Trentasette - Alys.

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Dedico questo capitolo speciale alla mia piccola sorellina, con la speranza che sappia quanto tengo a lei, e quanto lo facciano anche le persone che le sono attorno.

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Sto per rispondere, ma sono interrotta da uno strano rumore proveniente dalla tasca dei suoi jeans. Michelangelo storce la bocca esitante e si allontana per sfilare dalla tasca il cellulare.

Ad un tratto, le sue sopracciglia si aggrottano, donandogli un'espressione buia e tormentata. Picchietta col pollice sullo schermo per rispondere a qualcuno, poi lo ripone in tasca, ancora accigliato. Chi gli ha scritto?

I suoi occhi tristi mi guardano sfiniti, e per qualche attimo si perdono nei miei. Sbuffa e abbassa lo sguardo, facendolo scorrere da un punto all'altro del marciapiede, in modo frenetico e rincretinito, come se stesse escogitando qualcosa.

Sbatto le palpebre, confusa. «Michelangelo?» - sussurro, invitandolo silenziosamente a comunicare come una persona normale; ma sembra che un pensiero terribile gli abbia appena attraversato la mente: dejavù, della prima volta che siamo usciti, con la differenza che adesso non ci siamo scambiati il nostro primo bacio.

Sbuffa, ignorandomi nuovamente. Aggrotto le sopracciglia, confusa, e cerco di nascondere il respiro, che si fa sempre più reciso. Che hai, Michelangelo? Perché fai così?

Solleva di nuovo gli occhi, lo sguardo grigio e pesante che purtroppo conosco molto bene.

Non è un buon segno.

Non è per niente un buon segno.

Sbuffa, per poi voltare le spalle e camminare verso la macchina, lasciandomi interdetta come un'idiota. Ho lo sguardo puntato sulla schiena di Michelangelo, sperando invano che si volti a rispondermi. Alza una mano e piega ripetutamente un indice, invitandomi a raggiungerlo, consapevole del fatto che lo stia ancora guardando. Naturalmente.

«Non sono un cane.» -mormoro, tra me e me. Decido in ogni caso di seguirlo, con la speranza che mi dica cosa diamine gli passi per la testa.

Cerco inutilmente di stare al suo passo e raggiungerlo, avvertendo il respiro farsi sempre più affannoso. «Ma che è successo!?» - esclamo in maniera affranta, sperando che almeno si degni di rispondere.

Resta in silenzio, raggiunge la sua portiera e, prima di aprirla, mi rivolge un'inspiegabile occhiataccia truce.

«Sali.» -ordina, freddo.

Mpff, se lo scorda. Alzo un sopracciglio, risentita dalla sua ruvidezza. «Ma ti freghi!» -rispondo, facendo un gesto secco con la mano.

«E sali, muoviti Alisya!» -sbraita nervoso, per poi sbattere la portiera con violenza e lasciarmi perplessa; disattiva le quattro frecce e abbassa i finestrini.

«Tu hai qualche problema al cervello. 'Fanculo.» -sussurro, sperando con tutta me stessa che mi abbia sentito. Dopo questo fenomenale teatrino, ha anche il coraggio di invitarmi a salire in macchina. Ma che cazzo gli prende?

«'Fanculo tu.»

Fantastico. Prima scopro che dei criminali mi danno la caccia, poi che il mio ragazzo fosse a conoscenza di tutto ciò e infine devo anche essere trattata così, senza un apparente motivo.

Giro i tacchi e faccio 'ciao' con la mano, congedandolo. «Ci vediamo quando ti calmi.» -mormoro.

Sbuffa. «Chiama Perla, fatti venire a prendere.» - lo sento mormorare.

«Non chiamo proprio nessuno.» - mormoro e, dopo dieci secondi, sono già dall'altra parte della strada, con le lacrime agli occhi e il folle istinto di tornare indietro.

No. Se lo scorda che ci torno.

Con lo sguardo basso, cammino senza meta per le strade di Rimini, sotto il sole delle dodici e trenta. Guardo solo il marciapiede sotto i miei piedi, l'asfalto grigio sotto le scarpe, guardando di sottecchi le persone che camminano al mio fianco. Deglutisco. Tra loro potrebbe esserci mia madre. Tra loro potrebbe esserci qualcuno legato a Testa.

Ed è solo adesso che capisco quanto io sia in pericolo. Sola, in mezzo a tutte queste persone, qualcuno potrebbe spiarmi e pedinarmi. No, no, no. Tutto questo non sta succedendo a me, deve essere così. Nessun criminale mi sta cercando, giusto?

Faccio un gran respiro e scuoto la testa. Purtroppo è tutto vero, Alisya. E sta succedendo proprio a te, mormora Sybil, visibilmente preoccupato.

La mia vita sta cambiando, peggiora sempre di più e, quello che ritenevo l'unico porto sicuro, mi lascia andare così, senza motivo. Va bene, è vero che sono stata io ad andare via, ma doveva almeno chiedermi di tornare da lui. Specialmente se sa tutto e, in particolar modo, se sa che sono in pericolo se resto da sola.

Forse ho sbagliato ad andare via così, ma se l'è proprio cercata. Con chi si crede di avere a che fare?! Ho pazienza da vendere, è vero, ma di certo non mi faccio trattare così. Questo non può essere lo stesso ragazzo che ieri ha pianto sul mio petto. Sembrava felice di vedermi, prima. Chi gli ha scritto quel messaggio, e cosa gli ha detto? Perché ha cambiato subito umore?

Sbuffo. Non me lo dirà mai, è certo.

Controllo l'ora sul cellulare: sono le cinque del pomeriggio. Ho camminato a lungo e mi sono fermata a mangiare una piadina. Non ho voglia di tornare a casa e ho impostato il telefono sulla modalità offline, così da non poter ricevere alcuna chiamata o messaggio.

Inutile nascondere che sono stata tentata più volte dal togliere questa modalità, per verificare gli eventuali sensi di colpa di Michelangelo -che, sono certa, non ci sono stati.

Mi guardo intorno, per l'ennesima volta, scrutando tutto ciò che mi circonda: ci sono alcune mamme coi propri figli, qualche anziano signore che legge un giornale, e altre ragazzine in gruppo. Perfetto: se dovesse succedere qualcosa, confido silenziosamente nel loro aiuto.

Sospiro e sfilo gli auricolari dalle orecchie, infilandole poi nella tasca dei pantaloncini. Non dovrei essere così in ansia.

Incrocio le gambe, e le ginocchia sfiorano il legno chiaro della panchina di parco Fellini. Seduta all'ombra di un'ampia quercia, socchiudo gli occhi e mi godo la fresca sensazione del vento che mi accarezza la pelle.

«Alisya!».

Dio mio. Una voce fin troppo esuberante mi fa sobbalzare, e automaticamente mi porto una mano sul petto, avvertendo il cuore battere a mille.

Volto il capo lentamente verso il proprietario di quella voce, gli occhi socchiusi e lo sguardo truce. Ti ammazzerò, sappilo.

Gli occhi scuri di Francesco -l'animatore- mi scrutano allegri, e sottili ciocche bionde gli ricoprono la fronte. Evito di sbuffare. «Ciao, Francesco.» -rispondo, cercando di sembrare meno acida. Diamine, mi ha trovato in questa ridicola posizione da pseudo-yoga.

Indossa un pantaloncino della tuta e una maglia sportiva, pare che debba correre; non credo l'abbia già fatto, dato che non è per nulla sudato. «Come mai tutta sola?» -chiede, sedendosi al mio fianco.

Sospiro. «A volte fa bene stare soli.» -mormoro insicura, scrollando le spalle. «Te?».

Allarga le braccia. «Mi piace tenermi in forma.» -dice, indicando la tuta che ha indosso.

«Non dovresti essere in spiaggia?» -chiedo, aggrottando le sopracciglia.

Si volta a guardarmi, e mi avvolge le spalle con un braccio. Aiuto. «Ti interessa così tanto, piccola?» -chiede, con aria scettica e sicura.

Deglutisco. Se Michelangelo fosse qui, mi ammazzerebbe; o ammazzerebbe prima lui, non lo so.

Ma non stai facendo niente di male, Alisya. E, dopotutto, lui ti ha lasciata da sola stamattina!, mi consiglia Sybil, che in questo momento assume la posizione di 'voce della verità'.

Decido di darle retta, e alzo un sopracciglio. «In realtà no. Era per cominciare una conversazione.» -ribatto, sicura allo stesso modo.

«Nervosa?» -sussurra; le dita della mano dalla mia spalla passano al volto, e mi accarezzano la guancia in modo circolare e delicato. Avverto il calore della mia pelle a quel tocco, e sono certa che a lui non sia passato inosservato.

Mi giro nella sua direzione, liberandomi finalmente da quel contatto malefico. «Stanca.» -balbetto.

Sorride beffardo.«Ti va di fare un giro?».

Faccio un lungo sospiro, e sul mio volto compare un debole sorriso. «Va bene.».

Ho una vocina nella testa che ripete in loop che non dovrei assolutamente essere qui. Abbiamo camminato a lungo, arrivando sul litorale.

«Andiamo in qualche bar o scendiamo sulla spiaggia?» -chiede Francesco, camminando con disinvoltura e con le mani in tasca.

«Mmmh.» -mormoro. «Scendiamo sulla spiaggia.» -rispondo, quasi come se fosse una preghiera. Ho voglia di sfiorare la sabbia, è da tanto tempo che non vado al mare.

Annuisce e, insieme, scendiamo le scale che portano alla spiaggia libera. Sono le sei e mezza del pomeriggio, i bagnanti cominciano a lasciare le spiagge, dunque non c'è molta folla; troviamo subito un posto libero, all'ombra di una staccionata in legno scuro.

Mi guardo intorno: qui non ci sono molte persone e, se dovesse succedermi qualcosa, potrei fare affidamento solo su Francesco. Faccio un lungo, esasperato, stanco sospiro: finirò per impazzire. Sfilo le scarpe e mi siedo sulla sabbia, noncurante dei granelli che entreranno nel pantaloncino. Francesco fa lo stesso, e si siede al mio fianco con aria serena; piega le ginocchia e poggia i gomiti su di esse.

Per la prima volta, in questa giornata, sorrido con sincerità anch'io; è bello avere compagnia.

«Come mai non sei con Michelangelo?» -chiede con cautela, lo sguardo fisso su un punto impreciso dinanzi a lui.

Storco la bocca e spengo il mio sorriso, nel sentire il suo nome. «Problemi.» -rispondo, scrollando le spalle.

Solleva le mani in segno di resa. «Argomento privato.».

Ridacchio. «Esatto.» -rispondo, guardandolo negli occhi.

Sospira. «Che fai per mantenerti?» -chiede. «L'altra volta mi hai detto di non avere una famiglia.» -aggiunge, scrollando le spalle.

«Lavoro allo Shine Cafè, conosci?».

Annuisce. «E dopo che farai?» - chiede, sollevando lo sguardo verso il cielo.

«Odio questa domanda.» -rispondo, coprendomi gli occhi con i palmi. «Ho il diploma del liceo artistico. Credo che andrò all'Accademia.» - aggiungo, dando voce all'idea che mi frullava in testa da un bel po' di giorni e di cui, finalmente, mi sono convinta.

«Wow, bello.» -esclama, sorridendo e mostrando una dentatura brillante e perfetta. «Un giorno vorrò vedere un tuo disegno.» -ribatte incrociando le braccia, e suona più come una pretesa che un desiderio.

Scoppio a ridere. «Sai, stamattina a lavoro mi hanno proposto di preparare un progetto.» -comincio, ricordando ciò che mi ha detto Jessica questa mattina. «Dato che ad agosto il bar va in ferie e vogliono ristrutturarlo, mi hanno chiesto di decorare le pareti con tanti disegni diversi.» -continuo, lo sguardo sognante di chi non vede l'ora di contribuire facendo ciò che più ama. Evito di storcere la bocca; non ho avuto neanche l'occasione di dirlo a Michelangelo.

Si volta a guardarmi, con un luccichio sorpreso negli occhi. «Sul serio!?» -esclama. «E' fantastico!».

Mi mordo un labbro. «Grazie.» -mormoro. «Beh, sei il benvenuto allora. Quando vorrai, potrai venire a vedere cosa dipingo.» -aggiungo, con un sorriso gentile.

Resta in silenzio, la barba rasata e il pomo d'Adamo pronunciato. «Ma, Francesco, tu quanti anni hai?» -chiedo, aggrottando le sopracciglia.

Soffoca una risata.«Sono un po' vecchiotto.» -risponde, quasi avvilito. «Quasi venticinque.»

«Minchia!» -esclamo, come direbbe Perla.

Perla.

PERLA!

Con gesti confusi e repentini, sfilo il telefono dalla tasca, togliendo in pochi secondi la modalità offline.

«Eheh, me li porto bene!» -ribatte, fiero.

Annuisco distratta, mentre il telefono comincia a suonare all'impazzata a causa delle notifiche. Irritata da tutti quei suoni, imposto il silenzioso e, mentre aspetto il caricamento dei messaggi, Francesco impugna una manciata di sabbia e comincia a far scivolare i granelli sul mio piede.

Faccio una smorfia con la bocca, evitando di sorridere, nonostante il solletico. Perla mi ammazzerà, è certo. Spalanco gli occhi nel leggere tutti i suoi trentadue messaggi, manco fosse Lorena.

"Ali, sei con Michelangelo?", "Ali, ti sto venendo a prendere io", "Alisya, sei a casa?", "Dove cazzo sei?", "Ohhh, mi rispondi?!", "Alisya non fare la cogliona, ti stiamo cercando", "Alisya ti prego non farmi preoccupare" e una serie infinita di messaggi, più o meno simili ai primi. L'ultimo me l'ha inviato dieci minuti fa; ne leggo il contenuto: "Ti stiamo venendo a prendere".

Sgrano gli occhi, portandomi una mano avanti alla bocca. Evito di domandarmi invano come faccia a sapere dove sono. Mi fucilerà. Prenderà il mio corpo e lo darà in pasto ai cani. O, peggio, sarà lei stessa a cibarsene.

«Sembra che hai appena visto un fantasma.».

La voce di Francesco mi riporta alla realtà, e mi alzo di scatto, scrollando tutta la sabbia dalle gambe. «Scusa, Francesco. Devo andare.» -rispondo, in fretta.

«Ma come, di già? Proprio ora che, all'orizzonte, appare il tuo ragazzo?».

Il tuo ragazzo, il tuo ragazzo, il tuo ragazzo. La sua voce fa eco nelle mie orecchie, gelandomi. Spalanco gli occhi, sconvolta. «Che cazzo stai dic...» -mormoro voltandomi; sono interrotta dalla scena pietosa che ho davanti agli occhi, mi schiude la bocca e arresta il battito cardiaco.

Con occhi ben aperti, osservo la scena degna di una puntata di Baywatch.

In lontananza, un esemplare di Michelangelo felice e sorridente, in costume da bagno.

Al suo fianco, una particolare divinità dai capelli rossi, anch'essa in costume -e con due palle da bowling al posto dei seni.

Con un'evidente confidenza con quello che dovrebbe essere il mio ragazzo, che ha un braccio poggiato sulle sue spalle e che non sembra essersi accorto di me.

Passeggiano disinvolti sul bagnasciuga; lui sembra sereno, non ha più quell'aria nervosa di stamattina, anzi.

Anzi.

Come un lampo, ho voglia di riempire Michelangelo di schiaffi e brutte parole, e di strappare le tette a quella puttanella, usarle poi per il loro vero scopo e cioè farle rotolare sul parquet chiaro e lucido della pista da bowling.

Lacrime di fuoco giungono ai miei occhi, ancora piuttosto sconvolti. Non mi farò vedere così da quel bastardo. E adesso mi tradisce anche!?

«Ciao, Francesco.» -mormoro distrattamente e, dopo meno di un minuto sono già sulle scale che portano alla spiaggia, cercando di infilare velocemente le Superga bianche e non curandomi dei granelli di sabbia sotto la pianta del piede, che mi recano non poco fastidio.

I miei movimenti sono rapidi, e a fare da sfondo c'è il mio respiro affannoso; comincia a girarmi la testa, le tempie pulsano forte, iniziando quasi a tirarmi la pelle della fronte.

Chi era quella? Che cazzo ci faceva con Michelangelo?

D'un tratto, avverto i miei capelli sollevarsi pian piano, poi sempre più forte, fino ad essere tirati e -quasi- privati al cuoio capelluto.

Mi volto di scatto, e la figura prorompente e aggressiva di Perla mi appare davanti agli occhi. «Ma che cazzo ti passa per la testa, eh!?» -urla, e la sua voce risulta fastidiosa alle mie orecchie, già pienamente turbate dal mal di testa e dagli accelerati battiti cardiaci.

Sbuffo. Ho voglia di urlare, di rovinare questa fantastica giornata di sole con un fulmine, un urlo straziante ed esasperato, perché è così che mi sento adesso.

Non ce la faccio più, credo di esplodere da un momento all'altro; ieri, a quest'ora, non avevo idea di tutto quello che accadesse dietro le mie spalle. E, in effetti, neanche adesso lo so.

Sto impazzendo, è chiaro.

Con un movimento brusco, allontano Perla. Cavolo, ma è idiota? Le pare il caso di trattarmi come una bambina avanti a tutti?

Faccio un gran respiro e sollevo lo sguardo, incrociando degli occhi verdi, pieni di lacrime e sangue. Mi tira un forte schiaffo, spostandomi di qualche centimetro.

«Sei un'idiota!» -urla, con la voce tremante.

«Mi hai rotto il cazzo, Perla!» -sbotto, avanzando e oltrepassandola. Non può trattarmi come una bambina.

Con la coda dell'occhio, vedo che mi segue. «Ti rendi conto di aver fatto spaventare tutti?» -sbotta, esitante.

Come al solito, prima si comporta da irascibile del cavolo che è, poi si pente e cerca di essere gentile.

Mi fermo di botto, guardando il vuoto marciapiede che ho davanti. «Non me ne frega niente, Perla. Michelangelo mi ha trattata male stamattina. Ho incontrato Francesco un paio d'ore fa e siamo stati un po' insieme, tutto qui.» -rispondo, scrollando le spalle, con un breve sommario della mia triste giornata.

«Alisya, tu adesso devi stare: o con me, o con Michelangelo o con Raffaele.» -elenca con le dita- «Fine.»

Serro i pugni nervosa, per poi voltarmi di scatto verso Perla, che adesso è stata raggiunta da Raffaele, furioso quanto lei. «Non mi dai ordini. Faccio quello che voglio.»

«Tu non fai proprio un cazzo, Alisya.» -ribatte il riccioluto, guardandosi nervosamente intorno. «Andiamo.»


Sbuffo, chiudendo la portiera dell'auto nera e lucida di Raffaele. Sbuffo, ancora. «L'hai fatta grossa.» -mormora Perla, guardandomi apprensiva, seppur con le braccia incrociate. La leonessa si è placata.

«Ma dov'era Michelangelo, stamattina?» -chiede Raffaele, lanciandomi un'occhiata veloce dallo specchietto. «Non doveva venirti a prendere lui?» -aggiunge.

Sbuffo. «Cos'è, adesso conoscete tutti i miei spostamenti e decidete ogni mia azione?» -ribatto. «Il tuo caro Michelangelo era con quella puttanella, non l'hai vista?» -domando, ironica.

«Chi?» -squitta Perla, facendomi voltare nella sua direzione.

Alzo gli occhi al cielo. «Non lo so, Perla. Stamattina abbiamo litigato, e mi ha lasciata da sola fuori lo Shine. Poi l'ho incontrato per caso sulla spiaggia, in compagnia di una ragazza, ma non credo mi abbia vista.» -rispondo, placando la sua sete di conoscenza, mentre fiamme ardenti di gelosia riprendono ad incenerirmi l'anima.

«E chi è questa tizia?» -esclama, avvicinandosi al mio volto in maniera inquietante ed opprimente.

Allungo un braccio per allontanarla; mi toglie il respiro. «Non lo so, Perla.» -mormoro. E non sono tanto sicura di volerlo sapere.

«Ma come non lo sai!?» -sbotta - «Torna indietro, Raffaele!».

Sbarro gli occhi. «No!» - urlo, terrorizzata. Non so perché, ma una parte di me si rifiuta di sapere chi fosse quella ragazza di prima.

«Non ce n'è bisogno, l'ho avvisato.» -sghignazza lui, voltandosi per fare alcune manovre e parcheggiare davanti al portone del nostro palazzo. «Ha fatto prima di noi.».

Ed è lì che lo vedo.

Michelangelo è poggiato alle mattonelle scure e rettangolari del palazzo, le braccia incrociate e lo sguardo fisso su di me, nervoso.

«Adesso mi sente, Michelstronzo!» -l'uragano Perla si sposta sul sedile per avvicinarsi alla portiera, e faccio appena in tempo ad afferrarle la mano e a tirarla verso di me.

«Sono affari miei.» -mormoro, riuscendo a bloccarla. «Me la vedo io.» -aggiungo, insicura di ciò che ho appena detto.

In ogni caso, mi decido ad uscire dalla macchina e, mentre Perla e Raffaele avanzano rapidamente verso il portone, Michelangelo fa lo stesso, diretto, però, nella mia direzione.

Faccio un lungo respiro, avvertendo le gambe cedere. Non interrompo il contatto visivo che ci unisce; anzi, mi sembra quasi di scorgerlo, è un lampo che va dalle mie pietre castane ai suoi diamanti azzurri.

«Che vuoi?» -chiedo, acida.

«Essere ascoltato, in silenzio e in maniera civile.».

Mpff, da che pulpito. Dove ha lasciato la rossa di capelli vogliosa di piselli?

Non credo di essere in grado di sostenere una conversazione del genere al momento. Non prima di aver preso un'aspirina e di aver fatto una doccia; altrimenti, potrei seriamente svenire e battere la testa sull'asfalto.

Esco dalla doccia, profumata e con vestiti puliti indosso. Attraverso indifferente il salone, per andare a staccare il telefono dalla carica. Sul divano di fronte la TV ci sono Michelangelo e Raffaele, mentre Perla è fuori sul balcone, intenta a parlare al telefono con qualcuno. Ho indossato una gonna nera pieghettata, con un top bianco sopra.

Qualcosa mi picchietta ripetutamente la spalla, facendomi voltare. Michelangelo sta attirando la mia attenzione con un dito e, quando i miei occhi si imbattono nei suoi, incrocia le braccia e fa una smorfia, cercando di non ridere.

«Che vuoi?» -ripeto, ancora.

«Uscire con te.» -risponde, facendo un sorriso beffardo.

Rivolgo nervosamente un'occhiata a Raffaele che, seduto sul divano col telefono fra le mani, cerca inutilmente di sembrare disinteressato alla nostra conversazione.

Sbuffo, attraversandolo e, senza dirgli nulla, apro la porta di casa, immergendomi nel buio del palazzo. Mi volto per accendere le luci e, nel farlo, sfioro la mano di Michelangelo.

Come se avessi toccato il fuoco, la ritiro subito, disgustata.

«Ti faccio tanto schifo?» -chiede con una punta di divertimento nel tono. Chiude la porta e mi guarda, soddisfatto.

«Sì.» -rispondo, fredda. Il pianerottolo di casa non è il luogo migliore in cui parlare, così mi affretto a scendere le scale e, in pochi minuti, siamo vicino alla sua macchina.

Arriccio le labbra. Adesso che entrerò in questa macchina, saprò tutto. Il problema è che non sono sicura di voler sapere chi sia quella ragazza, e cosa lui sappia della mia situazione.

Apro esitante la portiera, consapevole del fatto che dovrei solo catapultarlo con la testa nel finestrino, dato il tono sprezzante che ha usato nei miei confronti stamattina. Mi decido ad entrare in macchina, e faccio un lungo respiro. Subito le mie narici sono invase da un profumo inebriante, che mi sembra di riconoscere, ma che decido di lasciar perdere.

Michelangelo fa lo stesso e, quando chiude la portiera, il silenzio che ci avvolge è imbarazzante e insopportabile allo stesso tempo.

Nessuno dei due parla; io non lo faccio perché ho troppe cose da dire, e non saprei da dove cominciare.

Dopo circa venti minuti, arriviamo in una strada buia e poco illuminata. Deglutisco e, con il gomito, abbasso le sicure della macchina. Ho paura.

Faccio un gran respiro, mordendomi l'interno della guancia. Michelangelo si toglie la cintura di sicurezza ed io faccio lo stesso, voltandomi nella sua direzione.

«Primo.» -mormoro, sollevando un pollice. «Chi era quella ragazza. Secondo. Mi spieghi che cazzo ti è preso stamattina?» -chiedo, cercando di essere il più calma possibile.

Dio, ma che ho fatto per meritare tutto questo?

Lo guardo di sfuggita: arriccia le labbra, e respira rumorosamente. Tamburella il pollice sul volante, gli occhi fissi sulla strada isolata che ci è di fronte. 

Sospira a lungo, alzando gli occhi al cielo. «Primo. Quale ragazza?» -chiede accigliato, scuotendo la testa. «Secondo. Ero nervoso, sai com'è: quando sai che la persona che ami potrebbe essere sequestrata da un momento all'altro, non si può essere sempre tranquilli.».

Alzo un sopracciglio, indispettita. Scuoto la testa ed incrocio le braccia, ignorando la sua ultima affermazione. «Ero su quella spiaggia, Michelangelo. Quella ragazza, chi cazzo era!?» -sbotto, lanciando in aria i buoni propositi di portare avanti una conversazione civile e composta.

«Che!? Quella sulla spiaggia!? Era mia cugina!» -risponde, incredulo. «Sei seria, Alisya!? Ti sei offesa per questo!?».

La cugina? Ma come... la cugina!?

Mi porto le mani alle tempie, cercando invano di far rilassare i miei nervi.  Sono impazzita. Poi, le lacrime arrivano veloci agli occhi, riempiendoli e diffondendo il loro calore a tutto il mio viso.

Prima che possa fare qualsiasi altra cosa, comincio a piangere disperatamente, cercando di camuffare i singhiozzi. Michelangelo sospira, e mi tira a se' in un abbraccio. «Sei un'idiota.».

Mi lascio andare ai singhiozzi affranti, di una persona che non ce la fa più a sopportare il peso di una cosa più grande di lei. «Ho paura, Michelangelo.» -piagnucolo, poggiando la testa sul suo petto e guardando la strada abbandonata in cui siamo.

«Di cosa, Ali?» -chiede, cercando il mio sguardo.

Mi vergogno troppo, così lo abbasso subito. Preferisco, anzi, allontanarmi e contenermi, così poggio la testa al finestrino, dal mio lato.

«Di morire.» -mormoro, traducendo finalmente la sensazione soffocante che provo da meno di ventiquattr'ore.

Soffoca una risata. «E perché dovresti morire?» -chiede, ironico.

Allungo un braccio e lo spintono debolmente. «Non ridere, stronzo!» -esclamo, sconvolta. «Non so, forse perché una banda di criminali mi sta alle calcagna?!» -aggiungo, ironica.

Con un movimento rapido, mi blocca il polso facendomi trasalire. Mi guarda focosamente negli occhi, fisso; la mia espressione, da sconvolta, si fa più seria. Dio, quanto è bello. Il suo sguardo passa alle mie labbra e, senza darmi il tempo di realizzare, ci stiamo baciando in maniera disperata.

La sua lingua accarezza con ardore la mia e la sua mano passa sotto la mia gonna, fino a stringermi la coscia; la sua forte presa, invece di farmi male mi fa perdere del tutto la ragione; poi, prima che possa rendermene conto, mi tira sulle sue gambe e mi ritrovo a cavalcioni su di lui.

Continuiamo a baciarci e le mie mani passano fra i suoi capelli. Le nostre labbra si incontrano, ancora, ancora e ancora. Non so cosa sto facendo, cosa stiamo facendo: so solo che mi è mancato.

«Mi sei mancata.» -mormora, passando a baciarmi il collo e a lasciare che i brividi mi facciano letteralmente impazzire. «Sei mia, sei mia, sei mia.» -sussurra, tra un bacio e l'altro.

Sospiro, avvertendo una strana sensazione fra le cosce. Sorrido e gli mordo il labbro inferiore, facendo spuntare un sorriso anche sul suo volto. Poggia la fronte sulla mia, e per quanto il buio lo permetta, ci guardiamo negli occhi, portando avanti una silenziosa conversazione di sguardi.

Mi siedo sulle sue gambe, e mi accoccolo sul suo petto. Non so per quanto tempo restiamo così, ma è una piacevole sensazione, che, per qualche attimo, tranquillizza il mio cuore.

«Credi che io non abbia paura di perderti, Alisya?» -sussurra, accarezzandomi una guancia. «E' da tempo che sono a conoscenza di tutto, e ogni volta che non sono al tuo fianco, io, non lo so... Io... Mi sento davvero male. Ho paura di perderti ogni fottuto giorno che passa Alisya, ma vado comunque avanti, perché...».

«Perché?» -chiedo, invitandolo a continuare, mentre una strana ansia cresce nel mio petto.

«Alisya, io...» -mormora, lasciando nuovamente la frase a metà. E che palle. Sistema la schiena sul sediolino, e mi sollevo per guardarlo.

«Cosa, Michelangelo?» -chiedo, con una punta di nervosismo nel tono.

«Sono uno di loro.».

Sbatto le palpebre. «Ah?» -domando, stordita.

«Faccio parte del gruppo...» -deglutisce. «di Testa.».

Sbarro gli occhi e, in un attimo, poggio di nuovo il sedere sul mio sediolino. No, no può essere.

No, no, no.

Inutilmente cerco di aprire la porta, con mano tremante e cuore pure, dimenticando di aver messo la sicura.

«Calma, calma!» -urla Michelangelo. «Alisya, calmati!».

«Non posso stare calma! Mi stai facendo impazzire! Basta!» -strillo, disperata. «Che significa che sei uno di loro!? Che cazzo significa!?» -urlo, portandomi la testa fra le mani.

«Sono un infiltrato.».

Le sue parole spengono automaticamente le mie urla. «Cosa?» -chiedo, confusa.

«Sono un infiltrato. Da un anno. La soffiata che hanno ricevuto i carabinieri... Il tizio che ha parlato del conto in sospeso che aveva Testa qui a Rimini...» -mormora. «Ha anche detto che, tra di loro, c'è quello che ha ucciso mio fratello.».

Trattengo il fiato e mi porto le mani alla bocca. «Oh mio Dio.».

Annuisce. «Alisya, tu non devi dirlo a nessuno, altrimenti...».

«Ovvio che non lo dico a nessuno. Mi fai così stupida!?» -sbotto, offesa. Poi, d'istinto, poggio le mani sulle sue guance, costringendolo a guardarmi negli occhi. «Quindi... Quindi sei in pericolo anche tu.» -deduco, mentre il cuore scalpita nel petto.

Muove impercettibilmente la testa.

«Era un sì, quello?» -chiedo, confusa.

«Sì, Alisya.» -risponde, serio.

Non è possibile. Perché anche lui? «Ma non ha senso, Michelangelo. Hai solo diciannove anni, non puoi essere un infiltrato.».

Scuote la testa, leggermente divertito. «Ho fatto di testa mia, fino a qualche mese fa. Non posso dirti altro.»

Resto a guardarlo, perplessa. «Michelangelo, io non voglio perderti.» -ribatto, scuotendo la testa incredula. Sono sfinita, basta, non ce la faccio più.

Ad un tratto, mi stringe forte a se', guardandomi negli occhi. «Senti, facciamo una cosa.» -mormora. «Da stasera, viviamo ogni giorno come se fosse l'ultimo. Stiamo rischiando entrambi la vita, giusto? Allora facciamo tutto quello che abbiamo sempre desiderato, quando arriverà il nostro momento faremo l'amore, ci divertiremo e non avremo mai rimpianti. Ci stai?» -chiede, sorridendo.

Mi mordo l'interno della guancia, imbarazzata dalle sue parole. Annuisco in maniera impercettibile. «Sì, ci sto.».

«Mmmh.» -sussurra, fra se' e se'. «Allora facciamo un giuramento.»

Alzo un sopracciglio, divertita. «Un giuramento?».

«Hai capito bene.» -risponde, mettendo una mano sul petto. Addolcisce lo sguardo e mi fissa, serio. 

«Io, Michelangelo Sedita, giuro solennemente di essere coraggioso al tuo fianco, Alisya De Stefano.»

Mi mordo un labbro, soffocando una risata. Poggio anch'io una mano sul petto e, in maniera solenne, pronuncio il giuramento. 

«Io, Alisya De Stefano, giuro solennemente di essere coraggiosa al tuo fianco, Michelangelo Sedita.».

«E di amarti sempre, qualsiasi cosa accada.» -continua, con gli occhi lucidi.

Il cuore comincia a battermi all'impazzata. «E di amarti sempre, qualsiasi cosa accada.».

Sorride, visibilmente rilassato, e si avvicina per lasciarmi un tenero bacio sulle labbra. «Io non ti lascerò mai, Alisya.».

A questo punto, ogni singola parte del mio corpo va in tilt, e non riesco più a controllarmi.

Mi perdo nei suoi occhi azzurri, e ripenso a tutto quello che abbiamo passato e a tutto quello che succederà. Non sono più sola, adesso c'è lui al mio fianco, siamo un unico cuore.

«Ti amo, Michelangelo.».

Sorride e mi lascia un altro bacio sulle labbra. Si avvicina al mio orecchio, mentre il mio cuore batte all'impazzata. 

«Ti amo, Alisya.».

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