Trentanove.

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«E qui ci sono le bozze per le decorazioni alle pareti...» -mi informa Jessica, poggiando una cartellina trasparente sul marmo scuro del bancone; allungo la mano per dare loro un'occhiata, e nel farlo incontro il suo sguardo asettico ed esitante.

«Ma, quindi, che hai deciso di fare a settembre?».

Sospiro, accasciandomi allo sgabello in pelle nera. «Non credo di poter venire.» -mormoro, dando suono ai mille pensieri che si sono accumulati nella mia testa durante quest'estate. «Vorrei continuare gli studi.».

Annuisce, convinta. Ed è in questo momento che, nel mio cervello, si attua uno strano meccanismo che, da quando ho fatto quello strambo giuramento a Michelangelo, mi porta a riferire tutto ciò che penso, senza alcun timore. «Però mi piacerebbe sapere se è maschio o femmina.» -dichiaro, rivolgendole un gran sorriso. «Quando dovrebbe nascere?».

Abbassa lo sguardo in direzione del suo ventre e sorride, imbarazzata. «Aprìle.».

«Capito.» -ribatto, annuendo felice. «Allora... Vediamo un po' qui.» -aggiungo distrattamente, aprendo la cartellina. Ne estraggo i fogli e li studio con diligenza: sono delle foto scattate alle varie pareti dello Shine, con inchiostro blu, alcune frasi e disegni accennati sono riportati su esse.

Scorro con un dito le parole che dovrei tracciare sulle mura, e soffoco una risata per le bizzarre frasi scelte. Faccio su e giù con la testa, decisa. «Okay, tutto chiaro.» -mormoro. «Quindi, se oggi è sabato 30...».

«Ci vediamo lunedì: non questo, ma il prossimo.».

Giusto. Le faccio segno col pollice in su e richiudo con zelo la cartellina, incastrandola fra il palmo e le dita. «Allora a lunedì!» -dichiaro allegra, lasciandole un bacio sulla guancia. Le rivolgo uno sguardo carico di contentezza e mi volto, per uscire dal locale.

Apro la porta di casa, con uno strambo sorriso che non mi ha lasciata per tutto il tragitto. Ferie. Vacanze. Estate!

Aggrotto le sopracciglia, quando vedo che c'è uno strano silenzio nell'aria. «Perla?» -urlo, richiudendo la porta d'ingresso col tallone.

«Sono qui!» - ribatte annoiata; la voce proveniente dalla sua camera mi fa sobbalzare e placare allo stesso tempo. 

Appoggio la schiena alla parete, chiudo gli occhi e faccio un gran respiro; un senso di gioia e spensieratezza mi appaga, elargendomi un'autorevole quantità di adrenalina, che mi entra nel sangue e rende le mie gambe più leggere, forti e desiderose di fare qualsiasi cosa.

A passi lenti raggiungo il tavolo del salone, illuminato dai raggi vigorosi delle dodici e trenta; ripongo la cartellina su di esso, e raggiungo Perla nella sua stanza.

Mi reggo allo stipite della porta ed incrocio le braccia, perplessa. «Che cosa stai facendo, di preciso?» -chiedo sarcastica, fissando lo sguardo sulla mia coinquilina. E' stesa sul letto, il computer -collegato alla presa- è davanti alle sue gambe; ha in mano una bottiglia di crema verde chiaro, che riconosco essere quel liquore al pistacchio che portò dalla Sicilia.

Solleva la bottiglia, solenne. «Che bello! Guarda quanto sono felice!» -esclama con una malcelata ironia nel tono. Passa poi a guardarmi, l'espressione che solo io ho il piacere di tradurre e riconoscere: Perla è triste, ma come al solito non esterna il suo dolore o il suo problema.

Inclina il viso e arriccia le labbra, per poi scrollare le spalle e fissare il suo sguardo nel mio.

Alzo un sopracciglio, entrando nella stanza per avvicinarmi. Mi siedo con le gambe incrociate, ai piedi del letto, afferro il computer e lo giro nella mia direzione.

E' aperta una schermata di Chrome, con la posta di Perla; leggo attentamente, intanto che l'ansia comincia a salire.

Per un attimo dimentico di respirare; no, non può essere, è uno stupido scherzo. Scuoto la testa, mi soffermo a guardare il resto della pagina, ma sembra che questa email sia arrivata proprio a lei.

Passo una mano fra i capelli, mentre un grosso magone prende posto sul mio petto. Non so che dire; non c'è bisogno di molte parole, in realtà.

Deglutisco, sollevandomi sulle ginocchia per guardarla negli occhi. «E così te ne vai a Firenze!» -esclamo, sorridendo debolmente. «Mi hai rubato il sogno, maledetta Perla.» -continuo, cercando di sdrammatizzare.

Incrocia le ginocchia e si copre il viso con i palmi. Ho un dejavù, di quando l'ho vista piangere il giorno in cui è tornata a Rimini.

Sfilo le scarpe, ridacchiando, e mi stendo al suo fianco. «E dai, è la tua occasione. Che piangi a fare?» -le avvolgo le spalle con un braccio e lascio che singhiozzi contro il mio petto.

Perla se ne andrà, di nuovo. Resterò da sola, di nuovo.

«Lo sapevi che sarebbe successo, Perla. Hai fatto domanda solo all'UniFi di Giurisprudenza.» -comincio, cercando di scomporre e studiare i suoi sentimenti, come in un'analisi psicologica.

Annuisce debolmente, i palmi ancora pressati sul volto. Allungo una mano nella sua direzione, accarezzando i dorsi delle sue; le avvolgo nella mia, distanziandole dal suo viso e tenendole ben strette.

Poi, un grosso macigno cade di botto sul mio petto, e mi rendo conto di quale sia il vero problema di Perla. Di chi sia il problema di Perla. Dopotutto, è quello che provo io. Scuoto la testa. Adesso non è il momento di pensarci.

E quando sarà il momento, Alisya?

Sempre, ma non ora.

«Firenze è più vicina.» -sussurro al suo orecchio. «Ci vogliono tre ore di viaggio. Puoi tornare quando vuoi.» -aggiungo, lasciandole un bacio sulle morbide guance, umide a causa delle lacrime.

Continua ad annuire, mentre a me salgono le lacrime agli occhi. Perla è una ragazza d'oro e allo stesso tempo forte e sicura di sè. La mia piccola se ne andrà di nuovo, ed è normale che sia triste; deve essere stressante viaggiare e spostarsi di continuo. Tuttavia, è stata lei a scegliere, sapeva che sarebbe successo: ma non sapeva che, in questo breve ritorno a Rimini, si sarebbe affezionata a molte persone, in particolare ad una.

Scuoto la testa, facendo un gran respiro. Metto in stand-by il computer, stacco la presa e mi alzo, attraversando la stanza, per riporlo con delicatezza sulla scrivania.

Torno a breve distanza dal letto, facendole segno di spostarsi; tiro giù le lenzuola, e Perla si ristende su un fianco, chiudendo le mani tra il cuscino e la guancia. Emetto un sospiro e faccio lo stesso, evitando di incrociare il suo sguardo; potrei scoppiare a piangere, e non sarei d'aiuto. Copro entrambe con le lenzuola e la stringo forte a me.

«Ah, che belle tette...» -mormora, strofinando il naso sul mio seno.

Mi allontano di scatto, incredula. «Perla!» -sbotto, soffocando una risata.

«Michelangelo, sei fortunato...».

Corrugo la fronte, rilassandomi e ridacchiando. Non so se rimettere il discorso in mezzo o lasciar perdere. Resta per qualche attimo in silenzio; poi solleva il volto, perdendosi nei miei occhi. «Alisya, tu hai deciso cosa fare?» -chiede, storcendo la bocca.

Sospiro esasperata, sdraiandomi sulla schiena e saldando la presa attorno alle sue spalle. «Perla, lo sai già.» -rispondo, guardando il soffitto.

«Siamo nella stessa situazione, eh?».

Scuoto la testa, confusa. «Insomma; qui ci sarebbe un'Accademia, in realtà...».

«Ma non è quella dove vuoi andare tu.» -continua la mia frase, stringendomi la mano. «Lo sappiamo, Alisya.».

Stringo le labbra in una linea dura, e annuisco affranta. «Firenze è sempre stato il mio sogno.» -mi alzo di scatto, chiudo gli occhi e agito le dita, disegnando nell'aria. «Immagina di sporgerti dal Piazzale Michelangelo, vedere la cupola del Brunelleschi... il palazzo della Signoria... il Ponte Vecchio...» -ho i brividi. «Camminare nei luoghi che hanno ispirato i grandi artisti, come Giotto, Buonarroti, Donatello, Alberti, Ghib-».

«Sì, Alisya, s'è capito.».

Il fantastico panorama a cui la mia mente ha dato origine si frantuma in mille schegge; apro gli occhi, rivolgendo un'occhiata truce alla mia amica. «Comunque» -grugnisco- «Prima di partire devi parlargli.».

Solleva un sopracciglio. «E chi ti ha detto che sono triste per lui!?».

«Ehm...» -trattengo una risata. «Lui chi, scusa?» -la canzono, incrociando le braccia.

Schiude le labbra, incredula e offesa nel contempo. Fa per parlare, ma la interrompo. «Evita di metterti in burla ancor di più.».

Sporge il labbro inferiore, e ingoia la voce per qualche secondo. «L'ultima volta che abbiamo parlato di questo argomento, mi dicesti di voler andare a Firenze. Però adesso le cose sono cambiate, eh?».

Deglutisco. «Perla...» -fremo, mentre quel grosso masso comincia a fare sempre più pressione sul petto, arrivando quasi a comprimerlo del tutto.

Annuisce. «Lo so, lo so, è bruttissimo doversi separare dalle persone che amiamo.».

Tiro un gran sospiro, asciugandomi una lacrima. «Io ho paura.» -mormoro. «Non voglio pensarci adesso, cioè, ho altri problemi per la testa...».

«Alisya, Giuseppe a fine agosto arriverà a Rimini, e noi lo prenderemo. Sarà risolto tutto, troverai la tua famiglia.» -ripete.

Ormai è diventato una specie di ritornello, di quelli che nell'antichità gli aedi ripetevano più volte, facendo sì che restasse impresso nella mente degli ascoltatori. Questa volta, però, l'ha recitato con una piccola modifica. «E chi è questo Giuseppe, ora?» -domando, confusa.

«Testa.» -spiega. «Si chiama Giuseppe Iannuzzi. Piuttosto, perché non...».

«Ba-sta.» -scandisco, netta e precisa.

Si volta a guardarmi, perplessa. «Cosa?».

«Ti prego, Perla, non ne voglio parlare ora, e dai...» -la supplico, sperando che possa capire la mia disperazione.

Annuisce. «Scusami, Alisya. Però, wow, sai una cosa?» -solleva un indice- «Io credo fortemente nel destino. Tu e Michelangelo vi siete incontrati prima ancora che le vostre storie si incrociassero; il tuo sogno è sempre stato quello di studiare a Firenze e, guarda caso, io sono stata ammessa proprio all'Uni di Firenze.».

Scuoto la testa, scettica. «Sono tutte stupide coincidenze. E, ripeto, adesso non ho voglia di parlarne.».

«Prima o poi dovrai fare la tua scelta, Alisya.».

«Ne sono consapevole.» -ribatto. Gesù, che ansia. «Piuttosto, perché non riferisci tutto a lui, prima di partire?».

Scuote la testa, affranta. «Credi che io sia stupida come te?».

«In che senso?» -sbatto le palpebre, perplessa.

Incrocia le braccia, sul viso compare un sorriso finto. «L'ho fatto.» -risponde, annuendo a vuoto. «Io vivo ogni giorno come se fosse l'ultimo, tesoro.».

«E lui?».

«Niente. Mi ha mandata a cagare.» -afferma, per poi scoppiare a ridere; simbolo della solita autoironia che è parte di lei.

«E tu non l'hai gonfiato di botte e insultato fino a farlo suicidare?» -chiedo, divertita.

«Alisya, perché dovrebbe volere una come me?» -chiede, scuotendo la testa.

Le do un piccolo buffo sulla guancia. «Adesso sono io a mandarti a cagare, se lo ripeti.».

Sbuffa sonoramente, lasciando in aria la conversazione. «Tettona, cucinami qualcosa, sono depressa e ho fame.».

Distribuisco equamente i mestoli con la pasta al sugo nei piatti. «Sembri un cagnolino.» -borbotto a Perla, che mi guarda sognante.

Cominciamo a mangiare, parlando del più e del meno. «Dunque, stasera andiamo al Ca-rna-byyy!» -urla, con tono fin troppo allegro. «Adesso sì che comincia la tua estate!».

Annuisco, mordendomi l'interno della guancia. «Sarà strano vedere Michelangelo alla console.» -ribatto.

«Strano? Strano!? Sarà fighissimo!».

«Sì, Perla, certo...» -sibilo, sarcastica.

«Cosa stai bofonchiando, signorina!?» -ribatte, poggiando le mani sui fianchi.

Sbuffo. «Michelangelo stamattina mi ha inviato un messaggio, dicendo che alle tre passa a prendermi; deve mostrarmi una cosa...».

«"Ti mostrerò il mio caaa"-».

«Perla!» -la ammonisco; sorrido incredula, mentre lei scoppia a ridere.

Termino il mio pranzo e guardo l'ora al cellulare. «Vado a fare una doccia, poi esco.».

Apro la portiera ed entro nella macchina grigia di Michelangelo; sorrido, ma allo stesso tempo sono colma di ansia. Che diamine deve farmi vedere?

«Stai rubando tempo prezioso alla mia pennichella, sappilo.» -borbotto, lasciandogli un bacio sulla guancia. E' bello rivederti, amore. Indossa una camicia rosso carminio, i jeans scuri con alcune sfumature più chiare. Ma, come al solito, ciò che più mi attira a lui sono i suoi occhi.

«Ne vale la pena.» -risponde, assumendo un'espressione seria che non gli si addice per niente.

«Dove mi porti?» - chiedo distrattamente, chiudendo la portiera.

«Su una stella.» -ribatte, imitando alla perfezione la prima volta che è venuto a prendermi.

Scoppio a ridere, fissando il mio sguardo nel suo. Anche Michelangelo sorride, e questo mi tranquillizza almeno un po'. «Non hai risposto, comunque.» -lo incito, sperando in qualche informazione in più.

«In un posto.».

Sbatto le palpebre. «Quale posto?».

Mette in moto e ci immergiamo sul litorale di Rimini. Il sole batte forte, ma trovandoci vicino il mare c'è un piacevole e fresco vento, che mi ricorda ancora una volta che sono finalmente in vacanza.

«E' un segreto.»

«Beh, dimmelo.» -asserisco interrogativa, alzando un sopracciglio.

«Non posso.».

Sbuffo. «E perché?».

«Perché il segreto è segreto, e non si dice a nessuno perché è segreto.».

Schiudo le labbra, restando interdetta per qualche secondo. «Ma sei scemo?».

Scoppia a ridere, la sua risata mi riempie il cuore. Afferra la mia mano e lascia un bacio sul dorso. «Capirai da sola dove stiamo andando.».

Non mentiva, quando l'ha detto.

Ingoio a vuoto, mentre apro la portiera ed esco dal veicolo. Aggrotto le sopracciglia, guardandomi attorno. Vedere questo posto alla luce del sole è strano; ma, più in generale, tutto è strano in questo momento. In questo posto.

«Alisya...» -mormora Michelangelo, raggiungendomi e inchiodandomi fra i suoi fianchi e la macchina. Mi accarezza il dorso della mano, con movimenti delicati e rilassanti.

Potrebbe essere una cosa eccitante, e sotto certi aspetti lo è pure. Ma adesso non ho voglia di fare e provare nulla; mi fa strano tornare qui, è come se fossi in una grande bolla, e sentissi tutti i rumori ovattati e attutiti. Credo anche di avere un forte mal di testa, o forse è semplicemente tutta questa confusione improvvisa. «Perché mi hai portata qui?».

«E' complicato da spiegare, ma ci proverò comunque; perché avrei dovuto spiegarti io tutta questa situazione, ma non ho avuto il coraggio farlo.».

Scuoto la testa, minimizzando. «Senti, in questo momento sinceramente non mi interessa... Perché mi hai portata qui?» -ripeto, indicando con una mano il sentiero nel bosco, sperduto dal mondo.

«Seguimi.».

Aggrotto le sopracciglia, sempre più stordita, mentre i ricordi della prima volta che io e Michelangelo siamo usciti insieme si fanno spazio nella mia mente. Mi porge la mano ed io la afferro, tremante. Ho un brutto presentimento.

Percorriamo il lungo viale che dà ingresso al parco abbandonato. Il sentiero è molto stretto, e più volte ho dovuto coprire gli occhi da rami pungenti. Gli alberi sono coronati da foglie rigorosamente verdi, e a pochi metri posso vedere la panchina dove io e Michelangelo ci siamo scambiati il nostro primo bacio, poco più di un mese fa.

Si volta a guardarmi sorridente ed io faccio lo stesso, al ricordo di quella sera; abbandona la mia mano per cingermi le spalle e lasciarmi un bacio sulla guancia, mentre continuiamo a camminare.

Alle spalle della panchina c'è una staccionata instabile, sul punto di crollare. Il Rubicone scorre ripidamente, e anche se siamo a circa tre metri di altezza rispetto ad esso, la vicinanza all'acqua mi fa rabbrividire.

«Ma come l'hai trovato 'sto posto?» -chiedo, curiosa, voltandomi nella sua direzione, sorridente. Sposto lo sguardo su ciò che ci circonda: siamo immersi nella natura, gli unici rumori udibili sono lo scorrere dell'acqua e lo sfrecciare lontano delle automobili.

Non aspetto che risponda, perché sono attratta da una prominente siepe alla destra della panchina, più alta delle mie interminabili gambe. Sembra esserci un grande spazio oltre essa, e sono curiosa di ammirarlo.

Sono in procinto di andare in quella direzione, quando Michelangelo poggia le mani sulle mie spalle, guardandomi intensamente negli occhi. «Alisya, aspetta.».

Due parole; bastano a farmi rabbrividire e a perdere la capacità di muovere un muscolo. Prima che possa fare qualsiasi altra cosa, Michelangelo mi tira a sè, poggiando le sue labbra sulle mia bocca. Sussulto e avverto la morbidezza della sua lingua, che accarezza la mia, con movimenti circolari e soavi. Ad un tratto, poggia le mani sui miei fianchi, e si sposta in direzione di quella siepe, costringendo me a fare lo stesso; dunque, mi sta letteralmente trascinando in quel posto, e non capisco davvero il perché.

Ho ancora gli occhi chiusi, quando Mihangel scolla la mano dal mio fianco, forse per spostare i rami e permettere ad entrambi di passare. Siamo probabilmente dall'"altro lato", perché la luce del sole mi riscalda la pelle, non c'è più l'ombra di quell'impedimento.

Si ferma, mentre continuiamo a baciarci; la curiosità di vedere cosa c'è oltre le mie palpebre, mi spinge a sollevarle; apro gli occhi, distanziandomi da Michelangelo e restando tuttavia fra le sue braccia.

E menomale. Se non fosse così, perderei i sensi e mi scaglierei al suolo. Trattengo il fiato, restando per alcuni secondi a bocca aperta. Dinanzi a noi c'è un esteso campo di fiordalisi: tanti piccoli fiori blu, circondati da verdi spine di grano. Che significa? Perché mi ha portato qui?

Ad un tratto, un flashback mi attraversa la mente. Il ricordo di un sogno... «Michelangelo...Tutto questo non ha senso...».

«Amore...».

«Parla.» -lo supplico, lo sguardo perso tra i fiordalisi e le spighe di grano.

«Sì, allora...».

«Sbrigati, per favore. Perché mi hai portata qui?».

Fa un passo di lato, ostacolando la visione di quel campo blu con le sue spalle larghe ed imponenti, costringendomi quindi a guardarlo negli occhi. «Credimi, io non lo sapevo che fosse successo proprio qui. Che fossi proprio tu quella ragazza.» -comincia, scuotendo la testa.

"Tu e Michelangelo vi siete incontrati prima ancora che le vostre storie si incrociassero.".

«Quella ragazza che...?» -lo incito a continuare. «Cosa sapevi, Michelangelo? Di cosa stai parlando?».

Attratta da quel campo, comincio a camminare tra i fiordalisi. Avverto il solletico alle gambe, e ripenso alle sue parole. Non sapeva che fosse successo proprio qui. Ma successo cosa?

Mi siedo su un cumulo di pagliuzze, ignorando tutti i piccoli animaletti che ci sono attorno; incrocio le gambe e accarezzo distrattamente uno di quei fiori che hanno accompagnato il mio corpo da neonata dinanzi la casa di suor Lorena.

Michelangelo si siede dietro di me; stringe la presa all'altezza dei miei fianchi e mi solleva per farmi sedere fra le sue gambe.

Adagio la schiena al suo petto, e incrocio le mie dita alle sue. «Raccontami tutto, dai.».

Sospira, solleticandomi l'orecchio; poi comincia il suo racconto.

«Ti ho detto che facevo parte del gruppo di Testa, come infiltrato, unicamente per ricavare qualche informazione in più sul caso di mio fratello Gabriele.

Non ricordo precisamente quando, forse ad inizio giugno, è tornato Giuseppe con alcuni dei suoi seguaci; premetto che i Carabinieri avevano quasi smascherato tutto, e lui ne era consapevole. Infatti è tornato a Rimini col movente di avere una questione in sospeso.

I Carabinieri, avendo già raccolto circa quattordici anni fa la denuncia della sua compagna, alla quale aveva rubato la figlia appena nata, si sono insospettiti subito.

La certezza è arrivata a giugno, proprio quando alla sua compagna inviò un biglietto, su cui c'era scritto tipo: "Credevi che fosse finita?" o una cosa del genere, non ricordo di preciso.

Poi... a distanza di pochi giorni, è arrivata un'altra busta con i soldi a suor Lorena, e allora hanno collegato il tutto.

Ma mi hai chiesto cosa so di questo luogo, e perché allora ti portai qui, quindi non perdiamoci in chiacchiere.

Mi avevano appunto parlato di questa bambina, la figlia del capo, che lui anni fa aveva abbandonato a delle suore. Mi dissero che... era successo proprio qui.» -fa una pausa, indicando un punto in cui il campo di fiordalisi e la staccionata pericolante si incontrano.

«Voleva...» -balbetta. «Voleva gettarti da lì.»

Non posso crederci. Esattamente come il quel sogno. Faccio un lungo sospiro, mentre le lacrime pungono gli occhi, preannunciando di uscire.

«Michelangelo.» -comincio, sollevando il viso nella sua direzione, mentre lui mi stringe più forte al suo petto. «Tu sai chi è la donna che ha denunciato?».

Per un attimo la sua presa si allenta, e stringe le mani in due pugni. «No. Non me l'hanno detto.» -risponde, assumendo un'espressione seria.

Annuisco lentamente, congiungendo le labbra in una linea dura. «Perché hai voluto farmi vedere questo posto?».

Sbuffa. «Perché, come hai detto tu, è una situazione che ti riguarda in prima persona ed è giusto che tu sappia tutto.».

«E perché quel giorno mi portasti qui, se non sapevi ancora che fossi io quella ragazza?».

«E' stato casuale. Ci tenevo a vedere questo posto, e a fissare un ricordo felice, piuttosto che l'immagine di un uomo che vuole togliere la vita ad una bambina innocente.».

«Anche io avrei un ricordo felice di questo posto, se solo non mi avessi mollata un secondo dopo perché: "Io stanotte starò con Marta, è lei che amo, fine!".» -lo beffeggio, incrociando le braccia.

Si passa una mano fra i capelli, sorridendo. «Ma che ne sapevo io, dell'amore, prima di incontrarti... eh?» -sussurra, scostando i capelli dalla nuca e lasciandomi un bacio dietro il collo.

Mi mordo un labbro, imbarazzata. «Hai proprio ragione!» -scherzo, prendendo una sua mano fra le mie. Stendo le gambe, cercando una posizione comoda.

«Oh Dio, ma hai le gambe...» -esclama, l'espressione inorridita.

Corrugo la fronte per lo sconcerto. «Come scusa?» -chiedo, offesa.

Percorre con il palmo una linea che va dalla mia coscia alla caviglia, percorrendo una parabola immaginaria verso l'alto. «Hai le gambe strane...» -mormora, accigliato.

Ah, ora capisco. Scoppio a ridere, battendogli un indice sul naso. «Stupido, si chiamano gambe a sciabola.».

«Gambe che? Che significa?» -chiede, confuso.

Sospiro, facendo un grande sforzo per alzarmi, neanche pesassi un quintale. «Te lo spiego in macchina. Non mi va di stare qui.» -affermo distrattamente, scrollando terreno e pagliuzze dalle cosce.

Si alza a sua volta e, alla sprovvista, mi avvolge in un abbraccio. «Dimentica cosa è successo in questo luogo. Abbi anche tu un ricordo felice.».

«Oh, sì!» -affermo, tagliente; porto l'indice alla guancia, distanziandomi e facendo finta di riflettere. «Diciannove anni fa l'uomo che in teoria sarebbe mio padre ha cercato di uccidermi, e pochi mesi fa mi hai baciato per poi rovinare tutto e dire che amavi Marta. Che ricordo fel-!».

Non finisco di parlare, che mi ritrovo scaraventata al suolo. Trasalisco, spalancando gli occhi per lo spavento.

Le sue braccia mi avvolgono la schiena sotto la maglia; chiudo gli occhi e sorrido contro le labbra di Michelangelo, che lasciano teneri baci su ogni centimetro del mio viso. Dannazione, avrei potuto spaccarmi la testa. Si poggia ad un gomito, vicino la mia spalla, e principia a baciarmi appassionatamente con la lingua, e uno strano desiderio si fa spazio fra le mie cosce. Ma ora non è il momento e il luogo adatto per niente. Scoppio a ridere, distanziandomi. «E' tardiii, dobbiamo andare!».

Annuisce, come un obbediente cagnolino, e sfila le mani da sotto la mia maglia. «Andiamo.».

Prima che possa mettermi in piedi, mi solleva con le braccia e va in direzione della macchina. «Aspetta!» -lo fermo, allungando un braccio verso il basso. Strappo un fiore blu dal prato, e lo avvolgo con delicatezza nella mano.

«Allora, che significa avere le gambe a sciabola?» -chiede, quando mette in moto e ci allontaniamo da quel luogo -non più- maledetto.

Ridacchio. «Come devo spiegarti... è una delle qualità perfette per una ballerina.».

«Addirittura.» -mi deride, mentre ci immergiamo nell'autostrada. «Ah, ma a proposito... Tu non potresti continuare con la danza? Cioè, non so come funzioni in realtà...».

Sospiro. «Sì, dunque... Nella danza ci sono attributi particolari; quando si dice che bisogna avere un bel fisico per diventare ballerine, in realtà non si intende solo essere 'magra' o 'grassa', ma ci sono altri requisiti, come: un collo del piede ben pronunciato e le gambe a sciabola -che, appunto, ho-, la dinamica, andare a tempo...» -agito una mano, cercando altre caratteristiche particolari.

«E tu non puoi continuare?».

Scoppio a ridere, davvero allietata. «La mia maestra ci teneva davvero tanto che io continuassi, così come tutte le compagne del mio corso. A me la danza piace, e anche tanto, perché mi ha insegnato la precisione e la disciplina, che si esercita in ogni cosa. Io non voglio continuare solo perché ho i requisiti necessari, voglio fare quello che mi piace nella vita.».

Mugugna, invitandomi a continuare.

Scrollo le spalle. «E' devastante vedere compagne di corso che vorrebbero tanto continuare a danzare, ma non possono perché il loro corpo non glielo permette. Non sono d'accordo con questa visione della danza, molto semplice.».

«Capito...» -mormora. «Resta il fatto che tu abbia le gambe storte.».

«Se lo ripeti, ti faccio ritrovare con qualche altra cosa storta.» -ribatto, sorridendo acida.

Arriviamo sotto il palazzo di casa Frisoni, e mi accingo ad uscire dal veicolo. Lascio un morbido bacio sulle labbra di Michelangelo. «Quindi, ci vediamo stasera alla festa?».

Mi stringe la mano. «Ti aspetto, alle nove.».

Annuisco, felice. «Alle nove.».

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TATTARATAAAA'!!!! Il prossimo capitolo sarà ambientato alla festa, ve lo giuro. E, ripeto, ne vedremo delle belle uhuh.  

Grazie Ritaska99 per aver letto e corretto il capitolo <3


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