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La musica che pompava troppo alta, il rumore delle troppe voci che saturavano il locale o le luci stroboscopiche lanciate in tutte le direzioni. Non era in grado di capire cosa lo infastidisse di più in un posto del genere.

Si muoveva sicuro passando in mezzo alla folla senz'alcuna difficoltà, non perché frequentasse spesso locali, ma per puro dono di agilità. Lark era un tipo notturno, non lui e già definirlo notturno era una bella ironia. Sorrise tra sé, pensando a come avrebbe risposto e al motivo per cui non aveva mandato lui quella sera al posto suo. Già, perché non l'aveva fatto?

Sapeva chi cercava e sapeva dove trovarla. Si diresse al bancone, dove alcune persone erano intente a ordinare o bere super alcolici. Altra cosa che disprezzava.

Però lei era lì, come aveva immaginato. Non era certo tipa da ballare in mezzo a quella gente. No, la bionda preferiva un bel martini ghiacciato. Ed era proprio quello che stava bevendo, notò avvicinandosi. Le sue sottili dita pallide erano intrecciate allo stelo del calice, le labbra rosse indugiavano sul bordo cristallino.

«Finalmente. Sei in ritardo sai?»

«Capo.»

«Sì, capo.» La bionda si volse, lasciando andare il suo martini. Le labbra carnose si distesero in un sorriso soddisfatto.

«Immagino che tu non mi abbia delusa, quindi.» Si sedette su uno degli alti sgabelli accanto a lei. Ordinò al barista una tonica.

«Da cosa lo deduci capo?»

«Non lo deduco, Liz, ne sono certo.»

«Hai detto immagino.»

«Ma io immagino sempre e solo certezze.» Incrociò le braccia sopra al bancone. Sfiorò il suo berretto ruvido, calandolo di più sulla fronte in un gesto impercettibile.

Il barista gli mise di fronte la sua bibita, che lui versò dalla bottiglietta al bicchiere mentre la bionda esplodeva in una risata di scherno.

«Ma quale uomo viene qui a prendere una tonica secondo te?»

«Uomo?» Lasciò che anche la sua bocca mostrasse un sorriso, appena incerto.

«Mi calo nella parte, capo.» Le sue dita arpionarono una cannuccia nera per portarla dentro al calice e la sua lingua vi si attorcigliò come quella di un serpente. A volte riusciva a capire perché Lark non potesse resisterle, ma su di lui non funzionava più di tanto.

«Attenta a non calarti troppo, Liz.» Prese un sorso della tonica, senza celare una smorfia al sapore inutile di quella bevanda.

«Almeno facci mettere del prosecco, no?» gli fece notare Liz, che indugiava sul suo martini, una smorfia sulle labbra, come una bambina capricciosa a cui non avevano regalato il giocattolo richiesto.

«Non cambia molto.»
Fissò dritto davanti a sè le decine di bottiglie allineate sugli scaffali. Rum, whisky, gin, vodka, tequila, brandy... nel corso degli anni le aveva provate tutte, ma nessun superalcolico aveva mai dato sollievo alla sua sete.

«Possiamo farci un giro allora e trovare la bevanda che fa per noi, che ne dici?»

«Non tentarmi.»

«L'ho appena fatto.» La bionda addentò l'oliva e cominciò a giocarci con i denti, fissandolo in un modo che avrebbe fatto impazzire chiunque.

«Tanto sai che non funziona, è inutile che ci provi.»

«Ma dai capo, sempre così serio.» La bionda scese dallo sgabello, sputò l'oliva dentro al calice riuscendo a rimanere sensuale e strizzò l'occhio al barista, che la fissava malizioso.

«Ok andiamo, ma non dove intendi tu. Mi basta uscire da questo posto.»
Le prese un braccio trascinandola con sé. Era consapevole che se avesse voluto lei sarebbe stata in grado di opporre resistenza, ma non lo fece lasciandosi tirare come un cagnolino al guinzaglio. Ridacchiava divertita.

«Ma lo sai di avere un'aspetto un po' sciupato, vero?»

La ignorò. Una canzone remixata gli rombombava nelle orecchie, vibrando nel profondo del suo essere, in quel modo fastidioso che odiava, gli faceva venire una smania interiore fino a portarlo quasi sull'orlo della follia. Il rumore, la confusione, riportavano a galla i suoi istinti animaleschi, riducendo pericolosamente la sua pazienza. Eppure c'era stato un tempo in cui aveva amato la musica, pensò provando quella che poteva essere definita nostalgia, ma era un tempo ormai passato.

Trascinò Liz fuori dal locale, lontano dalla calca di gente che gli rendeva difficile controllarsi. Fuori per le strade non si vedeva nessuno, ma la condusse comunque verso una stradina appartata.

«Dove diavolo andiamo? Pensavo di seguire qualche coppietta o rincorrere un gatto.»

«Ssh.» La zittì con un cenno, mentre la tirava per un polso forzandola ad accelerare il passo. I rumori del locale si affievolivano mano a mano che si allontanavano camminando per una delle vie buie di Padova. Cassonetti, un paio di barboni e mura scrostate di vecchi condomini.

Ancora troppo casino per i suoi gusti, troppi dettagli, troppi colori. Assorbiva il verde della muffa sui muri, il rosso, l'arancio e il giallo della fiammella di un accendino, il grigio e il trasparente del fumo di una sigaretta che un barbone stava fumando con espressione estasiata.

Troppo, troppo, troppo. Si prese la testa fra le mani mollando la presa sul polso di Liz.

«Ehi, capo, tutto bene?» Lei ridacchiò, forse non accorgendosi subito di quanto lui si stesse sentendo in difficoltà.

«Devo andarmene.» Sentiva la testa scoppiare, un dolore che partiva dall'interno e gli afferrava le tempie in una gelida morsa per poi circondare tutto il suo cranio in una continua fitta lancinante. Dolori che non avrebbe dovuto provare.

«E io devo venire con te?» Si sentì afferrare per un braccio e stavolta era lui ad essere trascinato. Superarono la via, allontanandosi ancora di più dal locale e da quei due barboni, ma il dolore alla testa non diminuiva.

«Che cazzo ti succede? Me lo vuoi dire?» Liz si era fermata e gli aveva mollato il braccio, ma lui non riuscì a stare in piedi tanto il dolore era forte. Gemette cadendo in ginocchio.

«Adam!»
Sentiva la bocca riarsa, la gola bruciava, le sue gengive sanguinavano e un sapore ferroso, marcio, gli invase la lingua e le narici, poi tutta la bocca, la gola, scese fino allo stomaco e si sentì sgonfiare i polmoni. Un'altra sensazione che era impossibile stesse provando. Solo una sensazione.
Se lo ripeté più volte, invano.

«Sciocco che non sei altro! Da quant'è che non ti nutri?» La voce di Liz gli ferì i timpani e la sentì rimbombare nella sua testa.

Vide sul suo campo visivo un'onda di capelli biondi e si sentì spingere contro il muro quasi con astio. Poi l'odore del sangue gli arrivò addosso, come uno scroscio d'acqua o un forte soffio di vento; ma era un profumo dolce, invitante, che sapeva da ferro buono, vivo, nuovo. Sangue fresco.

Qualcosa dentro di lui scattò e afferrò quella parte da cui proveniva il profumo. Succhiò con avidità, mordendo la carne tenera e dolce, che sapeva di fragole. Era ancora in grado di riconoscerne la provenienza, nonostante fossero passati tanti, troppi, anni.

Una mano gli accarezzò il viso mentre beveva e leccava ogni goccia di quel prezioso nettare, ben sapendo che in quelle quantità non gli sarebbe bastato se non per un giorno o due. Il dolore alla testa si affievolì, i suoi sensi si calmarono, il suo corpo si rilassò.

Lasciò andare quella vena pulsante ricadendo su se stesso, soddisfatto e amareggiato al contempo, schiena afflosciata al muro, le gambe contro il petto. Respirò piano, anche se quel movimento non serviva a nulla, sentendo il liquido caldo espandersi dentro di lui ravvivando ogni parte delle sue membra sofferenti.

«Ora stai meglio?» Lei si accucciò accanto, appoggiandogli la testa contro una spalla.

«Sì Liz, grazie.» Il dolore era sparito, lasciando il posto a una calma ricca di benessere, che nascondeva un vigore provato assai di rado in quel periodo della sua vita.

«Scusami per non essermi accorta subito che stavi male.»

«Capo.»

«Sì, capo.»

Adam si volse e la afferrò per le spalle, per guardarla in volto. I suoi occhi così intensi, le iridi luminose, si puntarono vibranti e pieni di superbia sui suoi. La baciò, con passione, mordendo con tenacia e desiderio quelle labbra rosse e carnose. Lei rimase immobile, lasciando che lui la assaporasse in ogni centimetro del suo volto.

La baciò il collo, l'incavo dove si posava l'orlo fine di una maglia bianca, che strappò con facilità per contemplare e baciare i seni sodi e rosei, gonfi di quello stesso nettare il cui sapore ancora riempiva la sua bocca. Sprofondò con la testa in mezzo a quei seni baciando la pelle profumata.

Lei ridacchiava, una risata profonda e carica di malizia. Aveva allargato le gambe e i pantaloni era saliti a scoprire le caviglie pallide e sottili.

Adam le afferrò il polso, che ancora sanguinava un poco e leccò le gocce color rubino che uscivano aggraziate scivolando sulla pelle candida. «Ti ho mai detto che sei la migliore, Liz?»

«Non ho bisogno che nessuno me lo dica.» La bionda si chinò sul suo polso e prese a leccarlo insieme a lui. Poi lo baciò e Adam sentì che le loro labbra avevano il sapore delle fragole.

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