Capitolo 21

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Natalie





«So dove si trova l'uscita, seguimi.» 
Mi dirigo a passo spedito lungo il corridoio verso le scale. Il tanfo di sporco rende l'aria irrespirabile, sembra che questo posto sia sul punto di marcire, come tutto qui del resto. Le luci d'emergenza e l'assenza di finestre riducono di molto la visibilità, quindi rallento il passo per permettere a Tobias di raggiungermi.

Un silenzio surreale ci accompagna, solo i nostri passi riecheggiano in questo angosciante luogo. 

A qualche metro dalle scale, proprio in prossimità dell'ascensore sento come una campanella suonare, le porte si aprono di colpo e lo strano essere dal collo storto che avevo visto in precedenza ne esce tuffandosi verso di me con una furia mostruosa. 

Porto le mani strette a pugno di fronte al volto pronta a difendermi dall'inesorabile attacco, ma Tobias si para davanti a me scagliandosi contro quell'essere. 

Colpisce quella bestia enorme più e più volte, al petto, al volto, in modo sorprendentemente preciso, ma sembra che non lo scalfisca neanche. 

Tobias è veloce, sembra avere dimestichezza nella lotta, ma quella cosa nonostante sia più lenta ha una forza incredibile.  Malgrado la sua prodezza riceve un pugno in pieno volto venendo scaraventato a terra, la potenza con cui è stato colpito lo fa scivolare per almeno un metro all'indietro. 

L'essere dal collo storto si dirige verso di lui, un'enorme rabbia mi si smuove dentro, non posso permettere che gli faccia del male. 

Mi scaravento sulla sua schiena colpendolo con tutta la forza che ho, ma non è abbastanza, si volta dandomi uno schiaffo che mi fa sbattere contro il muro adiacente. 

A causa dell'urto cado a terra, mentre con la coda dell'occhio vedo Tobias che si è appena rialzato, col viso ricoperto di sangue. Davanti a me passa strisciando la lunga corda che si trascina attaccata al collo il bestione, e un'idea disperata balena nella mia testa. 

Ne prendo l'estremità e entro decisa nell'ascensore.

Mentre la stringo tra le mani, brevi immagini della morte di quell'uomo irrompono nella mia mente: vedo lui proprio in questo ospedale, col suo camice bianco. Sembra un'uomo distinto, non ha nulla a che vedere con cosa sia adesso. Ha il viso contratto dalla disperazione, e gli occhi iniettati di sangue, segno di un lungo pianto. Lega la stessa corda che ho tra le mani a un letto, dove giace una donna senza vita, e l'altra estremità al suo collo. Percepisco il suo senso di colpevolezza che scava nella sua anima come una piccola presenza dotata di artigli, il suo dolore è talmente forte da togliere il respiro come un pugno allo stomaco. Si siede sul cornicione della finestra, volge un ultimo sguardo verso quella donna, e poi il tuffo nel vuoto.

Cerco di scacciare via quelle immagini prima di scorgere il tragico finale di quella storia. Devo ragionare il più in fretta possibile, se voglio una chance di successo per questo assurdo piano. Trovo il corrimano di acciaio dove di solito la gente si appoggia e gli lego intorno la corda facendo dei nodi il più resistenti possibile. Veloce, schiaccio il pulsante dell'ultimo piano e mi lancio fuori dall'ascensore. 

Prego con tutta me stessa che funzioni, mentre il mio sguardo rimbalza freneticamente da quell'essere che si avvicina sempre più a Tobias, all'ascensore. Poi d'un tratto comincia a salire. 

La corda si tende facendolo cadere all'indietro, lui si porta le mani alla gola tentando di liberarsi dalla stessa cosa che gli ha già provocato disgrazia in passato. Cerca di ancorarsi al pavimento con le unghie che creano un fastidioso stridio. Il suo corpo viene trascinato su, fino a quando non c'è più corda. Si dimena con tutte le sue forze scalciando, poi sento un rumore secco e un tonfo. Mi volto d'istinto, mentre un grande schizzo di materiale scuro simile a sangue esce dal corpo di quell'essere decapitato. 

Corro verso Tobias cercando di non guardare quella scena e, nonostante ci abbia attaccati, mi sento terribilmente in colpa. Forse ora finalmente non soffrirà più, ha espiato le sue colpe guadagnandosi il diritto di riposare in pace. Cerco di convincermi di questo, per non venire divorata dai sensi di colpa che già mi assalgono. 

Abbraccio forte Tobias, il cuore mi rimbomba nel petto, ho temuto il peggio. 

«Occhioni, smettila o finirai per ammazzarmi tu, soffocandomi.» dice sorridendo mentre mollo la presa. 

«Sei il solito cretino!» ribatto, dandogli una sberla sul braccio e lui fa una smorfia di dolore. 

«Mi dispiace, non volevo farti male.» esclamo dispiaciuta allungando una mano verso di lui, ma fermandomi quando lo vedo scoppiare a ridere. 

«Ci sei cascata, furia. Sai? Non pensavo fossi così aggressiva, mi sà che devo stare attento con te.»
Dicendo questo si asciuga il sangue, che ancora in piccole quantità esce dal naso. 

Non posso fare a meno di sentirmi  preoccupata nonostante la sua stronzaggine. Spero non si sia rotto il naso durante la colluttazione di poco prima. 

«Non preoccuparti, non è niente di grave. Dobbiamo sbrigarci, però, voglio uscire da qui il prima possibile.» dice con lo sguardo intenerito. Annuisco senza dire una parola, sembra che riesca a leggermi dentro, capisce subito ciò che provo. 

Percorriamo velocemente il tragitto fino all'uscita, ma appena varcate le porte dell'ospedale, dopo pochi passi, mi accorgo che c'è qualcosa che non va. Maledizione! Siamo bloccati! 
È come se una barriera invisibile non ci facesse proseguire oltre. 

Sbatto freneticamente le mani sul muro invisibile, ma non serve a nulla. Alzo lo sguardo al cielo scuro e sembra stia nevicando, ma pare troppo strano: non fa così tanto freddo. 

Allungo una mano col palmo rivolto verso il cielo per raccogliere ciò che sta cadendo e quando guardo più da vicino, mi accorgo con sconcerto che non è affatto neve.

È cenere. 

Come è possibile? Per quanto sia assurdo il luogo dove ci troviamo, qualcosa non mi torna, forse abbiamo davvero scombussolato l'equilibrio delle cose. 

Mi volto verso Tobias, che sembra pietrificato, guarda impallidito un punto dritto davanti a noi. Osservo nella direzione del suo sguardo e scorgo un'uomo, a pochi metri di distanza, che rovista in un bidone della spazzatura.

Ha l'aria trasandata, ma almeno ha le sembianze di un'uomo normale. Se non fosse che, quando si volta verso di noi forse sentendosi osservato, ha un grande foro scuro in mezzo alla fronte. 

L'uomo ci scruta per poi scoppiare in una fragorosa risata. Tobias, sempre più pallido, apre la bocca come per parlare, ma non ne esce neanche una sillaba. 

C'è qualcosa che non va, sento la sua paura e lo sgomento fin dentro alle ossa. Lo afferro per un braccio. «Forza, torniamo dentro», ma sembra non sentirmi.  Guarda quell'uomo con un terrore mai visto nei suoi occhi. Ha persino iniziato a tremare e tiene le mani serrate talmente forte da far sbiancare le nocche. 

L'uomo nel frattempo comincia ad avanzare verso di noi aumentando il tono della risata: ormai sembra quasi un lamento. Allarga le braccia come a voler farci avvicinare, fissandoci con uno sguardo scuro, malvagio. 

Scrollo con forza il braccio di Tobias tirandolo verso l'entrata dell'ospedale «Ti prego, ascoltami!» urlo in preda al terrore. 

Lui sembra come rinsavire, e si lascia guidare di corsa dentro l'ospedale. 

Presa dal panico mi tuffo sulla prima porta che trovo, sperando che si apra. Nel frattempo delle urla disumane riecheggiano per tutto l'ospedale. 




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