamo ormai vicinissime a Lucia, perché non vorrei disturbarla. Perla afferra la mia mano e, modificando la nostra traiettoria, mi trascina vicino quel dannato divanetto. «Facciamoci una foto anche noi, Ali!» -esclama con fin troppa allegria, per poi circondarsi le spalle con un boa giallo e afferrare un paio di occhiali rossi a forma di cuore. Mi inonda di qualche cianfrusaglia, che prontamente ripongo sul divanetto.

«Sei una palla, Alisya.».

«Se vuoi non me la faccio la foto.».

«No! Ti prego, falla, mi vergogno da sola!» -mi supplica, guardandomi oltre quei ridicoli occhiali. «Andiamo!».

Contro ogni mia aspettativa -ma, seriamente, dovrei abituarmi anche alle particolarità della mia amica- supera tutta la fila di ragazzini, ignorando le loro lamentele; mi traina davanti a quel maledetto pannello bianco e, prima ancora che possa mettermi in posa, un flash mi acceca facendomi chiudere gli occhi.

«Ragazze!!!» -esclama Lucia, abbassando la macchina fotografica e rivolgendoci un gran sorriso.

D'un tratto, un ragazzino basso, con una grande cresta giallo canarino, si avvicina a Perla, poggia una mano sulla sua spalla e la spinge di lato, nella mia direzione. Essendo robusta e alta come un albero, attutisco il colpo senza problemi.

«Stronza, non permetterti più, hai capito?!».

Fa chiaramente riferimento a quanto successo poco prima. Perla scoppia letteralmente in una risata fragorosa e senza dubbio umiliante per il povero ragazzino, che ci guarda indispettite e con i pugni sui fianchi.

«Tappo, se parli ancora così con le mie amiche non ti faccio più foto. E sappi che non puoi prendermi per il culo, dato che è la decima che ti fai e mi ricordo perfettamente di te, chiaro?» -lo rimbecca Lucia, guardandolo truce.

Restiamo ancora un po' a guardare il suo lavoro; poi decidiamo di andare a bere qualcosa e di portare un drink anche alla nostra amica. Stabiliamo quindi di andare prima al secondo piano, sulla terrazza, e di prendere le bibite al ritorno.

Attraversiamo una lunga schiera di anime ubriache e, quando finalmente giungiamo all'ultimo piano, un vento leggero mi carezza la pelle, resa fredda per il sudore. Ci sono molte persone che fumano; la sera è magica, il cielo pieno di stelle, la città viva. Ed io mi sento felice.

«Sai...» -mormora Perla, quando prendiamo posto sulle sedie di acciaio vicino le ringhiere.

«Mh?» -chiedo, invitandola a continuare.

Continua, dopo qualche attimo di esitazione. «L'ultima volta che sono stata qui, ero con Raffaele. Non avevamo ancora la certezza che la ragazza che stessero cercando fossi tu, fin quando non scesi al piano terra, e Michelangelo me lo rivelò.».

Sbuffo. Perché dobbiamo sempre parlare di questo?

«E chi lo disse a Michelangelo?» -borbotto annoiata, sperando che capisca il mio disagio.

Alza le mani in segno di impotenza. «Top Secret.».

Sul mio volto compare una smorfia. «E allora cosa me lo dici a fare?».

«Era per dire. Mi fa strano tornare qui.» -ammette, scrollando le spalle.

«Tu pensi troppo, Perla.».

«Da che pulpito, Alisya!».

«Finiamola qui, per favore.» -la supplico, portandomi la testa fra le mani, esasperata.

«Che hai?» -domanda, con un cipiglio sul volto e il labbro inferiore sporto in avanti.

«Nina.».

«Chi è Nina?».

«Sua cugina, la rossa, sì, Perla, quella della spiaggia, la ragazza che quando siamo arrivati era avvinghiata a Michelangelo, proprio lei.» -affermo annoiata, precedendo le risposte a tutte le sue domande. «Non la sopporto.» -rivelo, mentre il senso di colpa per quanto detto cresce e si fa sempre più grande e nero, come un mostro che definisco 'gelosia'.

«I parenti sono i meglio serpenti.» -ripete la stessa frase che pronunciò quando Lucia disse di essere la cugina di Michelangelo, dal lato materno. «Sempre detto.».

«Grazie, molto gentile da parte tua.».

«Ma non possono andare a letto insieme, pensandoci; se lo facessero senza precauzioni i loro figli potrebbero nascere malformati e...».

«Perla, ti prego, taci.».

Sbuffa. «Sto scherzando, Alisya. E' per dirti che non devi vedere tutte le altre come una minaccia. Michelangelo è innamorato di te, si vede da un miglio; e, in ogni caso-».

«Non c'è cosa più divina che scoparsi la cugina!».

Ci giriamo di scatto, un po' per lo spavento, un po' per lo sconcerto. «Ecco, è arrivato il coglione, siamo al completo adesso.» -bofonchia Perla, offendendo come al solito il povero Raffaele.

Scrolla le spalle. «Stavo scherzando anche io.» -mugugna il ricciolino, sorridendomi e prendendo posto al mio fianco. «Sono d'accordo con lei, Alisya.». Il suo sorriso si riflette sul mio volto, riconoscente; oh, ma allora non mi odia.

L'atmosfera in terrazza non è per niente tranquilla. E' probabile che la temperatura si sia alzata di livello in livello, e adesso siamo tutti qui, all'ultimo ripiano, cercando di respirare aria più pulita. Assurdità, visto che la maggior parte dei presenti sta fumando, compreso Raffaele.

«Nessuno ti ha dato il permesso di ascoltare la nostra conversazione.» -si intromette Perla, indispettita.

«Siamo in un luogo pubblico.» -ribatte lui, emettendo per dispetto una grossa nube di fumo in direzione di Perla.

«Non importa. Evapora, Raffaele.».

«Stai zitta, Perla.».

«E dai, ragazzi, ma perché dovete sempre rompere le palle...» -mormoro, alzandomi con un movimento brusco e abbandonando quel posto, prima ancora che possano dire qualcosa. Potrei seriamente mandarli a quel paese per quanto sono stanca e spossata, ma capisco che ognuno abbia i suoi problemi, quindi decido di tornare da Michelangelo.

Cattiva idea.

Mentre attraverso la terrazza in direzione delle scale, incontro di nuovo Nina; ma non è con Michelangelo, bensì con un altro gruppo di persone che sembra conoscere; è seduta al tavolino, con le gambe accavallate e uno strano aggeggio fra le mani. Ha le sembianze di uno di quei contenitori verdi, trasparenti e rotondi, tipici dei formaggini che Lorena mi dava quando ero piccola. Ma quello che ne fuoriesce è tutt'altro.

Sparge dell'erba su una cartina bianca e lunga, strappa un po' di carta da un biglietto dell'autobus e, dopo aver arrotolato la cartina, ne chiude un'estremità come se fosse una caramella. Non penso sia una sigaretta rollata, per quanto io ne possa capire; credo invece che sia uno spinello, grande e grosso.

Evito di alzare un sopracciglio, fortemente contraria alla situazione. Non credo mi abbia vista, quindi sgattaiolo giù per le scale e mi fermo al primo piano per prendere qualcosa da bere.

Quella cretina con la faccia da addormentata fuma le canne? Sul serio?

E' patetica, continuo a ripetermi, mentre consegno due bigliettini con le consumazioni, che all'entrata ha distribuito Marco. Quando il barista mi consegna i cocktail -due bicchieri di vodka alla menta, in memoria dei 'vecchi' tempi-, li afferro tenendoli ben stretti fra le mani; torno al piano terra, da Lucia, schivando la numerosa serie di persone appiccicose che occupano le scale; Lucia è seduta su uno dei divanetti bianchi, in completa solitudine.

«Ci sono meno persone.» -osservo la stanza, sedendomi al suo fianco e porgendole il bicchiere.

«Forse perché è mezzanotte e i bambini a quest'ora dormono.» -ribatte acida, prendendo il drink fra le mani, come se fosse una fumante tazza di tè. «Cos'è?».

«Vodka alla menta.».

Mi rivolge un'occhiata eloquente, soffocando una risata. «Non farò commenti.».

«No, assolutamente, non farli.».

«Perché non ti fai una foto con Michelangelo, dopo?».

Lentamente giro il capo nella sua direzione. «Non se ne parla.».

«Perché no!?» -chiede sbalordita, formando una 'o' con le labbra.

Scuoto la testa, risoluta, e bevo un altro sorso, facendo poi una smorfia. «C'è più acqua che vodka alla menta.» -mormoro, guardando il bicchiere e allontanandomi di poco, come se fosse un fiero nemico.

«Rispondimi! Perché no?» -domanda ancora, avvicinando il suo volto al mio.

Mi allontano disgustata, scuotendo il capo. «Non mi piace fare le foto, non sono fotogenica.».

«Ti farò cambiare idea.».

«Io dico di no.».

«Vedremo.» -solleva il braccio- «Alla salute!» -esclama, facendo tintinnare i nostri bicchieri. «Come mai non sei da Michelangelo?».

Oh, perché c'è già la sua cuginetta a fargli compagnia, sarei di troppo, penso. Poi mi ricordo che Nina in realtà è al piano di sopra. «Potrei andarci adesso, in effetti.».

Poggia una mano sulla mia coscia, guardandomi apprensiva. «A mezzanotte Michelangelo finisce il turno.» -mi informa- «E' inutile che ci vai adesso, secondo me. Si starà cambiando.».

«Quindi ce ne andiamo tutti a quell'ora?» -chiedo speranzosa. Lontana dal Carnaby, lontana da Nina, vicina a Michelangelo.

«Sei impazzita? Deve pur divertirsi il mio cuginone, no?» -sollecita, per poi bere un lungo sorso del suo cocktail.«La festa finisce quando... Mhh, ecco... Non finisce!».

Tutte noi ragazze abbiamo formato un cerchio, e insieme ci divertiamo, ballando sinuosamente e cantando "In the name of love" con Martin Garrix e Bebe Rexha. Sono la più alta, come al solito e, mentre avvolgo le spalle di Lucia e Perla ai miei lati -in realtà mi sto letteralmente appoggiando a loro-, avverto due braccia stringermi il busto e un respiro solleticarmi l'orecchio.

«When there's madness, when there's poison in your head

(Quando c'è la follia, quando c'è il veleno nella tua testa)

When the sadness leaves you broken in your bed

(Quando la tristezza ti lascia a pezzi nel tuo letto)

I will hold you in the depths of your despair

(Ti sosterrò nel profondo della tua disperazione)

And it's all in the name of love

(Ed è tutto in nome dell'amore).».

Credo di amarlo ogni secondo sempre di più.

La canzone che sussurra alle mie orecchie è movimentata e vivace; ma, dalle sue labbra, risuona come un canto dolce e soave. Evito di fare spasmi e sembrare idiota per i brividi che il suo respiro mi ha causato; poggio le mie mani sui dorsi delle sue, che ancora mi cingono il busto, e la testa sulla sua spalla, trovandomi finalmente a mio agio e in pace con me stessa, per l'aderenza perfetta della mia schiena al suo corpo.

Michelangelo posa le mani sui miei fianchi, facendomi voltare nella sua direzione. Sorrido, quando incontro le pietre preziose che ha al posto degli occhi, e noto che si è cambiato, come aveva detto Lucia. Indossa un vestito blu elegante, la camicia azzurra e una cravatta color prugna; e, come al solito, sembra enorme.

Contro ogni mia aspettativa mi fa indietreggiare; direi che mi sta letteralmente spingendo. So che non mi farebbe cadere per nessun motivo al mondo -anche perché cinge il mio busto in maniera ben salda-, quindi non mi volto per sapere dove diamine stiamo andando. Fisso lo sguardo nei suoi occhi, come se il gran numero di presenti in questa stanza si fosse azzerato, fino ad arrivare a due: noi due. Mi guarda in una maniera indescrivibile e, se potessi descriverla, direi che il suo è uno sguardo carico d'amore che, come sempre, mi fa sentire protetta. Come se niente potesse accadermi. Come se non fosse vero che un gruppo di criminali mi sta cercando, che proprio oggi ne ho avuto la conferma e che ho avuto un incontro ravvicinato con uno di loro.

Quando la mia schiena percepisce la fredda e liscia superficie della colonna d'acciaio ai lati della sala, non ho neanche il tempo di proferir parola o di pensare a qualsiasi altra cosa, che le labbra di Michelangelo sono già sulle mie. «Mi sei mancata tutta la serata.» -mi pare di sentirgli dire. «Anzi, mi sei mancata tutta la vita.».

Sorrido contro le sue labbra, mentre Michelangelo stringe forte le braccia dietro la mia schiena, facendomi perdere il fiato, ma in realtà sono anche i suoi baci a togliermi il respiro. Ne avrò mai abbastanza? Schiudo le labbra, permettendo alla sua lingua di entrare e di accarezzarmi anche l'anima, mentre le mie mani viaggiano dalle sue spalle e arrivano ai suoi capelli.

Poi mi ricordo che siamo in un luogo pubblico.

Ma è un luogo affollato, dove ognuno fa quel che gli pare, e quindi perché non lasciarsi andare una volta ogni tanto?

Le sue mani si fermano alla base della mia schiena, spingendomi verso il suo corpo, come un disperato bisogno di farmi sentire sua anche fisicamente. Ma il fatto è che io sono già sua, del tutto sua, solo ed unicamente sua.

«Andiamo a casa?» -gli sussurro ad un orecchio, con malizia, per poi lasciargli una serie di baci sul collo.

Ad un tratto, un flash attira la mia attenzione. «Sorridete, dolcezze!».

Lucia ci ha raggiunti prontamente con la sua macchina fotografica, puntata nella nostra direzione. «No, no, no, no, no...» -blatero, agitando le mani e cercando di coprirmi il volto in qualsiasi modo.

Michelangelo scoppia a ridere. Mi afferra per i fianchi e mi tira a sé, facendo una faccia buffa. Alzo gli occhi al cielo. Non mi resta che sorridere. Non che sia un grande sforzo, dopotutto, dato che sono davvero felice.

E succede tutto in un attimo.

La prima cosa che avverto è un liquido ghiacciato inumidirmi il petto e scivolare sulle cosce. «Oddio...» -mormoro, scossa dai brividi e dallo sconcerto, voltandomi poi verso la responsabile del misfatto, Nina, che si copre la bocca, sconvolta quanto me.

«Oddio, Alisya, scusami non volevo!» -miagola, passandosi poi le mani fra i capelli, smarrita e terrorizzata. «Dio mì, scusami, io...».

Un due tre, un due e tre.

Perla e Michelangelo scoppiano a ridere, mentre io potrei seriamente scoppiare a piangere. E non per il vestito, di quello poco importa. Ho notato con la coda dell'occhio i movimenti di Nina, e non voglio credere che sia stato solo un incidente. «Ma vaffanculo.» -borbotto tra me e me, congedandola con un gesto della mano; intanto che, ad ampie falcate, attraverso la stanza e mi dirigo al bagno.

Stronza che non è altro. Lo ha fatto apposta, ci scommetto.

Continuo a camminare a passo spedito, più che altro per scaricare la rabbia. Comincio anche a respirare rumorosamente, emettendo talvolta dei singhiozzi, mentre un grosso groppo mi si forma in gola. Dove cazzo è il bagno?!

Chiedo indicazioni ad uno dei bodyguard all'ingresso, che mi risponde guardandomi con un cipiglio; devo avere un'espressione abbastanza disorientata in volto. Ringrazio e, rapidamente, mi immetto in un corridoio illuminato dalla luce al neon bianca.

Entro nell'ala riservata alle ragazze; da un lato c'è una serie di lavandini, posti al di sotto di imponenti specchi dal bordo bianco di plastica. Alcune ragazze si truccano, altre piangono, altre si baciano; ed io mi avvicino ad uno strano aggeggio appeso alla parete: una scatola quadrata in alluminio. Premo un grande pulsante circolare, e il forte getto di aria calda intiepidisce il mio vestito.

Il calore comincia a sciogliere il ghiaccio formatosi sul mio cuore, mentre penso che, magari, Nina non l'ha fatto apposta, dopotutto. E il senso di colpa per averla mandata a quel paese si fa sempre più grande. Se l'avesse fatto Perla, o Lucia, o anche Michelangelo, avrei principiato a ridere e sarebbe finita così. Ma non riesco proprio a sopportare Nina, è un quasi-odio a pelle, senza un motivo ben preciso.

Sarà la terza volta che aziono l'asciugamani, ma il vestito risulta non solo ancora bagnato, ma anche appiccicoso. Potrebbe andare peggio di così?

Inoltre ho un bisogno urgente di andare al bagno -quel gran cocktail mi ha riempita molto. Tra uno sbuffo e l'altro aspetto che almeno una porta si apra, poggiata al muro con le braccia incrociate; poco fa erano tutti occupati, mentre adesso sembra che quello posto di fronte la soglia d'entrata sia l'unico disponibile. Strano, non me ne ero accorta.

Scrollo le spalle e, con naturalezza, apro leggermente la porta del bagno, chiedendomi di sfuggita a cosa stiano pensando di me Michelangelo e gli altri; sicuramente dubiteranno della mia maturità, o comunque avranno capito che ho qualcosa contro Nina, qualsiasi cosa essa sia; perché, appunto, è strano che io non ci abbia riso su ma, al contrario, sia fuggita da sola.

Tasto con la mano sinistra la parete lucida e, ahimé, chiaramente piena di polvere; quando trovo l'interruttore, accendo la luce e faccio ingresso nel bagno, chiudendo la porta a chiave. Avrei potuto chiedere a Perla di farmi compagnia.

E sarebbe stato meglio così.

Sollevo lo sguardo verso lo specchio, appeso alla stretta parete sulla sinistra; fisso lo sguardo nei miei occhi che, dopo un attimo, si spalancano.

Lo sento prima ancora di vederlo. Alle mie spalle c'è quello che suppongo essere un uomo, il cui volto è coperto da un passamontagna. Due occhi neri come la pece mi guardano attraverso lo specchio.

 Il cuore comincia a pulsarmi forte e il respiro mi si mozza in gola. Vorrei urlare e dimenarmi, ma non riesco a muovere un muscolo. E non provo neanche a strillare, dato che una mano forte ed enorme preme sulla mia bocca con uno scatto repentino, non appena chiudo la porta. Mi impedisce di prendere aria; mi limito a mugolare e tento disperatamente di bussare, con la speranza che qualcuno capisca cosa stia succedendo in questo cazzo di bagno.

Perché?

«Stai ferma.» -mi ordina con un sussurro, strattonandomi con violenza quando tento di allungare il braccio verso la porta. Mi spinge contro la parete, per allontanarmi da essa, e mi comprime fra il suo corpo ed il muro.

Mi manca il fiato. Delle lacrime calde cominciano a formarsi agli angoli dei miei occhi, mentre il mio corpo è diventato un blocco di ghiaccio.

Ti prego, lasciami stare...

Con un movimento veloce infila una mano nei miei capelli, ed è l'unico momento in cui riesco a prendere fiato e ad urlare:«Aiuto!».

Ha le dita intrecciate nei miei capelli, e tira forte. Avvolge la mia testa in una mano e la sbatte molto forte contro il muro.

«Devi.». La testa comincia a girarmi e, in un attimo, è come se non avessi mai vissuto prima d'ora. Ho la mente vuota, non riesco a pensare a nulla.

Lo fa ancora. «Stare.». La parete che mi è di fronte comincia a scurirsi, e ogni singola particella di ossigeno principia a diventare bianca. Non capisco più niente.

Lo fa di nuovo. «Zitta.».

L'ultima cosa che vedo, quando mi catapulta sul pavimento, è la sua mano che sfila il passamontagna.

Un tatuaggio sulla nuca.

E niente più. 



_

Oh Oh Oh........

Cosa succederà?

Mi sono fatta perdonare per questa lunga assenza, dai... Sono tantissime pagine! Ringrazio come al solito la dannata Ritaska per aver letto e corretto il capitolo e.... nulla, vi lascio col fiato sospeso...cioa.

Shana  c:

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