Shackleton

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Luna,

23 giugno 2513, ore 10:05

Cratere Shackleton

Base Cernan


Il Fronte Lunare aveva le ore contate: il Comando Centrale aveva appena chiesto a Miller la testa di Hans Rosenberg. La mia missione era cambiata di conseguenza: non dovevo più monitorare le attività del Fronte, dovevo smantellarlo e consegnare Rosenberg al Comando, vivo o morto.

La sicurezza in tutte le basi lunari sarebbe stata triplicata, ma portare uomini e materiale sulla Luna avrebbe richiesto alcuni mesi; purtroppo non potevamo essere più veloci di così, e il Fronte lo sapeva e si era mosso.

Su tutta la Luna, gli affiliati del Fronte erano misteriosamente scomparsi negli ultimi due giorni: tutte le nostre basi tranne la Artemis avevano segnalato rover manomessi o rubati.

Dove potevano essere andati? Non era cosa facile nascondersi sulla Luna: sicuramente il Fronte aveva una base da qualche parte. Non potevano averne costruita una senza farsi notare, quindi dovevano averne occupata una abbandonata.

Questo non restringeva il campo: in quattro secoli di esplorazione lunare, molte basi erano state costruite e poi abbandonate per i più disparati motivi.

Per il momento, il nostro unico indizio era la provenienza del missile Tunguska: il cratere Shackleton, vicino alle base Cernan.

Lo Shackleton è un altro cratere perennemente in ombra, come il Malapert, e la Cernan lo sfrutta per rifornire di acqua e idrocarburi le altre basi nelle vicinanze. La Cernan è molto più piccola della Artemis: è un piccolo avamposto minerario composto da una cupola singola, e poche decine di persone vi lavorano. Come quasi tutte le basi lunari dell'Alleanza, porta il nome di uno degli astronauti del Programma Apollo.

Avevo lasciato la mia squadra alla Artemis: non mi aspettavo di trovare uomini del Fronte al sito del missile, sarebbe stato decisamente stupido non andarsene dopo averlo lanciato. Inoltre, non potevamo escludere che il Fronte tentasse nuovamente di sabotare l'ascensore.

Arrivato alla Cernan via treno, mi diressi alla rimessa dei rover, situata di fianco all'accesso cargo, ed entrai guardandomi attorno. Il pilota era stato avvisato del mio arrivo, e doveva essere già in attesa.

Non ero per nulla a mio agio all'idea di recarmi all'esterno sulla superficie lunare: un guasto nei sistemi della tuta EVA significava morte certa.

E non era l'unica "attrattiva" del nostro satellite: un'esposizione troppo lunga alle radiazioni cosmiche, inevitabile senza atmosfera a proteggermi, mi avrebbe ugualmente portato alla morte, peraltro molto più lunga e dolorosa rispetto al soffocamento per mancanza d'aria.

E se invece il rover si fosse guastato mentre eravamo in una zona d'ombra saremmo senz'altro morti, probabilmente di freddo.

E se anche tutto quanto fosse andato bene, ma al rientro avessi accidentalmente respirato anche una minima quantità di regolite lunare mi aspettava come minimo una lacerazione ai polmoni. Quella polvere grigiastra all'apparenza innocua è estremamente tagliente, perché sulla Luna ovviamente non c'è aria o acqua che la levighi e la trasformi in innocua sabbia come succede sulla Terra: la regolite è più pericolosa perfino dell'amianto.

Ero abituato a rischiare la vita per lavoro, ma non all'idea che una semplice passeggiata all'aperto fosse potenzialmente letale in così tanti modi diversi. Di sicuro, qui sulla Luna nessun genitore avrebbe mai detto: "Basta TV, ora vai a giocare fuori" ai propri figli.

Erano passati pochi giorni, e sentivo già la mancanza della Terra.

Nella rimessa erano allineati cinque grandi rover lunari a sei ruote, ciascuno abbastanza grande per trasportare diverse tonnellate di materiale. Erano a tenuta stagna, naturalmente, perché dovevano tenere in vita l'equipaggio nel vuoto lunare. Il serbatoio di aria respirabile poteva tenere in vita l'equipaggio massimo di cinque persone per tre giorni, o un singolo passeggero per quindici.

Il serbatoio di quello più vicino al portello di accesso era collegato a una cisterna d'aria: avremmo usato quello.

Una donna dai capelli ramati vestita in uniforme dell'Agenzia Spaziale dell'Alleanza stava osservando il rifornimento, monitorando le operazioni da un tablet.

Quando mi sentì, alzò gli occhi dallo schermo e mi guardò con curiosità.

«Sei Faraday?» disse. «Arrivi giusto in tempo, il rifornimento è al 96%»

«Capitano Faraday.» la corressi. «Sto cercando il pilota, Haywood.»

«Eccomi qua. Maya Haywood, al tuo servizio.»

Sbarrai gli occhi e la guardai dall'alto in basso. Non era esattamente la prima persona che avrei scelto per accompagnarmi in un'attività extraveicolare sulla Luna: poteva avere l'età di Elise, ed era piuttosto minuta.

«Spero tu sia abbastanza capace: questa missione è cruciale.»

Maya corrugò la fronte. «Sono stata assegnata alla base Cernan due anni fa, come specialista di EVA e pilota. Da quando sono qui ho totalizzato tremila ore di guida, e prima ancora ho superato cinque anni di addestramento: credimi, so quel che faccio, o l'ASA non mi avrebbe mandata qui.»

Doveva bastarmi, pensai. «Dobbiamo raggiungere il fondo di Shackleton. Ci sei già stata?»

«No, ma non è un percorso difficile.» disse Maya, disconnettendo il serbatoio d'aria dalla cisterna. Eravamo pronti a partire.

«Le tute EVA sono già dentro, possiamo partire.»

«Allora muoviamoci.»

L'interno del veicolo era claustrofobico. Lo spazio era a malapena sufficiente ad alloggiare l'equipaggio massimo di cinque persone, e sebbene fosse possibile dormirci chiaramente non era stato progettato con la comodità in mente.

Maya accese il motore, che prese vita rombando.

I motori a scoppio, banditi da tempo sulla Terra, erano ancora impiegati sulla Luna: non ci si deve preoccupare delle emissioni se non c'è un'atmosfera da inquinare. E con notti lunghe quattordici giorni terrestri, l'energia solare non è sempre disponibile.

D'altro canto i carburanti, soprattutto idrogeno o metano, sono molto infiammabili, quindi molto pericolosi in una base lunare. Venivano conservati in apposite cisterne, e pompati dentro i serbatoi solo quando i rover devono partire.


Procedemmo per un paio d'ore verso il fondo del cratere.

«Haywood, non avete mai avuto problemi con il Fronte alla Cernan?» domandai.

Maya scosse la testa. «No, siamo una base molto piccola. C'erano alcuni simpatizzanti, ma dopo l'attacco ad Apophis il Fronte li ha persi quasi tutti. Non so cosa sperassero di ottenere.»

«Questo è quello che devo scoprire.»

«Credi che abbiano altri missili nucleari?» esclamò Maya con preoccupazione. «Potrebbero colpire una delle nostre basi?»

«Non posso escluderlo.» ammisi. «Ma farò tutto ciò che è in mio potere per impedire che succeda.»

«Spero che sia abbastanza.»


Raggiungemmo senza intoppi il limitare della zona d'ombra, e Maya accese i fari del rover.

Mano a mano che scendevamo, la temperatura calava, e io osservavo con apprensione la cifra segnata dal termometro esterno: meno trenta, meno quaranta, meno cinquanta...

«A che temperatura resistono le tute EVA?» chiesi.

«Quasi meno duecento, non preoccuparti.»

«Ne hai mai usata una a quelle temperature?»

Maya ridacchiò, evidentemente divertita dai miei dubbi.

«No. Normalmente non scendiamo nelle zone d'ombra perenne, e non usciamo dalle basi di notte se non è assolutamente necessario. Quindi ci farai da cavia.»

«Non vedo l'ora.» mormorai.


Giungemmo sul fondo ghiacciato del cratere, punteggiato qua e là da giacimenti di idrocarburi che sonde robotizzate estraevano autonomamente. Il missile era stato lanciato pochi chilometri più a est.

«Allora, Faraday: come mai hanno mandato te quaggiù, invece di un esperto di EVA?» chiese Maya mentre ci avvicinavamo al punto.

«Capitano Faraday.» le ricordai. «E hanno mandato un'esperta di EVA. O mentivi, prima?» risposi.

Maya alzò gli occhi al cielo. «Sai almeno come usare la tuta?» domandò sbuffando.

«Sì, mi hanno fatto fare un corso prima di spedirmi sulla Luna.»

«Meglio di niente, immagino. Ma sarebbe comunque meglio se fossi io a uscire.»

«Fuori discussione. Non sapresti dove cercare. Le sonde robot non hanno trovato nulla di strano, il sito del lancio deve essere nascosto in qualche modo.»


Arrivammo infine alle coordinate esatte del segnale radio: le telecamere esterne del rover mostravano una parete rocciosa franata, che chissà quanti secoli prima del nostro arrivo era collassata ricoprendo la zona; in lontananza un gruppo di droni-trivella stava estraendo ghiaccio da un giacimento, che scintillava alla luce dei fari del rover.

Mi preparai ad uscire: indossai la tuta mentre il rover disponeva la camera di decompressione per l'uscita, ed entrai nella camera mentre indossavo il casco.

«Sicuro di non volere che venga anch'io?» disse Maya.

Senza rispondere, chiusi davanti a lei il portello interno. Ora dovevo provare la radio della tuta prima di uscire.

«Mi ricevi?» dissi.

«Sì, ti sento, funziona tutto come dovrebbe.» rispose Maya, seccata, tramite la radio del rover. «Un "no" sarebbe bastato, sai?»

«Inizia la decompressione, io sono pronto.» risposi, ignorandola.

Aspettai che l'aria venisse espulsa, poi aprii il portello esterno.

Fui colpito dal silenzio tombale che mi circondava: i droni-trivella che operavano nella zona erano estremamente rumorosi, eppure in mancanza di atmosfera non potevo sentire alcun suono. Solo il ronzio degli strumenti della tuta mi teneva compagnia.

Mi avvicinai alla parete rocciosa e la controllai. Non aveva nulla di strano, frana esclusa, ma era una cosa più che normale per un cratere vecchio milioni se non miliardi di anni.

Mi aggirai per qualche minuto nel cratere, senza trovare indizi che indicassero se il Tunguska fosse stato effettivamente lanciato da qui.

«Sei sicura che siano le coordinate giuste?» chiesi a Maya via radio.

«Me le hai date tu, Logan.» replicò lei.

«Non ricordo di averti detto che puoi chiamarmi per nome, Maya.»

«Lo hai appena fatto anche tu.»

Sbuffai, irritato. «Voi astronauti siete tutti così irriverenti?»

«E voi del SAS avete tutti delle scope piantate nel...»

«Piantala, Maya.» le intimai.

Continuai a spostarmi lungo la parete per qualche altra decina di metri, senza notare nulla di strano.

«Sei davvero sicura che siano le coordinate giuste, Maya? Qui non c'è niente.»

«Me l'hai già chiesto: le coordinate che mi hai dato sono dritte davanti al rover. E lo vedo anche da me che non c'è nulla, a meno che non sia dentro la roccia.»

Mi bloccai di colpo. E se davvero il sito del lancio fosse sotto la roccia? La frana poteva non essere affatto antica quanto pensavo. Qualcuno, cioè il Fronte, poteva aver fatto collassare apposta il cratere per occultare il sito.

«Maya, sei un genio!» esclamai.

«Era solo una battuta, Logan, non intendevo dire sul serio.» rispose lei, confusa dal mio improvviso entusiasmo.

«C'è un risonatore nel rover?» le chiesi.

«Un risonatore?»

«Sì, quegli attrezzi che si usano per mappare il sottosuolo con le onde sonore.»

«So che cos'è un risonatore. Ma a cosa ti serve?»

«A controllare che non ci sia qualcosa sotto di noi.»

«Potremmo averne uno nella cassetta degli attrezzi, gli ultimi ad avere usato questo rover erano dei geologi. È agganciata al lato sinistro.»

Tornai al veicolo, e sganciai il coperchio della cassetta: all'interno c'era una moltitudine di strumenti scientifici che non conoscevo. Conoscevo però l'aspetto e l'uso dei risonatori: erano dei semplici cubi, di cui si appoggiava una qualsiasi faccia al terreno, per poi venire attivati in remoto. Erano costruiti in questo modo per poter essere usati anche su pareti verticali, o ad angolo.

«L'hai trovato?»

«Sì!» esclamai trionfalmente. «Ce ne sono due.»

Ne presi uno a caso: era piuttosto voluminoso, e dovevo usare entrambe le mani per spostarlo. Con la gravità lunare, era però piuttosto leggero. Lo posizionai a terra, e mi allontanai di qualche metro.


Il risonatore emetteva un rumore immenso, e sebbene sulla Luna questo non potesse propagarsi nell'aria, poteva farlo nel suolo: le vibrazioni sarebbero state molto intense. Quando diedi l'ok, Maya innescò il risonatore dal rover.

Pochi istanti dopo, avvertii le vibrazioni del risonatore. Capii subito di essermi allontanato troppo poco.

«Come diavolo fa a produrre tutta questa energia?» chiesi a Maya.

«Non ne ho idea! Sono un pilota, non un geologo.»

Cercai di spostarmi, ma muoversi senza cadere era estremamente difficile. Improvvisamente, il terreno sotto i miei piedi collassò e iniziò a franare.


Ebbi a malapena il tempo di accorgermene, prima di essere trascinato verso il basso.

Fu la bassa gravità lunare a salvarmi. Sulla Terra mi sarei probabilmente rotto una gamba o peggio, ma sulla Luna si poteva cadere da distanze molto più grandi senza farsi nulla.

Quando caddi, fui preso inizialmente dal panico, ma solo perché il mio cervello si aspettava di cadere a un'accelerazione di 1 G, non di 0.166 G. Non appena mi accorsi di stare a tutti gli effetti cadendo al rallentatore, mi calmai.

Toccai terra delicatamente. Per fortuna, le rocce che ora mi circondavano al suolo non avevano danneggiato la tuta EVA.

Guardai in alto: potevo vedere il cielo stellato dalla fenditura nel suolo, ma intorno a me c'era l'oscurità più totale. Non riuscivo nemmeno a vedere dove fossi precipitato.

«Logan, stai bene?» esclamò Maya alla radio, preoccupata.

«Sì, sì, tutto a posto, ma non vedo nulla qui sotto.»

«Dammi un secondo, vedo se trovo qualcosa.»

Maya fece scendere un faretto nella caverna con una corda.

«Ecco a te. Occhio agli orsi lunari, lì dentro.»

Recuperai il faro e lo accesi.

Dovevo trovarmi in un cunicolo scavato dalla lava, miliardi di anni fa: la Luna ne era piena. Probabilmente, le vibrazioni del risonatore dovevano aver fatto cedere il suolo al di sopra.

Come avevo immaginato, davanti a me si trovava l'ingresso di una base lunare sotterranea.

Al centro, campeggiava la scritta Roscosmos.

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