IL CREATORE (Pov Lily)

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Per ottenere qualcosa è necessario dare in cambio qualcos'altro che abbia il medesimo valore.

In alchimia è chiamato il principio dello scambio equivalente.

A quel tempo noi eravamo sicuri che fosse anche la verità della vita.

Invece, il mondo reale è imperfetto e non esiste davvero una legge che sia in grado di spiegare tutto quanto, nemmeno il principio dello scambio equivalente.

Eppure noi continuiamo a credere che l'uomo non possa ottenere niente se non paga un prezzo.

(Fullmetal Alchemist)

Lily's Pov

«Marco! Lily!»  la voce di Jemina giunge dall'alto. Alzo lo sguardo e la vedo salutarci da una sporgenza di una roccia, simile ad un balcone. 

Le abitazioni di questo popolo assomigliano al cappello del mago. Un cono pieno di aperture che fungono da porte o finestre. Più ci avviciniamo e più dettagli appaiono ai miei occhi: posso scorgere tende colorate, incisioni sulla pietra simili ad animali, oggetti decorativi appesi accanto ad alcuni ingressi. Sollevo nuovamente lo sguardo verso Jemina e accanto a lei vi è un uomo alto coi capelli scuri. Improvvisamente provo disagio, il suo sguardo reclama la mia vita come una sua proprietà. Assurdo, non so chi sia quell'uomo, forse è solo la mia immaginazione.

Entriamo nella costruzione e gli abitanti di questa dimensione ci vengono incontro, si inchinano per salutarci. Noi facciamo lo stesso. Assomigliano a noi terrestri solo che la pelle sembra creta, è porosa e quando riflette i raggi solari brilla come se contenesse granelli di quarzo.

Iniziamo a salire delle scale e ci troviamo in una stanza luminosa, per essere all'interno di una grotta. Al centro vi è un tavolo rotondo, tappeti ovunque e arazzi sui muri, molti cuscini per terra, non esistono né sedie né divani.

Jemina mi viene incontro e mi abbraccia. Mi irrigidisco di colpo consapevole del mio aspetto alieno.

«E così questa è la tua trasformazione, sei carina» mi accarezza la testa come se fossi un cucciolo.

Trovo incredibile come tutti accettino questo aspetto come se fosse normale. Poi penso alle creature delle varie dimensioni, conosciute fino ad ora, e comprendo che ormai sono abituati a vedere così tante varietà di forme da non stupirsi più.

«Scusa Sabbath, mi permetto di interrompere un secondo la missione: potresti darle il tempo di guardarsi allo specchio?» Marco interviene in mio favore, vorrei ringraziarlo ma quando Sabbath scosta un tappeto appeso al muro, e vedo la mia immagine riflessa, rimango senza parole.

Il mio corpo è della stessa dimensione di prima, purtroppo non sono diventata più alta. Le gambe sono per metà zampe, fino al ginocchio e poi tornano normali. Con esitazione tocco la folta pelliccia: è morbida come seta. Al posto dei jeans ho dei pantaloncini neri cortissimi e attillati, fatti di con un tessuto che non riconosco. Cambio persino vestito? A Marco non accade. Ho una coda lunghissima ricoperta di pelliccia e due ali viola scuro come quelle dei draghi dei film fantasy.

Non indosso più il maglione ma un top nero cortissimo e anche lui troppo attillato. Sono a disagio. Voglio coprirmi. Questo aspetto non mi appartiene. Sono spaventata e confusa. Cerco di concentrarmi sui dettagli così da non entrare in panico: il mio viso è identico a prima, solo che ho gli occhi gialli e le pupille come quelle dei gatti. Si allargano e si stringono a seconda della luce. I capelli non sono più castani ma rossi a parte due ciocche nere.

Quell'essere riflesso sono realmente io: tocco il vetro dello specchio e seguo i lineamenti del mio volto. Ho spesso sognato di volare da ragazza, di visitare luoghi a me estranei con un corpo diverso da quello con cui sono nata, ma questa forma mi terrorizza.

Noto un movimento riflesso nello specchio, Sabbath si è avvicinato. È un uomo maturo, tra i suoi capelli neri risaltano due ciocche di color diverso, bianco latte. Strana questa similitudine. Ha un portamento regale, ricorda i dipinti delle divinità indiane. Non ha lineamenti perfetti, il naso è aquilino e la pelle olivastra. Scaturisce da lui una certa luce e un fascino carismatico. Sorride al mio riflesso e ricordo qualcosa, un'immagine appare e scompare senza lasciarmi il tempo di farla mia. Quest'uomo lo conosco, ne sono certa.

«E così sei tornata piccola Lilith» la sua voce è calda, con un timbro molto basso.

«Come sono tornata?» chi è quest'uomo? Quando l'ho conosciuto?

«Che peccato, non ricordi ancora» il sorriso scompare. L'ho ferito?

«Ora possiamo riprendere la missione» la voce di Marco sembra fredda e quasi scocciata, forse è solo una mia impressione.

«Si, certo» Sabbath e Marco si fissano per qualche secondo con malcelata ostilità, sembra che abbiano vecchi rancori in sospeso.

Elisabetta sussurra «Tutto bene?» e mi sistema i capelli dietro le spalle con fare materno.

«Si...» insomma credo. Sono confusa. Intorpidita dallo shock «mi sento a disagio con questi abiti e le zampe, non mi posso coprire?»

Ride. «Tesoro meglio di no. Questo aspetto è perfetto per muoversi nelle dimensioni, variarlo potrebbe crearti problemi. Non sentirti a disagio, nessuno ti giudicherà per come appari. Non ti preoccupare, per noi l'importante è che tu riesca ad accettarti»

Accettarmi? Noi donne fatichiamo tutta la vita per imparare ad amare il nostro corpo, e a volte nemmeno ci riusciamo. O siamo troppo magre o troppo grasse. Troppo basse o troppo alte. E il problema non riguarda solo la nostra psiche, la società stessa ci impone degli standard da raggiungere e se non rientri nell'idea costruita vieni ostracizzato. E ora mi ritrovo con delle zampe e una coda! Sulle ali posso tranquillamente soprassedere. La coda potrebbe piacermi alla fin fine, ma le zampe...  Vedere le mie gambe così pelose è veramente orribile. E questo abbigliamento? Come può essermi utile? Sembra che inciti tutti a guardarmi e detesto essere osservata. Non amo stare al centro dell'attenzione.

Le stringo forte la mano, nonostante tutto, quelle parole mi hanno veramente fatto piacere. Per la prima volta c'è qualcun altro oltre Simone che si preoccupa per me, è una bella sensazione e mi cullo in questo sentimento per acquietare il tumulto interiore e tornare a seguire i loro discorsi.

«... siamo riusciti ad appurare che l'anomalia giunge da qui» Sabbath indica  un punto su una mappa posta sull'unico tavolo della grande sala, Marco annuisce con la testa. Stanno collaborando cordialmente, eppure sembrava che si odiassero.

«Purtroppo non siamo state in grado di arrampicarci sulle rocce, sono troppo ripide e appuntite. Jemina si è appunto ferita nel tentativo» specifica Elisabetta.

La gamba di Jemina è fasciata, sono stata così presa da me stessa da non accorgermi che fosse ferita.

«Come stai?» Le sfioro il braccio.

«Bene. Il processo di guarigione ha già cicatrizzato le altre ferite, per questa» indica la fasciatura «ci vorrà un po'di più, ma per domani mattina sarà sparita»

«A questo punto non ci rimane altro da fare che volare lassù, andiamo Lilith?» Marco mi guarda negli occhi cogliendomi di sorpresa. Non stavo ascoltando.

«Volare?» ho capito bene?

«Beh, mica le hai per bellezza quelle» si avvicina e mi pizzica l'ala.

«Ahi!» istintivamente lo colpisco allo stomaco col gomito. Incassa il colpo come se lo avessi accarezzato.

«Vedi sono parte di te, pensa di volare, spalancale e lascia che sia l'istinto a guidarti. Vieni» e allunga la mano.

Rimango lì a fissarlo come un pesce lesso.

È un'immagine stupenda: ha le ali aperte e tende la mano verso di me, la luce entra dalla finestra dietro alle sue spalle, sembra davvero un angelo. Rapita da quella visione gli prendo la mano senza pensare e ci dirigiamo sul balcone.

«Forza» stringe ora entrambe le mie mani tra le sue. Improvvisamente si alzano in volo una moltitudine di farfalle nel mio stomaco. Cosa sta succedendo? Devo concentrarmi, si lo so. Lo so. È così difficile con tutte queste emozioni.

Chiudo gli occhi, cerco di non farmi distrarre da quello che accade intorno. Mi immagino con le ali aperte, in volo, come nei sogni. Improvvisamente sento l'aria che sposta i capelli. Apro gli occhi e sto volando!

«Ma...sto volando? È davvero così semplice?» non ci credo!

«L'istinto è un gran cosa» non ha ancora lasciato le mie mani. Rimaniamo sospesi in aria per un po', il tempo necessario per acquisire più fiducia in me stessa. Poi mi lascia e rimango sospesa da sola. Fa segno di seguirlo.

È come imparare a camminare. Naturale. Con qualche scossone verso il basso e l'incapacità di seguire una linea retta, ma insomma sto volando per la prima volta!

Arriviamo nel punto segnato sulla mappa e atterriamo su una strana roccia dalla forma cilindrica che sovrasta l'intera valle. Intorno a noi ne vedo altri di questi affioramenti rocciosi che risultano essere più bassi rispetto a quello dove siamo.

«Non vedo nulla» mi guardo attorno.

«Nemmeno io. Aspettiamo un po' magari scorgiamo un movimento» Marco fa sparire le ali.

Il panorama è stupendo: la sabbia ha riflessi rossi e il cielo si sta colorando di arancione. I soli stanno tramontando. In lontananza l'azzurro del mare ha lasciato posto al viola.

«Come mai non si rovina la tua maglietta?» gli tocco la schiena nel punto in cui sono scomparse le ali: è intatta.

«Non ti spostare, resta ferma dove sei che ti faccio vedere» piccole palline luminose appaiono sulla schiena, si concentrano. La luce si fa sempre più forte e mi sento attraversare da una strana energia, calda e confortante. Nella luce scorgo delle piume, allungo la mano per toccarle. Sono solide ma nello stesso tempo non lo sono, sento un leggero pizzicore sui polpastrelli. È piacevole. Di colpo la luce diminuisce e le sue ali sono davanti a me spalancate. Le tocco nuovamente: sempre la stessa sensazione di corrente che scorre tra le dita.

«Hai capito ora? Non posso spiegare come sono fatte perché non ne sono in grado» la sua voce è rauca.

«Si capisco. Le potrei definire luce solida» non riesco a smettere di toccarle.

«Ci conviene tornare. Qui non c'è nulla. Sorvoliamo la zona per sicurezza» Marco interrompe improvvisamente quel contatto alzandosi in volo, stordita dall'emozione lo seguo.

Sotto di noi solo sabbia. Qualcosa attira la mia attenzione. Perdo il controllo delle ali, vedo il terreno avvicinarsi, sto scendendo in picchiata. Anzi no. Sto cadendo. Eppure sono tranquilla. Non ho paura. Va tutto bene. Qualcuno mi sta chiamando, laggiù.

«Cos'hai!» la voce di Marco mi risveglia di soprassalto, sono tra le sue braccia e non ricordo come ho fatto a finirci. Provo la sensazione sempre più forte di raggiungere quella voce che continua a chiamarmi. Marco ha gli occhi spalancati dallo stupore, o forse dallo spavento. Pensandoci bene mi ha visto precipitare a terra. Ero senza ali, ecco perché non riuscivo a controllarle. Non sono più trasformata, sono normale. Che bello i miei piedi!

«Qualcosa laggiù mi chiama» gli indico un luccichio nella sabbia.

«Andiamo a vedere»

Atterriamo lì vicino, quello che avevo visto dall'alto risulta essere una sfera luminosa. Avvicinandomi noto che ha due piccole ali, pulsa, sembra viva.

«Che cos'è?»

«Incredibile! Non ne avevo mai vista una» 

«Marco? Di cosa parli?»

«Questa che vedi è un'anima che non ha subito ancora un'incarnazione» risponde emozionato.

«Una cosa?»

«È un bimbo non ancora nato. Ma non capisco cosa fa qui... non ha senso»

«Magari è lui il frutto dell'anomalia. Solo un bimbo?» mi avvicino e la tocco, la sfera si illumina un pochino e poi torna a brillare come prima «Cos'ha? Sta male?»

«Credo di si. Non dovrebbe trovarsi qui. Andiamo. La portiamo con noi, questa cosa va capita. Torniamo dagli altri»

Prendo in braccio la sfera, ha consistenza. Le ali sono come quelle di Marco mentre il corpo, quello che emette luce, è gelatinoso. Provo a concentrarmi per trasformarmi di nuovo, vorrei poter mantenere i vestiti che indosso anche se col cappotto sto collassando dal caldo. Spalanco le ali e seguo Marco nel cielo. 

Ora sembra tutto più semplice, come se volare e cambiare aspetto fosse una cosa naturale per me. Come può la mia mente adattarsi così velocemente a tutto ciò?

«Un Non Incarnato. Chi l'avrebbe detto che ne avrei visto ancora uno?» Sabbath accarezza la piccola sfera di luce che nel frattempo si è ripresa e vola intorno a tutti. Ci sta studiando?

«Puoi spiegarti meglio?» Sabbath mi fissa con uno sguardo che mi scombussola l'anima, ho la sensazione di aver toccato un argomento delicato e forse non voglio più sentire la risposta alla domanda.

«Un tempo lontano il compito del mio popolo era aiutare i Non Incarnati ad entrare nel ciclo delle vite, allora il flusso di queste piccole anime era costante e continuativo. Eravamo in tanti, dispersi tra le diverse dimensioni. Poi man mano le piccole sfere hanno smesso di apparire e noi lentamente siamo scomparsi con loro. Attualmente le anime che popolano le dimensioni sono sempre le stesse che si reincarnano in un loop infinito, era da moltissimo tempo che non appariva una nuova vita»

«Quindi tu sei rimasto solo? L'ultimo della tua specie?» mi si stringe il cuore. Reincarnazioni, anime bloccate a tornare sempre negli stessi luoghi dove hanno vissuto. Fatico a memorizzare queste informazioni, preferisco relegarle in un angolo della mente e analizzare solo ciò che posso comprendere e accettare con più facilità: la solitudine.

«Probabilmente saremo rimasti in pochi dispersi chissà dove. È da tanto che non ho contatti coi miei simili»

Non prova il desiderio di rivedere i suoi amici, o familiari? Come è possibile che non senta la loro mancanza? Forse non vuole scoprire di essere l'ultimo, probabilmente non li cerca per non soffrire esattamente come avevo fatto io con i miei genitori.

«Da dove vengono le sfere?» preferisco deviare il discorso, non sono in grado di sopportare la sua immensa solitudine, mi sento schiacciare.

«Non lo so. Tutti noi siamo arrivati qui come lei, non ho neppure idea di come abbia fatto ad apparire la prima e di come sia nato il mio popolo» sorride mesto.

«Quindi l'anomalia era lui?» Elisabetta tocca la sfera che sobbalza, sembra divertirsi.

«Cosa facciamo ora?» Marco guarda Dozenith che ci ha raggiunto da poco.

«Secondo me è meglio dire: cosa vuole fare lui o lei» lo corregge Sabbath.

«Ha ragione. Magari preferisce seguire uno di noi» Dozenith la sfiora con l'indice.

«In che senso seguire?» chiede Jemina.

«Spesso capita che le anime non incarnate decidano di seguire una persona per acquisire della conoscenza prima di nascere» le risponde «non guardarmi con quello sguardo stupito Lilith, nella biblioteca ci sono racconti riguardanti gli spiriti non incarnati. Se vuoi ti puoi documentare»

Annuisco. Mi sento come se fossi appena stata sgridata dal prof perché sorpresa impreparata durante l'interrogazione.

«Quest'anima ha chiamato te, mia piccola Lilith, pertanto è una tua responsabilità» afferma Sabbath.

Ottimo. Improvvisamente sento le spalle diventare pesanti.

«Quindi vorresti dire che deve portarsela a casa? E dove la tiene? Come spiega la sua presenza?» Marco da voce ai miei pensieri.

«Marco, le anime non incarnate possono assumere l'aspetto che vogliono. È solo un'illusione, però è utile... che ne direste di portar a casa un bel gattino? Adoro gli animali della vostra dimensione» Sabbath torna a guardarmi, sembra che voglia dirmi molto di più ma si contiene. Oltre il velo dell'imbarazzo, che provo sotto il suo sguardo, affiora una sensazione di familiarità.

«Non mi sembra giusto che siamo noi a decidere per lei ... o lui. Non ci ha ancora detto che vuole fare» non mi piace come ci stiamo comportando nei suoi confronti «Dimmi piccola sfera vuoi venire con noi o tornare a casa?» Non passa nemmeno un secondo da quando termino di pronunciare quelle parole che si accoccola sulle mie gambe, sento una leggera pressione e calore. La sfioro.

«Direi che ha scelto» sorride Sabbath.

«Va bene verrai a casa con me. Ma non creerà problemi nel nostro mondo la sua presenza?» chiedo dubbiosa.

«Stai tranquilla, possono vivere in qualsiasi dimensione. Qui era triste e spaventata, ha causato problemi per quello» sfiora la sfera con l'indice e mi guarda nuovamente con quell'espressione di possesso. Improvvisamente sono consapevole di indossare succinti vestiti e mi vergogno. 

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