Capitolo 27: La Prigione

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La cella era molto piccola, si poteva a malapena distendere le gambe. Era buia, fredda, umida e completamente inospitale. Tre pareti su quattro erano di roccia scura e l'ultima era di sbarre metalliche fredde e arrugginite. Non c'erano rumori, nessuno, solo qualche goccia d'acqua che di tanto in tanto percolava dal soffitto e s'infrangeva in una pozza a terra. Daffodil tossì e sentì l'eco della sua tosse rimbombare lungo le pareti del corridoio che passava davanti alle sbarre, ma non vi fu risposta, era sola. La luce arrivava fioca da alcune candele umidicce che illuminavano il corridoio, oppure da un'apertura grossa poco più di una mano che dal muro perimetrale dava all'esterno. A malapena riuscì a ricostruire l'accaduto, ma tutto era così terribilmente confuso che molti tasselli della sua memoria erano mancanti. Si guardò le braccia e il torace e vide la sua veste leggera strappata in più punti e la pelle graffiata dai potenti artigli del drago, si toccò i punti dove le doleva di più cercando di guarirsi, ma la luce che le usciva dalle mani era flebile e veniva assorbita dalle pareti. Era completamente circondata da roccia magica, non poteva nemmeno guarirsi! Si raccolse le gambe al petto e le circondò con le braccia, era da tanto che non si sentiva così inutile, così sconfitta.

Quello stato d'animo la catapultò subito al suo passato di giovane fata, al suo passato di diversità e sconfitte.

La giornata di una giovane fata era suddivisa in lezioni di cultura (come una normalissima scuola), intervalli di gioco e lezioni di magia, in cui alle giovani fate venivano insegnati incantesimi via via sempre più difficili. Nelle prime due discipline non ebbe molti problemi, ma nella terza sì. Nella terza non brillava affatto, anzi, la sua velocità di apprendimento era decisamente inferiore rispetto a quella di tutte le altre sue amiche e ciò la faceva sentire diversa. Tante volte le fate madrine le avevano detto che non tutte le fate sono uguali: alcune sono più forti e potenti, altre più deboli, ma la qualità più importanti per una buona fata non era la potenza degli incantesimi che ella riusciva a creare, ma la forza e la bontà della propria anima. Poteva anche non essere una fata potente, ma doveva essere sempre una persona forte e con tante qualità positive ben radicate. Si fidava di loro, erano coloro che le facevano da genitori, ma queste parole non bastavano a farla sentire uguale alle altre, anzi, quando era il momento di giocare nessun'altra fatina la voleva in squadra perché troppo debole. Queste sconfitte la fecero chiudere in sé estraniandosi completamente dalla vita delle sue coetanee, preferiva leggere storie di persona normali e le sarebbe piaciuto vivere tutte quelle avventure che leggeva sui libri, senza doversi preoccupare di rafforzare la sua magia o comportarsi bene. Era sempre stata attratta dagli esseri umani, così fragili ma allo stesso tempo così forti, senza pensieri e preoccupazioni ma con vite sempre piene di avventure, spesso si fermava a immaginare come si potessero sentire nelle diverse situazioni e cercava di provare le stesse emozioni. Quello era il suo mondo, un mondo di emozioni, senza magia. Ma per le fate era impossibile.

Aveva una sola amica che capiva il suo essere border line e che riusciva ad infonderle forza e coraggio.

Un ticchettio nel corridoio la ridestò dai suoi ricordi e riconobbe un rumore di passi che si avvicinavano, alzò lo sguardo fuori dalle sbarre e riconobbe una figura di donna, era Dianthus. Dianthus nel vederla sussultò sorpresa: "Daffodil!" sussurrò e in un impeto di preoccupazione si girò a fissarla ed afferrò le sbarre della cella quasi a volerla liberare, ma subito dopo lasciò la presa e ritornò ad avere il solito sguardo cupo "Cosa ci fai tu qui?" le chiese con disprezzo

"Dianthus..." fu l'unica cosa che la fata riuscì a dire prima di tossire nuovamente

"Ti ripeto, cosa ci fai qui?" chiese nuovamente, ma con più forza, spostando lo sguardo dalla fata al resto del corridoio

"Non lo so, mi ha rapita il tuo drago e poi devo essere svenuta per la stretta delle sue grinfie"

La strega scosse la testa arrabbiata "Stupido drago! Era la terrestre che doveva prendere, non te! Stupido... stupido drago!"

"Allora liberami Dianthus" disse Daffodil alzandosi in piedi e avvicinandosi con sguardo implorante

La strega la fissò come se lei stesse dicendo un'eresia "Mai! Per cercarti la terrestre potrebbe venire qui al castello e finalmente potrò farla parlare... come riesce ad aprire i portali?"

"Non lo so! E non lo sa nemmeno lei. Si ritrova qui catapultata senza spiegazioni e nemmeno lei sa come tornare indietro. Sembra che un portale spazio-dimensionale si apra, per poi richiudersi subito dopo, appena lei si addormenta sulla terra. Lo stesso portale si riapre riportandola indietro quando lei si risveglia sulla terra. Non lo controlla lei, è lei ad essere controllata dal portale. In più il tempo ha un'andatura irrazionale: quando lei non è su Miharo Heimi sembra che tutto si fermi e si blocchi fino al suo ritorno, invece sulla terra passano parecchie ore. Tutti stiamo cercando di capire cosa sta succedendo. E' totalmente innocua" spiegò Daffodil a bassa voce

Dianthus la guardò con disprezzo un'ultima volta, poi il suo sguardo si ammorbidì e se ne andò con passo deciso e austero.

Le credeva.

Le aveva sempre creduto.

Daffodil tornò a sedersi nel suo angolino poco illuminato e nel chinarsi si accorse di avere un taglio anche all'esterno della coscia. Sorrise tra sé, vedere Dianthus le faceva sempre un po' piacere anche se non era più quella di una volta.

Ritornò coi pensieri al passato e si ricordò di una cosa accaduta quando era poco più che un'adolescente:

In un'esercitazione di magia, Daffodil, fallì di nuovo venendo colpita e ferita da un fascio di luce creato da un'altra fata, cadde rovinosamente e per qualche istante non capì cosa fosse successo. Una fata madrina si avvicinò alle due e subito sgridò la fata che aveva creato il fascio di luce che con rabbia si difese "Ma perché te la prendi con me! Io ho creato solo un fascio di luce di forza 2... come mi avevate detto di fare contro di lei, solo forza 2 mentre le altre usano forza 5. E' lei che non è capace di creare un muro di energia perché ve la prendete con me!" e scoppiò a piangere innervosita. Quella scena attirò l'attenzione di tutte le altre giovani fate che si raccolsero tutte intorno a loro e guardarono con sufficienza Daffodil che era rimasta a terra. Lei le guardò tutte, una a una, con lentezza e si accorse che nessuna di loro era solidale con lei. Nessuna di loro riusciva a comprendere le difficoltà che lei aveva nell'imparare incantesimi e nell'usare magia, nessuna di loro la comprendeva e, anzi, la giudicava come se lei avesse chissà quale handicap. Si rialzò con fatica e ferita da quel complesso d'inferiorità scappò nel bosco.

Camminò per molto tempo e per molto altro volò, fino a quando non fu abbastanza lontana da Anuanu Kopere, solo allora si fermò e scoppiò a piangere a dirotto: non voleva più vivere quella vita, non voleva più essere giudicata tutti i giorni per qualcosa che non sapeva fare, voleva essere un'umana semplice, senza poteri e senza obblighi morali. Riprese il cammino e arrivò fino ad un villaggio di umani. Si sedette su un albero e li guardò interagire.

Quelle strane creature si indaffaravano a lavorare, portare gli animali al pascolo, ridere, urlare, richiamare i bambini, giocare, fare scherzi e nessuno di loro sembrava preoccuparsi minimamente di essere mortale. L'essere mortale, per loro, significava riempire di vita ogni minimo istante e comportarsi come veniva... e non come era loro imposto. Abbracciò l'albero sul quale era seduta e immaginò di abbracciare un essere umano. Alle fate non è permesso innamorarsi. Mentre si perdeva nei propri pensieri sentì una presenza alle sue spalle che volò sul suo stesso ramo e si sedette silenziosamente accanto a lei. Non aveva bisogno di guardarla, sapeva già di chi si trattava. Era la sua migliore amica, quella che le riusciva ad infondere forza e coraggio

"Perché sei scappata così?" le chiese l'amica

"Lo sai perché. Non sono alla vostra altezza... Come sempre" rispose pensierosa Daffodil

"E sei venuta qui a guardare i tuoi amati uomini, ma non vedi come sono ridicoli? Sono sempre tutti indaffarati e non si rendono nemmeno conto di essere poco più utili degli insetti. Sono solo pedine. Ecco, pedoni in una partita di scacchi, li mandi avanti per primi per aprire la strada ai pezzi che contano davvero"

Daffodil la guardò seria, poi vedendo lo sguardo scanzonato dell'amica le diede una pacca sulla spalla "Sei sempre così tranchante! Come fai!" e finalmente sorrise

L'amica sorrise a sua volta "Vedi che sono riuscita a farti sorridere? Essere tranchante serve... Dove ti ha colpito Lewisia? Fammi vedere" e toccò l'amica facendole il solletico

Daffodil dapprima sorrise e poi tornò seria a fissare nel vuoto "Dai... mi dai fastidio! Mi ha colpita sul fianco ma sono guarita, ho fatto un incantesimo di guarigione e non ho più nulla"

"Vedi che allora almeno un incantesimo lo sai fare?" rispose cercando di indispettire la sua amica ma con un grande rispetto di fondo "Io invece sono stata cacciata perché ho atterrato Lowisia con un incantesimo proibito. Sapevo che era proibito, ma l'ho fatto ugualmente, dopotutto Lowisia ti aveva fatto del male e io l'ho fatto per vendicarti... era a fin di bene!" e scoppiò a ridere

"Dianthus accidenti!" disse Daffodil quasi indispettita "Sei sempre la solita!! Sempre la solita! Fai sempre quello che ti dicono di non fare. Ma come ci riesci? Come riesci a infrangere tutte le regole che ti danno?"

Dianthus alzò lo sguardo al cielo e diventò seria "Non lo so, lo sento dentro. E' una cosa più forte di me, non riesco a comportarmi come gli altri vorrebbero, ma solo come vorrei io... e io voglio sempre la cosa sbagliata" poi riportò lo sguardo sull'amica "Tu sei straordinaria... anche se non sei la più brava a fare magie. Sei intelligente, curiosa, fragile e allo stesso tempo fortissima, sei empatica, provi solo emozioni positive. Sei la migliore fata che possa esistere"

Daffodil la guardò sorridendo "Eppure mi sento difettosa"

"No" rispose Dianthus "Sono io ad essere difettosa"

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