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«Ehi, se hai cambiato idea ti porto indietro.»
«Non ho cambiato idea.»

Fuori dall'auto pioveva e anche dentro di lei. Le gocce picchiettavano sul parabrezza, subito spazzate via dai tergicristalli.
Aveva proprio scelto il giorno giusto per andarsene di casa. Sbuffò, mascherando il suo disappunto scrollando la borsa, afflosciata sulle sue ginocchia.
      
«Sicura sicura?»

Si volse verso l'amica, che guidava con entrambe le mani sul volante. Non era proprio da lei tutta quell'insicurezza.
      
«Che cavolo ti prende Roni, eravamo d'accordo no? È da un po' che te lo dico che voglio andarmene.»
      
«Da prima ancora che prendessi l'appartamento. Prendessi in affitto, intendo. Chi lo vuole comprare quel buco per ratti?»
      
Un ciuffo di capelli scuri le si incollò sulle labbra mentre parlava. Lo sputò via, innervosita. «Capelli di merda.»
      
Ecco che cominciava a tornare in sé. «Buco o no io ci starò volentieri.»
      
«Questo lo dici ora. Aspetta di vederlo.»
La pioggia si faceva più fitta, tanto che i tergicristalli della vecchia panda stavano faticando a tenere a bada tanta acqua, che scrosciava sui finestrini annegando la visuale di Emi.
      
«Cazzo come piove» commentò Roni sgranando gli occhi per vedere meglio al di fuori del vetro mezzo appannato.
      
«Scusa, mi spiace averti chiamata proprio oggi.»
      
«Ma scherzi?» L'amica si volse verso di lei e le assestò una pacca sulla gamba. «Cacchio Emi è pure il tuo compleanno, come potevo dirti di no?»
      
«E tutte quelle?»
Emi buttò l'occhio sulle valigie che riempivano i due distrutti sedili posteriori.

«Be', direi che fanno parte del pacchetto.»
      
Sorridendo, Roni tornò al volante, giusto in terpo per sterzare ed evitare di investire un gatto nero. Emi sentì il cuore batterle in gola. «O mio Dio.»
      
«Che c'è?»
Priva di alcuna paura l'altra si stava rilassando, ma teneva ancora due mani sul volante. «Superstiziosa?»
      
«No è che... insomma era un gatto nero e ci ha attraversato la strada.»
      
«Superstiziosa.»

Il sole era sceso da un pezzo ed erano appena entrate in un tratto di strada poco illuminato. Emi sentì brividi percorrerle la schiena e si strinse nel parka affondando la nuca nel collo di pelliccia. Non era mai stata davvero superstiziosa, ma il buio, ancor più con la pioggia, le aveva sempre messo addosso una certa inquietudine.
      
«Ehi siamo quasi a Padova» la avvertì Roni, scrollandola un po' dal suo improvviso senso di turbamento.
      
«Bene, non vedo l'ora di arrivare.»
      
«Manca poco.»

L'altra sorrideva tranquilla, gettandole ogni tanto uno sguardo sarcastico.
Emi osservava, in mezzo alla pioggia, continuando a pulire i finestrini da un fastidioso e continuo appannamento, la strada che sembrava sfrecciare al posto loro, le case farsi sempre più raggruppate, i campi lasciare il posto ai marciapiedi.
      
Attraversarono il ponte "quattro martiri" e il suo sguardo si puntò sul canale che al mattino brillava di mille stelline dorate quando vi passava col bus.
      
Non ci sarebbe più andata a scuola in bus, perché l'appartamento dell'amica era talmente vicino da poterci andare a piedi o in bici. Al massimo avrebbe preso il tram.
      
Un moto di nostalgia le attraversò la mente, creandole un doloroso nodo in gola, ma la scacciò ricordandosi che da quel giorno le cose sarebbe cambiate in meglio; doveva solo essere forte e convinta della sua decisione.
      
«Ohi siamo quasi arrivate.» Roni le diede una pacchetta affettuosa su una gamba, forse notando il suo stato d'animo. «Ehi, andrà tutto bene ok? Basta che tu sia convinta.»
      
Lo era? Emi respirò appieno, rabbrividendo perché quella macchina infernale mancava, per ironia, del riscaldamento. «Sì, non torno indietro.»

No, non sarebbe tornata a quella vita.
O almeno lo sperava.






Scendere dall'auto, scaricare i bagagli e trascinarseli dietro sotto quell'acquazzone fu più complesso ma anche più divertente del previsto.
      
Il parcheggio era all'aperto, perché quel vecchio condominio non era solo vecchio, dai muri scrostati e verdastri di muffa; era pure sprovvisto di parcheggi interni.
      
Raggiunsero la porta e si fiondarono nell'ascensore, scordandosi per poco una borsa fuori.
      
Si guardarono allo specchio, perché l'ascensore per sfortuna di Emi ne aveva uno.
      
Roni era fradicia più di lei, con quella sua mania delle minigonne, delle converse di tela sottile o dei tacchi improbabili e il suo no categorico a tutto ciò che poteva somigliare a un giubbotto, figurarsi un'impermeabile. La sua pelliccetta viola grondava acqua e la strizzò borbottando quanto la pioggia fosse fastidiosa; erano in due a odiarla.
      
Emi faticò a trattenere una smorfia alla vista dei propri capelli bagnati nonostante il cappuccio, ma fiera del suo parka che aveva mantenuto la sua felpa asciutta.
      
L'ascensore si aprì sul quarto e ultimo piano. Le pareti erano scrostate peggio che all'esterno, le luci giallastre vaneggiavano in sfavillii poco convinti. Roni aveva ragione. Quel condominio faceva proprio schifo. Era la prima volta che lo vedeva, perché l'amica aveva preso in affitto l'appartamento da soli due mesi.
      
«Dai andiamo. Voglio farmi una doccia.»
La mora zampettò con quei tacchi traballanti fuori dell'ascensore, trascinandosi dietro una delle valigie di Emi. Con quel passo claudicante e quelle gambe troppo lunghe sembrava un cerbiatto zoppo. Eppure era bellissima, almeno secondo il suo punto di vista.
      
La seguì, due borse sulle spalle e un trolley tirato a mano, sentendo la stanchezza crollarle addosso tutta su un colpo. Era stata una giornata orribile, il compleanno più brutto della sua vita e non vedeva l'ora di chiudersi quella porta alle spalle.
      
Invece non lo fece nemmeno, perché l'amica, aperta la pronta, si profuse in un elegante e sarcastico gesto di "benvenuta nella mia stupenda dimora", lasciandola passare per prima. Il tonfo della porta che si chiudeva le fece prendere un colpo.
      
«Cazzo, ma quell'altra accendere un po' di luci no?» Roni illuminò l'ingresso rivelando un corridoio stretto, con un tavolino dov'erano appoggiate chiavi, sigarette e diversi accendini e i lati invasi da un cumulo di scarpe buttate lì senza un minimo di senso.
      
Emi la guardò, sconvolta. Nei giorni a venire l'avrebbe convinta a fare un po' d'ordine. La mora le rivolse un'alzata di spalle. «Neanche una luce accende.»
      
Le fece strada fino al salotto e alla cucina, unite in un unico spazio di non più di trenta metri quadri.
      
Era così stanca e l'ambiente era talmente buio che non si curò di darci uno sguardo. Notò solo un divano bianco, un pouf con un gatto acciambellato sopra, i cui occhi gialli per un attimo la fissarono inquietanti e un mobile vecchio di legno con sopra una tv.
      
La cucina era in stile anni cinquanta, ma non si soffermò ad assorbire altri dettagli. Seguì l'amica fino a una stanzetta singola, che accesa la luce si rivelò piccola, un po' lunga e stretta, ma accogliente e ben arredata. Roni l'aiutò a sistemare le valigie in un angolo mentre lei si guardava attorno.
      
Accanto alla porta, sulla sinistra, c'erano una scrivania bianca, una sedia da ufficio rosa - scelta di colore un po' strana, avrebbe pensato chiunque - e un tappetino peloso color champagne.
      
Sempre sulla sinistra un piccolo tavolino da toletta, con tanto di specchio vintage e pouf, ovviamente rosa. Poi c'era il letto a una piazza, privo di testata, coperto di cuscini pelosi e da una trapunta color confetto.
      
Tutto quel rosa perché l'amica sapeva fosse il suo colore preferito? Presa da una spinta di felicità le si buttò tra le braccia. «Grazie, grazie, grazie.»
      
«Ti piace?»
      
«È bellissima.»

Sulla destra c'erano uno specchio a figura intera e un'armadio bianco ad ante scorrevoli.
      
Roni si portò le mani sui fianchi: «È stata dura creare qualcosa di decente con pochi soldi. Sono contenta che ti piaccia.»
      
«Giuro che ti ridarò i soldi.»
Emi si sentiva felice, così tanto che si chiese da quanto tempo non si fosse sentita così.
      
«Ma va scema, mica li voglio. Scherzi?»
      
«Io sì.» Una voce nuova bloccò la sua risposta. «Ci ho messo anch'io qualcosa sai? Forse non soldi, ma buon gusto sì. Cosa che a lei manca parecchio.»
      
Roni borbottò qualcosa, ma Emi non la ascoltò, troppo presa a fissare la top model appoggiata alla porta aperta. Le rimasero impressi i lunghi capelli biondi e i pantaloni di pelle bordeaux che fasciavano due gambe perfette.
      
«Io sono Isabelle. E ora esco. Non ho certo intenzione di passare la serata a sistemarti il guardaroba.» Con un sorriso sghembo rigirò sui tacchi e se ne andò silenziosa com'era venuta. Nemmeno i tacchi, quasi, procedevano rumore sul pavimento.
      
«La mia coinquilina. Nostra, ora.» Roni si spostò il solito ciuffo di capelli dalla bocca. «È simpatica, basta solo saperla prendere.»
      
Emi d'un tratto aveva perso l'entusiasmo. Più che coinquilina le era parsa un'intrusa che aveva rovinato il suo primo momento felice dopo troppo tempo.

«Okay, saperla prendere. Sarà come dici tu.»
Dentro di lei però non ne era affatto convinta.

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