Trentasette - Mihangel.

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Avrete notato sicuramente che ci sono due capitoli col numero trentasette. Semplicemente, lo stesso periodo narrato nel capitolo precedente, sarà illustrato qui dal punto di vista di Michelangelo, perché ci sono un sacco di cose che non sappiamo e dobbiamo capire. E' stato più difficile di quanto pensassi scrivere questo capitolo, e mi scuso per l'enorme masso di più di 7500 parole che dovrete digerire... sono stanca MORTA e non riesco a scrivere altro. Spero che il capitolo vi piaccia, e nel caso fatemelo sapere con i commenti. Mi piace pensare che seguite le vicende coi personaggi e impazzite con loro.

baci, vostra sha c:

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Alisya scoppia in una fragorosa risata, piegandosi in due. Aggrotto le sopracciglia divertito.

«'Che ridi?» -asserisco, arricciando le labbra. Vorrei baciarla in questo momento. Anzi, no, la bacerei ogni minuto. E' bellissima.

Scuote la testa, riprendendosi. «Niente, niente...» -tira un sospiro- «Dai, andiamo!» -aggiunge, lasciandomi in una profonda confusione.

«Dove dobbiamo andare?».

Schiude la bocca per rispondere, ma arresta la sua risposta e sbarra gli occhi, terrorizzata. Inarco le sopracciglia e mi volto di scatto nella direzione di ciò che sta guardando.

Una macchina a due metri da noi; ruote che stridono sull'asfalto. Una figura che esce dal veicolo. Non riconosco il viso. Oppure lo riconosco. Non lo so. Chi è?

Avviene tutto in pochi attimi. Il cuore mi martella nel petto, comincio ad avere freddo, ho i brividi, ho paura, devo proteggere Alisya. Alisya vieni qui, no, no, dove vai?

Come se qualcuno le avesse risucchiato l'anima, cammina lentamente verso quello che sembra essere il suo unico destino. Un triste destino, fatto di droga, abbandoni, cuori infranti e promesse non mantenute.

Uno, due, tre passi. Lo sguardo spento; il cuore vuoto. Devo proteggere Alisya.

«Brava, sei venuta tu da me alla fine.» -sghignazza la figura sconosciuta. «Così quella stronza di tua mamma ci pensa due volte prima di lasciarmi nella merda.»

Cristo, ha una pistola! Corro, corro, ma Alisya sembra essere distante da me un chilometro, non due metri. Comincia a venirmi l'affanno e più corro, più mi distanzio da lei. Mi fermo di scatto, preso dall'esasperazione: la figura le punta la pistola contro. 

 E spara.

Spalanco gli occhi terrorizzato; il cuore pulsa violento e insopportabile, le lacrime impiegano davvero poco ad arrivare agli occhi. Serro i pugni, stringendo il cuscino fra le mani, avvertendo la federa ghiacciata e liscia contro la pelle, in contrasto con gli occhi di fuoco; accarezzo l'indice col pollice, con delicatezza premendo poi sempre di più, come se questo potesse farmi sentire vivo. Sveglio. Come se potesse convincermi che tutto fosse solo un sogno.

Inspiro. Schiaccio il volto sulla federa. Espiro. Non era vero niente. Con movimenti disordinati mi stendo sulla schiena, asciugando una lacrima sfuggita a causa del panico. Sollevo il busto, ancora scosso, e mi siedo all'estremità del letto.

Faccio un lungo respiro e mi prendo la testa fra le mani. Che risveglio traumatico. Quando finirà tutto questo? La paura di perderla mi lacera l'anima ogni secondo della mia vita. E' stressante, non ce la faccio più.

Ad un tratto un rumore mi fa sobbalzare. Mi tranquillizzo, quando mi rendo conto che è la vibrazione del mio telefono, abbandonato sulla scrivania. Aggrotto le sopracciglia, disorientato. Chi sarà mai?

La luce del sole filtra dalla finestra, ma fa leggermente freddo, dunque capisco che è ancora presto. Sbuffo e mi alzo dal letto; con passi svogliati e stanchi allungo il braccio verso il telefono: il nome che compare sullo schermo mi fa svegliare del tutto.

Scorro col pollice verso destra, avviando la conversazione.

«Perla.» -rispondo. E' strano che mi abbia chiamato col suo numero, di solito usa l'altra scheda.

«Michelangelo» -risponde, la voce posata e fredda allo stesso modo. «Ti sto chiamando da un'ora.».

Passo una mano sul viso, allontanando un attimo il telefono per controllare l'orario. Sono le nove. «Dormivo.».

Emette un grugnito riluttante.«Comunque» -mormora- «Ho fatto tutto io, alla fine

Aggrotto le sopracciglia. «Cosa?» -chiedo, mentre attraverso la stanza e mi siedo nuovamente sul letto, avvertendo un brutto presentimento farsi sempre più grande; l'ansia di qualcosa più grande di me, più grande di lei, più grande di noi.

«Non so, forse dire tutto ad Alisya?» -risponde, sarcastica.

Il mio cuore perde un battito, come a ricaricarsi; poi comincia ad aumentare le sue pulsazioni, come a suicidarsi.

«Cosa intendi per tutto?» -domando, poggiandomi una mano sulla fronte. Cazzo.

Avverto il suo sbuffo dalla cassa del telefono. «Le ho raccontato la faccenda delle lettere di suor Lorena... di Giuseppe... tutto questo casino insomma» -fa una pausa- «e, no, non le ho parlato di te, se te lo stai chiedendo

Tiro un sospiro di sollievo a mia volta, meravigliandomi del fatto che abbia nominato anche Testa. «Gesù mio» -sussurro, esasperato. 

Era da tempo che volevo parlarle di questa situazione, giuro, ma non riuscivo a trovare le parole e, francamente, non credo che tutt'ora ne sarei in grado.

«Dovresti farlo, però. Non può restare all'oscuro di tutto.» -risponde, subito.

Come se fosse facile. Scuoto la testa. Non posso. Alisya si allarmerebbe ancora di più. 

Decido di tralasciare le sue ultime parole. «Come l'ha presa?» -chiedo, abbassando le palpebre e cercando di immaginare il mio amore smarrito e in preda al panico.

Tira un lungo sospiro e per qualche secondo cala il silenzio fra noi. «Ti dico solo che deve aver fatto un incubo stanotte. Si è svegliata urlando, e le ho dato uno schiaffo per farla smettere.» -risponde, fredda.

Anche lei ha fatto un incubo. Apro gli occhi di botto, realizzando ciò che Perla ha detto. «Ma come, le hai dato uno schiaffo?» -ribatto, sdegnato.

«Sì.».

La sua risposta mi lascia perplesso, ma tiro comunque un sospiro di sollievo. «Quindi... non le hai parlato di...».

«No.».

Annuisco lievemente, lo sguardo perso sulla parete bianca; neutra, come il mio umore. «Quello non dovremmo dirglielo, dici?».

«No.».

«Sai dire altro, Perla?».

Scoppia in una fragorosa risata, portando al suicidio il mio povero timpano. «No, non glielo diciamo, Michelangelo... Metti che non è vero, come possiamo illuderla in questo modo?».

Mi mordo l'interno della guancia, confuso. «Forse hai ragione...Ma, quindi, le cose cambieranno adesso. Giusto?».

«Per forza. Aspetta, ah, non mi trovo a parlare così. Vogliamo incontrarci?».

No, no, assolutamente no

«Devo andare giù.» -sussurro, incerto sul fatto che mi abbia sentito o meno.

«UFFA!» -urla, annoiata. «Allora Skype?».

La mia diventa un'espressione sofferente, ma 'Il dovere mi chiama!', penso, sentendomi per qualche attimo un supereroe; e, in effetti, lo sono: basta pensare a quello che sto facendo per proteggere Alisya, che equivale a proteggere il mondo. Il mio mondo.

Dopo alcuni minuti riusciamo finalmente a stabilire una connessione e l'immagine di Perla appare sullo schermo del mio PC portatile, con dei pixel così grandi che possono essere addirittura numerati. Che webcam pessima. L'unica cosa che riesco a vedere è la sua maglia celeste, ma non capisco in quale stanza si trovi: solo adesso mi accorgo di essere unicamente in pantaloncini. Ma, tanto, stiamo parlando di Perla, e lei è insensibile a qualsiasi essere umano che non sia Alisya o Raffaele.

«Mi senti?» -chiede, visibilmente in difficoltà. Si mette le mani fra i capelli e scorre lo sguardo da un punto all'altro dello schermo, come se fosse andata in tilt.

Evito di scoppiare a ridere per quanto sia impacciata ed emetto un 'Sì' forte e chiaro.

«Ok, allora...» -si aggiusta una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Ho appena sentito i miei al cellulare. Questo è il piano aggiornato.» -afferma, sollevando la cartellina verde che ha poggiato sulle gambe.

Annuisco in modo leggero, abbassando di poco la webcam affinché mi veda meglio. «Ti ascolto.» -ribatto.

Fa un leggero colpo di tosse e comincia a parlare. «Adesso che Alisya sa che il gruppo di Testa la sta cercando, mi sembra ovvio che non riesca a vivere... Come dire... Nella normalità, no? E allora, stavo pensando che magari sarebbe meglio tenerla più al sicuro, specialmente in questo periodo. Potremmo metterle delle guardie vicino, ora che sa tutto. Testa arriverà a fine agosto, giusto?».

Ascolto attentamente ogni singola parola e annuisco. «Sì, più o meno a fine mese.» -rispondo, accarezzandomi il mento.

Ad un tratto, cala il silenzio. La mia espressione cade di nuovo in una neutralità profonda, e nella mia mente si proietta un unico pensiero: a fine agosto arriverà Testa. Sappiamo entrambi cosa ha intenzione di fare una volta tornato a Rimini.

Le parole di Francesco riecheggiano nella mia mente:

"Basta che la ammazza; poi, possono anche arrestarlo. Così dice lui. Tanto, ormai sta per andare al fresco, vuole almeno chiudere questa faccenda."

Deglutisco questo ricordo amaro; poi, cerco di svegliarmi scuotendo la testa. «No, Perla, ne abbiamo già parlato. Se le indichiamo i membri del gruppo, va a finire che lei cambia atteggiamento con loro, se ne accorgeranno e capiranno tutto.».

«Se le dici di Francesco?».

«A maggior ragione!» -sbotto, agitando una mano. «Ti rendi conto? Quel ritardato non fa altro che ricordarmi che, quello che sto facendo io, avrebbe dovuto farlo lui.» -aggiungo, stringendo le labbra in una linea dura.

L'immagine di quel biondino del cazzo, con i pantaloni calati, in mezzo alle gambe di Alisya mi appare come un sogno terrificante; stringo il pugno della mano,conficcandomi le unghie nel palmo.

Perché la mia mente è malata?

«E' un tormento quel tizio.».

Annuisco, perfettamente d'accordo. «Comunque, continua il piano.».

«Ah, sì. Allora... preferirei che Alisya stesse: o con me, o con te o con Raffaele. Così da essere sempre sotto controllo.».

Faccio un lungo respiro, poggiando la fronte sul palmo. «Come la prenderebbe, se sapesse che un'intera squadra di Carabinieri la sta usando per arrivare a Testa?».

Perla alza un sopracciglio, offesa profondamente nell'animo. «Non la stiamo usando, nessuno lo sta facendo. La stiamo proteggendo, il che è diverso.».

«Non sono molto convinto di questa cosa.» -mormoro. Certo, nessuno la sta usando, come no. «E comunque non mi hai risposto.».

Resta interdetta per qualche attimo, battendosi un indice sulle labbra. «Io sono certa che Alisya la prenderebbe bene. Non è stupida, accetterebbe la situazione e sarebbe felice di aiutarti.».

Le sue parole mi feriscono profondamente. «Guarda che non lo stanno facendo solo per Gabriele, eh. Sappiamo tutti che, alla fine di questa storia...».

Scuote la testa, come a zittirmi. «Non dirlo!!! E' mal augurio, sei impazzito!?» -squittisce, lasciandomi in un abisso di perplessità.

Sorrido nervosamente, poi controllo l'orario. Le dieci. Afferro il telefono e digito in modo repentino un messaggio ad Alisya; poi sollevo lo sguardo verso lo schermo, incrociando quelli di Perla.

«Allora vado io a prendere Alisya, a mezzogiorno.».

Dopo aver spento il computer, mi affretto per andare a fare la doccia. Apro svogliatamente l'armadio, prendo un jeans scuro e la maglia grigia dell'Adidas. Attraverso la stanza e mi soffermo a guardare la foto di mio fratello. Un'immagine in cui sorride spensierato, ignaro di tutto ciò che sarebbe successo a distanza di qualche mese.

«Io ti salverò.».

Sono fermo in macchina da circa dieci minuti. Un leggero sbuffo erompe dalle mie labbra; dopo qualche attimo, la suoneria del mio telefono rompe di nuovo il silenzio. "Marco".

Marco?

«Marco.» -rispondo, mentre un barlume di speranza inonda il mio volto, facendomi aggrottare le sopracciglia e sorridere allo stesso tempo. E' un mio amico di liceo, che ha un'associazione di service per feste e serate col fratello Giulio, e se mi ha chiamato significa che vuole confermare ciò che mi ha detto l'ultima volta che ci siamo visti.

E questo significa che ho un lavoro.

«Ciao fratello!» -esclama, felice. «Ti devo dare una bella notizia!».

Sorrido, passandomi una mano sul volto. No, non ci credo. «Spara...» -mormoro, emozionato.

«Mio fratello ha visto quanto sei stato potente vicino alla console durante l'ultima festa.» -comincia. «E vuole assumerti.».

Sono ben consapevole che, parte della mia assunzione è dovuta al ruolo che occupo nei Mirrors e, quindi, al mio essere in qualche modo "famoso". Ma non importa. Amo qualsiasi tipo di musica, e questo è un sogno che si realizza per me.

Ad un tratto un cigolio attira la mia attenzione, azzerando l'emozione e l'entusiasmo del momento e riportandomi bruscamente coi piedi per terra. Scorgo la figura di Luigi, appena uscito dal palazzo. «Marco, devo attaccare, grazie, ti richiamo appena posso, grazie ancora eh.» -blatero, infilando di nuovo il telefono in tasca.

Luigi raggiunge la mia macchina, le mani in tasca e l'aria sicura di se', come al solito. Devo ammettere che l'anno scorso, quando ho cominciato a lavorare per il gruppo di Testa da solo, mi sentivo più tranquillo. L'ansia di essere scoperto e che il piano andasse a rotoli, è apparsa la notte prima di andare alla festa al Carnaby, ossia la notte in cui i genitori di Perla ci hanno informati che Testa fosse tornato a Rimini, e che solo tramite lui potessimo sapere qualcosa sull'omicidio di Gabriele.

Hanno collegato il ritorno delle lettere a suor Lorena, la minaccia all'ex compagna di Giuseppe, come un chiaro segno che quest'ultimo fosse tornato e con se avesse portato solo guai e terrore; oltre, naturalmente, alla verità su Gabriele.

E, naturalmente, alla verità su Alisya.

Nonostante io sapessi già tutto, avere anche i Carabinieri alle spalle ha cominciato a mettermi pressione, davvero tanta pressione; così come dire tutto ai miei genitori. Mi sento soffocare, li ho col fiato sul collo in maniera costante e questa situazione mi infastidisce alquanto.

Tuttavia, con Luigi ho stretto un bel rapporto: insomma, ha capito che non deve mettermi i bastoni fra le ruote, perché il mio senso di giustizia è più forte di qualsiasi altra norma penale.

Con disinvoltura apre la portiera ed entra, prendendo posto sul sediolino del passeggero. «Ciao Michelangelo.» -saluta, il tono allegro e spensierato. Lo ammiro, ma come fa?

Gli lancio un'occhiata veloce. «Ciao.» -mormoro, stranito. I suoi occhi neri sono freddi come il ghiaccio, colmi di pazienza, coraggio e risolutezza. Devo ammetterlo: Luigi mi dà forza.

Quando, circa un mese fa, mi è stato detto che mi avrebbero affiancato un infiltrato della Polizia, credevo che mi sarei trovato di fronte un Rambo. Al contrario, Luigi è un semplice ragazzo di trent'anni, con più sale nella zucca che muscoli nel corpo.

Con un movimento rapido mi passa la microspia, che sistemo abilmente dietro il bottone dei jeans, mentre lui applica con cura la telecamera a fibra ottica. Siamo ormai abituati al solito rituale.

«Andiamo?» -chiede, poggiando la testa al finestrino.

Annuisco. «Andiamo.».

Chiudo a chiave la macchina, incrociando di sfuggita lo sguardo di Luigi dall'altra parte. Mi scruta, l'espressione dura e distaccata, e fa un cenno col capo verso l'entrata del parco. Camminiamo a passi rapidi, le mani in tasca e lo sguardo fisso in avanti, sicuro. 

Ricorda per chi lo stai facendo, Michelangelo.

Dopo alcuni minuti arriviamo dinanzi l'ingresso del parco. Una grande insegna sovrasta il cancello verde; con una scritta bianca e raffinata che indica il 'Parco Federico Fellini'. Faccio un lungo respiro.

Buffo pensare alla maestosità di questo parco, guardando ciò che è diventato oggi. Il covo dei mafiosi... la tana dei drogati. Tutto avviene ad ogni ora del giorno, in piena luce e a notte fonda, i passanti osservano il traffico di droga ma voltano lo sguardo fingendo di non vedere, nonostante avvenga dinanzi ai loro occhi.

Attraversiamo l'enorme parco a passo svelto; sono le undici e tra poco devo andare a prendere Alisya, spero di far presto. 

«Mi raccomando, Michelangelo.» -sussurra Luigi tra i denti, come al solito.

Storcendo la bocca, annuisco sicuro. «Tranquillo.».

Da circa venti metri di distanza, li vedo. Francesco e Nina sono seduti su una panchina che affaccia su una delle grandi fontane del parco.

Francesco, con quel caschetto biondo, sembra un insopportabile francesino. E' il capopiazza della banda, gestisce le attività relative allo spaccio di droga. La pelle bianca, arrossata in modo leggero solo grazie a quello stupido lavoro da animatore, che ha trovato vicino casa di Alisya quasi due mesi fa, con l'unico scopo di avvicinarsi a lei. Emetto un grugnito infastidito, avanzando nella loro direzione.

E' mia. Alisya è mia. Non tua, stronzo di un francesino.

Francesco allunga una sigaretta a Nina, che ringrazia sbattendo le palpebre civettuola e si passa una mano fra i capelli rossi, sistemandoli su una spalla. «Grazie.» -la sento miagolare, prima di accorgersi della nostra presenza. Nina, invece, ha il ruolo del corriere, cioè deve trasportare la droga da una città all'altra.

«Ciao ragazzi.» -Luigi fa un cenno col mento verso Nina e Francesco.

I due membri del gruppo li ho conosciuti a giugno, due mesi fa, quando sono tornati assieme a Testa per eseguire il suo ordine di prendere Alisya. Tutti gli altri sono ragazzini della mia età, che conosco da un anno.

Nina, con quelle perle verdi mi scruta, guardandomi dall'alto verso il basso. Il suo radar si ferma poco più sotto del mio ombelico, per poi tornare nei miei occhi, colmi di una scintilla maliziosa. Ridicola.

«Che dice la principessina?».

In meno di un secondo infilo la mia maschera, preparandomi a dire cose che non penso e che non vorrei mai enunciare. 

«La sto tenendo a cuccia.» -ribatto, con un sorriso spavaldo. «Fortuna che Peppe arriva fra un mese, così me la tolgo dalle palle.» -aggiungo, incrociando le braccia.

Ridacchia e si alza, aspirando una grossa quantità di nicotina. Si avvicina, guardandomi con fare provocante, e poggia una mano sul mio braccio. «Devi avere occhi solo per me.» -sussurra, lasciandomi un bacio sulla guancia.

«Ovvio.» -ribatto, facendo un occhiolino. Evito di scoppiare a ridere. Che essere insignificante.

Si morde le labbra carnose con convinzione, per poi voltarsi e proseguire verso l'uscita secondaria del parco. Controllo l'ora sull'imponente orologio, collocato vicino ad una panchina: le undici e dieci.

Dopo venti minuti, arriviamo al covo. Francesco apre il portoncino del palazzo, dai vetri macchiati da impronte e gli involucri giallo ocra. Sembra un palazzo comune.

Luigi, Francesco e Nina entrano, mentre io li seguo per ultimi. Do una rapida occhiata alle etichette vicino i citofoni, e ovviamente il primo piano è indicato da un rettangolino di carta bianco, privo di qualsiasi riferimento alle persone spregevoli che lo occupano.

Percorriamo la breve distanza del pianerottolo; analogamente, Francesco apre anche la grande porta in legno scuro, che separa il mondo normale da quello che è un vero e proprio inferno.

In seguito al cigolio della porta che viene aperta, oltrepassiamo la soglia, immergendoci in un ambiente antiquato e primitivo.

L'unica stanza illuminata da luce soffusa è appunto il soggiorno in cui ci troviamo, dove ci sono due divani e qualche armadio, mentre di fronte all'entrata c'è un lungo corridoio buio; ed è proprio lì che andiamo, come nostro solito.

In fondo al corridoio, ai lati di cui ci sono quattro stanze vuote, c'è una botola segreta che porta al piccolo locale in cui lavoriamo la droga. Luigi si siede sulle ginocchia per spingere il grosso blocco di marmo verso l'esterno, servendosi unicamente della forza delle dita. Dopo averlo spostato, Francesco è il primo ad entrare. Segue Nina, che poggia le ginocchia sul marmo e va in avanti con le braccia, rivolgendomi completamente il fondoschiena. Prima di infilarsi nel piccolo spazio ritagliato nella parete, si volta a guardarmi, facendo un occhiolino.

Gesù mio, aiutala tu questa donna mentecatta.

Sospiro, e mi stendo del tutto sul marmo freddo. Avanzo con cautela, spostandomi sui gomiti.

Si comincia.

"Non si guardano mogli di amici nostri. Non si fanno comparati con gli sbirri. Non si frequentano né taverne né circoli. Si ha il dovere in qualsiasi momento di essere disponibile a cosa nostra. Anche se ce la moglie che sta per partorire. Si rispettano in maniera categorica gli appuntamenti. Quando si è chiamati a sapere qualcosa, si dovrà dire la verità."

Queste sono le regole, riportate su un foglio stropicciato, bucato in alto e trapassato da un chiodo arrugginito; al quale è appeso anche un rosario dalle pietre rosso sangue.

«Cominciate ad uscire, voi.» -dice Luigi, riferendosi a me e a Nina.

Non capisco cosa ci sia più da fare, ma scrollo le spalle e mi affretto ad uscire da quel locale freddo e disagevole.

Quando ho oltrepassato la parete, non mi occupo di aiutare Nina; anzi, cammino a passo ancora più svelto, fino ad arrivare a un divano di pelle ben tenuto, di color rosso carminio. Mi siedo comodamente e accavallo le gambe.

Avverto dietro le spalle i passi di Nina, si fanno sempre più vicini, fin quando non scorgo la sua figura a guardarmi scaltra.

Si siede alla mia sinistra, girandosi sul fianco e avvolgendomi le spalle con un braccio. Sparisci, sì o sì?

Vorrei mandarla a quel paese ed uscire da questa stanza, ma non mi è concesso. Il mio corpo decide di stare fermo. Nina si sporge per lasciarmi dei baci sul collo, che mi provocano brividi più di terrore che di piacere.

Perdonami Alisya, anche se è una cosa un po' contorta... lo sto facendo per te.

Faccio un leggero movimento verso destra, facendola esitare per qualche istante. Ma la furia rossa non demorde, anzi, ripete il suo gesto e in più allunga la mano verso i miei fianchi, facendo pressione tra le mie gambe.

Sbuffo e mi alzo in modo brusco, sopprimendo insulti e imprecazioni nei suoi riguardi.

Scoppia a ridere. «Non mi dire, ti sei innamorato di quella?!».

Oh, lo sono sempre stato, cara Nina, ma non sono cose che ti riguardano.

Soffoco una risata. «Ma de chi, Alisya?» -domando incredulo, sollevando un sopracciglio.

Annuisce. «Dovresti stare co' quella per tenerla sotto controllo, per quando arriverà Giuseppe...» -mormora, facendo poi una smorfia.

«Ed è quello che faccio.» -rispondo annoiato, con una malcelata ironia.

«E allo' perché non vieni a letto con me?» -ribatte offesa, incrociando le braccia. «So' giorni che ci provo. Ma che sei, un verginello?».

«Ma ti senti quando parli?» -replico, passandomi una mano sul viso, esausto.

Spalanca gli occhi, sorridendo. Oddio, è inquietante, sembra una bambola assassina. «Oggi andiamo al mare?».

Sbatto le palpebre, scettico. «No, ho da far-».

«Hai detto sì.».

«No, ho detto di no.».

Sbuffa, accarezzandosi i capelli rossicci. «Antipatico che sei.».

Dal corridoio scorgo la testa di Luigi irrompere nel locale, tanto atteso segnale che dobbiamo andar via. Me la do praticamente a gambe levate e velocemente ci dileguiamo.

Per accompagnare Luigi a casa, ho ritardato di circa venti minuti. Spero che Alisya sia ancora fuori lo Shine ad aspettarmi.

Finalmente la vedo, appoggiata all'edificio che sovrasta il bar. La mia espressione si allarga in un sorriso. La mia bambolina è lì... Mi è mancata così tanto, anche se non ci vediamo da ieri sera. Accosto e avvio le quattro frecce. Mentre Alisya si avvicina, apro la portiera e mi precipito nella sua direzione.

Mi torna alla mente il sogno di stanotte; deglutisco a vuoto, mi incupisco per qualche attimo, ma vederla qui mi riempie il cuore di gioia e mi fa sorridere. Senza proferir alcuna parola, la abbraccio.

Alisya adesso è a conoscenza della sua situazione, e questo la rende maggiormente in pericolo, ma allo stesso tempo al sicuro. Adesso, almeno, sa che ci sono delle persone che la stanno cercando, e spero non opponga resistenza nello stare solo con noi, che siamo quelli di cui si può fidare al cento per cento.

Averla tra le mie braccia è l'unica cosa che riesce a tranquillizzarmi, nonostante tutto. La amo, come se fosse l'unica persona in grado di farmi battere il cuore; come se fosse la sola per cui mi batterei, per cui andrei in guerra, per cui aggraverei la mia situazione da infiltrato con delle persone che potrebbero scoprire il mio raggiro e che probabilmente sono armate e disposte a tutto per difendere i propri affari. Ma questo non è niente, perché almeno mi permette di stare con lei e di trovare un senso alla mia presenza sulla Terra.

Sospiro. «So tutto.» -mormoro.

Non parla, resta in silenzio. Cavolo, chissà cosa starà pensando in questo momento. Mi odierà?

Mi distanzio per guardarla nei suoi dolci occhi color nocciola, poi il mio sguardo impazzito viaggia su ogni superficie del suo viso perfetto.

«Andiamo in macchina.» -mormoro. «Ti racconto tutto.».

Il noto fischio di una notifica si espande nell'aria, e ci impiego meno di un secondo a capire che proviene dal mio telefono. Sarà sicuramente Perla, vorrà assicurarsi che ci sono io a prendere Alisya.

Mi allontano da lei e sfilo il telefono dalla tasca. Aggrotto le sopracciglia. E' un messaggio da parte di Nina.

"e così la vai pure a prendere a lavoro? strano per una persona che dovrebbe solo fingere di stare con lei... mi sembra un po' troppo. provvederemo"

Merda. Sollevo lo sguardo per incontrare quello di Alisya, sconcertato e confuso quanto il mio. Se solo sapessi, amore mio...

Sbuffo. Non ce la faccio più. Fisso il marciapiede, mentre le tempie cominciano a pulsare all'impazzata, e un gran mal di testa non mi permette di ragionare come una persona normale. Se Nina mi ha scritto questo messaggio, allora significa che...

«Michelangelo?».

Se Nina mi ha mandato questo messaggio, significa che adesso ci sta guardando e che il minimo passo falso può mandare a rotoli il piano. Cosa posso fare, cosa posso fare? E che cazzo significa che provvederanno?

Tiro un sospiro, impiegando qualche attimo per ragionare. Significa che, qualora dovessero capire che io sono davvero affezionato ad Alisya, faranno di tutto per separarci. Perché, quando a fine agosto arriverà Testa dalla Sicilia, mi chiederanno di portarla da lui ed io potrei non farlo, potrei oppormi. Questo è quello che pensano loro; in realtà è ovvio che non lo farò.

Mi volto e vado verso la macchina, passo svelto e sicuro. Già immagino il braccio di Francesco attorno alle spalle della mia ragazza, mentre la guarda con un ghigno malvagio, intanto che Ali è ignara del fatto che la vuole semplicemente portare a morire.

No, questo non succederà mai.

Con la coda dell'occhio, scorgo Alisya che è rimasta a pochi metri da me, mentre io sono già vicino la macchina, troppo nervoso per emettere alcun suono. Sollevo un braccio e piego più volte il dito nella mia direzione. So che mi sta guardando, non ho dubbi.

«Ma che è successo!?» -sbotta, con il respiro leggermente affannato.

Alisya, ma perché, cazzo, fai domande a cui non posso risponderti?

Non riesco a fermare l'occhiataccia truce che le rivolgo. Apro la portiera. «Sali.» -ribatto, semplicemente. Calmati, calmati, calmati.

Alza un sopracciglio, come se si fosse offesa. «Ma ti freghi!» -risponde, facendo un gesto secco con la mano.

Sbatto la porta con violenza. «E sali, muoviti Alisya!» -sbraito, nervoso. Disattivo le quattro frecce e abbasso i finestrini.

«Tu hai qualche problema al cervello. 'Fanculo.».

«'Fanculo tu.» -sbotto, pentendomene dopo un nanosecondo. No, no, scusami Alisya, non volevo... Diamine, ma perché rovino sempre tutto? Perché sono un coglione, ecco perché.

«Ci vediamo quando ti calmi.» - risponde, con un sorrisino acido e la mano che fa 'ciao'.

Ho combinato un casino. «Chiama Perla, fatti venire a prendere.» -mormoro, stringendo poi le labbra in una linea dura. 

Ti prego, Alisya, non ti ci mettere pure tu.

«Non chiamo proprio nessuno.» - risponde, e in meno di dieci secondi, prima che io possa muovere un muscolo, ha già attraversato la strada.

«Cazzo» -sibilo, sferrando un pugno al volante.

Mi infilo di nuovo nella corsia e la mia mente comincia un lungo viaggio di andata senza ritorno. Ma che cazzo ho fatto? Mi è partito il cervello?

«Ma perché sono un coglione, perché?».

Immerso nel traffico, sfilo il telefono dalla tasca pensando a come si risponda ad un messaggio del genere; ma in realtà non lo so, non trovo risposta. Scavo nella mia mente, trovando solo un buio profondo. L'unica lampadina accesa nella mia testa, è quella d'allarme: Nina non deve capire che io amo davvero Alisya. Se lo facesse, gli altri farebbero di tutto per allontanarmi da lei e quando sarà troppo lontana da me, da Perla, da chiunque possa proteggerla, sarà più vicina a Testa. Preso da un attacco di follia, avvio la chiamata e imposto il vivavoce.

«Sapevo che mi avresti chiamata.».

Ma non mi dire.

«Dove sei?».

Sto facendo una cazzata.

«Nel traffico.».

Insipiro.

«Vediamoci.».

Espiro.

«Va bene.».

Sono le cinque e mezza del pomeriggio. Il sole batte forte, il cielo è limpido e non c'è traccia di Alisya. L'ansia di essere scoperto si è impossessata del mio corpo, ma nonostante ciò io e Nina siamo andati a mangiare una pizza.

Una pizza. 

Tutto normale. Certo. Se dovessi vedere Alisya nella medesima situazione, con qualcuno che non sia io -e per qualcuno intendo Francesco-, non so cosa farei. E' probabile che perderei il lume della ragione e riempirei il francesino di botte.

Mi mordo il labbro a quel pensiero. Ma cosa vado ad immaginare? Se osassi fare una cosa del genere, perderei il 'lavoro' in un batter d'occhio.

Qualcuno direbbe che dovrei lasciar perdere tutto. Dovrei gettare la fatica di un anno all'aria, forse è vero: ma a che pro?

In effetti, avrei potuto lasciare che, ad occuparsi di tenere sott'occhio Alisya, fosse Francesco. Aveva anche intrapreso il suo lavoro da animatore proprio sotto casa della mia ragazza. Il problema fu che io, di Alisya, ne ero innamorato, e non l'avrei mai e poi mai lasciata nelle mani di Francesco.

Dall'altro lato, però, c'è Nina che non mi toglie gli occhi di dosso, e non posso mandarla a quel paese, per lo stesso motivo per cui non posso farlo con Francesco. Perderei l'occasione di conoscere la verità su mio fratello e, anche se adesso sono intervenute le forze armate, non posso di certo tirarmi indietro. Da un altro lato, ancora, lo faccio per Alisya. Da quando ho scoperto che era lei la ragazza che stavano cercando, non c'è stato bisogno di pensarci su. Ho promesso che me la sarei vista io, che l'avrei fatta in qualche modo avvicinare me e poi, quando sarebbe arrivato il momento, l'avrei portata a Testa; e questo mi ha fatto affogare ancor di più, perché in questo momento Alisya è l'unica cosa che vogliono. Più della droga, più dei soldi.

Se Giuseppe Iannuzzi è noto alle forze dell'ordine, è grazie alla sua ex compagna, nonché madre di Alisya, che ha denunciato lasciandolo praticamente nella merda. E' questo il motivo per cui, adesso, ha aizzato un intero clan verso Alisya, perché sa di colpire indirettamente la madre.

Sono in trappola. E' come se tutto questo schifo si fosse tramutato in un lenzuolo. Un lenzuolo infinito, bianco, ruvido, che mi avvolge il collo, mi incatena le braccia e si attorciglia alle gambe; sono diventato un tutt'uno con questa storia. Ci sono dentro fino al collo, e non posso più uscirne.

Camminiamo sul bagnasciuga, anche se il sole è cocente e avrei preferito di gran lunga oziare sotto all'ombrellone, se proprio dovevo stare qui.

«Ma te lo ricordi tu, il giorno in ci siamo conosciuti?».

Purtroppo sì.

«Certo che me lo ricordo.» -sorrido, avvolgendo le spalle di Nina con un braccio. «Eri strafatta.».

Scoppia a ridere, e mi sforzo di ridere a mia volta. «Non me lo ricordo io, invece.»

Ma dai, sul serio!?

Sospiro, sorridendo. «Eri giù, avevi gli occhi pieni di sangue dopo due spinelli e cominciasti a cantare "A mille ce n'è, nel mio cuore di fiabe da narrar"...» -mormoro, impegnandomi a ridere, intanto che provo un misto di ribrezzo e pietà nei suoi confronti.

Ad un tratto il mio cellulare, che mi ero preoccupato di tenere sempre con me, squilla rompendo quell'atmosfera fasulla e deliziosa che si era creata. E' un messaggio di Raffaele.

"Oh, vieni a casa di Perla."

Mi insospettisco, ma cerco di non darlo a vedere. Sospiro, allargando le braccia. «Devo andare.» -mormoro, voltandomi e provando a svignarmela.

Delle unghie si conficcano nella pelle del mio polso, ma nulla va oltre il dolore che ho nel petto al momento. Perché devo andare a casa di Perla?

«Dove vai?».

«A casa.» -sbotto.

«Angioletto... mi lasci tutta sola?» -miagola, sporgendo il labbro inferiore.

Dio santo, ma cosa ho fatto di male per meritare tutto questo?

Tento di addolcirmi. «Dai, adesso devo andare. Ci veniamo un'altra volta, al mare, okay?».

Sul suo volto compare di nuovo quel sorriso inquietante, dopo di ché lascia andare il mio polso e, in fretta e furia, torno all'ombrellone.

Alisya sta male. Ad Alisya è successo qualcosa. E' stata colpa mia. L'ho lasciata da sola stamattina. L'hanno presa. Qualcuno l'ha sequestrata. L'hanno drogata. L'hanno stuprata. L'hanno...

La Cinquecento nera di Raffaele parcheggia dinanzi il palazzo, e appena i miei occhi intercettano la figura di Alisya il mio cuore tira un sospiro. Tuttavia, non mi riservo di guardarla nervosamente, perché stamattina mi ha mandato a quel paese e, dopotutto, anche se non lo sa, non lo merito.

Una vocina fa irruzione nella mia mente, e ripete in continuazione:"Devi dirglielo."

Escono tutti e tre dalla macchina; Alisya viene nella mia direzione, Perla mi guarda arrabbiata e Raffaele mi fa un occhiolino. 

Devi dirglielo.

La raggiungo, e mentre sto per abbracciarla, arresta la sua camminata e mi guarda, sprezzante. «Che vuoi?».

Amarti. Sposarti. Vivere con te per sempre.

«Essere ascoltato in silenzio e in maniera civile.» -ribatto, trattenendo un sorriso.

Sbuffa e mi attraversa, cercando le chiavi per aprire il portone. La seguo e, in silenzio, saliamo le scale. 

Ho vinto io, bambolina

Quando entriamo nell'appartamento dei Frisoni, Alisya si dilegua. Sparisce nei meandri del bagno, in cui credo resterà per molto. Perla è ai fornelli, mentre Raffaele è seduto sul divano, guardando la televisione. Attraverso il corridoio, un po' impaurito. Perla mi ammazzerà.

Appena quest'ultima si accorge della mia presenza nella sua casa, non si premura di posare il coltello che ha in mano, anzi, lo impugna ulteriormente e, come una furia, cammina a passo svelto, fermandosi al mio cospetto.

«Dove sei stato stamattina?» -ringhia, sollevando la mano con l'arma.

Evito di scoppiare a ridere: potrei seriamente metterci le penne. Alzo le mani in segno di resa. «Sono stato giù. Lo sai che non dipende da me.».

«Sì, lo so, ma poi dovevi andare a prendere Alisya, invece l'hai lasciata lì come un'idiota.».

«Non posso farci niente, se mi chiamano devo andare.».

«Sei un coglione, fai schifo, Michelangelo io ti odio, io ti ammazzo...» -mormora, scagliando il coltello sul marmo della cucina e prendendosi la testa fra le mani.

Dopo tutto quello che faccio, devo anche essere definito un coglione? Okay, non pretendo che mi si faccia una statua, ma almeno un po' di rispetto. Con Perla scherzo e anche tanto, ma a volte riesce ad innervosirmi e non poco.

«Ma quanto rompi, calmati un po'.» -si immischia Raff, cercando come al solito di punzecchiare Perla più che difendere me.

Ci guarda con le lacrime agli occhi, profondamente offesa, ma così orgogliosa da prendere il telefono abbandonato sul tavolo e uscire fuori sul balcone, pur di non trasmettere il suo disagio. «Ma vaffanculo.» -bisbiglia tra i denti.

Deve essere un vizio qui, quello di mandare a quel paese le persone facilmente.

Raffaele soffoca una risata, poi si volta a guardarmi.«Oh, vieni qua.».

Tiro un rumoroso sospiro, sedendomi sul divano accanto al mio migliore amico.

«Che è successo?».

«Nina.».

«Mh.».

«Raffo, mi sto mettendo ancora di più nei guai...»

«L'avevo capito... Vedi di uscirne e di non fare cazzate.».

Sto per ribattere, quando una porta si apre e un esemplare di Alisya De Stefano -arrabbiata ma vestita e truccata come se dovesse andare a ballare in discoteca- appare nella penombra del corridoio.

Il mio sguardo fa un tour sul suo corpo, viaggiando dal top bianco alla gonna nera e pieghettata e cerca di immaginare anche cosa ci sia sotto. Entra nel salone e, con disinvoltura, attraversa la stanza per staccare il telefono dalla corrente, arrotola il caricabatterie e lo poggia sul tavolino accanto alla televisione. Si muove e continua ad ignorarmi come se niente fosse, come se non mi avesse procurato una scarica elettrica così impetuosa che, se non ci fossero Perla e Raffaele, le avrei già strappato i vestiti da dosso.

Mi alzo e, mentre è ancora voltata, le picchietto la spalla con un dito. Mi guarda negli occhi, arrabbiata, e io incrocio le braccia e cerco in qualsiasi modo di non scoppiare a ridere.

«Che vuoi?» -ripete, ancora.

Portarti nella tua camera, in questo preciso istante. «Uscire con te.».

Rivolge delle occhiate nervose a Raffaele che, sul divano, pigia il dito sul telefono, non importandosene assolutamente di quello che sta accadendo a due metri da lui. Tuttavia, Alisya si sente osservata, così mi supera e, senza fiatare, apre la porta di casa ed esce.

La seguo, divertito dalla situazione. Ci immergiamo nel buio del pianerottolo e, mentre cerco di accendere le luci, sfioro la mano di Alisya. Trovo l'interruttore e l'immagine di una ragazza disgustata dal mio tocco si materializza a pochi centimetri da me.

«Ti faccio tanto schifo?» -chiedo divertito, voltandomi per chiudere la porta di casa.

«Sì.» -risponde, fredda.

Certo, Alisya, come no.

Continuo a guidare senza meta e, quando scorgo una stradina buia dove nessuno potrebbe disturbarci, mi immergo in essa e dopo pochi minuti parcheggio. Tiro un lungo sospiro, sfilando le chiavi dalla macchina. Mi libero della cintura di sicurezza e Alisya fa lo stesso.

«Primo.» -mormora, sollevando un pollice. «Chi era quella ragazza. Secondo. Mi spieghi che cazzo ti è preso stamattina?» -chiede, cercando evidentemente di darsi un tono.

Immagino che in questo momento il mio cuore abbia due occhi, un naso e la bocca spalancata. Lo vedo, mentre prende una pistola e si spara alla tempia. Mi ha visto con Nina. E' finita. 

Arriccio le labbra e cerco di prendere più aria possibile; il mio respiro fa decisamente troppo rumore. Tamburello il pollice sul volante, gli occhi fissi sulla strada isolata che ci è di fronte.

Potrebbe non essere Nina, penso, affidandomi ad una speranza inesistente. Niente da fare. Sono fritto.

Alzo gli occhi al cielo.«Primo. Quale ragazza?» -chiedo, falsamente accigliato. «Secondo. Ero nervoso, sai com'è: quando sai che la persona che ami potrebbe essere sequestrata da un momento all'altro, non si può essere sempre tranquilli.».

Nel buio, vedo Alisya alzare un sopracciglio, indispettita. Scuote la testa ed incrocia le braccia, come se non avesse ascoltato la mia ultima affermazione. «Ero su quella spiaggia, Michelangelo. Quella ragazza, chi cazzo era!?» -sbotta.

Il mio cervello va del tutto in stand-by.

«Che!? Quella sulla spiaggia!? Era mia cugina! Sei seria, Alisya!? Ti sei offesa per questo!?».

E adesso sono nella merda fino al collo...

Si porta le mani alle tempie, quasi disperata. Sono un idiota. Un completo idiota. Adesso si tranquillizzerà, mi avrà sicuramente creduto e, anzi, crederà di essere lei stessa un'idiota per aver dubitato di me. 

Il senso di colpa più grande arriva quando i suoi occhi si fanno lucidi e, prima che possa fare qualsiasi altra cosa, comincia a piangere disperatamente, cercando di camuffare i singhiozzi con il dorso della mano. E' un attimo. Il filo che collega il cervello al resto del corpo, si spezza in due. Non ragiono più. Sospiro e la tiro a me, in un abbraccio. «Sei un'idiota.», mormoro, come se fosse lei il problema.

Perdonami Alisya, ma lo faccio per te, anche se è difficile credermi.

Continua a singhiozzare. «Ho paura, Michelangelo.» -ribatte, poggiando la testa sul mio petto e guardando la strada abbandonata in cui ho parcheggiato.

«Di cosa, Ali?» -chiedo, cercando il suo sguardo. No, non può essere. Alisya non devi avere paura. Mi sto facendo in quattro per evitare ciò, anche se è evidente che più faccio, più ti provoco dolore. E allora come dovrei agire?

«Di morire.».

Soffoco una risata. «E perché dovresti morire?» -chiedo, cercando di trasmettere ironia, nonostante io abbia più paura di lei. Ah, Alisya, se tu solo sapessi quanto ti amo e quanto mi sto battendo per evitare tutto questo.

Allunga un braccio e mi spintona debolmente. «Non ridere, stronzo!» -esclama. «Non so, forse perché una banda di criminali mi sta alle calcagna?!» -aggiunge, tagliente.

Touché. Non ha tutti i torti; ma ho già capito che il mio cervello ha acquistato un biglietto aereo per il Messico, così con un movimento rapido, le blocco il polso facendola trasalire. La guardo fisso negli occhi, cercando di trovare le parole giuste per dirle che la amo, e che non deve avere paura di morire perché io sarò al suo fianco sempre, qualsiasi cosa succeda.

La sua espressione, da sconvolta, si fa più seria. Dio, quanto è bella. Le mie pupille si soffermano sulle morbide labbra di Alisya, così, senza pensarci, ci stiamo già baciando in modo famelico.

La sua lingua. Sei tu la ragazza che amo. La mia mano. Tu sei tutto quello che voglio. La sua gonna. Ti amo davvero, Alisya

Prima che possa rendermene conto, la porto sulle mie gambe facendola sedere a cavalcioni su di me. Ah, resterei così per sempre...

Continuiamo a baciarci e le sue mani passano fra i miei capelli, facendomi perdere del tutto il senno. «Mi sei mancata.» -mormoro, passando a baciarle il collo. «Sei mia, sei mia, sei mia.» -sussurro, tra un bacio e l'altro.

Avverto il suo sorriso che, inevitabilmente, si proietta sul mio volto; mi morde il labbro inferiore, con una combinazione di malizia e dolcezza che mi fa sorridere il cuore. Si siede sulle mie gambe e si accoccola sul mio petto.

Non riesco a capirne il motivo, ma le immagini del sogno di stanotte si proiettano ancora nella mia mente, come un vecchio film in bianco e nero di cui vorrei strappare la pellicola e dare fuoco. Non dovrei pensarci. Alisya adesso è qui, tra le mie braccia. E' viva. E' salva.

«Credi che io non abbia paura di perderti, Alisya?» -sussurro, accarezzandole una guancia. «E' da tempo che sono a conoscenza di  tutto, e ogni volta che non sono al tuo fianco, io, non lo so... Io... Mi sento davvero male. Ho paura di perderti ogni fottuto giorno che passa Alisya, ma vado comunque avanti, perché...».

«Perché?» -chiede, invitandomi a continuare. Già, perché? Bella domanda.

«Alisya, io...» -mormoro, lasciando nuovamente la frase a metà. Non so cosa sto per dire. Sistemo la schiena sul sediolino, lei solleva il volto per guardarmi meglio.

Cosa stai dicendo!? Tutte queste frasi sconnesse... non vorrai mica...

«Cosa, Michelangelo?» -chiede, con una punta di nervosismo nel tono.

Cosa, Michelangelo?

«Sono uno di loro.».

Silenzio.

L'ho detto davvero.

Sbatte le palpebre. «Ah?» -domanda, visibilmente stordita.

Vorrei fermarmi, ma non ci riesco proprio. «Faccio parte del gruppo...» -deglutisco. «di Testa.».

Sono stordito, come se avessi perso il cervello o come se qualcuno lo stesse prendendo a calci.

Spalanca gli occhi e, in un attimo, poggia la schiena al suo sediolino. Cerca di aprire la porta, ma non ci riesce. Sta scappando?

E' un nanosecondo, quello in cui mi rendo conto di ciò che ho detto. Scuoto la testa, cominciando ad andare nel panico. «Calma, calma!» -urlo. «Alisya, calmati!».

Da che pulpito.

«Non posso stare calma! Mi stai facendo impazzire! Basta!» -strilla, disperata. «Che significa che sei uno di loro!? Che cazzo significa!?» -urla, portandosi la testa fra le mani.

Magicamente, il cervello torna ad occupare il cranio, e riacquisto la capacità di ragionare e dare una risposta sensata ad Alisya. «Sono un infiltrato.» -mormoro, deciso.

La sua espressione cambia radicalmente, sembra di nuovo senza anima. Come nel sogno. «Cosa?».

«Sono un infiltrato. Da un anno. La soffiata che hanno ricevuto i carabinieri... Il tizio che ha parlato del conto in sospeso che aveva Testa qui a Rimini...» -mormoro. «Ha anche detto che, tra di loro, c'è quello che ha ucciso mio fratello.».

«Oh mio Dio.».

Annuisco, poi abbasso lo sguardo, confuso. Adesso che lo sa, deve ulteriormente cucirsi la bocca; sono certo che lo sappia, ma è meglio sottolinearlo. «Alisya, tu non devi dirlo a nessuno, altrimenti...».

«Ovvio che non lo dico a nessuno. Mi fai così stupida!?» -sbotta. All'improvviso poggia le mani sulle mie guance, costringendomi a guardarla negli occhi. «Quindi... Quindi sei in pericolo anche tu.».

Sì, ma a chi importa? Perché a qualcuno dovrebbe interessare? Alisya, diamine, sei tu quella che vogliono uccidere! E' vero, se venissero a sapere che collaboro con le forze dell'ordine mi bucherebbero il petto con un proiettile, ma a chi importa? Sei tu che devi vivere, non io! Io non ho importanza, tu si!

«Era un sì, quello?».

Sospiro. «Sì, Alisya.» -rispondo, assumendo un'espressione seria.

«Ma non ha senso, Michelangelo. Hai solo diciannove anni, non puoi essere un infiltrato.».

Scuoto la testa, cercando in qualsiasi modo di ficcarmi un pugno in gola e di non scoppiare a ridere. «Ho fatto di testa mia, fino a qualche mese fa. Non posso dirti altro.»

«Michelangelo, io non voglio perderti.» -ribatte, gli occhi fissi nei miei, sfiniti.

Ad un tratto, mi balena in mente un'idea. Forse è una stupidaggine, a decido comunque di provarci. «Senti, facciamo una cosa.» -mormoro. «Da stasera, viviamo ogni giorno come se fosse l'ultimo. Stiamo rischiando entrambi la vita, giusto? Allora facciamo tutto quello che abbiamo sempre desiderato, quando arriverà il nostro momento faremo l'amore, ci divertiremo e non avremo mai rimpianti. Ci stai?».

Certo che ci stai. Anche tu mi ami, Alisya, l'ho capito; solo che non riesci ancora a decifrare i tuoi sentimenti.

Si morde l'interno della guancia, poi annuisce in maniera impercettibile. «Sì, ci sto.».

«Mmmh.» -sussurro, fra me e me. «Allora facciamo un giuramento.»

Alza un sopracciglio, quasi divertita, ma non sembra prendermi in giro. «Un giuramento?».

«Hai capito bene.» -rispondo, mettendo una mano sul petto.

Mi guarda stranita, tuttavia sorride e il mio cuore comincia a parlare. «Io, Michelangelo Sedita, giuro solennemente di essere  coraggioso  al tuo fianco, Alisya De Stefano.»

Te lo prometto, Alisya. Farò di tutto per te, perché l'amore che provo nei tuoi confronti è più grande di qualsiasi altro sentimento che si possa provare al mondo.

Poggia anche lei una mano sul petto, assumendo un'espressione solenne.

«Io, Alisya De Stefano, giuro solennemente di essere  coraggiosa  al tuo fianco, Michelangelo Sedita.».

Devi essere coraggiosa, Alisya. Il tuo cuore deve esserlo. Devi farlo per me e per tutti quelli che stanno cercano di proteggerti.

«E di amarti sempre, qualsiasi cosa accada.» -continuo; solo adesso mi accorgo che ho le lacrime agli occhi, ma poco importa.

«E di amarti sempre, qualsiasi cosa accada.».

Decido di interrompere quello che, ad altri, può sembrare un teatrino ridicolo, ma per me è una promessa importante. Il nostro giuramento.

Sorrido e mi avvicino per lasciarle un tenero bacio sulle labbra. «Io non ti lascerò mai, Alisya.» -mormoro.

Non risponde subito, resta a guardarmi, il che mi preoccupa leggermente. Cosa starà pensando?

«Ti amo, Michelangelo.».

Oddio.

Evito di spalancare la bocca, ma ammetto che non me lo aspettavo. Questa si che è una gran dimostrazione di coraggio, per una come Alisya.

Sorrido e le lascio un altro bacio sulle labbra. Mi avvicino al suo orecchio, mentre il mio cuore batte all'impazzata. Ricorda per sempre quello che sto per dirti, amore mio.

«Ti amo, Alisya.».

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