I Fantasmi

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Il fumo avrebbe impedito a chiunque altro di seguirlo, ma non a me: i miei occhi cibernetici erano dotati di varie modalità di visione infrarossa e termica, garantivano una vista più acuta del normale occhio umano e mi permettevano di vedere al buio molto meglio di un uomo comune. In quel frangente mi permisero di ignorare completamente il fumo che permeava la stanza: mi bastò attivare la visione a infrarossi per muovermi attraverso di esso senza alcun problema.

Mi chinai a raccogliere la sfera fumogena, ora inerte a terra, pensando di farla esaminare.

L'intruso si stava dirigendo verso l'uscita, ma era ostacolato dal suo stesso fumogeno, e sicuramente non pensava che sarei riuscito a vederlo: la sorpresa era dalla mia parte.

La sua corazza lo proteggeva, ma quanto ancora poteva resistere? Sparai due colpi, colpendolo con entrambi, ma l'uomo sembrò di nuovo non risentirne; si girò di scatto e iniziò a sparare alla cieca nel fumo.

Presi riparo dietro un mobile, ma non risposi al fuoco: avevo solo altri cinque colpi nel caricatore.

Aspettai che l'intruso cessasse di sparare, poi uscii dalla copertura per contrattaccare, ma questi pochi attimi gli erano bastati per trovare la porta e uscire.

Dal retro della residenza sentii il rombo di un motore: scattai fuori, e per poco non venni investito da una moto che accelerava in direzione di Nuova Roma con due uomini a bordo: l'intruso aveva un complice.

Non dovevano scapparmi: scattai verso l'auto, aprii le porte da remoto e mi lanciai al loro inseguimento.

Il passeggero della moto sparò tre colpi in mia direzione: i primi due andarono a vuoto, ma il terzo infranse il parabrezza, riempendo l'abitacolo di schegge, una delle quali si conficcò in pieno nella mia spalla destra.

Sbandai imprecando, ma riuscii miracolosamente a mantenere il controllo dell'auto; la moto aveva però già guadagnato terreno, e io non ero in condizione di guidare.

Rassegnandomi, inserii la guida autonoma e impostai come destinazione il Centro Ospedaliero Spirit.


Ore 10:30

Centro Ospedaliero Spirit


Togliere i frammenti di parabrezza dalla spalla fu facile, ma doloroso; per fortuna il gel rigenerante poteva rimarginarmi le ferite in poche ore.

Mentre aspettavo che facesse effetto, esaminai con attenzione la sfera fumogena: la sua superficie era completamente liscia, eccetto una scanalatura centrale da dove presumibilmente era fuoriuscito il fumo; non presentava alcun indizio che potesse tradirne l'origine.

Non avevo mai visto una granata simile; non avevo idea di come funzionasse. Non potevo fare altro che chiedere informazioni al Comando Centrale.

Le comunicazioni fra la Terra e Marte richiedono da qualche minuto a più di un'ora: il tempo necessario perché il messaggio arrivi alla Terra e la risposta torni indietro alla velocità della luce.

In quel tempo, non si può fare altro che aspettare e maledire la fisica. Trecentomila chilometri al secondo sembrano un'enormità, ma nella mia situazione sarebbe stato vitale poter comunicare istantaneamente con i miei colleghi sulla Terra.

Passai le ore in ospedale pensando all'incontro con gli assassini di Waters; non riuscivo a capire come potessero avere eluso i sistemi di sicurezza della città e della villa.

Fortunatamente, i miei occhiali contenevano una perfetta registrazione della moto, che potevamo usare per rintracciarla. Ma per farlo, avevo bisogno della MPS.

Contattai la centrale: il capitano Gerard non era presente, quindi mi feci passare il tenente Mann. Se lo avevo valutato bene, avrebbe dato il massimo per ingraziarsi me, e di riflesso il Comando.

«Maggiore Faraday, a cosa devo il piacere?» disse Mann.

«Waters è morto.» dissi, tagliando corto. «Un uomo gli ha sparato, ed è fuggito su una moto da fuoristrada guidata da un complice. Vi trasferirò le immagini appena mi sarà possibile.»

Mann imprecò. «Due amministratori morti in pochi mesi, la MEDCO chiederà la mia testa. E quella del capitano.» aggiunse. «Mando subito l'unità scientifica, magari troviamo qualcosa.»

Ovviamente, la prima preoccupazione di Mann era per sé stesso. Lo avevo giudicato correttamente.

«Lasci perdere, Mann: non troverete nulla, come tutte le altre volte. Invece, faccia immediatamente controllare tutte le immagini delle telecamere cittadine in cerca di quella moto. Iniziamo controllando quelle di stamattina, e procediamo a ritroso.»

«Ricevuto, non ci vorrà più di qualche minuto.»

«No, tenente, non usi software automatizzati per controllare le immagini: i programmi possono essere ingannati. E visto che nessuna telecamera alla villa ha notato qualcosa di strano prima o dopo la morte di Da Silva, e che non è scattato un allarme nemmeno oggi, inizio a pensare che qualcuno sia penetrato nei sistemi di sorveglianza della città.»

«Un hacker, dice? Non abbiamo mai avuto problemi del genere su Marte, maggiore.»

Non avevo né il tempo né la pazienza per discutere oltre. «Mann, non discuta: voglio che una squadra di analisti esamini manualmente tutte le immagini della sorveglianza di tutta Nuova Roma. Riferitemi subito qualsiasi cosa troviate.»

Finalmente, Mann si arrese alla prospettiva del mastodontico lavoro che lo attendeva. «Come vuole lei, maggiore, ma potrebbe volerci qualche giorno.»

«Non importa, aspetterò.»

Mann rimase in silenzio qualche secondo, senza riattaccare.

«Qualcosa non torna, maggiore. I Fantasmi hanno ucciso Waters proprio quando lei doveva parlargli: è una coincidenza troppo grossa.»

«Forse sapeva qualcosa riguardo alla morte di Da Silva.» osservai.

«È possibile, ma il tempismo mi fa pensare che gli assassini sapessero del suo arrivo.»



4 gennaio 16, ore 17:18

Nuova Roma, Tharsis

Appartamento 405 del Quadrante A



Camminavo avanti e indietro nella mia stanza da letto, giocherellando distrattamente con la sfera fumogena, lanciandola in aria e riprendendola al volo: era fin troppo facile, con una gravità pari a circa un terzo di quella terrestre.

Dopo due giorni di attesa, avevo finalmente ricevuto notizie da Montréal: la sfera era di fabbricazione cinese, un prototipo di un nuovo tipo di granata fumogena.

Il funzionamento era semplice: il gas compresso veniva inserito dentro la sfera, che si apriva automaticamente se lanciata in aria, rilasciando il contenuto; la vera utilità di queste sfere rispetto a una comune granata starebbe nella possibilità di essere recuperate e riutilizzate, inserendo nuovo gas.

Era una notizia preoccupante: avevo a che fare con spie cinesi? Era possibile, ma non scontato: la sfera non implicava un coinvolgimento diretto dei cinesi, in quanto poteva essere stata rubata dagli assassini, o essergli stata venduta o contrabbandata da agenti delle Repubbliche Popolari.

Inoltre, cosa avrebbero guadagnato le Repubbliche Popolari dall'assassinio di Da Silva, Von Trips, e Waters? Cosa univa queste tre persone?

Negli ultimi due giorni avevo letto tutto quello che ero riuscito a trovare su von Trips: era a capo della Società di Estrazione Mineraria Interplanetaria, che gestiva le operazioni di scavo in tutto il pianeta. Conduceva una vita riservata e non aveva mogli, figli o amanti note. Era arrivato su Marte solo da un anno, in seguito alla morte per cause naturali del precedente capo della società, quindi difficilmente avrebbe avuto il tempo di crearsi veri nemici personali.

Il suo assassinio doveva essere legato alla sua posizione, non alla sua vita privata. Quindi gli assassini avevano preso di mira la distribuzione energetica e l'estrazione mineraria, due dei pilastri fondamentali su cui si regge la società marziana.

Cosa volevano ottenere gli assassini? Panico su larga scala?

Era possibile: certamente la popolazione di Nuova Roma aveva appreso con sgomento del terzo assassinio in pochi mesi; ormai "I Fantasmi di Tharsis" erano sulla bocca di tutti.

Lo trovavo un nome davvero stupido: innanzitutto Nuova Roma si trova in una regione chiamata Margaritifer, piuttosto lontana dall'Altopiano; è solamente accorpata alla regione amministrativa di Tharsis in quanto più vicina a questa rispetto a Hellas, l'altra regione abitata di Marte.

Inoltre, gli assassini che avevo incontrato mi sembravano piuttosto corporei per essere fantasmi. Non che avessi mai incontrato uno spirito dell'oltretomba, ma ero piuttosto certo che questi non adoperassero armi da fuoco.

Non avevo risposte, al momento. C'era una sola cosa certa: il sostituto di von Trips, un certo Tom Dufresne, era in pericolo. Gli assassini avrebbero potuto eliminare lui esattamente come avevano eliminato Waters dopo che aveva preso il posto di Da Silva.

Gli avevo già fatto assegnare una scorta dalla MPS, ma per ora l'unica speranza di trovare questi "Fantasmi" prima che uccidessero di nuovo era la ricerca messa in piedi da Mann.

Quando mi stufai di rimuginare, mi diressi verso una stanza attrezzata a piccola palestra: era importante che ogni abitazione marziana ne avesse una, perché bisognava allenarsi giornalmente per impedire che la bassa gravità atrofizzasse i muscoli.

Elise mi aveva anticipato: stava correndo sul tapis roulant. O meglio, stava saltellando, per via della bassa gravità. Era piuttosto buffo da vedere, finché non ci si abituava.

«Novità sui Fantasmi?» mi chiese senza rallentare.

Ovviamente non potevo darle troppi dettagli su un'operazione ancora in corso. Qualche vaga informazione era il massimo che potessi concederle, e in realtà non le avevo nemmeno detto che il mio obiettivo era catturare questi "Fantasmi": Elise lo aveva capito da sé.

«Nessuna. La MPS sta ancora cercando.»

«Dagli tempo. È il loro lavoro, no? Sono sicura che ci riusciranno.»

Elise corse ancora qualche minuto, poi rallentò il passo.

«Hai sentito?» mi disse, con il fiato grosso. «Hanno finito l'Ascensore Armstrong.»

«Ci hanno messo poco a ricostruire.»

«La cupola nord è ancora mezza distrutta. Chissà, magari la dedicheranno a te quando sarà terminata. Cupola Faraday: suona bene.»

«Preferisco che la gente non sappia chi sono.» ribattei. «E poi, tutti penserebbero che sia dedicata a quel vecchio scienziato, non a me.»

Elise ridacchiò. «Finalmente! Non ti sentivo fare una battuta da... da una vita.» disse, con una leggera esitazione.

Sapevo a cosa stava pensando: dalla morte di Morgane. E aveva ragione: ero diventato molto più brusco e scostante di quanto non fossi prima.

Non con lei, però. O almeno, speravo di non esserlo diventato.

«Stanno iniziando a pensare seriamente di costruire un ascensore spaziale qui, su Marte.» disse Elise, cercando di cambiare discorso. «Mi piacerebbe lavorarci.»

«Ti manca il lavoro?»

«Un po'.»

«Dovresti restare su Marte per qualche anno, come minimo.» osservai.

«Vero, ma comunque non serve pensarci adesso. Non hanno nemmeno annunciato il progetto.»

La nostra conversazione venne interrotta dalla vibrazione del mio tablet.

Era Mann, che mi chiedeva di raggiungerlo in centrale. Non mi aveva dato alcun dettaglio: da quando sospettavamo che i Fantasmi stessero controllando le nostre comunicazioni, avevamo limitato al minimo indispensabile i messaggi.



Poco più tardi,

Quartier Generale della MPS



Meno di mezz'ora più tardi, mi trovavo in una stanza piena di schermi, insieme a vari analisti della Sicurezza Planetaria capitanati da Mann.

«Aveva ragione, maggiore.» disse il tenente. «Sta succedendo qualcosa di strano con le telecamere.»

«Mi faccia vedere.»

Il tenente mi indicò uno degli schermi. «Ecco, guardi questa immagine.» disse.

Vidi un normale incrocio, alla periferia di Nuova Roma. Alcune persone camminavano sui marciapiedi, e una solitaria automobile della MPS pattugliava la strada. Non c'era traffico, cosa normale su Marte: qui i cittadini delle grandi città si spostavano perlopiù via treno. La telecamera segnava le ore 24:10.

«Non vedo nulla di strano.»

Mann mi indicò un punto sullo schermo: la facciata di un'abitazione. La osservai minuziosamente, e mi accorsi che sul muro era visibile una sagoma nera dalla forma indistinta.

«Cos'è?» esclamai.

Mann fece riprodurre il video a velocità raddoppiata: qualche secondo dopo, la sagoma sparì di colpo dalla facciata.

Guardai il tenente, confuso più di prima. Cos'era quell'ombra, e perché era sparita improvvisamente?

«Molto strano, non trova?» disse Mann. «Lo ha scoperto una dei nostri analisti, Mia Haywood.»

Mann fece cenno di avvicinarsi a una ragazza bionda, bassa e piuttosto carina, che dall'aspetto sembrava qualche anno più giovane di Elise. Mia Haywood... il nome mi ricordava qualcosa.

«Mia, spiega tu al maggiore cosa hai scoperto. Dopo tutto è solo merito tuo.»

La ragazza mi rivolse uno sguardo nervoso; sembrava molto agitata. Potevo capirla: probabilmente ero l'ufficiale di grado più alto con cui avesse parlato

«Ecco, è un onore conoscerla signore, io...»

«Venga al punto, agente Haywood, non c'è tempo da perdere in convenevoli.» la interruppi. «Mi dica che cos'è quell'ombra»

Mia abbassò lo sguardo e arrossì violentemente.

«Vede, signore, quando ho visto quella sagoma sul muro ho pensato che potesse trattarsi di qualcosa nascosto da un dispositivo di occultamento, o comunque una tecnologia simile.» spiegò con voce tremante.

«E come mai questo oggetto fa ombra, se è invisibile?»

«Ecco, non serve essere davvero invisibile per non comparire sulle telecamere: basterebbe riflettere le onde elettromagnetiche nella lunghezza d'onda che usano le telecamere.»

«Quindi, se io guardassi direttamente questo oggetto, potrei vederlo? È invisibile solo alle telecamere?»

«Precisamente, maggiore. Io credo che si tratti della moto usata dai Fantasmi, e che infatti lei ha visto normalmente, alla villa. Nel filmato, devono averla appoggiata al muro di quell'edificio: la sagoma è lì perché la moto si trova fra il muro e l'illuminazione, impedendo alla luce di raggiungere il muro.»

«Capisco. Avete trovato altre prove?»

«Certamente, maggiore.» disse Mann. «Abbiamo controllato manualmente anche tutti i filmati di sorveglianza della villa, come ci ha chiesto. Guardi, le faccio vedere.»

Sullo schermo comparve l'immagine della porta d'ingresso della villa.

«Questa registrazione risale al giorno della morte di Da Silva, alle ore 8:53. Da Silva era già al lavoro e la villa era vuota: osservi con attenzione la porta.»

Davanti ai miei occhi, la porta si aprì improvvisamente da sola, e qualche minuto dopo si richiuse.

«La stessa cosa succede il giorno della morte di Waters, poco prima del suo arrivo. È chiaro che i Fantasmi usino la stessa tecnologia nelle loro corazze balistiche. Sembra che dopotutto il loro nome sia azzeccato.»

Non dissi nulla a Mann per non perdere tempo inutilmente, ma questo lo avevo già capito. Se le corazze non fossero state dotate di sistemi mimetici analoghi alla moto, avremmo visto due uomini sfrecciare per le strade cittadine a cavallo del nulla. Una cosa che certamente non sarebbe passata inosservata.

«Avete idea di come contrastare questa tecnologia?»

«Visione termica.» rispose il tenente. «Le nostre telecamere la usano durante le tempeste di sabbia più intense. Abbiamo già dato ordine di mantenerla costantemente attiva: non appena le telecamere rileveranno una moto qualsiasi sarà subito disattivata, e se la moto diventerà invisibile, scatterà un allarme. Non possono sfuggirci.»

Dovevo ammetterlo: la Sicurezza Planetaria era andata ben oltre le mie aspettative.

«Ottimo lavoro.» dissi. «Mann, mi avvisi non appena li trovate.»

Il tenente Mann si attardò per congratularsi personalmente con i suoi uomini, con fare soddisfatto. Io mi defilai dirigendomi verso l'uscita, ma andai quasi a sbattere contro l'agente Haywood, che iniziò a scusarsi profusamente, costernata e imbarazzata.

Mia mi risultava istintivamente simpatica: mi ricordava di me, quando ero un giovane e inesperto agente del SAS, anche se era decisamente più insicura di quanto io fossi mai stato.

«Agente Haywood, speravo giusto di incrociarla.» le dissi, interrompendo le sue scuse. «È stata molto ingegnosa oggi, farò sicuramente il suo nome al direttore Miller. A Montréal non dispiacerebbe avere analisti in gamba come lei.»

«Grazie, maggiore.» balbettò Mia.

«È sempre così agitata con i suoi superiori, agente?» domandai.

«No, signore, sono solo emozionata. Vede, mia... mia sorella vive alla Base Cernan.»

Improvvisamente, mi ricordai dove avevo sentito il suo nome.

«Sua sorella è Maya Haywood?»

Mia annuì. «Sì, signore. È mia sorella maggiore.»

«Adesso capisco.» esclamai, sospirando «Sua sorella le ha raccontato dell'operazione alla Armstrong, vero? Mia, non ho fatto nulla di speciale quel giorno: soltanto ciò che mi era stato chiesto di fare. Esattamente come fa lei, o chiunque altro qui dentro.»

«Lei è troppo modesto, maggiore. Ha salvato tutti quegli ostaggi con soli tre uomini: nessuno qui dentro sarebbe riuscito a fare lo stesso.»

«Su questo ha sicuramente ragione.» convenni. «Ma non salti alle conclusioni, Mia: come sua sorella può dirle, nel mio lavoro non esistono eroi.»

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