Capitolo 4

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Natalie







Sento uno strano suono che mi rimbomba nelle orecchie, apro gli occhi e mi accorgo di essere nel mio letto. Grondante di sudore e col cuore che scalpita nel petto cerco di riacquistare un minimo di autocontrollo. A quanto pare, era solo un incubo. 

Sembrava tutto così reale, sento la sensazione di avere un macigno sullo stomaco. Non era un incubo come tutti gli altri, ne sono sicura. C'è qualcosa che non va, possibile che forse il mio dono stia riaffiorando? 

I miei pensieri vengono interrotti di nuovo da quell'orrendo suono, guardo il display del cellulare: segna le dieci del mattino, praticamente l'alba per me. Mi alzo dal letto per capire da dove proviene questa musichetta fastidiosa, sembra quella dei vecchi orologi a cucù.

Passando per il corridoio intravedo il mio riflesso allo specchio. Essendomi addormentata coi capelli ancora bagnati, ora mi ritrovo in testa un cespuglio pieno di nodi che ricade gonfio sulle spalle. Cerco di sistemarli un po' con le mani, ma il risultato è ancora più disastroso.

Camminando a piedi nudi sul parquet, con solo la maglia oversize che arriva al ginocchio a coprirmi, mi dirigo verso la sala e scopro che quel suono fastidioso è il campanello della porta.

Apro e mi trovo davanti una ragazza con un contenitore ermetico tra le mani. È minuta, ha dei capelli rossi liscissimi lunghi fino a metà schiena, tenuti indietro da un cerchietto a pois. Indossa un vestito con una miriade di fiori colorati lungo fino ai piedi e dei sandali dorati. Ha un visino tondo, delicato e degli occhi azzurrissimi. Sembra uscita da un cartone animato.

Appena mi vede, il suo viso si illumina con un grande sorriso, comincia a saltellare come una pazza, per poi abbracciarmi calorosamente esclamando: «Ciao, tesoro! Io sono Chandra, la tua nuova vicina!» Esclama agitando il contenitore che teneva in mano. 

«Finalmente una ragazza con cui fare amicizia! Ero stanca di andare a trovare la signora qui di fianco. Per di più mi ha anche dato della pazza, chissà il perché...» 

Rimase qualche secondo in silenzio, come se si stesse concentrando nel trovare una motivazione per la sua stranezza.

Sono tentata di dirle che magari la povera signora, che aveva importunato per tutto quel tempo, odiava i suoi vestiti fioriti, ma lei riprese subito la parola.

«Comunque, posso entrare vero?» Mentre lo dice sì è già fiondata dentro come un uragano.

A questo punto non so se sto ancora sognando oppure è uno scherzo. Vorrei dirle qualcosa, ma finché non mi procuro della caffeina i miei neuroni non connettono così presto.

Mi limito a seguirla verso la cucina, si volta con un sorriso smagliante dicendo «So io di cosa hai bisogno, ti preparo un bel caffè!» parole sante ragazza! Lei sì che ha capito come trattarmi. «Ottima idea, ma mi potresti spiegare cosa ci fai qui?» rispondo leggermente stizzita. 

Mentre apre armadietti qua e là per trovare ciò che le occorre, mi tartassa di parole. Non sta zitta un attimo, sono sorpresa di non averla ancora mandata a quel paese.

«Sai prima anch'io non vivevo qui.» dice con tono sognante «I miei genitori avevano una grande fattoria nel Maine, ma poi… credo si siano semplicemente stancati di tenere a bada galline, anche se io ne avevo una che mi piaceva tantissimo, l'avevo chiamata…»  

«Quindi cosa hanno fatto?» La interrompo, decisa a troncare il discorso. 

«Quindi si sono messi a coltivare Marijuana, dopo il boom della sua legalizzazione. Sono dei distributori di pace e benessere, adesso!»

Sorride e mi porge una tazza di caffè fumante. Io non so se ridere o piangere.

Opto per un compromesso e sorseggio un po' di caffé, sperando di evitare qualsiasi forma di domanda. 

Chandra mi mette davanti il contenitore e lo apre. Nel momento in cui lo fa, fuoriesce un buonissimo profumo di cioccolato «Ho preparato dei brownies per te, spero non ti dispiaccia, sono completamente biologici.» Dicendo questo sfodera un enorme sorriso, sembra pregarmi con lo sguardo. 

È sorprendente come questa ragazza sprizzi felicità da tutti i pori, sembra il mio esatto opposto. 

Appena li vedo mi vengono gli occhi a cuoricino, anche se l'ho appena conosciuta che male c'è a mangiarne uno? Non posso mica sembrare scortese.

Mentre assaporo queste delizie esclama: «Ti piacciono, che sollievo! Credevo di averci messo troppa marijuana.» mentre lo dice il boccone mi va di traverso, tossendo partono pezzetti per tutto il bancone «No, oddio non ci posso credere! Stai dicendo che hai drogato i miei dannati brownies?» Dico con un urletto isterico. 

Presa dal panico, comincio a correre freneticamente per tutta la cucina sotto il suo sguardo attonito.

Vado al frigorifero e tiro fuori un cartone di latte, bevendolo a grandi sorsi e bagnandomi perfino tutta la maglia. 

«Sì il latte mi aiuterà.» esclamo più a me stessa che a Chandra.. 

«In realtà no. Mica hai mangiato piccante, tesoro, ma cerca di stare tranquilla. Percepisco le tue onde negative, non devi agitarti, non c'è nulla di male nel mangiare la marijuana. Io stessa la uso in molte delle mie ricette e sto benissimo. Vedrai a breve ti sentirai molto rilassata.» risponde tranquillamente seduta al bancone, come se fosse la cosa più normale del mondo. 

Ma perché, tra tutti i vicini che avrei potuto trovare mi è dovuta capitare una hippie da strapazzo? Questa è la solita sfortuna che mi perseguita. Ora capisco il perché della frase: “non accettare caramelle dagli sconosciuti”, lo stesso vale per i dolci.

Mentre sono presa dai miei assurdi dialoghi interiori comincio a sentirmi strana. Come se ad un tratto fossi più leggera, mi guardo le mani e sono così sbrilluccicose. Anche tutto il resto intorno a me ha un aria così luminosa, un attimo! Oddio sbrilluccicose! Ma che razza di parola è?

"Calmati Natalie, devi mantenere il controllo" mi ripeto come se fosse un mantra.

Devo trovare assolutamente il modo di farmi scendere la botta. Solo che non so come fare! 

Ad un tratto sento che non posso più stare chiusa qua dentro, la casa sta diventando troppo stretta. Inoltre non posso sopportare quella figlia dei fiori logorroica un attimo di più. Potrebbe venire fuori la stronza che è in me.

«Ascolta, ti ringrazio tanto, ma ora devo proprio uscire.» dicendo questo, la spingo delicatamente verso la porta.

«Ok, magari ci vediamo più tardi se ti va.» Dice con la voce ricolma di speranza.

«Sì, sì certo, fiorellino.» le do un’ultima spinta e le sbatto la porta in faccia. Sono riuscita pure ad essere gentile, mi stupisco di me stessa!

Ho bisogno di uscire. Corro in camera e indosso le prime cose che mi capitano tra le mani.

Do una spazzolata ai capelli e faccio una coda alta cercando di comprimerli più che posso, dato che sono elettrici.

Mi guardo allo specchio e ho una faccia da fare schifo. Delle occhiaie gigantesche fanno capolino sotto i miei occhi. Prendo il fondotinta e il correttore, cercando di coprirle più che posso. Un filo di matita nera, mascara, e il gioco è fatto.

Sono spaventosa ugualmente, ma è il massimo che riesco a fare, almeno non sembro disfatta come prima.

Prendo la borsa, ci infilo cellulare, sigarette, l'album da disegno con una matita e posso andare.

Per strada, l'aria fresca mi dà già sollievo. Accendo una sigaretta camminando senza una meta precisa. Certo che i palazzi sono davvero molto alti qui, ci sono tantissimi negozi e un sacco di gente in giro; questa città è piena di vita.

La sensazione di questa mattina nel frattempo si ripresenta, una forte angoscia mi smuove le viscere. 

Arrivo al porto, cerco una zona in disparte, lontana dai turisti. Trovo un piccolo molo, sembra isolato, proprio il posto perfetto per me. Arrivo al fondo e mi siedo sul bordo.

È proprio affacciato sul mare aperto, la vista è stupenda e questa brezza marina è molto piacevole.

Che mattinata pazzesca, è proprio assurda Chandra. Il fatto che tra tutte le varie tipologie di vicini che potevo trovare, mi è capitata una pazza, stravagante, figlia dei fiori che da uso di marijuana come fosse una qualsiasi spezia. Mi lascia non poco perplessa e mi fa riflettere sul mio enorme grado di sfiga. 

Estraggo dalla borsa l'album, e con la matita appoggiata sul foglio bianco, fisso l'orizzonte in cerca di ispirazione e serenità.

Da quando mia madre è venuta a mancare non sono più riuscita a disegnare nulla. Ho come un blocco, anzi tutta la mia vita sembra bloccata, aggrappata al suo ricordo. 

Improvvisamente sento una scossa nella spina dorsale, un'infinità di brividi pervade il mio corpo. Ho come l'impressione di essere osservata, mi volto, e un paio di occhi color nocciola, con delle pagliuzze dorate, incontrano i miei. Mi si mozza il fiato in gola, non so il perché, ma il mio cuore comincia a battere freneticamente.

Un ragazzo alto, castano chiarissimo e ben proporzionato si trova dietro di me, a un paio di passi di distanza. Mi fissa con un sorriso malizioso, trasmettendomi una strana inquietudine. Per certi versi sembra triste, malinconico. Vorrei capire cosa gli sta passando per la testa, ma soprattutto scrollarmi di dosso questa inquietudine mista a frustrazione, è come se lui me le stesse trasmettendo. 

Che cavolo sta facendo? Resta lì immobile a fissarmi come un pervertito. 

Mentre mi distraggo, concentrata sul ragazzo, sposto il peso troppo in avanti. Perdo l’equilibrio, scivolo cadendo in acqua. Lui si precipita da me, allunga una mano per afferrare la mia, che per istinto ho già proteso verso di lui, ma non riesco ad afferrarla. 

Le nostre mani si attraversano, lasciandomi uno strano formicolio nel punto in cui si sono oltrepassate.

Il sangue mi si gela, ma non so se sia per quel non-contatto o per l’acqua fredda che investe il mio corpo.






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