Trentaquattro.

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N/A: Heart of Courage ha raggiunto le 2k visualizzazioni. Grazie! Ragazzi, vi chiedo di commentare, di vivere le emozioni e gli avvenimenti narrati, perché i nostri personaggi hanno bisogno che voi lo facciate con loro! Spero che la storia vi stia piacendo!

Beh, che dire, finalmente la revisione della prima parte si è conclusa. Voi non ce la facevate più con le mie notifiche, e io non vedo l'ora di tornare a scrivere. 

Detto questo, vi invito ad ascoltare la melodia che ho linkato proprio qui sopra^. 

E' un capitolo che mi sta molto a cuore; lo dedico a una delle persone che ho amato, e che ora non c'è più.

Shana.

È passato poco più di una settimana, da quando Lucia ha dormito a casa nostra. Abbiamo scoperto che è segretamente innamorata di Giovanni, da tantissimo tempo; sarebbe meglio dire che Perla ha costretto Lucia a parlarne.

In questi giorni sono stata davvero poco con Michelangelo; ci siamo visti solo quando siamo usciti in gruppo, o quando i Mirrors si sono esibiti al Rose&Crown. Lucia aveva ragione: hanno tantissime visualizzazioni su YouTube, ed è inutile dire che ho scaricato sul cellulare tutte le loro cover.

Non so perché, ma Michelangelo mi è sembrato molto freddo e distante. Non abbiamo passato neanche un po' di tempo, da soli. Ma non sembrava nervoso nei miei confronti, dopotutto non ho fatto niente. Sarà una delle mie solite paranoie.

Spero.

Rivedere Marta è stato molto imbarazzante, specialmente perché, l'ultima volta che le avevo parlato, le ho fatto lo shampoo con della vodka alla menta.

È stato molto, molto, difficile e so che prima o poi dovrò chiederle scusa. In compenso però, quando siamo usciti, ci ha presentato Luca, il suo nuovo ragazzo. Sembra molto più grande, ma ha solo cinque anni in più a noi. Con ciò, è decisamente fuori dalla mia Lista Nera.

Per fortuna, il maltempo è passato.

Oggi è domenica, e Lucia ci ha invitate a pranzo a casa sua; più che invitate io direi 'costrette', ma a noi fa più che piacere andarci.

Mi specchio nella fotocamera interna del cellulare, prima di uscire. Ho messo all'orecchio il dilatatore trasparente, mi piace davvero tanto; erano mesi che portavo solo il cerchietto sull'elice, e la freccia sul trago.

Sospiro, mettendo piede fuori lo Shine. La prossima settimana sarà l'ultima in cui io lavorerò qui... Per adesso, credo.

In questi giorni, Jessica non ha fatto altro che parlarmi della sua gravidanza, ed io ho ascoltato attentamente, assimilando ogni informazione. Sono quasi due mesi che ci conosciamo, ma le voglio già un gran bene.

Mi ha assicurato che il bar resterà chiuso per tutto agosto, perché dovranno fare dei lavori; non so ancora cosa farò a settembre: forse è arrivata l'ora di prendere una decisione?

So bene che sto cercando in tutti i modi di non pensarci, ma sono consapevole che prima o poi dovrò fare una scelta.

Deglutisco. E se poi, con l'università, io e Michelangelo cominciamo a non parlarci o vederci più come prima?

Scuoto la testa. Non devo pensarci. Non ora.

Perla mi ha chiesto di andare a prendere una bottiglia di vino e del pane. Anzi, non me l'ha chiesto, l'ha biascicato stamattina alle sette mentre uscivo di casa.

«Prendi vino... pane... genitori Lucia... Mmm..»- ha mormorato, con la testa nel cuscino e le braccia a mo' di Patrick Star.

Credo sia un po' ridicolo, portare queste cose; abbiamo diciotto anni, mica trenta. Ma forse la mia amica ha ragione, è una sorta di 'formalità', di galateo.

Comincio a camminare sotto il sole che batte. Sono leggermente sudata, e ho le cuffie nelle orecchie. Menomale che c'è Sia con me.

Mi guardo attentamente intorno, alla ricerca di un panificio.

«Guarda chi si rivede, la pantera solitaria!».

La. Pantera. Solitaria.

La voce mi distrae dalla mia ricerca. Ènormale che una persona ti saluti così, per strada?

Mi volto e, contemporaneamente, alzo un sopracciglio, riconoscendola. 

«Ciao, Serena.» -esclamo, con un sorriso tirato. Dio, ma perché sono uscita di casa stamattina?

«Come stai? Vai in giro da sola, come al solito?» - chiede, mielosa. Ha i capelli neri legati in una coda, e gli occhi da gatto che mi scrutano, invidiosi.

Arriccio le labbra. Non devo alzare gli occhi al cielo. Non devo sembrare antipatica. «Molto bene, e tu?» -chiedo, sbattendo le palpebre. Non me ne frega un bel niente di come stai, ritardata.

«Bene, grazie. Ci si vede in giro!» -dice, voltandosi. Ma chi ti vuole vedere più!

Sbuffo, continuando la mia ricerca.

«Ah, Alisya...» -la sua voce mi blocca. Ancora?

Alzo gli occhi al cielo. «Si?» - chiedo, voltandomi.

«Secondo me, avresti dovuto continuare con la danza.» - dice; questa volta, il suo sguardo è più addolcito.

Faccio una smorfia e scrollo le spalle, per riprendere la mia ricerca. Che impicciona.


Finalmente ho comprato tutto. È l'una e devo muovermi, altrimenti faremo tardi.

Ho avuto, per tutto il tempo, una strana sensazione addosso. Perché, diamine, credo di essere seguita?

Scuoto la testa. Perché qualcuno dovrebbe seguirmi? Sono un'idiota.

Sbuffo, salendo sul pullman; è pieno, quindi resto in piedi, avanti a tutto. Poggio la testa al vetro, pensierosa.

Lucia apre il portone del suo palazzo, così entriamo.

Perla ha indossato un vestito semplice blu; io ho optato per pantaloncini di jeans, e una blusa verde smeraldo.

«Non abbiamo chiesto qual è il piano.» - osservo, poggiando la mano sulla ringhiera scura.

«È l'ultimo.» - dice, con aria sofferente. La solita pigrona.

Ridacchio. «Op, op.». Salgo le scale in maniera veloce, col pane sotto il braccio; dopo alcuni minuti, arrivo all'ultimo piano.

Mi appoggio alla ringhiera e guardo in basso, verso la mia amica. «Potrei sputarti in testa da quassù, sarebbe molto divertente.» -dico; la mia voce fa eco in tutto il palazzo.

«Ah ah, guarda quanto sto ridendo» -risponde, ironica.

«Mai sentito parlare della wine therapy?» - chiede, quando mi raggiunge, facendo il gesto di svuotarmi la bottiglia in testa.

La ignoro, voltandomi verso la porta in legno. C'è il cognome di Lucia sopra, quindi deve essere per forza questo.

«Bussa tu.» -dice un esemplare di Perla timida, facendosi dietro di me.

Alzo gli occhi al cielo, divertita. Suono e la voce di una donna urla:«Chi è?».

Aggrotto le sopracciglia. Abbiamo bussato cinque minuti fa. Chi può mai essere?

«Mamma, sono le mie amiche.» - urla Lucia, aprendo la porta. La sua espressione si allarga in un sorriso, nel vederci.

«Sbagliato. Siamo i re magi.» - ridacchio, guardando verso Perla. «Abbiamo perso Gaspare per strada.».

Si porta una mano alla bocca. «Oh, Dio, ragazze! Non dovevate.» -esclama, in imbarazzo. Prende i nostri 'doni' fra le mani, e ci invita ad entrare.

La salutiamo con affetto, baciandole le guance, ed entriamo in casa.

Mi guardo intorno. Le pareti bianche e le grandi finestre aperte rendono tutto molto luminoso. «Buongiorno.»-salutiamo in coro, io e Perla.

«Ciao ragazze!» - ci saluta la madre di Lucia. Ha i capelli castani lunghi, e gli occhi scuri. Sembra una persona arzilla, mi ricorda vagamente qualcuno. «Io sono Giovanna.» - aggiunge, sfilando un guanto da forno rosso, a pois bianchi.

Ci presentiamo e le stringiamo la mano.


Dopo aver conosciuto anche Alessandro -il padre di Lucia, la nostra amica ci porta al piano di sopra, dove, ci dice, ha un attico. Ci accingiamo a salire le scale.

«Oh mio Dio, è bellissimo qui.»- esclama Perla, da sopra.

Salgo l'ultimo scalino, e la raggiungo. All'inizio c'è un piccolo cucinotto, con il minimo indispensabile:frigo, fornelli, un armadietto e un'altra piccola stanza; credo sia il bagno.

Esco dal cucinotto, attraversando la porta.

«Wow.» -mormoro, sorpresa.

È davvero bello qui; siamo al quinto piano di un edificio sul mare, si vede tutta la costa. È  fantastico, sembra di sporgersi dall'alto di un castello. La vista è mozzafiato, sembra di trovarsi su un punto panoramico. Si vede tutta la città, gli altri palazzi sembrano casette da quassù; il mare Adriatico luccica, a causa dei raggi del sole, e si scorgono anche alcune barche.

Sull'attico ci sono numerose piante; al centro, c'è un piccolo gazebo, sotto cui è apparecchiato in modo elegante un tavolo, mentre in fondo ci sono dei lettini e un dondolo a baldacchino verde giada.

Lucia ha le mani dietro la schiena, e la labbra arricciate. So che non vuole darlo a vedere, ma è evidente il suo imbarazzo. Le faccio un occhiolino, sorridendo. Perché le persone si imbarazzano quando invitano altri a casa?

Scrollo le spalle. Non potrei mai saperlo.

Osservo Perla, sporgersi dalla ringhiera. Ha i gomiti appoggiati ad essa, e il vestito si solleva leggermente a causa del vento. Ha un sorriso debole in volto, sembra pensierosa. Forse le manca la sua famiglia, e questo panorama le incute malinconia.

«Perla, puoi non tentare il suicidio proprio ora, per favore? Avrei fame.».

Si volta nella mia direzione, e mi fa il dito medio, con un sorriso acido; scoppio a ridere.

«A tavola!» -esclama Giovanna, invitandoci a prendere posto.

Ci avviciniamo al tavolo sotto il gazebo. È ricoperto da una tovaglia lilla, e le posate sono posizionate con ordine. Avrei voluto dare una mano ad apparecchiare, ma quando siamo arrivate era già tutto pronto.

«Lucia, dammi una mano a portare i piatti.» - dice Giovanna, dal cucinotto.

Io e Perla ci guardiamo e, con un cenno, le facciamo capire che è nostro compito.


Dopo alcuni minuti siamo a tavola, seduti su delle sedie in legno. Giovanna ci ha preparato le lasagne.

«Oh mio Dio, erano anni che non le mangiavo!» -esclamo, guardando Perla.

Mi sorride, radiosa, ma resta in silenzio. Non è da lei, in questo caso avrebbe cominciato a prendermi in giro. Forse ha davvero nostalgia di casa.

«Allora...» -mormora Giovanna, sorridendoci. Ha i capelli lisci legati in una crocchia disordinata, e un leggero strato di trucco.

Vedo Lucia alzare gli occhi al cielo, dietro gli occhiali. «Mamma, non cominciare con l'interrogatorio!» - sbotta.

Sbatto le palpebre. Perché fa così? «Ma non ha detto niente.» - dico, perplessa.

La signora ci sorride nervosamente:«Quanti anni avete?».

«Io quasi diciannove, lei diciotto.» -rispondo, scrollando le spalle.

Si avvicina ulteriormente, poggiando la testa sulle mani e inclinandola di lato. Èleggermente inquietante. «Quand'è il tuo compleanno?».

Deglutisco. «Ad agosto.» -rispondo, fredda. Nessun giorno, nessuna data. Perla non dovrà dire niente a nessuno. Dovrò ricordarglielo.

Taglio un pezzettino di lasagna, e lo mastico con gusto. Dio, spero di non sporcarmi.

«Anche voi avete finito il liceo, giusto?» - chiede Giovanna, sorridendoci.

«M, m.» -dice Perla, con le labbra sporche di salsa. Dio, Perla. Sospiro, facendole segno di pulirsi.

Giovanna versa dell'acqua nei nostri bicchieri.«Continuerete gli studi?» -chiede.

Lucia alza gli occhi al cielo, facendomi ridacchiare. «Si... credo. » -rispondo. Dovrei seriamente cominciare a farmi un'idea.

«Io non lo so ancora bene.» - mormora Perla, scrollando le spalle.

Ma come, non lo sa ancora bene? Aggrotto le sopracciglia. Strano, aveva detto di voler studiare Lettere.

Mi volto in direzione di Lucia. «Tu cosa farai, Lucy?» -chiedo, con un sorriso molto gentile.

Mi guarda, truce, ed io soffoco una risata. Odia questo soprannome, ed è per questo che continuerò a chiamarla così. 

Adesso capisco, perché Perla si diverte tanto a darmi fastidio coi suoi soprannomi.

«Turismo. Vi prego, non parliamo di studio.» -risponde, sbuffando. «È estate!»

Per secondo, Giovanna ci porta le salsicce con le patatine fritte. Credevo di essere piena, ma c'è sempre spazio per le patatine fritte.

Guardo Perla, illuminarsi in volto; la immagino, mentre si lecca i baffi come un cane.

«Lucia mi ha riferito che vivete da sole, come mai?» - chiede, divertita.

Noto che è curiosa, non pettegola. È normale che chieda, dopotutto è insolito trovare due ragazze della nostra età, a vivere da sole. È comprensibile.

Perla abbassa lo sguardo, dandomi indirettamente il compito di raccontare tutta la noiosa storia.

«Mamma, te li fai gli affari tuoi?» -sbraita Lucia, trasmettendo la rabbia su una povera patatina.

Ma no, perché urla così con sua mamma?

«Tranquilla, Lucy.» - le sorrido, rasserenante.

Faccio un colpo di tosse. Dovrò prepararmi un discorso, ho deciso. Così, ogni volta che qualcuno me lo chiede, metto play alle corde vocali e ripeto sempre le stesse cose.

«È un anno che vivo da sola. Perla si è trasferita per tre anni e...» - mi blocco, con lo sguardo perso nel vuoto.

Tre anni.

Tre anni. Perché mi ricorda qualcosa?

Oh, santo cielo. Scavo nella mia mente ma non trovo nulla. Ho come un dejavù. Dove diamine ho sentito una cosa simile?

«E...?» - la voce di Giovanna, mi riporta sull'attico Guerra.

Scuoto la testa, imbarazzata. Le racconto ogni cosa, attenuando la sua curiosità.


«Per me è la normalità.» -concludo.

Mi ascolta attentamente, tamburellando l'indice sulle labbra. «Quindi, non sei mai andata in vacanza, o comunque,fuori Rimini?» - esclama.

La guardo, confusa. Scuoto la testa:«No, quasi ma-».

La signora si lascia scappare un gridolino e batte le mani, eccitata. «Che bello!».

«Oh mio Dio, non può farlo davvero...» -mormora Lucia, prendendosi la testa fra le mani.

Sbatto le palpebre. Non ci sto capendo nulla.

«Ragazze, a ferragosto andremo a Venezia. Vi va di venire con noi?».

Siamo sedute sul dondolo a baldacchino. C'è un leggero vento, e sono davvero spensierata. Un mese fa, probabilmente, ero nella mia camera a fissare il vuoto o a leggere qualcosa, da sola.

Adesso invece, sento che la mia vita sta cambiando velocemente. Un po' mi spaventa questa cosa, perché potrebbe andare al meglio, ma anche peggiorare, in modo tragico.

«Non vedo l'ora di partire!» - esclama Perla, dal lato opposto.

Quanto ha ragione!? Non sono mai andata in vacanza. Figuriamoci con le amiche! Deve essere un'esperienza elettrizzante. E, naturalmente, non vedo l'ora.

Lucia è al centro e, con lievi movimenti delle gambe, fa dondolare l'altalena.

Sorrido. «Anche io. Non finirò mai di ringraziare tua madre, per averci invitate, Lucia.» - sorrido, felice.

«Ecco i privilegi di essere orfana.» -sbotta Perla. «Impietosisci la gente, e tutti farebbero qualsiasi cosa per te.».

Soffoco una risata. «Chi non vorrebbe essere come me.» -ribatto, incrociando le braccia.

«Sarà divertente, vederti arrossire avanti a mia zia.» -dice Lucia.

«Nah, tranquilla.» -risponde Perla. «Alisya è l'unica fidanzata che non odia la suocera!» - ridacchia.

Sbatto le palpebre. «Eh?» -chiedo, confusa. «Che c'entra la Fab-».

Oh mio Dio. Ecco a chi somigliava Giovanna!

Come ho fatto a non arrivarci prima? «È lei, la zia che verrà con suo marito?!» - chiedo, incredula.

Lucia ridacchia:«Si, si. Sono così felice che voi mi facciate compagnia, ragazze... »- allarga le braccia, felice. «E, a questo punto, credo verrà anche Michelangelo.»- mi guarda, maliziosa.

«Oh mio Dio, no!» -esclama Perla, inorridita. «Prendetevi una camera tutta vostra!» - ridacchia a bassa voce, per non farsi sentire dai signori Guerra.

Lucia scuote il capo. «Assolutamente si. Io»-si indica- «voglio dormire la notte.»- dice, attorcigliandosi le ciocche nere.

Sospiro. «Certo, come se fosse facile restare da soli.» -mormoro, storcendo la bocca.

Perla soffoca una risata. «Non credo che Michelangelo dorma coi suoi genitori.»

«Mah, in realtà credo di si, dato che verranno anche Maddalena, Marco e Lorenzino.» -dice Lucia, pensierosa.

Oddio, quindi conoscerò anche il resto della sua famiglia!

«Mh.» -mormora Perla. «In ogni caso, ci sarà l'occasione per-».

«Per nascondere il salame!» -esclama Lucia.

Oh mio Dio.

«Tacete.» - dico imbarazzata, coprendomi gli occhi.


Al momento di tornare a casa, ci affacciamo nuovamente alla ringhiera, per ammirare l'ultima volta il panorama.

Mentre Perla si sporge -suicida-, la mia attenzione è rivolta ad un vaso pieno di fiori blu.

Allungo la mano e ne accarezzo i petali, distrattamente. Guardo in avanti, verso il mare, e avverto sotto i polpastrelli la morbidezza dei fiori. Un fiordaliso, eh?

«Alisya..?».

La voce di Perla mi distrae. «Tutto bene?» -chiede, con la fronte corrucciata.

Scuoto la testa. «Si, andiamo.».

È un caldo pomeriggio di un caldo lunedì. Sono troppo felice: è l'ultima settimana di lavoro, anche se -devo ammetterlo- un po' mi mancherà Jessica.

Adesso, però, non vedo l'ora di andare a Venezia con i genitori di Lucia e, ovviamente, con Michelangelo.

I ragazzi hanno organizzato una partita di calcio al campo comunale, ed è per questo che io, Perla e Lucia ci stiamo andando, munite di patatine e pop corn.

Abbiamo fatto un salto al supermercato, e ne siamo uscite rifornite al massimo. Attraversiamo il giardinetto della villa comunale ed oltrepassiamo la rete verde, che delimita il campo. Le squadre non sono al completo; dovrebbero esserci dieci ragazzi, ma al momento ci sono solo Michelangelo e Raffaele.

Deglutisco. Ogni volta che lo vedo, mi fa sempre lo stesso effetto. Mi guarda con i suoi occhi luminosi e fantastici e, in un attimo, il suo sorriso si proietta sul mio volto. Indossa una sottile maglia bianca, di qualche squadra che non riconosco, che, naturalmente, mette in risalto i suoi pettorali, ed un pantaloncino di tuta blu sotto.

«Ehilà!» - urla Lucia, attirando la loro attenzione. 

Camminano nella nostra direzione. «Ciao, bambolina.» - dice Michelangelo, abbracciandomi. Poggio il viso sul suo petto. È questo il mio posto.

«Mi sei mancata.» - sussurra, picchiettandomi un dito sul naso.

Sorrido contro il suo petto. «Anche tu.» -mormoro. Sollevo lo sguardo, e gli lascio un bacio sulle labbra.

«Ma se non vi vedete da due giorni!» - esclama Raffaele, inorridito. «Siete disgustosi, raga.».

Alzo un sopracciglio. Ma che vuole?

«Sta' zitto, coglione.» - ribatte Mihangel. Soffoco una risata.

Noto che Perla e Raffaele si abbracciano, ma nel loro saluto non c'è poi tanto affetto.


Dopo una manciata di minuti, decidiamo di andare sugli spalti.

«P.P.T.!»- esclama Lucia, lanciando le bustine di Fonzies sul gruppetto formato da Marta, Greta, Roberta e Angela.«Patatine Per Tutti!».

«È arrivata l'America.» -ridacchia Perla.

Le salutiamo, e nel frattempo sono arrivati tutti gli altri giocatori. Ci sono i Mirrors e Achille, più qualche ragazzo che non conosco. Alcuni hanno i completini originali da calcio, uno di loro ha anche i parastinchi.

«Hanno preso sul serio la cosa.» - ridacchia Roberta. Mi volto nella sua direzione. Ha i capelli rossi legati in una elegante treccia che io, naturalmente, non saprei fare.

«Sarà una partita ignorante, come tutte le altre.» - scherza Marta, legandosi i capelli in una crocchia.

Lucia soffoca una risata. «Cioè, guardateli, hanno messo anche le maglie, i pantaloncini e i calzini abbinati.» - osserva, sdraiandosi ed accavallando le gambe.

Ho come l'impressione che nessuna guarderà la partita.

Noto che, fra i ragazzi c'è anche il barista, quello alto e biondo del Coconuts; il ragazzo di Greta. Questa volta, però, Perla non lo guarda.

È poggiata allo schienale e, in silenzio, mangia delle patatine, tutta assorta nei suoi pensieri.

«Perla?» - sussurro, attirando la sua attenzione. «Ma è successo qualcosa con Raffaele?».

Alza un sopracciglio, sorpresa. «No, perché?».

Scrollo le spalle.«Siete... strani.» -rispondo, anche se strani non è la parola adatta.

«Allora, ragazze!» - esclama Marta, richiamando l'attenzione di tutte. «Dobbiamo ancora decidere dove andare quest'estate.».

Ancora viaggi. Tra ieri e oggi, ho sentito parlare solo di questo. 

«Partite?» - chiedo, sorridendo.

«È l'"E.D.M.!» - afferma Lucia, allargando le braccia.

Sbatto le palpebre. Non so cosa sia, ma è parecchio eccitata.

Marta scoppia a ridere. «È l' Estate Dopo la Maturità, è ovvio che partiamo!»- spiega, sorridendo. «I tuoi ti fanno venire?».

Marta che mi sorride. Questa sì, che me la segno sul calendario.

Deglutisco. «Si, si, devo chiedere, ma credo di si.» -balbetto. Nella mia mente, però, ho già deciso: lo dirò a Lorena solo quando avremo già prenotato.

Ogni tanto, lancio un'occhiata al campo e vedo Michelangelo correre. È tutto sudato, e la maglia bianca gli è appiccicata alla pelle. È rosso in volto, e respira affannosamente.

Potrebbe respirare in questo modo, anche in altre circostanze.

Per l'amor del cielo, Alisya!, sbotta Sybil, rabbrividendo.

Dopo un acceso dibattito -e dopo novanta minuti-, grazie anche all'aiuto di Tripadvisor, le mete più ambite sono quelle di montagna. 'Il mare ci basta ed avanza', a detta di Roberta.

Sospiro. Va bene, l'idea di andare in vacanza con gli amici, mi elettrizza. Andarci con Michelangelo ancora di più. Cavoli, questa sì che è un'estate speciale|

I ragazzi hanno finito la partita, al che noi scendiamo dagli spalti, per avvicinarci.

«Puzza-puzza-che puzza.» - dice Marta, tappandosi il naso.

Ridacchio nervosamente, guardando altrove. Sybil, non farmi soffermare su Michelangelo sudato e con l'affanno.

«Viscidi.» - sbotta Perla, smorfiosa. 

Michelangelo sta uscendo dal campetto, ed è tutto sudato. Sybil, non farmi guardare!

Sarebbe facile, Alisya, se non si fosse piazzato proprio dinanzi a te!

Mi volto di scatto, ritrovandomelo avanti. Ha un sorriso beffardo in volto, e mi guarda negli occhi.

Arriccio le labbra. «Ehilà!!» -balbetto. Cavoli, non devo dargli tutto questo potere.

«Ciao, bambolina.» -sussurra tra l'affanno, passandosi una mano fra i capelli.

Deglutisco. Vedere Michelangelo tutto rosso, con la fronte imperlata di sudore ed il fiatone, mi destabilizza alquanto. Fisso il suo petto che si alza e si abbassa, e mi mordo il labbro, imbarazzata. È probabile che sia diventata tutta rossa.

«Vieni con me, dopo?».

Sbatto le palpebre. «Dici a me?» chiedo. Sei fuori, Alisya? Ovvio che dice a te!

«Cioè, volevo dire, si.» - mi correggo.

Fa un sorrisetto compiaciuto, di chi è consapevole di essere irresistibile. Idiota.

Annuisce debolmente. «Vado a fare la doccia.» -dice. Poi si volta, guardandomi a lungo negli occhi. Dejavù.

«O-okay...» - rispondo, ma dubito che mi abbia sentito. Ha già attraversato il vialetto di ghiaia, e raggiunto gli spogliatoi.

Lucia e Perla mi hanno salutata; vanno -non so dove- a fare -non so cosa-. Le ascolto distrattamente, perché il mio cuore e la mia mente già sono lì, in quello spogliatoio.

Dopo la nona persona che chiude la porta, capisco che Michelangelo è lì. Da solo. Mi guardo intorno, nervosamente. Fortuna che sono rimasta solo io, qui fuori.

Non sapevo di avere tutta questa audacia, comunque. Attraverso il vialetto di ghiaia, scalciando qualche sassolino più grande, e arrivo finalmente alla struttura giallo pastello.

Il cuore mi batte forte e sento le guance andare a fuoco. Attendo qualche attimo, prima di abbassare la maniglia della porta bianca e lucida.

Forse dovrei mandargli un messaggio, che cavolo! Potrebbe essere nudo! Ma poi, perché ci mette così tanto tempo!?

Scaccio quei pensieri e mi decido ad entrare. Abbasso la maniglia, ed apro la porta.

La prima cosa che vedo, è la sua schiena: piegata sul borsone nero, in cui sistema delle cose. Deglutisco, chiudendo la porta alle mie spalle.

Si volta di scatto, e i miei occhi incrociano i suoi. Fa un sorrisetto compiaciuto.

«Sapevo che saresti venuta.»-dice. Oh, magari fra le tue braccia.

Arriccio le labbra. Ma che cavolo vado a pensare. Ha il torso nudo, e dei bermuda di jeans chiari. Mi manca così tanto baciarlo.

Incrocio le braccia, e mi poggio al muro, fingendomi indifferente. «Beh, eccomi.».

Si avvicina, lentamente. Ogni passo che fa, sembra impiegarci ore.

Poi, non resisto, e lo raggiungo a metà strada.

In meno di un secondo ci stiamo già baciando, disperatamente.

Mi avvolge con le braccia all'altezza dei fianchi e mi sostiene, mentre io sono praticamente aggrappata alle sue spalle. Con una mano, gli tiro leggermente i capelli, ancora umidi. La sua lingua si muove attorno alla mia, o forse è la mia che si muove attorno alla sua, non lo so, non ci capisco più niente. Le sue mani scorrono sul mio corpo e si fermano sul sedere.

Si abbassa leggermente e mi prende in braccio. Incrocio le gambe dietro la sua schiena e, in modo scomposto, cammina per poi poggiarmi su una superficie fredda. Mi distanzio un attimo, per capire dove diamine sia finita. Su un armadietto. Poi sorrido, perché Michelangelo riprende a baciarmi il collo, senza fermarsi un attimo, facendomi sentire come la sua unica forza vitale.

Vale esattamente lo stesso per me, ed è per questo che riprendo a baciarlo, desiderosa. Mentre i nostri petti, all'unisono, fanno su e giù, mormoro:«Mi sei mancato.».

Sorride, poggiando la sua fronte alla mia. «Anche tu, Alisya; non sai quanto. Vieni qui.»-dice, tirandomi in un abbraccio.

Questa è casa, decisamente. Fine della guerra fredda? Tiro un sospiro di sollievo, e tutte quelle paranoie precedenti svaniscono in un attimo. 

«Non siamo stati soli quasi mai, negli ultimi dieci giorni.» -mormoro, ad occhi bassi.

Scendo dall'armadietto, mentre lui si allontana e afferra la maglietta. «Perché vuoi che stiamo da soli? Sporcacciona.» -dice, falsamente disgustato.

Alzo un sopracciglio. «Che cosa?!» - sbotto, divertita. «Disse quello da 'Il mio nome non è l'unica cosa lunga che ho'. Sei un idiota, Michelangelo.».

Alza un sopracciglio, per poi indossare una maglia nera e -come al solito- aderente. «Intanto...» -mormora, con un sorriso beffardo.

«Intanto niente! Ci conoscevamo da un giorno!» - esclamo, divertita.

I ricordi prendono il sopravvento.

«Mi piacevi già da allora, bambolina.» -dice, facendomi un occhiolino.

Si mette il borsone in spalla e mi prende per mano. «Andiamo a casa mia, Ali?».

Quando siamo in cima alle scale, Michelangelo lascia la mia mano e prende un mazzo di chiavi dalla tasca.

Si dice che ogni casa abbia il suo profumo, ma che solo chi non ci vive possa avvertirlo. Casa Sedita profuma di mela e cannella. Apre la porta.

Entriamo in un piccolo salone, arredato molto bene. I colori principali sono il bianco delle pareti, il blu del divano e il marroncino del legno del tavolo.

Mi guardo intorno, leggermente in imbarazzo. «Non c'è nessuno?»- chiedo.

Scuote la testa. «I miei arrivano per ora di cena.» -dice. Sono ancora le sei.

Lo seguo, guardandomi intorno. Ci sono dei quadri fantastici lungo le pareti del corridoio. Mi soffermo ad osservarli: una riproduzione della Primavera di Botticelli, gli angeli di Raffaello e, di fronte, il Bacio di Hayez.

Raggiungo Michelangelo nella sua camera; una stanza piccola, ma spaziosa. La scrivania è posizionata affianco alla finestra e il letto è alla destra della porta. Di fronte, naturalmente, c'è il suo pianoforte, e appoggiata al muro c'è una chitarra.

«Siediti pure, vado a prendere qualcosa da bere.»- dice, indicando il letto.

Esce dalla stanza, ed io mi avvicino al letto, esitante. Mi siedo sulla trapunta celeste, e mi guardo intorno.

La mia attenzione cade su una bacheca piena di foto. Ci sono foto con Lucia e Maddalena, foto con i Mirrors, alcuni scatti di Mihangel piccolo e un'altra foto, che ritrae lui e un ragazzino; sembra più piccolo, ma si somigliano molto.

È biondo, mingherlino e con gli occhi chiari. Sorridono entrambi, credo che sia una festa di compleanno. Ci sono palloncini sparsi sullo sfondo, e un castello di bicchieri è costruito su un tavolino.

Più in basso c'è un'altra foto, che ritrae il medesimo ragazzino, questa volta da solo. Ho un brutto presentimento. Aggrotto le sopracciglia. Ma chi è?

Mi volto di scatto, perché Michelangelo è tornato con una bottiglia di aranciata, e dei bicchieri di plastica. Li poggia sulla scrivania.

«Chi è?» - domando, indicando la foto.

Sorride amaramente, senza guardarmi, versando l'aranciata nei bicchieri. «Non li guardi i telegiornali, Alisya?».

Cosa?! Che c'entra? Chi è quel ragazzo?

Sbatto le palpebre. «Sono collegate le due cose?» - chiedo, ironica.

Mi porge un bicchiere con l'aranciata, e mi guarda scettico. «Non serve fingere.».

Alzo un sopracciglio, irritata. «Innanzitutto, io non fingo. E, poi, perché dovrei conoscere questo ragazzo?» -chiedo, ancora più confusa.

«Perché era mio fratello! Tutta l'Italia ne ha parlato un'estate intera! Okay che eri chiusa in convento, ma qualcosa devi averla pur sentita!» - sbraita, agitando le braccia.

Trattengo il fiato, e spalanco gli occhi. Era suo fratello!? Ma cosa diavolo è successo?

Ignoro il 'chiusa in convento'; è comprensibile che blateri, è nervoso.

Deglutisco. «Come, era tuo fratello?» - chiedo, cercando di essere il più delicata possibile. Cavoli, adesso capisco come si sentono le persone, quando cercano di essere delicate con me.

Si morde l'interno della guancia. «Scusami, Ali.» -dice. «Stendiamoci un po', così ti racconto tutto.».

Sbatto le palpebre, confusa. «Bipolarità portami via...»- mormoro, guadagnandomi una sua occhiataccia.

Sfilo le scarpe e ci stendiamo, guardando entrambi il soffitto.

Michelangelo avvolge un braccio intorno alle mie spalle, e comincia a parlare:«Si chiamava Gabriele.».

Sbarro gli occhi. Michelangelo ha perso un fratello, ed io non ne sapevo niente.

Resto in silenzio, così continua:«Aveva quattordici anni e mezzo, mentre io ne avevo sedici. È  successo tre anni fa... è morto di overdose.».

Evito di guardarlo, anche se sono sconvolta. Si drogava?

«Era ad una festa, pare che avesse assunto dell'ecstasy. Si sentì male all'una di notte. Ricordo tutto, come se fosse ieri.  La telefonata degli amici durante la notte, la corsa all'ospedale, le urla di mia madre, i medici che ci comunicarono che non ce l'avesse fatta.

Io non riuscivo a fare nulla, rimasi in silenzio per tutto il tempo. Guardavo la mia vita come se fossi uno spettatore, dall'esterno. Come se non fosse la mia.».

«E gli amici?» - chiedo, a voce bassa. Le lacrime mi pungono gli occhi, ma non devo piangere. Non posso.

«Gli amici dissero che Gab, però, non aveva comprato mai roba simile. Era un bravo ragazzo, Ali, pensa che quel paio di pasticche erano state sciolte in un bicchiere di aranciata.

I carabinieri indagarono per morte conseguente ad un altro reato, e cioè spaccio di droga. Furono controllate le telecamere di sorveglianza, ma non ne uscì niente. Il caso fu archiviato, fu un vero e proprio scandalo. Non sai quante ne hanno dette, Ali...». 

Chiude i pugni, conficcandosi le unghie nei palmi.

Con mano tremante, apro il suo pugno e avvolgo le mie dita alle sue. «Che cosa dicevano?»- chiedo, balbettando. Non devo piangere, non devo piangere; questo ragazzo al mio fianco ha sofferto così tanto, e proprio ora non sta piangendo.

«Dicevano che i miei genitori fossero pazzi, perché avevano dato i soldi a mio fratello per la droga. Che lui lo faceva sempre nei bagni di scuola e altre cazzate simili. Ti rendi conto? Io sono incazzato, Alisya, perché mio fratello, io...»- dice, con la voce rotta.

«Cosa?» -chiedo, invitandolo a continuare. Accarezzo nervosamente la sua mano, cercando di calmarlo; amore mio.

«Sono sicuro che non l'abbia comprata lui. Ce l'ha messa qualcuno, lì dentro.» - afferma, stringendo la mia mano.

Oh mio Dio. Spalanco gli occhi. «Ma è una cosa terribile!» - sbotto.

«Per favore...» -mormora. «Per favore,» - si porta una mano sulla fronte. «Cambiamo argomento.».

Mi mordo l'interno della guancia, cercando di non piangere. «Okay.» -balbetto. «Mi fai sentire come suoni?».

«Certo! Tu sì che sai come calmarmi.» - mi fa un occhiolino, scherzoso.

Resto in silenzio, sono ancora parecchio scossa per ribattere.

Prende la chitarra, e si siede ai piedi del letto. Mi siedo accanto a lui, e la osservo. È di legno scuro, e al centro ci sono diversi disegnini.

«Questa chitarra era sua.» - mormora.

Non devo piangere.

Fa un gran sospiro, e comincia a suonare una melodia che ho già sentito da qualche parte; deve essere una canzone.

Mi incanto a guardare le sue dita, che pizzicano le corde.

Dopo alcuni minuti, ripete la stessa melodia, questa volta col testo.

«It's been a long day without you my friend

(E' stata una lunga giornata senza di te amico mio)

And I'll tell you all about it when I see you again

(E ti racconterò tutto quando ti rivedrò)

We've come a long way from where we began

(Ne abbiamo fatta di strada da dove siamo partiti)

Oh I'll tell you all about it when I see you again

(Oh ti racconterò tutto quando ti rivedrò)

When I see you again».

(Quando ti rivedrò)

Si ferma di scatto, per guardarmi. 

Sto singhiozzando, e ho cominciato a piangere a dirotto.

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