Quarantatré - Mihangel.

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«Giro giro tondo, casca il mondo, casca la terra, tutti giù per terra!».

Lorenzino prende a ridere, mentre io abilmente crollo giù, facendo ben attenzione a non fargli del male. La sua risata è contagiosa, ridacchia di buon gusto e dalle sottili labbra si intravedono i primi piccolissimi dentini.

«Allora, a papino?» - Marco, il compagno di mia sorella, fa il suo ingresso nella mia cameretta, adagiandosi al letto. «Quand'è che cominci a camminare un po'?» - continua, prendendo fra le braccia il piccolo.

Quando me ne libero, ne approfitto per allungare il braccio verso il comodino ed afferrare il mio cellulare. Al di sopra dello sfondo - una delle rare foto mie e di Alisya - la scritta "11.30 – dom 7 ago" si illumina, facendomi sbuffare. E' ora di andare.

«Marco io vado...» - mormoro distrattamente, dopo aver infilato ed allacciato le scarpe. «Quando Madda e mamma tornano dal supermercato, di' che non ci sono per pranzo.» - continuo, scappando letteralmente dalla stanza e lasciando mio cognato e mio padre da soli nell'appartamento.

A due a due scendo le scale e, arrivato al piano terra col fiatone, «Cazzo!» - sussulto, battendomi una mano sulla fronte, non appena mi ricordo che oggi, fra le mille cose da fare, devo anche accompagnare Alisya all'ospedale per togliere i punti dalla fronte.

Mi mordo l'interno della guancia, intanto che chiudo il portone di casa e i ricordi di sabato – non ieri, ma quello scorso – tornano alla mente come una cascata impetuosa.

Sfilo il telefono dalla tasca, continuando a camminare, ed eseguo la medesima azione che ho compiuto fin troppe volte negli ultimi otto giorni. Rileggo il messaggio di Nina, quello che lessi la settimana scorsa, prima di vedere Alisya sul letto d'ospedale, la notte in cui è stata aggredita.

"Ecco cosa succede, quando rifiuti gli ordini del capo".

Che stronza.

No...

Che stronzo, io.

Mi reputano troppo affettuoso con Alisya, e troppo poco con Nina, la quale, secondo loro, dovrebbe essere la mia 'vera' fidanzata. Oh, andiamo, ma di cosa si sta parlando? Vera fidanzata, falsa fidanzata...

Chiudo la portiera della macchina, allacciando prontamente la cintura. «In che cazzo di guaio mi sono cacciato!?» - la mia domanda, a cui non ci sarà risposta, riecheggia nella mente e nell'abitacolo da oramai troppi giorni.

Giorni fa i coniugi Frisoni, forzati ad uscire allo scoperto dato ciò che è accaduto ad Alisya, informarono i miei genitori della situazione attuale.

«Oramai siamo vicini alla verità.» - affermò Mauro Frisoni, guardando con un velato sorriso mia madre e mio padre, seduti attorno al tavolo; io li guardavo un po' distante, poggiato all'anta della porta da cui erano entrati pochi minuti prima i genitori di Perla. «Anche e soprattutto grazie all'aiuto di vostro figlio e di Luigi – il nostro infiltrato – stiamo raccogliendo preziose informazioni.».

«Sì, ma ormai è da un mese e mezzo che...» - principiò a parlare mia madre, con un tono a dir poco innervosito, nell'invano tentativo di ricordare il momento in cui i carabinieri, bussando quella notte alla porta di casa nostra, avevano riaperto una ferita che si pensava rimarginata da tempo - «Cioè, io non ci sto capendo davvero nulla di tutta questa situazione, mio figlio... figuriamoci se mi aiuta a comprendere qualcosa! Può aiutarmi lei in qualche modo, non lo so, vi chiedo aiuto davvero col cuore in mano...» - continuò, prendendo a singhiozzare e facendomi alzare gli occhi al cielo.

In maniera svogliata e beffarda al contempo, mi avvicinai al divano e presi posto su di esso, volendo con grande curiosità ascoltare quello che di lì a poco i Frisoni avrebbero detto. Fu Daniela a prendere parola. «Signora, ci rendiamo conto che la situazione è abbastanza complessa da capire e, anzi, ritengo giusto scusarmi, ma se non vi abbiamo messo subito al corrente è perché certe cose è meglio non saperle, non solo perché non sono accertate, ma anche perché è sempre più sicuro non essere a conoscenza di troppo. Insomma, la situazione è questa...» - emise un sospiro e prese una mano di mia mamma fra le sue, dopo aver spostato il centrotavola in cristallo che le divideva.

«Quando vostro figlio è deceduto, come lei ben è consapevole, eravamo quasi convinti che quelle pasticche le avesse ingerite di sua spontanea volontà. Mai e poi mai avremmo pensato che si trattasse di omicidio colposo. Per anni il caso è stato archiviato perché, nonostante le indagini, nessuno parlava, nessuno rientrava fra gli indagati, nessuna ripresa di quella sera poteva esserci d'aiuto in alcun modo.

Giusto per farle un quadro chiaro della situazione, è bene ricordare che parallelamente vi è anche tutta la vicenda di Alisya. Dopo la morte di suo figlio, quindi da tre anni, non è più arrivata una sola lettera per la ragazza a Lorena, la suora che l'aveva presa in affidamento; e questa risultava troppo strana per essere solo una coincidenza. Infatti, ad inizio giugno ci è arrivata una soffiata secondo la quale Iannuzzi – Testa, per intenderci – sarebbe tornato qui, a Rimini, dopo tre anni, perché aveva una questione in sospeso.

Alla sua ex compagna, verso i primi giorni di giugno, arrivò un biglietto con su scritto:

"Credevi fosse finita?",

ed è per questo che, avendo subito inteso che la questione in sospeso riguardasse in qualche modo Alisya, decidemmo di far tornare prima Perla qui, a Rimini, e poi, dopo aver sistemato varie cose, siamo tornati anche noi per seguire questo caso di narcotraffico per cui ci eravamo trasferiti anni prima in Sicilia. In quel di Palermo, un corvo ci aveva rivelato che nel medesimo gruppo, quello di Testa, vi era l'assassino di vostro figlio.».

«Un corvo?» - mio padre interruppe il racconto della signora Frisoni, con una domanda a dir poco stupida che, ancora una volta, mi aveva fatto levare gli occhi al cielo.

«Sì, signor Sedita. Una spia che proprio pochi giorni fa abbiamo presentato a vostro figlio, sebbene lui, sprovvedutamente, fosse già entrato a far parte del gruppo. Egli ci ha rivelato che la verità su Gabriele Sedita si può conoscere solo tramite Testa.» - rispose Daniela, rivolgendomi un'occhiata truce. «Comunque... Capimmo quindi che solo entrando a far parte di questa associazione, selezionando un infiltrato, avremmo non solo scoperto la verità su entrambi i casi, ma anche previsto un eventuale attacco alla ragazza.».

«Sì, come quello al Carnaby, giusto?» - la domanda ironica di mia madre ruppe ancora una volta il racconto. «Non mi sembra che abbiate previsto l'aggressione ad Alisya.».

«Signora, se vostro figlio è uno stronzo che non sta a sentire e ha la testa dura, non è colpa nostra.» - rispose tagliente, facendo trattenere il fiato a tutti noi dallo stupore. «Ve l'ha detto che ha combinato?».

Mia mamma la guardò perplessa, mentre il sangue cominciava a ribollirmi nelle vene. Non potevo ribattere in alcun modo, aveva ragione. Cominciai a respirare a fatica. Mia mamma mi avrebbe ucciso e mio padre l'avrebbe aiutata.

«Suppongo di no» - rispose al suo posto Daniela. «Beh, semplicemente si è rifiutato di accompagnare il corriere del clan a Riccione per trasportare cento chili di droga, perché quel pomeriggio, prima della festa, ha preferito mostrare ad Alisya il parco ormai abbandonato da cui, quasi diciannove anni fa, colui che con quasi certezza è suo padre, e cioè Testa, avrebbe voluto gettarla!».

Mia mamma lentamente si voltò a guardarmi. «Sei proprio un ritardato.».

«Quindi adesso come stanno le cose?» - aggiunse mio padre, stringendo poi le labbra in una linea dura.

Mauro si risvegliò dal silenzio profondo. «Grazie ai nostri infiltrati abbiamo inteso che a fine agosto Testa farà il suo rientro a Rimini definitivamente, vuole sequestrare Alisya e poi...».

Corrugo la fronte mentre lacrime calde prendono posto offuscandomi la vista. «Questa cosa non andrà a finire bene.» - mormoro a me stesso, scuotendo la testa, quando finalmente parcheggio vicino al parco Fellini. «Per niente bene.».

~

«Menomale che avevo messo già tutta la roba dentro la macchina!» - esclama Nina, prendendomi per mano e rivolgendomi un sorriso inquietante. Ha indosso un vestito rosso carminio, con lo scollo profondo che mette in risalto il suo seno prosperoso. «Hai visto quante guardie ci stavano stamattina?!» - continua, ridacchiando, incrociando le mie dita alle sue.

Le dedico un sorriso a dir poco tirato, mentre la mano mi si gela. Se ci vede qualcuno è finita. «Eh, già...» - mormoro distrattamente, cercando una via di fuga. «Senti, ti va di andare a pranzo fuori?».

Accetta di buon gusto, ovviamente. Succhiasoldi.

Dopo aver percorso le stesse strade per mezz'ora, invano, decido finalmente di parcheggiare a parecchi metri di distanza dal ristorante I-Fame. Ci ritroviamo quindi a camminare sotto il sole cocente delle due, diretti al tavolo di lusso che non abbiamo prenotato, con la consapevolezza che riuscirò a passare da Alisya forse per le sei di questo pomeriggio.

Evito di sbuffare. Che rottura di palle. Per di più Nina mi sta riempendo la testa di stronzate, non ce la faccio proprio a sentirla. Mi limito ad annuire di tanto in tanto, ma come fa a non capire che non la sto minimamente ascoltando?

Finalmente arriviamo dinanzi all'imponente palazzo con numerose vetrate, dietro cui si intravedono delle tende bianche. Oltre la smisurata scritta bianca "I-Fame", vi è un prato con dei pouf-letto bianchi, hanno l'aria di essere molto morbidi.

Mi passo una mano fra i capelli, in imbarazzo misto a fastidio. Nina come al solito è vestita parecchio elegante ed io sono in jeans e maglia sportiva. Scuoto la testa, rimuovendo questa preoccupazione. Che cosa mi importa!?

All'ingresso un cameriere ci dà il buongiorno, invitandoci ad entrare e a prender posto. Nell'ampia sala ci sono tavolini bianchi di varie misure, con dei piatti di tutti i colori. «Wow, è proprio bello qui!» - esclama Nina, formando una 'o' con le labbra, guardandosi intorno come se fosse nel paese delle meraviglie.

Mi limito ad annuire, mentre l'aria condizionata asciuga il mio sudore. Sono parecchio in ansia e cambiare zona non è servito a nulla. Siamo ancora nei pressi di Rimini, potremmo incontrare chiunque.

E per come sono sfigato io, sicuramente incontriamo qualcuno.

Dieci minuti dopo, a tempo record, un cameriere ritira le nostre ordinazioni: ravioli al grano arso e canapa, filetto di tonno laccato al balsamico, sorbetto allo yogur magro e biscotto integrale. Nina ha scelto il menù completo. Già mi sembra di scorgere in lontananza i soldi guadagnati all'ultima festa, che felicemente passano e mi mandano a quel paese.

«Ah, ti devo parlare...» - Nina riprende a blaterare, questa volta però con tutto il mio interesse.

Aggrotto le sopracciglia, e per la prima volta mi perdo nei suoi occhi verdi. «Dimmi.» - mormoro, e suona più come una domanda.

«Non so che hai combinato, ma sei nei guai fino al collo.» - rivela impassibile, guardandomi con una ben celata agitazione, che riesco tuttavia a leggerle negli occhi.

Sul mio volto compare una smorfia di disappunto. «Perché mai?» - domando, sfinito. E adesso che cosa ho fatto?

Scrolla le spalle. «Quando sarà il momento lo scoprirai.».

«Ma sei seria?» - sollevo un sopracciglio, indignato. «Perché accennarmelo allora, se non puoi parlarne!?».

Dopo meno di un secondo un dolore lancinante mi colpisce al piede. «Statti zitto!» - mi ammonisce, mentre soffro dentro. «Stasera lo scoprirai. Non mi fare altre domande!».

Ad un certo punto la suoneria del mio cellulare mi distrae, portandomi con la mente altrove. Lo sfilo dalla tasca dei jeans e mi rendo conto che a chiamarmi è Alisya.

Sospiro, straziato. Madre di Dio, pensaci tu.

«Chi è?» - domanda Nina, poggiando la guancia sulla mano, il gomito ben piazzato sul tavolo lascia trapelare la sua poca signorilità in contrasto con l'outfit del giorno.

Ignoro la sua curiosità, e mi accingo a rispondere. «Pronto?».

«Mihangel?».

«Hey?».

Resta in silenzio per qualche attimo. «Tutto bene?».

La sua voce dolce e allegra allo stesso tempo, mi fa mordere un labbro e sorridere. «Sì, sì. A te?».

Mi sembra di vederla annuire. «Tutto bene.». Mi pare anche di immaginarla mentre si trattiene dal farmi mille domande sul perché delle mie mancate risposte ai suoi messaggi; la conosco, non vuole sembrare psicopatica. «Sei in giro?» - chiede ancora.

Nina ha evidentemente capito chi parla dall'altro capo del telefono e, giustamente, principia ad accarezzarmi con le dita il dorso della mano. «Sì... passo a prenderti per le sei circa.».

«Stasera festeggiamo tutti insieme, diglielo!» - la voce di Perla si sente da sfondo alla telefonata. Alisya ridacchia:«Sì... ci organizziamo anche per la vacanza.» - continua, mentre Perla non smette di blaterare stupidaggini, presa dall'euforia.

«Ok, va benissimo» - affermo sorridendo. «Ci vediamo più tardi allora...».

Dopo esserci salutati, infilo il telefono in tasca e sollevo lo sguardo verso Nina.

«Ho sentito la parola vacanza!» - comincia. No, no, no, no, no... «Che bello, dove andiamo!?».

~

E' incredibile quello che sto provando in questo momento. Forse anche un po' anormale, non saprei definirlo. La mia piccola e bellissima bambolina, con le cosce fasciate da pantaloncini di jeans scuro e una canotta aderente che mette in rilievo le sue bellissime forme. Mio amore, mia salvezza, ha dato senso ad una miserabile vita. Mi farei uccidere per il sorriso magico che compare sul suo volto quando è felice e spensierata; e vorrei vederla sempre così, raggiante, mentre avanza lentamente verso di me, guerriero stanco e sfinito, eppure così tanto coraggioso, soltanto per la donna della sua vita.

«Ali, è l'ultima volta che esci di casa con 'sto cerottone!» - esclamo, avviluppandola in un delicato abbraccio, la sua testa nell'incavo del mio collo.

Sbuffa, distanziandosi e sporgendo in avanti il labbro inferiore. «Meglio il cerotto che la cicatrice che ne rimarrà.».

«Sei sempre bellissima.». Le lascio un bacio a stampo, prima di voltarmi e raggiungere il sedile del guidatore.

«Sì, come no...» - mormora, ironica. Quando anche Alisya prende posto al mio fianco, noto che ha gli occhi lucidi.

Aggrotto le sopracciglia, poi quando intuisco il motivo sollevo gli occhi al cielo, annoiato. «Dai, ti prego Alì... Non ricominciare. Ti ho detto che a nessuno importa più di tanto!!! Ancora che continui con 'sta storia!?».

Una lacrima le riga la guancia, lasciandomi intendere che le ho letto nel pensiero. «Michelangelo, non rompere le scatole.. non puoi capire quanto mi senta in colpa!».

Eh, sapessi quanto posso invece, sapessi per cosa...

«Alisya, Madonna mia, quanto mi fai incazzare quando fai così!» - agito le mani, costringendomi mentalmente a trattenermi. Non voglio che per un futile motivo la situazione degeneri. «A Venezia ci andremo un'altra volta, è chiaro?».

«Non mi interessa! Sareste dovuti partire tutti la settimana scorsa, senza pensare al fatto che io dovessi togliermi i punti per forza oggi. Non... io, veramente... mi sento soltanto un peso inutile in tutto 'sto casino.».

Sollevo lo sguardo, incredulo. «Alisya, tu forse non ti rendi conto...» - mi blocco per un attimo; alzo i finestrini, metto in moto e attivo l'aria condizionata. «Tu forse non ti rendi conto che, grazie alla tua persona, a fine mese si risolverà un caso di narcotraffico che va avanti da anni, e si scoprirà il nome dell'omicida di mio fratello!!!» - esclamo con enfasi, per far sì che il concetto sia abbastanza chiaro. «Cioè, ma parliamoci chiaro, chi se ne importa di Venezia? Avremo modo di staccare la spina, stasera decideremo insieme la meta, partiremo con gli amici... ma solo perché tu ora stai bene, altrimenti neanche loro sarebbero partiti!».

Sbuffa, asciugandosi con gli indici le lacrime. «Io, credimi, sarei stata meglio se foste partiti.» - confessa, stringendosi nelle spalle.

Sbatto le palpebre, perplesso. «E perché mai, scusa?».

Guarda fuori il finestrino, verso il portone di casa sua. «Perché da quando sono stata aggredita non sono rimasta un attimo da sola, tranquilla e in santa pace con me stessa. Non fraintendermi» - solleva gli occhi, incrociando il mio sguardo - «mi ha fatto piacere che ogni sera ci siamo riuniti tutti a casa mia e di Perla, e sono infinitamente grata ad ognuno di voi...».

Non la seguo, per niente. «Ma...? Qual è il problema?».

Storce le labbra. «Non lo so, è che non ho avuto un attimo di tempo per riflettere su quanto accaduto e per metabolizzare il tutto. Confondo la realtà con l'immaginazione e non so se effettivamente sia successo davvero, se sia accaduto proprio a me, cioè, boh... Tu in parte mi puoi capire. Che devo fare?» - mi chiede, disperata.

Sospiro. «Il tempo, Alisya. Passa tutto.» - mormoro, accarezzandole una guancia coi polpastrelli. «Se riusciremo ad attraversare questa tempesta, saremo le persone più coraggiose di questo mondo.».

Sbuffa. «Io non mi sento affatto coraggiosa. Alla fine l'infiltrato che rischia la vita sei tu.».

La guardo, scettico. «Anche tu, senza guardie del corpo, stai rischiando la vita.» - affermo tagliente, maledicendomi subito dopo. «Scusa, non volev-».

Scuote la testa, sorridendomi. Poi si avvicina lentamente e mi lascia un bacio a fior di labbra. «Non ti preoccupare. Andiamo a togliere questo cerottone!».



Alle otto di sera facciamo il nostro ritorno sul lungomare. La cicatrice di Alisya è ben visibile, circa cinque centimetri di pelle cucita. Non appena siamo usciti dall'ospedale siamo andati in una delle poche farmacie aperte di domenica sera, per comprare le pomate adatte. Il taglio non passa inosservato, questo è certo, e anche se non ha proferito alcuna parola, so già le mille paranoie che Alisya si starà facendo mentalmente, ignara del fatto che è sempre bellissima.

«Ragazzi voi cosa prendete?» - ci chiede la gelataia dall'altro lato del bancone.

Avvolgo con le braccia le spalle di Alisya, da dietro. «Il gelato più grande e con più gusti di tutti, per la ragazza più bella dell'universo.».

Alisya si passa una mano fra i capelli. «Scemo che sei...».

Le mordicchio l'orecchio, mentre la gelataia non risparmia un'occhiataccia, disgustata dalle mie smancerie. «Guarda l'espressione schifata della tizia...» - sussurro, seguendo poi a ridere. «Che ci posso fare se sono perdutamente innamorato di te?».

Alisya sbuffa. «Questo è troppo. Riservatele per la vacanza queste smancerie...» - mi rivolge un'occhiata maliziosa. «Muoviamoci, dai» - afferma, prendendo dalle mani della gelataia il suo cono. «Lo mangio in macchina, gli altri ci staranno aspettando.».

~

Da quando Alisya è stata aggredita, penso che soffra di claustrofobia, perché è dal giorno in cui è rientrata dall'ospedale, quindi da una settimana, che non prende più l'ascensore. E' per questo motivo che ora sto trasportando una cassa da sette chili per la musica, a piedi; Perla non ha voluto sentire ragioni: dobbiamo festeggiare, e non ha tutti i torti.

«Non ti sembra che stiano un po' esagerando?» - mormora Alisya, con un sorriso timido, mentre con lentezza saliamo le scale. E' così debole che nemmeno prova a darmi una mano a portare questo macigno.

Scrollo le spalle. «Ti vogliono semplicemente bene e sono felici per te. Cosa c'è di tanto strano?».

«Ma...» - afferma, allungando le due lettere, poggiandosi a fatica alla ringhiera del palazzo. «Non è che sia strano. E' solo che è un po' fuoriluogo festeggiare adesso. Insomma, più ci avviciniamo ad agosto più... Non so come spiegartelo... Mi sembra di avere i giorni contati.».

Solleva lo sguardo, incrociando il mio. Gli occhi di ghiaccio ardente, una forza prodigiosa scaturisce da quelle gemme castane, quasi intimidendomi. Credo di scorgere l'energia della mia donna avvolgermi lentamente, raggi e fasci luminosi attraversano ogni centimetro della mia pelle. Un bagliore denso e viscoso che aggomitola il mio cuore. La prepotenza e la furia del suo coraggio sono quasi visibili al tatto. Una regina che sa di star rischiando la vita per il suo re ed il suo popolo, ma che nonostante ciò ha la fermezza e la sfacciataggine di sfidare tutto e tutti.

«Non morirai, Alisya.» - sussurro, intimorito da tanto ardore. Solo ora me ne rendo effettivamente conto. Scuoto la testa, continuando a parlare. «Non morirai, perché ne hai già passate troppe e, se esiste qualcuno di ragionevole lassù, non lascerà che questo accada.».

Sbatte le palpebre rivelando copiose lacrime. «Non ti credo, Michelangelo. Mi avete mentito tutti per troppo tempo, e credo solo a me stessa e al mio istinto. E il mio sesto senso dice che accadrà qualcosa di tragico e disastroso. E che quello che è successo al Carnaby era solo un assaggio.».

«Tu non puoi vivere così, Alisya...» - mi limito a mormorarle, poggiando la cassa sul pianerottolo. «Non devi avere paura-».

«Paura, Michelangelo?» - ribatte, fredda, incrociando le braccia al petto. «Chi ha parlato di paura? Io non ho paura, non più. E sai perché?».

Non rispondo, lasciandole la parola.

Annuisce, sembra una bambola indemoniata. «Perché io ormai faccio affidamento solo su di me, come ti ho detto, mi fido solo di me stessa. E va bene così.».

Mi cadono letteralmente le braccia. «Non ti fidi più di me?».

«Pensa a tutte le bugie che mi avete detto tu, Perla, Lorena, Mauro, Daniela...» - ad un certo punto guarda un punto sul soffitto e principia a ridere. «Oh mio Dio, la mia vita è costruita su una serie di bugie!» - afferma, incredula. «Ma tu ti rendi conto?».

Abbasso lo sguardo, non ho più il coraggio di resistere a quegli occhi che hanno dannatamente ragione. «Penso sia il caso di entrare.».

Scrolla le spalle e sfila dalla tasca dei jeans le chiavi di casa. Dal pianerottolo non si sente un gran trambusto, gli altri oggi sono andati al mare e probabilmente saranno troppo stanchi per far casino. Mi abbasso nuovamente e carico sulle spalle la cassa, nel mentre che Alisya apre la porta, rivelando una scena abbastanza pietosa.

Perla, Marta e Roberta hanno occupato il divano al lato della TV; Raffaele, Achille e Grazia quello di fronte ad esso, stanno guardando un programma di musica. Angela è seduta a terra accanto a Riccardo, mentre dall'ingresso si intravedono Lucia e Giovanni in un abbraccio piuttosto intimo, isolati fuori sul balcone. Aggrotto le sopracciglia. Il mio amico ed io dobbiamo scambiare quattro chiacchiere.

Non appena Alisya entra nell'appartamento, tutti sembrano essersi risvegliati da un gioco in pausa. Fa quasi impressione. Nel palazzo rimbomba un fragoroso applauso, che mi fa sorridere appena. Quando anche io faccio il mio ingresso e chiudo la porta alle spalle, mi sorprendo perché a venirmi incontro non è Raffaele, bensì Achille. La cosa non mi dispiace affatto, anzi, però mi lascia abbastanza perplesso.

«Mike, se mi spieghi come si collega, faccio subito!».

Scorro con lo sguardo la figura del mio amico, soffermandomi sulla parte superiore. «Santo Dio, non mi dire che hai rifatto quella stronzata della birra in testa!».

Achille, soddisfatto, si passa una mano fra i capelli. «Hai visto come sono lucenti?».

«Sì, lucenti come quelli di un canarino...» - mormoro fra me e me. «Tieni, questo è il cavo jack, devi semplicemente collegarlo al telefono.» - aggiungo, seguendo poi con lo sguardo Alisya.

E' a suo agio mentre Perla le offre delle patatine e delle arachidi. Ride con Marta, intanto che Grazia le spiega alcuni trucchi per coprire la cicatrice. Sorride e mi sembra spensierata, ho quasi paura che la mia ragazza possa essere bipolare. Insomma, è completamente diversa da quella che era due minuti fa, fuori la porta. Scrollo le spalle e mi avvio verso il frigo; apro l'anta e prendo una birra. Ah, fa così caldo che resterei qui davanti per sempre, penso, mentre il fumo gelato mi rinfresca la pelle. Chiudo il frigorifero e apro il cassetto per afferrare l'apribottiglie. Bevo un sorso di birra mentre Achille fa partire della musica scadente dalla sua playlist.

~

«Quindi, ricapitoliamo...» - principia a parlare Perla, ma viene subito fermata da Marta:«Perla, ti prego, è la quarta volta che lo ripeti!».

Achille sbadiglia. «Ma voi non avete sonno?».

Sbuffo. «Lasciatela parlare.» - mi premuro di difendere la piccola dagli occhi color smeraldo. «A me serve una rinfrescata. Non ci ho capito niente.».

Perla mi rivolge un sorriso gratificante, e comincia a ripetere il programma della nostra vacanza. Si schiarisce la voce. «Partiremo da qui il 22 e torneremo il 28 agosto. Dal lunedì alla domenica. Alloggeremo a Pescasseroli, più precisamente sull'altopiano delle Cinquemiglia. Mezzo di trasporto da scegliere assolutamente, data la distanza.» - scorre con un dito il foglio su cui ha preso appunti. «Va bè, questo poi lo vediamo meglio. Allora, le stanze sono le seguenti... abbiamo chiamato l'hotel e ci hanno riferito che le camere disponibili sono: due quadruple e due triple.».

Mi adagio al divano, interrompendola con la mano alzata. «Ho dimenticato di dirti una cosa...» - comincio, guardandola con un'aria angelica. «Viene anche mia cugina Nina.».

Da sole ad ombra, l'espressione di Perla. Com'era ovvio. Fingi disinteresse, Michelangelo; fa' come se la cosa non ti toccasse più di tanto.

«Mh...» - mormora. «Allora dobbiamo fare un cambio. Sicuramente Marta, Grazia, Roberta ed Angela vogliono stare insieme...» - elenca il gruppetto inseparabile - «E quindi...» - continua, spalancando poi gli occhi.

Lucia è la più esplicita di tutte. «Oh no, no, uffà, che palle! Ma deve venire per forza questa? Non esiste una camera singola, no?».

Alisya scoppia in una risata fragorosa. Adesso dovrei fingermi offeso perché stanno prendendo in giro mia cugina, giusto?

«Vabbè, ragazze, se vi dà tanto fastidio posso inventarmi una bugia e le dico di non venire più, se è un problema...».

E' la mia ragazza a voltarsi lentamente nella mia direzione. «Tu non dirai niente, è chiaro?» - mi guarda truce, poi si rivolge alle sue amiche. «Perla, Lucia: Nina sarà in stanza con noi. Ci divertiremo un mondo.» - conclude, coronando la frase agghiacciante con un gran sorriso. «Per quanto riguarda i ragazzi, poiché Marco conosce solo Michelangelo, non possiamo metterlo nella tripla con Giovanni ed Achille, perché potrebbe trovarsi a disagio...».

«Ma questo Marco deve venire per forza?! Uh, che rottura! Michelangelo, fammi un piacere: resta a casa!» - Perla allarga le braccia, quasi come se volesse quantificare il disprezzo che prova nei confronti del mio socio di console.

Ridacchio, cogliendo la sua ironia. «Quindi Marco, io e Raffaele? Questa sarà la stanza?» - domando, cercando di capirci qualcosa. 

Mi alzo dal divano e prendo un'altra birra dal frigo, per poi poggiarmi all'isola di marmo della cucina, guardando di sottecchi Raffaele. Senza dubbio c'è qualcosa che non va, è troppo, davvero troppo strano stasera. Se ne sta lì da solo, cupo, le gambe accavallate e un broncio che arriva al piano terra. Quando si accorge che lo sto fissando, con mia inaspettata sorpresa, si alza e mi raggiunge. Per un attimo il timore m'attraversa.

Senza guardarmi negli occhi, ma fissando un punto preciso alle mie spalle, «Possiamo cambiare un attimo stanza?», chiede, distaccato, con un'ombra negli occhi che non ho mai avuto l'occasione di vedere. Gli altri stanno discutendo sul fatto di prendere l'aereo o il treno, quindi non ci hanno fatto caso più di tanto.

Fingendomi spavaldo, e non un cagnolino impaurito come in realtà mi sento, lo precedo e attraverso il corridoio, raggiungendo l'ultima porta a sinistra: la camera di Alisya.

«Si può sapere che cosa cazzo stai combinando?» - chiede, quando chiude la stanza separandoci dal resto del gruppo.

Strabuzzo gli occhi. «Non so a cosa ti riferisci...».

«Eh, già!» - solleva una mano. «Stai facendo tante di quelle stronzate, che la scelta è ampia!».

Sbuffo. Come se avessi bisogno della sua predica. «Vuoi andare al dunque o stiamo qui fino a domattina?».

Incrocia le braccia e si imbroncia come un moccioso di cinque anni a cui hanno sequestrato il giocattolo preferito. «Perché non la molli, Alisya?» - propone, guardandomi negli occhi, truce. «Tanto, ormai mi sembra che tu stia vivendo felicemente la relazione dei tuoi sogni con Nina, no? Ormai sei uno di loro, giusto? Non te ne frega un cazzo di Alisya, vuoi solo sapere chi ha ucciso tuo fratello, alla fine è per questo che sei tornato da lei, no!?».

Spalanco gli occhi. Lui non ragiona. E nemmeno io.

«Ma che cazzo stai dicendo, eh?» - avanzo ad ampie falcate nella sua direzione. «Te la spacco addosso, porca troia!» - lo minaccio sbraitando, sollevando la mano con la bottiglia di birra.

«Che vuoi fare, ah? Mi vuoi menare? E menami, su!» - fa un cenno nella mia direzione, mantenendo la calma apparentemente. «Lo vedi che ho ragione? Guardati... guarda come sei diventato! Sei un fottuto mostro!».

Lo spintono con una mano, preso dalla rabbia. «Avevo già deciso di tornare da Alisya prima ancora di sapere che lei c'entrasse qualcosa in tutta 'sta merda. E con Nina non c'è niente, lo sai perché devo darle corda, Cristo!».

«Pur di ottenere la tua giustizia sarai in grado di fare del male alle persone che ti amano. Lo stai già facendo, no?» - continua; almeno ha la decenza di abbassare la voce. «Vi ho visti stamattina, mano nella mano. Ma che ti sei fumato? Ce l'hai un cervello o hai perso anche quello, oltre al rispetto per le persone che ti stanno aiutando?».

«Cos'è, adesso me lo rinfacci pure!? Sai benissimo che-». La porta si spalanca ed io mi ammutolisco in un attimo... giusto in tempo. 

Le figure di Alisya e Perla appaiono sulla soglia della stanza, io ho la maglia di Raffaele accartocciata in una mano, e l'altro braccio, quello con la birra, sollevato nella sua direzione, minaccioso.

«Ragazzi, ma state bene con la testa?» - Perla fa il suo ingresso di scena, e contro ogni mia aspettativa mi sembra abbastanza preoccupata.

«Guarda, veramente, Alisya...» -comincia Raffaele. «Non so tu come faccia a stare con uno stronzo del genere.».

Sbuffo, troppo arrabbiato e nervoso per ragionare. Esco dalla stanza, schivando la spalla di Raffaele e lasciando la bottiglia in mano ad Alisya; non le rivolgo neanche uno sguardo. Raccolgo le mie cose, il telefono e le chiavi della macchina e non saluto nessuno.

~

Venti minuti dopo sono già al parco Fellini. Prima di scendere dalla macchina mi riservo dei minuti di tempo per riflettere lucidamente sull'accaduto. E mi rendo conto che, effettivamente, se avessi avuto la coscienza pulita non mi sarei arrabbiato così tanto. Ma ormai quel che è fatto è fatto...

Raggiungo Nina e Francesco; entrambi stanno fumando uno spinello. Il parco è aperto, ma vuoto e praticamente buio. Non do loro neanche il tempo di darmi a parlare. «Nina, voglio sapere quello che hai da dirmi.» - la supplico, col fiatone, residuo di corsa e nervosismo accumulato.

«Angioletto, non saluti nemmeno?» - Francesco, l'animatore stronzo e biondino, mi rivolge un'affermazione mielosa e insopportabile.

«Vattene a fanculo, tu.» - mi volto in direzione di Nina. «Allora?».

«Amore, non sarò io a dirtelo.» - sospira, sfilando il telefono dalla tasca. Digita un numero e avvicina il cellulare all'orecchio. «E' tutto tuo.» - dichiara alla persona che si trova dall'altra parte della chiamata, una volta che ha risposto.

Aggrotto la fronte. «Chi è?» - domando, quando afferro il telefono che lei mi porge.

«Non mi riconosci, ragazzino?».

Mi si gela il sangue come se mi avessero pietrificato e avessero lanciato la mia roccia al polo nord. Spalanco gli occhi, impostando il muto al telefono. «E' Iannuzzi, Nina?».

La rossa annuisce.

Ho bisogno di sedermi; prendo posto su una panchina dal metallo verde. Mi schiarisco la voce. Disattivo il muto. «Sì... ora ho capito.».

Forse non mi rendo conto che conosco un mafioso, latitante, ricercato da anni. Ed io ci sto parlando al telefono. Una risata amara giunge alle mie orecchie.

«Il mio fiordaliso conosce quella puttana della sua mamma. Che strana coincidenza...non ti pare?».

E' un vero peccato che non riesca ad aprire una voragine attorno alle mie pupille e che i miei occhi non si possano aprire più di tanto. «Allora è lei.» - un serpente mi si attorciglia al collo con la stessa rapidità con cui apprendo la sua informazione. «E' stata una coincidenza, lo giuro...».

Non ci posso credere...

«Hai portato il mio fiorellino sul fiume, è così?».

Sono sempre più sconvolto.

«Che cosa ne sai?».

«Non importa come lo so, ragazzetto. Conta che quel giorno l'hai portata lì.».

Resto in silenzio.

«Bene... perché l'hai fatto?».

Resto in silenzio.

«Mi raccomando, non fartela scappare. Altrimenti sarà qualcun altro a saltare in aria. Un certo Lorenzino Sorrentino... Ci vediamo a fine agosto, picciottu.».

Sono scombussolato e smarrito in una maniera assurda. Con un movimento meccanico chiudo la telefonata. 

Consegno il telefono a Nina. 

Mantengo lo sguardo basso e ben aperto.

Non saluto nemmeno neanche loro. Attraverso con velocità il parco. E' mezzanotte passata.

C'è solo una persona che posso telefonare.

Anzi, no. Probabilmente non mi risponderebbe. Meglio che mi presenti sotto casa sua.

Respiro a fatica. Entro in macchina.

Metto in moto.

Sbatto le palpebre di tanto in tanto, rimanendo sempre frastornato.

Parcheggio di fronte il portone.

Sfilo il telefono dalla tasca. Avvio la chiamata.

«Che cazzo vuoi?».

«Scendi un attimo, è urgente.» - sono le uniche parole che riesco a dire.

Dopo due minuti sento il portone aprirsi. Scendo dalla macchina. La chiudo.

Raffaele è lì, ancora vestito, così come l'ho lasciato mezz'ora fa. Anche lui è tornato a casa, non avevo dubbi.

«Quella che avevamo sospettato fosse la mamma di Alisya...» - deglutisco. «E' davvero lei.».

Raffaele è impassibile. «C'è dell'altro?».

Lo guardo negli occhi. «Sanno che ho portato Alisya al parco abbandonato, sul fiume.».

Raffaele mi osserva confuso. Poi intende, e la sua espressione diviene sconvolta quanto la mia.

 «Non mi dire...».

Annuisco. «Sì, Raffo. Anche noi abbiamo un corvo.».



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EEEEEEEEEEEEEEEBBENE SI'! 

Avevo promesso che oggi sarebbe arrivato il capitolo nuovo, e sebbene sia l'1:30 di notte (e domani alle 7.00 io avrei un treno per Roma) sono riuscita ad aggiornare e la cosa mi rende parecchio felice, perché ho sbloccato un qualcosa che era fermo da troppi mesi ormai. 

Nulla da dire.. il capitolo parla da solo.

Ho tante cose da raccontarvi. Ci sentiamo in questi giorni su TIM.

Tanti baci, miei piccoli draghetti. Mi scuso per l'attesa, ma è giusto che voi lo sappiate: MI SIETE MANCATE UN CASINO!! <3

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