Capitolo 22

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Tobias

Le urla dei tormentati che vagano per l’ospedale fanno venire la pelle d'oca. Siamo chiusi dentro una stanza che puzza di fetido, e la faccia di quel mostro non vuole lasciare la mia mente. 

La voglia di prenderlo a pugni è tanta, ma c’è altrettanto dolore nell'averlo rivisto.

Mi lascio andare contro il muro,  sedendomi a terra. 

Troppi ricordi stanno venendo a galla e non riesco a cacciarli via. Chiudo gli occhi. Le urla di mia mamma mi stanno spaccando i timpani, la puzza di alcol mi soffoca, la pelle brucia e sento la fibbia della sua cintura lacerarmi la pelle: fa così male… A un tratto sento qualcosa scuotermi. 

 «Tobias, guardami.» Natalie è qui, come ho fatto a scordarlo! Riapro gli occhi e lei è inginocchiata davanti a me, con il viso preoccupato. Mi fissa con i suoi occhi curiosi, cercando di capire cosa io stessi facendo. 

Mi rialzo da quel pavimento lercio tirando su con me anche lei, ma sfiorandole il braccio sento uno strano rigonfiamento. Dannato stupido che sono! Ero così concentrato a lasciarmi sopraffare dalle mie paure, che non ho notato le sue ferite. 

Il suo corpo è un vero e proprio campo di guerra. Lividi violacei ricoprono gran parte delle braccia, alternati da graffi orrendi. Il suo vestito strappato lascia intravedere una fasciatura di fortuna ricoperta di sangue sul ginocchio. Vedere quella sua pelle delicata e candida come quella di un angelo ridotta in quel modo mi fa stringere il cuore, un forte dolore si propaga nel mio petto. 

Il senso di colpa mi attanaglia la gola al solo pensiero di quanto dolore abbia subito per venire fino a qui da me, per venire a salvarmi. 

La prendo in braccio senza neanche lasciarle il tempo di replicare.

«Tobias, che diavolo stai facendo? Mettimi giù!» 

Avvinghia le sue esili gambe attorno al mio bacino, la porto fino al lettino e la metto a sedere sopra.  

Mi guarda con quegli occhioni da cerbiatta e le guance rosse dall’imbarazzo, coprendosi le gambe con i rimasugli del vestito logoro.

 «Hai frainteso, ehm non, io non…» Sembra un disco rotto, mi sà che non ha capito proprio nulla.

 «Ma che pensi, testa dura. Secondo te io voglio fare sesso in questo postaccio? E poi ci mettiamo pure a fare un porno dell’orrore che dici? Se vuoi ti cerco un vestitino da infermierina zombie, sicuramente diventeremo famosi» la vedo stringersi nelle spalle come per farsi piccola, piccola, «Ma non pensi che ci sono posti migliori dove ti porterei per le nostre effusioni d'amore? Tipo nel mio letto che ne pensi?» Muovo le sopracciglia in una mossa di ammiccamento per enfatizzare di più il concetto. 

per ricambiare il mio pensiero sconcio mi dà uno scappellotto. 

«Sei proprio uno stupido, Tobias.» dice con il broncio stampato in viso.

 Anche se subito dopo non riesce a trattenere una risata, solleticandomi l'anima con quel dolce suono. 

Percepisco la sua felicità e istintivamente mi metto a ridere anche io, è meravigliosa, il suo sorriso mi scalda. Anchei in questi momenti così brutti lei è tutto quello che mi serve per stare bene. 

Cogliendomi alla sprovvista, mi fa una domanda a cui non so se ho il coraggio di rispondere: «Ho visto come guardavi quell’uomo. non mi puoi mentire, Tobias, io sento tutto quello che provi. Sento le tue paure, la tua tristezza, le tue angosce. Quindi ora parlami, tu lo conosci vero?» Osservo il suo volto mutare mentre mi fa quella domanda, da sereno diventa  contratto, teso. Cadiamo in un silenzio angosciante, la suo postura è rigida come se fosse sulle spine. 

Lei ha rischiato tutto per me, le devo una risposta, non posso nascondere la verità, non con Natalie. 

Faccio un respiro profondo come per prendere coraggio e comincio a parlare: 

«I miei primi ricordi risalgono a quando avevo cinque anni. Quell’uomo tornava a casa quasi tutte le sere ubriaco, e mia mamma era la sua valvola di sfogo. Lei urlava, ma lui non smetteva di picchiarla. Mi ordinava di andare al piano di sopra in camera mia, in modo che lui non potesse farmi male. Ma quando le forze di mia mamma esaurivano, lui mi raggiungeva, sento ancora  il freddo della fibbia della cintura sulla mia schiena.»
A quel ricordo una scarica di brividi mi percorre la spina dorsale.
«Sento ancora le urla, la puzza di alcol, sento il dolore che mi torce le budella.» Faccio una piccola pausa per cercare di respirare a fondo, anche deglutire mi risulta difficile. 

«Fino a quando non gli hanno sparato un colpo dritto in testa. Ma nonostante lui sia morto, io sento ancora tutto e mi logora sempre di più…  Quel mostro era mio padre.» Butto fuori quelle parole con fatica, insieme a tutto il tormento che mi tenevo dentro. 

Gli occhi che fino a quel momento ho evitato di guardare si sono riempiti di lacrime, ma non è pena quello che prova, lo sento è dolore, lei sta soffrendo per me. 

Le poso delicatamente una mano sulla guancia, raccogliendo quelle lacrime che sta versando per me. I nostri occhi comunicano silenziosamente per istanti che sembrano infiniti, lei lenisce il mio dolore facendolo suo. 

Mi sposto per andare in cerca di qualcosa per fasciarle quelle brutte ferite. Rovisto negli armadietti trovando delle bende, e con mia grande sorpresa del disinfettante.

 Mi chino ai piedi del lettino, mentre lei mi fissa dubbiosa. «Che stai facendo adesso?» esclama incredula. 

Con cura le tolgo quella sottospecie di fasciatura che ha sul ginocchio, dalla ferita esce del liquido giallastro, ha un brutto taglio e si sta infettando. «Adesso devi stare calma. Brucerà un po’, ma non ti devi muovere.» Apro il disinfettante e lo verso il più velocemente possibile sulla ferita. Emette un piccolo suono per il dolore a labbra serrare, ma cerca di resistere stringendo le mani al lettino con forza. 

La fascio facendo attenzione a non farle troppo male, alzo lo sguardo per vedere il suo viso e lei con stupore sta sorridendo.  Quei dannati occhioni sono la fine del mondo. Mi tortura con quello sguardo che mi fa impazzire, non resisto non ci riesco. Mi alzo posando la mia mano sulla sua, e senza nessun ripensamento mi fiondo sulle sue labbra. 

Insinuo la mia mano tra i suoi capelli scuri, il suo odore così familiare mi inebria facendomi andare fuori di testa. La alzo rovesciando del tutto la situazione. La posiziono sulle mie gambe facendola stare il più comoda possibile, e lei stringe le sue alla mia vita. Senza ritegno approfondisco di più quel bacio, le nostre lingue si sfiorano in una danza sconosciuta, provocandomi sensazioni mai sentite prima. Più esploro la sua bocca e più ne vorrei ancora, il suo sapore irretisce i miei sensi mandandomi in estasi.

 Accarezzo la sua gamba nuda mentre lei fa scivolare la sua mano sul mio petto e una scarica di brividi solletica i nostri corpi. La nostra connessione è talmente intensa che fatico a ragionare, sento il nostro desiderio l'uno dell'altra aumentare. Siamo come due dannati pezzi di un puzzle, che si incastrano alla perfezione. Le nostre anime si bramano, è come un fuoco che ci arde dentro togliendoci il respiro. 

Devo staccarmi altrimenti finiamo sul serio per fare una cazzata. Rimaniamo a fissarci negli occhi per secondi che sembrano eterni. Il suo petto si alza e abbassa freneticamente, come se avessimo appena corso una maratona, cerchiamo di riprendere fiato. Anche all’inferno se c’è lei diventa il paradiso, più guardo il suo viso arrossato dal imbarazzo, e più vorrei fiondarmi nuovamente su di lei. 

Tiene una mano posata sulle labbra e mi guarda con gli occhi sbarrati, come se non credesse a ciò che è appena successo. 

Qualcosa di insolito interrompe il nostro momento, una luce accecante invade la stanza.  Ci copriamo entrambi gli occhi, manca solo che diventiamo ciechi qua dentro poi diventa veramente una barzelletta. 

La luce inizia ad affievolirsi trasformando la parete in un grosso tunnel con un bagliore alla fine di esso. «Ecco, ci mancava solo il labirinto del Minotauro. Bene, allora io starò seduto qua ad aspettare Cerbero per fare una partita a palla.»

Dopo due secondi di riflessione, Natalie col suo solito tatto inizia a parlare: «Razza di idiota, ti pare un labirinto quel coso?», Indica il varco sulla parete, «Quello è un tunnel. E non so perché, ma ho la sensazione che dovremmo oltrepassarlo.» afferma decisa. 

Nel momento esatto che pronuncia quelle fatidiche parole la porta inizia a tremare, e urla disumane rimbombano per tutta la struttura.

La stanza viene invasa da una puzza di cadavere orrenda, mi viene da vomitare. 

«Cosa diavolo sta succedendo ora?» Urlo inorridito e sorpreso allo stesso tempo. 

Qualcosa e non voglio neanche sapere cosa sia, inizia a sferrare pugni alla porta. Non credo reggerà ancora per molto, addirittura si stanno formando crepe sul muro tutto intorno alla porta. 

Prendo uno scaffale e lo spingo davanti alla porta, ma non basta stanno per irrompere qua dentro, se lei non se ne và rimarrà intrappolata in questo posto. 

«Vai, Natalie, oltrepassa il tunnel. Io cerco di trattenerli il più possibile, ora vattene corri!» Spingo questo stupido scaffale più che posso, non so per quanto reggerò, ma almeno saprò che lei sarà al sicuro. 

L'adrenalina mi fa martellare il cuore nel petto, mentre un senso di disperazione mi stringe lo stomaco. 

Neanche il tempo di pensarlo che lei si fionda accanto a me, cercando con quelle martoriate braccia di aiutarmi. 

«Cosa stai facendo? vattene via!»

«Razza di troglodita testa di cazzo, io senza di te non vado da nessuna parte. Ora porta quel culo dentro al tunnel, o giuro su Dio che ti ammazzo con le mie mani!» esclama con una decisione pazzesca negli occhi, questa ragazza è energia pura.

Un sorriso si forma sulle mie labbra, sento una stretta al cuore. 

«E ora che cavolo ti ridi? Sono seria!»

«Non capisci, Natalie, per me non c’è più scampo, ne da questa parte, ne dall'altra. Se torno cercheranno di farmi fuori ancora, quindi ora corri, vattene da qui.» Per me è inutile insistere, sono stanco di lottare. 

«No, Tobias, te lo prometto, nessuno ti farà del male. Ci sarò io al tuo fianco, supereremo tutto questo insieme», mi prende per il braccio guardandomi dritto negli occhi, con quegli occhi che tanto amo, «Ora vieni con me, ti ho appena ritrovato e non ho intenzione di lasciarti andare. Fidati non ti abbandono.»

Uniamo le nostre mani e iniziamo a correre verso la fine del tunnel. Una sensazione, come un pizzicore dietro al collo mi fa voltare, ed è lì che lo vedo. Mio padre sta fermo sulla soglia, con un sorriso diabolico stampato sulla faccia. Il bagliore si fa sempre più forte, il calore avvolge i nostri corpi, si fa tutto bianco e tutti i rumori cessano. L’ultima cosa che sento è la mano di Natalie intrecciata alla mia.

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