Quarantadue.

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La prima cosa che avverto, quando il mio cervello si sveglia, è un masso legato al piede che lentamente cerca di tirarmi giù. Mi sento come se un fantasma mi stesse martellando la testa e prendendo a calci lo stomaco. E, soprattutto, penso ci sia qualcuno accanto a me. C'è il rumore di un respiro che non è il mio.

Muovo lentamente le gambe, tenendo ancora gli occhi ben chiusi, e scopro di non avere i pantaloni del pigiama. Aggrotto le sopracciglia, muovendo i piedi più velocemente e, sì, in effetti sono priva di pantaloni, ma sono coperta da un lenzuolo e ho indosso una vestaglia. Una vestaglia? Ma io non ho mai dormito con una vestaglia. Cosa ho fatto ieri sera?

Ci penso su.

Un cipiglio prende forma sul mio volto.

Non me lo ricordo.

Corrugo di nuovo la fronte, più confusa, e avverto una strana sensazione all'altezza dell'attaccatura dei capelli. Piego un braccio e passo le dita su quello che mi sembra un cerotto. Un cerotto molto grande.

Socchiudo gli occhi, dando il tempo alla luce di illuminare quello che mi è attorno, per farlo giungere al cervello, e per poco non mi viene un infarto. Ma dove sono?, penso retoricamente, mentre la mia attenzione adesso è rivolta a Michelangelo, dormiente, che ha una mia mano stretta fra le sue e la fronte contro il mio fianco.

Lo guardo a dir poco sconcertata. Sono morta?

A destra c'è un balcone che lascia entrare la luce nella stanza, oltre ad un leggero venticello. La luce mi fa venire il mal di testa. Il letto su cui sono stesa è molto alto, di fronte ce ne sono altri due, accanto al mio ce n'è un altro. Una stanza con quattro letti, delle aste portaflebo con cestini bianchi, rotondi. Non ci vuole una laurea per capire che sono in ospedale. Mi soffermo nuovamente su Michelangelo. Perché è vestito in maniera così elegante? Che giorno è oggi?

«Michelangelo?» - sussurro, cercando con lentezza di sfilare la mia mano dalle sue, per picchiettare con un dito la sua spalla.

Spalanca gli occhi, sussultando, in un attimo solleva il busto, si guarda intorno spaesato, con una velocità che mi lascia perplessa. «Cavolacci, mi son addormentato di nuovo... Amore mio!» - un sussurro misto ad un singhiozzo. Ed io sono sempre più confusa, mentre lui si alza e mi circonda le spalle con le braccia, la testa nell'incavo del mio collo.

«Perché stai piangendo?» - sussurro, esitante e dubbiosa, poiché non riesco a parlare bene; una forte fitta alla testa trasforma la mia espressione in sofferente.

Si distanzia per guardarmi negli occhi, sconcertato e preoccupato. Ha l'aria visibilmente stanca, due barche nere si aggrappano alle sue palpebre, invano, ma è pur sempre bellissimo. «Non ti ricordi niente?» - risponde in questo modo alla mia domanda, retoricamente.

«Se te lo chiedo è perché, evidentemente, nulla ricordo. No?» - ribatto con una punta di acidità, quasi di fastidio, mentre cerco di scrollarmelo da dosso, volendo fare lo stesso con il resto del malessere fisico.

«Vado a chiamare gli altri.» - mi informa, lasciandomi una carezza sulla guancia, prima di tornare a guardarmi velocemente negli occhi, voltarsi e sparire dietro una porta di plastica, opaca.

A fatica mi metto in piedi, sistemando il cuscino dietro la schiena e poggiandomi ad esso. Mi porto la testa fra le mani, cercando invano di alleviare il dolore, e chiudo gli occhi. Cosa ho fatto ieri sera?

«Buongiorno!».

«Oh mio Dio, Alisya!».

Sollevo lo sguardo, lasciando le mani a mezz'aria, e mi ritrovo a pochi metri dalle figure di Perla e Lucia. «Ragazze.» - rispondo, sorridendo, pensando che non ci sto capendo un fico secco.

«Come stai?» - mi chiede Perla, indossa dei pantaloncini di jeans blu scuri e una maglia bianca, a mezze maniche.

«Non hai freddo, così?» - mormoro, accigliata, guardandola fisso negli occhi verdi.

«Freddo, Alisya?» - sbotta, colpita. «Ma se è il primo giorno di Agosto!».

Resto in silenzio, pietrificata, come se mi avesse appena dato uno schiaffo. «Cazzo.» - sibilo, occhi ben aperti, mente altrove. Sistemo di nuovo il cuscino, mi stendo sul letto e mi infilo sotto le coperte, le lenzuola mi arrivano alle spalle.

«Ieri siamo andati alla festa al Carnaby.» - comincio a parlare ad occhi chiusi, facendo un grande sforzo. «Me lo ricordo perché, l'altro giorno, Michelangelo, parlando al telefono con Marco, aveva detto che saremmo andati alla festa il trentuno Luglio.». E' possibile che io ricordi addirittura questo, e non gli eventi di... «Da quando sono qui?» - domando al vuoto, sperando che qualcuno risponda.

Perla tossisce, poi mi risponde. «Da ieri sera. L'hai detto stesso tu che siamo andati alla festa.».

Ci penso su. «E' vero.». E' possibile che io ricordi addirittura questo, e non gli eventi di ieri sera? Altri passi riempiono il silenzio della mia pausa. Probabilmente stanno entrando altre persone. Non riesco a tenere gli occhi aperti. Mi fa male la testa. «Raffaele!» - esclamo, restando tuttavia nel mio sussurro.

«Sì?».

«Ci sei anche tu.» - suppongo, incapace di aprire gli occhi e di guardarmi intorno.

«Sì, dimmi.».

«Mi ricordo di avervi mandato a quel paese, ero nervosa, ma non ricordo perché...» - mormoro, accigliandomi ancora. «Perla, perché ero nervosa?».

«Non penso di poterlo dire proprio... adesso.» - risponde la mia amica, balbettando, facendomi capire che, forse, il motivo è presente nella stanza.

Ci penso su. «Ah, adesso ricordo.» - aggiungo, amareggiata. Ero nervosa perché la cugina di Michelangelo gli è stata appiccicata tutto il tempo. «Però non mi ricordo lei come si chiami.».

Perla sospira. «Però ti ricordi quello che ha fatto?».

L'apertura dei miei occhi è accompagnata da un sussulto, per tutte le persone presenti nella stanza. E' imbarazzante tutto questo. Devo avere un aspetto cadaverico. Levo lo sguardo. Alla mia destra ci sono Grazia, Roberta e Angela. Ai piedi del letto, al medesimo lato, è seduta Marta.

«Ciao Marta.» - la saluto, sorridendo, e lei ricambia uno sguardo triste e lucido, coronato da un bellissimo sorriso a dir poco forzato,

Alla mia sinistra ci sono Perla e Lucia, che avevo già visto prima. Dietro di loro, i genitori di Perla, Mauro e Daniela. Mauro e Daniela? Sul letto di fronte, sono seduti Raffaele, Riccardo, Giovanni ed Achille. «Ma loro tre ieri sera non c'erano.» - aggrotto le sopracciglia, confusa. O forse sì?

«Potete lasciare la stanza, prego!» - un uomo coi capelli chiari, evidentemente un medico dato il camice, fa ingresso nella camera, guardando tutti in modo cagnesco. «Buongiorno ragazzina, come si sente?».

_

Il dottor Limardi esce dalla camera, senza prima aver affidato all'infermiera il compito di darmi una mano. «Quanti anni hai, Alisya?» - mi chiede Bruna con un sorriso sulle labbra, la pelle candida e i capelli scuri in contrasto con la sua purezza. Un cartellino applicato all'altezza del seno mi comunica che è una studentessa in tirocinio.

«Il dieci Agosto ne faccio diciannove.» - rispondo educatamente, senza prima aver accusato di un doloroso giramento di testa, poggiando i piedi a terra per la prima volta -mi hanno portata a fare la TAC, dunque è da ieri sera che non toccavo il pavimento.

«Oh, quindi tra poco!» -esclama, con tono gentile. «La tua amica ti ha portato dei vestiti, sono in quella busta. Domani potrai tornare a casa.» - mi indica un sacchetto rosso poggiato sul letto di fronte, sono l'unica paziente in questa stanza.

Mi avvicino strisciando i piedi a terra, cavolo, gira tutto; sbircio nella busta. «Perché domani?» - chiedo, dubbiosa, guardando di sottecchi la vestaglia bianca a pois blu in cui sono immersa.

Bruna mi guarda perplessa. «Non ho capito, vuoi restare qui?» - chiede, prendendosi gioco di me.

«No, ma io intendevo... Perché non oggi?» - domando, smarrita, stanca. «Ma cosa ho, si può sapere?».

L'infermiera inclina la testa di lato, confusa. «Il dottore te l'ha appena spiegato.».

«Tu credi seriamente che io abbia capito anche una sola parola di ciò che ha detto?» - chiedo tutto d'un fiato, guardandola scettica, il sopracciglio in alto più che posso. «Me lo puoi spiegare in italiano? Grazie.».

Dopo aver afferrato un borsellino blu, si avvicina poggiandomi una mano sulla schiena, e lentamente mi trascina verso il bagno. «Hai battuto la testa, infatti hai un taglio qui...» - principia a spiegarmi, passandosi l'indice sulla fronte. «Però nulla di grave, Alisya. Solo le circostanze dell'accaduto. Quelle sono ancora sospette.».

Mi porto le dita alle tempie. «Perché, diamine, non riesco a ricordare cosa è successo?!» - sbotto, stufa, mentre entriamo nel bagno; una stanza senza finestre, solo un lampadario a diffondere calda luce gialla. Mi fa male anche la schiena.

«Dai, non ti preoccupare, ti tornerà alla mente molto presto.». Bruna è dietro di me, in attesa, mentre io mi posiziono dinanzi ad un lavello, sovrastato da uno specchio circolare dal bordo bianco, a chiazze gialle. Sospiro, stanca, e verso del sapone nel palmo della mia mano. Strofino il volto energicamente, o almeno ci provo, dato che di energie non ne ho proprio, poi sciacquo con abbondante acqua fresca, riservandomi un attimo di sollievo; allungo la mano verso un'asciugamano di carta, dall'odore pungente, e mi tampono il viso con essa.

Punto lo sguardo nei miei occhi spenti e stanchi, attraverso lo specchio, e sussulto quando scorgo anche la figura di Bruna, a guardarmi in attesa. Spalanco gli occhi, avvertendo le gambe improvvisamente troppo pesanti per essere spostate, ma nonostante ciò mi volto di scatto, il cuore a mille, la schiena impressa sulla parete avanti al lavello, una psicopatica alla ricerca di una via di fuga.

«Alisya, che c'è?» - il suo tono tranquillo e pacato mi calma per qualche attimo.

Occhi sbarrati, puntati ora verso il soffitto, mentre ricordi sfocati, imprecisi, nebulosi prendono forma nella mia mente sfinita. «C'era un ragazzo ieri sera, sì, sì...» - mormoro, fronte aggrottata. «Dopo che Nina mi ha bagnato il vestito sono andata in bagno e c'era un ragazzo.».

«Poi, cos'è successo?».

I ricordi fanno male. Sono lame taglienti e affilate, che con lentezza mi lacerano le pareti del cuore.

La scena mi si presenta nitida dinanzi agli occhi, come se fosse un film e come se quello non fosse uno spezzone proprio della mia, di vita. «Mi ha tappato la bocca con una mano.». La sensazione di soffocamento mi stringe al collo. «E ho gridato aiuto, penso, sì, credo di aver urlato qualcosa.».

«E com'era fatto questo ragazzo?».

Aggrotto le sopracciglia. «Non me lo ricordo.».

«Sforzati di guardare oltre le nuvole.».

Sbatto le palpebre, spossata. «Aveva un passamontagna.».

«E non l'hai mai guardato in faccia, quin-».

«Io l'avevo già visto!» - esclamo, sconvolta dai miei stessi pensieri e ricordi. «Sì, sì, l'avevo già visto prima di uscire! Come ho fatto a dimenticarlo!» - aggiungo, poggiando la schiena alla parete, stanca.

Bruna piega la testa di lato, ancora. «Dove l'hai visto?».

«Vicino casa mia, stavamo andando alla festa. Non mi ricordo perché, ma mi sono avvicinata a lui che mi stava spiando. Il tatuaggio sulla nuca!!!».

«Aveva un tatuaggio? Te lo ricordi?».

«Sì, ma non ricordo la forma. Mi sono avvicinata e mi ha fatto una domanda strana, sì è fatto anche lui più vicino, mi ha stretta, mi ha chiesto... cos'è che mi ha chiesto?».

«Devi dirmelo tu.».

«Ah, sì! Mi ha chiesto cosa sapessi.».

«Riguardo cosa?».

Schiudo le labbra. «Non te lo posso dire.».

«Va bene, a me non dirlo. Però ai carabinieri sì.» - conclude la sua frase, facendo un cenno verso l'esterno del bagno, oltre la porta aperta. «Ha sentito tutto?».

Corrugo la fronte, confusa, e svolto l'angolo ritrovandomi nuovamente nella stanza e abbandonando il bagno. Daniela è in piedi, poggiata alla porta, probabilmente per non far entrare nessuno. Rimane nella sua posizione salda e imponente, il busto avvolto in una camicia azzurra che mette in risalto il seno prosperoso, le gambe fasciate da pantaloni blu. «Alisya, siediti, dobbiamo scambiare quattro chiacchiere.» - incrocia le braccia e fissa lo sguardo nei miei occhi, truce.

A passi lenti e svogliati cammino verso il letto, mi ci arrampico con un po' di fatica, ma riesco a salirci e a stendermi. «E parliamo.» - rispondo, con aria di sfida, non so perché ma avverto un senso di fastidio immane.

Resta in silenzio, ancora vicino la porta, e fa un cenno con il mento a Bruna di andare fuori.

«A dopo.» - saluta l'infermiera, con aria serena.

Rimaniamo solo io e Daniela, e in questo momento mi rendo conto di quanti anni siano passati dall'ultima volta che le ho parlato. Adesso, però, non mi riesce proprio fare la nostalgica e la sdolcinata. Loro mi hanno nascosto troppe cose. Tutti mi hanno mentito. Mi hanno presa in giro.

«Allora, Alisya» - sospira, avanzando nella mia direzione ma sedendosi sul letto di fianco. «Raccontami dettagliatamente quello che è successo ieri sera. So che te lo ricordi, quindi sputa fuori tutto.».

Storco le labbra per tanta insistenza, ma decido di risponderle - non che possa fare altro.


Quando finisco il mio racconto, con l'aggiunta di qualche particolare in più, lei rimane a fissarmi quasi inebetita, con la bocca semichiusa. «Mi spieghi che cosa ti passa per 'sta testa di cazzo, Alisya?».

Alzo un sopracciglio. «Scusa?».

«Cioè» - si porta le mani nei capelli- «tu sai di essere in pericolo, vedi una persona che ti spia e le vai incontro? Ma ti sembra una cosa normale?».

Resto in silenzio per qualche attimo. «Non so cosa mi è passato per la testa.».

«Volevi fare la ribelle? Uscire fuori dalle righe?» - sbotta, agitando un braccio.

Sbuffo sonoramente. «Non volevo andare contro nessuno.».

«E allora perché l'hai fatto?».

«Perché mi avete rotto il cazzo!» - strillo, nonostante il mal di testa lacerante. «Basta, basta! Sono stanca!» - dannato nervosismo che si tramuta in lacrime, penso, cominciando a piangere, mentre in stanza entra anche Perla, accompagnata da Michelangelo e dal padre, Mauro.

«Ma che sta succedendo qui?» - chiede, allarmata, chiudendo la porta.

«Tu! Tu mi hai presa per il culo per tutto questo tempo! Sapevate di tutto questo casino e nessuno si è preso la briga di parlarmene!» - il tono di voce diventa sempre più sottile, ed è insopportabile, me ne rendo conto, ma urlare e sfogarmi in questo momento mi sembra l'azione più giusta. «Come... Come hai potuto?».

Perla resta come un'idiota a fissarmi, le labbra schiuse, tremanti. «Alisya, cerca di capire...» - si intromette Michelangelo, invano.

Sbuffo con insistenza, portandomi le mani fra i capelli e chiudendo gli occhi. «Sentite, andate fuori, per favore. Non voglio nessuno in questa camera.» - sibilo, cercando in tutti i modi di calmarmi e di cessarla con le urla strazianti e ridicole.

«Ma Alisya, hai bisogno di compagnia...» - balbetta Perla, urtandomi maggiormente.

«Ho bisogno soltanto di una cosa.» - mormoro, aprendo gli occhi e guardando tutti e quattro, uno ad uno. «Niente più segreti.».

Nella stanza si diffonde un silenzio a dir poco imbarazzante. La prima a prendere parola è Daniela, che si guarda intorno imbarazzata, le braccia incrociate e strette al petto. «Bene, cosa vuoi sapere?» - mi chiede, avanzando verso il letto di fianco al mio. Mauro prende posto accanto alla moglie, Perla si siede sul letto di fronte, Michelangelo sulla sedia dove l'ho trovato stamattina.

«Beh, penso che la prima domanda sia abbastanza scontata.» - principio, sdraiandomi su un fianco. «Cosa è successo ieri sera?».

E' Perla a prendere la parola. Mi racconta che stavamo ballando semplicemente, e ad un tratto Nina mi ha inondato il vestito di un cocktail. Dopodiché sono andata al bagno, da cui non sono più tornata. «Sì, questo lo so.» - ribatto, scocciata. «Voglio sapere cosa è successo dopo.».

«Una ragazza ha dato l'allarme.» - Perla incrocia le dita delle sue mani, poggiando lo sguardo su di esse. «Però noi non abbiamo fatto in tempo a raggiungerti. Per noi, intendo io e Lucia.».

«Tu dov'eri?» - chiedo truce a Michelangelo, che mi guarda come un cagnolino spaventato. «Dov'eri in tutto ciò?».

Deglutisce, stringendomi di più la mano. «Nina mi aveva chiesto di accompagnarla urgentemente a casa. Ho... ho avuto problemi con la macchina, durante il tragitto. Così sono arrivato stanotte, quando Raffaele mi ha detto di raggiungervi qui...».

Un, due, tre. Un, due, tre. «Cioè...» - mormoro, cercando le parole adatte per disprezzarlo. «Nulla, lascia stare.» - concludo, rivolgendomi poi a Daniela. «Pensate possa essere qualcuno del gruppo di Testa?».

«Questo deve dircelo il giovanotto, qui.» - fa un cenno in direzione del mio ragazzo. «Allora, Michelangelo? Tatuaggio sulla nuca, ti dice niente?».

Michelangelo emette uno sbuffo, arricciando le labbra. «Mano.».

Perla scoppia in una fragorosa risata. «Cos'è, "esplorando il corpo umano"? Tu sei il culo?».

Mi porto una mano sulla fronte, avvertendo la ruvida superficie del cerotto. Dovrei arrabbiarmi per la sua battuta fuori luogo, per tutto, in realtà, ma non riesco proprio a trattenere una risatina. «Dai, fallo parlare. Chi è questo 'Mano'?».

Tiene lo sguardo basso. «Non so il suo nome. Ma è l'unico del gruppo ad avere un tatuaggio dietro la nuca. E' una rosa nera, uno dei simboli della mafia.».

«Sapevate che mi stessero seguendo?».

Mi sembra quasi di notare la pelle di Daniela e Mauro diventare più pallida del normale. «Sì.» - risponde lui.

Aggrotto le sopracciglia, scuotendo la testa. «E, scusate, perché non ho nessuna guardia – o come volete chiamarla voi – a "proteggermi"?» - creo delle virgolette con le dita, accigliandomi.

«Mamma, dovete dirglielo. Altrimenti lo farò io.» - Perla rompe il silenzio di pochi attimi con una voce imponente.

Sbatto le palpebre, perplessa. «Dirmi cosa?».

Daniela fa un gran respiro, Michelangelo si volta a guardarla, adagiando la schiena al lato del letto. «Tu ci servi, Alisya.» - principia, guardandomi fisso negli occhi, pare stia cercando le parole giuste.

Nulla da fare, continuo a non capire. «Spiegati.».

Si sistema il colletto della camicia azzurra. «Come dire...» - mormora, visibilmente a disagio. «Ci servi, perché solo così riusciremo a sapere la verità sulla... sull'omicidio di suo fratello.» - continua, un cenno di testa verso Michelangelo.

Una fitta alle tempie. «E in che modo potrei aiutarvi?».

«Continuando a comportarti come stai facendo adesso.» - si aggiunge Mauro, scrollando le spalle.

«No, scusate...continuando a rischiare la vita, quindi?» - scuoto la testa, ancora. «Mi spiegate, per favore?».

Daniela arriccia le labbra, deglutendo. «Ti stiamo sia proteggendo che... che mettendo in pericolo. So che è difficile da capire, ma è così. Ti spiego meglio: quando Testa arriverà a fine Agosto, per... per vendicare quello che ha fatto la tua – forse – mamma, solo allora potremo sapere cosa accadde davvero quella sera di tre anni fa, perché lui è il capo, il solo a potercelo dire. Noi fingeremo di "consegnarti", ma prima ci faremo dire la verità.».

«Per vendicare... che?» - sbotto, sconvolta. «Che ha fatto la mia "forse" - che poi, davvero? Forse? Non hai idea di quanto mi facciano male queste parole – comunque, che ha fatto la mia "forse" mamma, da dover meritare vendetta?».

«Ha denunciato Iannuzzi, cioè Testa.» - risponde Mauro, le labbra tese in una linea dura. «Se non l'avesse fatto, probabilmente non sapremmo la sua identità, e non avremmo mai cominciato le ricerche.».

Emetto uno sbuffo esasperato. «E siete così sicuri che lui sappia la verità sul fratello di Michelangelo?».

Annuiscono tutti e quattro. «Ci è arrivata una soffiata certa a inizio Giugno. E' per questo che abbiamo deciso di partire subito.» - risponde la donna.

Mi porto le dita alle tempie. «Tutto questo è un modo carino per dirmi che mi state sfacciatamente usando come cavia?».

«Non vederla così. Ti stiamo anche proteggendo.» - si intromette Perla, quasi per 'difendere' i genitori.

«Ma, comunque...» - mormora Daniela, attirando nuovamente la mia attenzione. «Se pretendi delle guardie del corpo-».

Il mio respiro sonoro la interrompe. Mauro, Daniela, Perla e Michelangelo sollevano lo sguardo verso di me. Io li guardo uno ad uno, per qualche attimo i dolori svaniscono, e avverto solo un fuoco ardente all'altezza del cuore. «Va bene così. Niente guardie.» - sussurro, con un sorriso, fissando lo sguardo negli occhi blu di Michelangelo.

«Che... che intendi fare? "Così" come?» - Daniela cerca, invano, di attirare la mia attenzione.

«Aiuterò la famiglia di Michelangelo a scoprire la verità. Voglio fare qualsiasi cosa pur di rendermi utile.» - affermo, sorridendo, perdendomi negli occhi del mio meraviglioso ragazzo.

«Non se ne parla, Alisya.» - risponde il bradipo, alzando la voce. «Dopo quello che è successo stanotte, io...» - la voce si strozza, nuovamente.

Daniela tossisce, in imbarazzo. «Noi andiamo al piano terra a mangiare qualcosa. Ci vediamo dopo...» - mormora, e i tre componenti della famiglia Frisoni si allontanano, per poi sparire dietro la porta della stanza.

«Amore, ti prego, apprezzo tantissimo ciò che vuoi fare, ma non voglio che tu ti esponga ad un pericolo così grande.» - prende posto sul letto, il bacino all'altezza del mio busto.

Alzo gli occhi al cielo. «Michelangelo, penso che da inconsapevole io abbia rischiato grosso per più di un mese. Evita di fingerti, non so, dispiaciuto. Dopo quello che hai fatto, non sei per nulla credibile.».

Sbuffa, incrociando le braccia al petto e levando lo sguardo al soffitto. «Non fare la stronza... E va bene, sono stato superficiale, lo ammetto! Pensavo che starti accanto fosse un metodo efficace per proteggerti, ma evidentemente non è così! Me l'hanno fatta sotto gli occhi!» - una lacrima salata riga la sua guancia, si asciuga con una spalla e stringe forte i pugni.

«Vieni qui.» - sussurro, facendogli spazio sul letto enorme e altissimo su cui sono stesa. Michelangelo prende subito posto accanto a me, senza nemmeno togliersi le scarpe. Si stende a pancia in giù, il viso all'altezza del mio collo, preme sul mio braccio il petto, scosso dai singhiozzi.

«Non dovresti aiutarmi. Sono uno stronzo.» - questo è quello che riesco a capire dall'impasto formato da lacrime e parole.

Lo zittisco con un sonoro 'shhh', e principio ad accarezzargli i capelli. «Nessuno poteva immaginare quello che sarebbe successo ieri sera, amore mio.».

Sbuffa. «Perché, cazzo, vuoi aiutarmi?».

«Perché ti amo, mi sembra ovvio.».

Resta in silenzio per qualche attimo. «Anche io ti amo, ma sono un coglione che non è in grado di dimostrarlo, e che si sta lasciando consolare dalla ragazza che ieri sera è stata aggredita e che ha passato la notte all'ospedale... Cazzo, quanto faccio schifo.».

Scuoto la testa, lasciandogli un bacio sulla fronte. Alzo il mignolo all'altezza dei suoi occhi, e lui mi guarda con aria interrogativa per qualche attimo. Faccio un cenno verso la sua mano, facendogli capire di fare lo stesso.

Solleva il mignolo e permetto all'estremità delle nostre mani di incastrarsi. «Coraggio.».

Annuisce, mordendosi l'interno della guancia. «Insieme.».

_

La giornata di ieri è trascorsa molto, forse troppo, velocemente. Con disappunto dei dottori e delle guardie di sicurezza, ma con lo zampino di Daniela e Mauro, durante l'orario di visite sono riusciti ad entrare praticamente tutti i membri della nostra comitiva. I dottori mi hanno tenuta tutta la notte sotto controllo, ma stamattina finalmente mi hanno dato il permesso di tornare a casa, devo ripresentarmi fra due settimane per fare altri controlli; nel frattempo, mi hanno consigliato di stare a riposo. Convinti loro.

Sollevo la zip della felpa enorme che mi ha portato Michelangelo, perché ho ancora la febbre e tanto freddo. «Sei pronta, amore?» - mi chiede, varcando la soglia della porta del bagno, aperta, e avvolgendomi le spalle con un braccio.

Annuisco, guardandomi per l'ultima volta nello specchio: sono struccata, pallida e fin troppo brutta per i miei gusti, ma decido di non pensarci troppo su, adesso. A passo lento, con la testa che gira, abbandono la camera e l'ospedale, sperando di non doverci tornare più.

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