April, again

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La coda di freddo, che aveva funestato l'inizio di aprile, se ne stava andando e sulle punte dei rami iniziavano a scorgersi i boccioli. Stava arrivando veramente la primavera. O almeno così mi sembrò, soprattutto dopo che io e Fede ci salutammo all'ingresso, il lunedì successivo.

Il movimento della sua bocca nel formare «Ciao Matilde» mi rimase negli occhi per parecchio tempo, anche mentre Chiara, approfittando di una interrogazione, iniziò a chiedere di quel contatto così poco "casuale" con il ragazzo che mi popolava i sogni.

Ammetto che rimasi imbarazzata all'idea di raccontare i progressi ma mi ricordai della frase di Rex sul parlare.

Dovresti piantarla di farti dei problemi a dire ciò che pensi.

«Beh, ci siamo visti per sbaglio, ci siamo parlati» spiegai brevemente, già sapendo che non sarebbe bastato.

«Questa è una notiziona! Facciamo progressi con mister sixpack».

«Mister che?!» chiesi a voce troppo alta, ed immediatamente fummo riprese dalla prof. A testa bassa le sussurrai che magari ne avremmo potuto parlare dopo, all'intervallo. Ma giunta la campanella della pausa, lei schizzò via alla ricerca di Willy Fantini che, secondo le ultime indiscrezioni, le dispensava baci molto caldi nel bagno in fondo all'ala ovest, quella pressochè disabitata.

Quando tornò, con aria contenta che subito mutò in quasi colpevole, mi disse semplicemente «Dai Maty, vieni da me oggi, che ne parliamo bene».

Chiara in realtà non aveva proprio intenzione di approfondire la mia situazione. Il suo desiderio era più che altro di raccontare come stava evolvendo il suo rapporto con il buon Willy e soprattutto con le sue labbra.

«E la lingua, oh, Maty, la lingua, non hai bene idea».

«La lingua è uno strumentopolo magico» risi, ben sapendo che in realtà la citazione faceva riferimento allo strumentopolo misterioso della Disney.

«Eh si» replicò lei, trasognata. Poi si fece più seria e mi guardò dicendo «Aspetta, aspetta. Non mi dirai che te e lui...?».

«No» mi affrettai a rispondere.

«Beh, però magari alla lunga succederà, per ora divertiti a fantasticare. Così quando sarà il momento sarai ben pronta».

Sospirai.

«Ormai mi sono stufata solo di fantasie, Chià. Vorrei si andasse avanti».

«Nelle fantasie sei avanti, eh?».

«Nelle fantasie non molto» risposi, un po' imbarazzata.

«Quel "non molto" può fare la differenza. Se hai detto che ti masturbi anche, qualcosa ci sarà. Dai, dai, cosa sogni di farci con lui?».

Avevo promesso di non nascondere quello che pensavo. Per lo meno alle mie amiche. Così più o meno confezionai una risposta che non facesse menzione di uno strano cane di pezza parlante che mi masturbava di notte con zampette e lingua di feltro. Mi limitai a trasformare quelle scene in modo che le zampette e la lingua di Rex diventassero le dita e la lingua di Fede.

Chiara mi guardò dapprima molto interessata, poi un po' delusa.

«Basta?» mi chiese.

«Eh si, basta» ammisi.

«Fammi capire, stiamo parlando di un maschio. Di un maschio che... eh» e appoggiò l'indice della mano destra di traverso sull'indice della mano sinistra.

Giuro, non capii al volo. Feci la figura della ragazza tarda, e si vide da come la guardavo, probabilmente. Lei sbuffò, gettando lo sguardo al cielo.

«Maty, il cazzo».

«Oh» feci, sorpresa dalla sua schiettezza.

«Vedi, non è che una deve pensare a quello per forza, però il rapporto con i maschi è anche quello. Nel senso che beh, quando sei lì a limonare, senti che c'è qualcosa di grande tra di noi. Come dice Cremonini».

Cantammo "Qualcosa di grande" per un paio di minuti, poi ci ricomponemmo, e lei non mollò l'osso.

«Maty, i maschi mica sono cagnolini che si limitano a leccare, e tra l'altro, leccare tecnicamente non è masturbare, ma è fare sesso orale».

E così, grazie a una robusta lezione di Chiara, irruppi nel mondo della fisiologia maschile. Che lei corredò con una visita piuttosto articolata a siti internet dove i ragazzi mostravano i loro organi, orgogliosamente. La padrona del mouse fece moltissimi commenti, poi iniziò a chiedermi come immaginavo fosse quello di Fede. Toccai credo la punta più alta dell'imbarazzo quando indicai un membro di dimensioni piacevolissime, il cui proprietario assomigliava vagamente alla mia crush.

Chiara ovviamente aggiunse commenti da scaricatore di porto e consigli su come trattarlo una volta giunta ad averlo per le mani. La presi a cuscinate, me le restituì e degenerammo, finendo con il fiatone e la voglia di fare cose forse più adatte alla nostra età, come fare merenda e guardare un dvd raccontando poi a casa di aver studiato molto sodo.

Quella sera, spensi in fretta la luce e strinsi Rex, iniziai a raccontargli del pomeriggio passato con Chiara e degli argomenti trattati. Non rispose alle sollecitazioni. Fino a che iniziai a parlare di tutta la parte legata a membri maschili.

«Un problema che tu non hai» sorrisi, stringendolo.

«Questa è una battuta che mi addolora, Maty, un cane maschio di pezza ha il triste destino di dover essere senza pene. Non oso immaginare se ce lo facessero. Tutti i bambini domanderebbero "Mamma, ma perchè il mio cane di pezza ha cinque zampe?».

A stento trattenni una risata.

«Dare il meglio con quello che si ha è il mio motto. Le occasioni non vanno gettate al vento, vero? Se non hai nulla tra le zampe posteriori beh, hai pur sempre le zampe posteriori. Magari non è penetrazione, perché immagino che tu abbia pensato a quello».

Annuii imbarazzata.

«Beh, se chi può non fa, toccherà accontentarti di una zampenetrazione».

E così dicendo, scese là sotto, impegnandosi a darmi il massimo del piacere con i mezzi che aveva. Sentii il suo muso insinuarsi, sempre di più. Ammetto che fu estremamente piacevole, ma nella mia mente rimase sempre ben presente l'immagine di un muso di cane di pezza, un bizzarro cane di pezza parlante, che mi dava piacere ma, nello stesso tempo, ironizzava sul fatto che il ragazzo dei miei sogni non facesse altrettanto

Quando tutto finì, gli lisciai lungamente il pelo della schiena, probabilmente era tornato già da diversi minuti ad essere il pupazzo di peluche inanimato, quando smisi con le carezze. Per tutti quei minuti pensai a cosa era esattamente quello che succedeva con Rex. Era assurdo che io, fino a due mesi prima, non sapessi nemmeno esattamente come fossi fatta là sotto, per poi ritrovarmi a fare e pensare ben altro. Ma cos'era? Era sesso? Avevo perso per caso la mia verginità veramente con un cane di pezza? Un cane di pezza parlante?!

La mattina dopo, verso la seconda ora, chiesi di uscire per andare in bagno, con noncuranza. Una volta fuori, schizzai verso il secondo piano, fermandomi davanti alla porta con la targhetta 3C. Dentro si sentivano i soliti schiamazzi e una prof imprecisata che tentava di spiegare, senza molta fortuna. In fondo al corridoio, due bidelli parlavano di partite di calcio e per loro ero pressochè invisibile. Guardai rapidamente gli orari appesi alla porta, segnandomi un appunto veloce sull'avambraccio sinistro. La quarta ora era l'ideale.

Tornai in classe con un po' più di tranquillità. Aprii la porta e subito mi sentii vagamente in colpa per aver mentito così spudoratamente. Tuttavia cercai di non abbassare lo sguardo fino a terra, sostenendo quelli che mi venivano rivolti.

Mi ero ritrovata poche volte a guardare la classe da quella posizione, nel bel mezzo di una lezione, dato che non uscivo praticamente mai durante l'ora. Quando ero interrogata, non mi rivolgevo mai ai miei compagni per il terrore di perdere la concentrazione, o di essere ripresa per aver tentato di ricevere suggerimenti.

Ebbi tempo di guardarli, di sostenere serenamente gli sguardi, di vedere noia ma anche curiosità, in alcuni casi sufficienza. Nel giro di due mesi sarebbe finita la mia terza media ed avrei abbandonato la maggior parte di quei compagni, e questo non mi dava dispiacere. Non erano stati i migliori tre anni della mia vita, e le amicizie che mi ero portata dalle elementari erano rimaste le più forti, se non le uniche.

Tra la quarta e la quinta ora, approfittando del serafico prof di religione, abbandonai Chiara e corsi verso il corridoio della 3C. Rallentai sperando di incrociare Federico. Vidi passare dapprima tutte le ragazze che quasi non mi guardarono, qualche ragazzo di quelli più ligi, poi quelli più idioti ed infine lui, che se ne veniva un po' ciondolante.

«Ciao» dissi semplicemente.

Lui si scosse ed alzò lo sguardo.

«Oh ciao Matilde».

«Avete Motoria?» chiesi, come se non lo sapessi.

«L'unica classe sfigata con due ore non consecutive» sorrise.

«Il mio sogno, a me non piace motoria».

«A me piace, si cazzeggia di brutto».

«Ma preferisci le onde».

«Impareggiabili» rispose, con lo sguardo che si perse all'orizzonte dopo pochi istanti, brillando.

«Ci credo. Anch'io adoro il mare» mentii.

Non avevo un buon rapporto con il mare e con l'estate. Il doversi mettere in costume, l'essere osservate. Era l'estate a mettermi un po' di ansia, più che il mare, a dire la verità. Era una sensazione piuttosto recente, perchè in realtà fino alle elementari io adoravo stare al mare giornate intere.

Con Fede davanti a me che passava ad appoggiarsi da un piede all'altro, quasi dondolando, mi resi conto che il tempo stava trascorrendo senza che succedesse nulla di veramente "sbloccante", così azzardai.

«Mi aspetti all'uscita?».

«Oh. Si. Si, si, ti aspetto» disse, acquisendo una leggera sicurezza verso la fine della frase.

Passò uno di quei tipi di seconda che sembravano delle pallette di ciccia, ridacchiò a vedere unmaschioeunafemmina, così noi, con un velo di imbarazzo, ci salutammo. Ma ero felice. Quando tornai in classe, prorompendo in un accoratissimo «Scusi prof!», venni subito aggredita da Chiara.

«Dove sei stata, hai le dita sporche di nutella» mi disse, e per riflesso me le guardai.

Lei si mise a ridere, io capii che era una battuta per dirmi che aveva capito come ci fosse sotto qualcosa in quella mia fuga al cambio dell'ora.

«Fede mi aspetta all'uscita» confessai, un una punta di compiacimento.

«Uhu! Ti sei lavata i denti? Vuoi una mentina d'emergenza?» ridacchiò lei.

«Piantala! Facciamo solo un po' di strada insieme, penso».

«Quindi ok, io torno per i fatti miei e poi ci sentiamo subito. Mi raccomando, subito, ok?» chiarì lei, io annuii.

All'uscita lui varcò la porta della scuola probabilmente per terzultimo. Fu una punta esasperante attenderlo mentre tutti gli altri scemavano via su biciclette o a piedi. E fu un po' imbarazzante rimanere lì impalata a lato del piazzale, sotto gli occhi di chi saliva sul pullman, chiedendosi probabilmente chi stessi aspettando.

«Ciao» disse semplicemente, quando mi vide.

Io risposi con un semplice saluto e lui mi chiese da che parte abitavo, ci avviamo lentamente in bici. Portandole a mano, per poter stare affiancati sulla ciclabile.

Fu gentile, e nemmeno particolarmente chiuso su sé stesso. Parlò molto volentieri del suo hobby, del mare, del rapporto non proprio idilliaco con il padre che lo aveva visto cambiare molto nell'ultimo periodo. Poi gli chiesi del surf in Marocco.

«Ma veramente sei già andato a fare surf all'estero?».

«Non dovevo nemmeno andarci, mi sono unito all'ultimo momento ad un gruppo che ci andava, solo perchè era vicino, se fossero stati in Australia, col cazzo che ci andavo!», poi mi guardò con aria costernata, «scusa per la parolaccia».

«Io non avrei mai il coraggio di andare all'estero».

«Fidati, se hai una grande passione, vinci molte paure».

Fermai la bici, un po' dispiaciuta che fosse già finito quel percorso.

«Io abito lì» dissi, indicando casa mia, tre cancelli più avanti. Presi una penna al volo dalla borsa e gli segnai il mio numero sulla mano. Così, di botto.

E poi scappai.

Avevo fatto decisamente troppo, per i miei canoni.

Sfogai con Rex la delusione per non aver ricevuto nessun tipo di messaggio da lui per tutto il giorno. Il mio umore era passato da speranzoso a mesto, per giungere all'irritato. Solo il mio cane di pezza sembrava non darmi di questi problemi.

«Matilde, sei di appetito robusto stasera, vedo» mi fece presente, leccandosi il muso con la lingua di feltro.

In risposta lo afferrai un po' bruscamente e lo spinsi di nuovo tra le gambe. Lui si girò ridacchiando.

«Oh, mademoiselle ha preso a cuore la condizione di questo povero cagnolino trovatello».

«Piantala scemo. Oggi mi sento così».

Quando non ne potei più per tutto il lavoro che aveva fatto, tornò ad accucciarsi di fianco a me.

«Che succede, Matilde?».

«I maschi mi deludono».

«Io sono maschio, e non deludo» mi rispose, serio, quasi tronfio.

«Parlavo dei ragazzi maschi» precisai.

«Cosa mai puoi pretendere? L'importante è che non sai tu che deludi te stessa. devi avere il giusto rapporto soprattutto con te stessa» poi fece una pausa, «Matilde, non sei una gnocca spaziale e lo sappiamo, ma nemmeno un cesso a pedali. L'importante è che capisci chi sei e non ti sottovaluti, e non ti nascondi, e non ti accontenti. Non devi accontentarti di un qualsiasi ragazzo che passa, tanto per dire "Ehi, guardatemi, ho il ragazzo!"».

Guardai il soffitto, dubbiosa. Il fatto era che avevo fatto tutto io, in quella giornata: lo avevo aspettato all'uscita, mi ero fatta accompagnare a casa, avevo dato il mio numero. E mi ero arrabbiata perchè non lo aveva usato. Forse non stavo avendo rispetto per i suoi tempi...

Ma da quando i maschi avevano "tempi"? Erano degli animali imbottiti di porno che guardavano le ragazze in maniera famelica. Non avevo sentito una, che dico, una mia amica, dire qualcosa riguardo a maschi che non si sentivano pronti, o imbarazzati.

La mattina dopo mi svegliai con una certa difficoltà, fui taciturna per tutta la colazione e semplicemente detestai uscire di casa: spirava un forte vento di mare che mi aveva ributtato in pieno inverno nonostante fossimo a metà aprile. Non feci in tempo a fare mezzo isolato che sentii il rumore di pedali, e mi ritrovai Federico a fianco, inaspettatamente.

«Non mi hai dato il tempo di dirti una cosa piuttosto importante: io non ho il cellulare».

Lo guardai piuttosto stranita: era una cosa molto infrequente trovare uno senza cellulare alla fine della terza media. A meno che non fosse uno di quelli con i genitori alternativi a tutti i costi. Poi mi insospettii, pensando che fosse una balla mal costruita per giustificare la sua "dimenticanza".

«Davvero non hai il cellulare?».

«No, l'ho venduto perché volevo comprarmi una tavola nuova e non avevo abbastanza soldi, e così mi sono liberato di quello che non mi serviva strettamente» rispose, orgoglioso..

«Metti il surf anche davanti al comunicare con gli altri?».

«Beh ho sempre il telefono fisso di casa, ma non volevo chiamarti dal salotto, con mia mamma che ascolta i cazzi miei».

«Eh non hai tutti i torti».

Mi si sciolse il cuore. Se non aveva intenzione di far sentire quello che mi voleva dire, probabilmente era perché era qualcosa di personale, qualcosa che riguardava solo noi due. E se era qualcosa di personale, forse voleva dire che un po' avevo fatto colpo.

«Comunque scusa se non ti ho contattato, ma ho cercato di rimediare subito questa mattina, tanto dovevo andare a vedere com'era il mare» disse, senza pensare che forse, se fosse stato zitto su quell'ultimo aspetto, avrebbe fatto una figura ancora migliore.

«Ti piace proprio tanto lo sport che fai, vero?».

«Sì, anche se non è uno sport. Non credo che nella mia vita ci sia altro più interessante».

Poi assunse un'espressione come se si fosse accorto di aver detto qualcosa di sbagliato. Subito sì affannò a dire «Ti andrebbe se passassi tutte le mattine di qui?».

«Sì, sì sì, mi andrebbe».

«Ok» disse lui, semplicemente, e ci avviamo verso la scuola.

Ad un certo punto sentii piombarci Chiara alle spalle con una furiosa corsa in bici, urlando «Ehi voi due!».

Ci fermammo ad aspettarla e fu così che la mia compagna di classe fece ufficialmente conoscenza con Federico, occupando poi tutti gli spazi di quel tragitto. Quando arrivammo davanti ai cancelli, Federico diede un'occhiata all'accrocchio dei suoi compagni. Chiara mi piazzò una gomitata, eccitatissima.

«Ringrazialo che ti ha accompagnata. Un bel bacino!».

«Ma sei scema Chià?!».

«Se non glielo dai tu, glielo do io».

«Se lo fai, ti uccido» sibilai tra i denti.

Nel frattempo, Federico si rivolse a noi due che ci stavamo ancora guardando in cagnesco. Aprì un sorriso quasi ingenuo e ci salutò semplicemente alzando la mano.

«Beh, io vado, ci vediamo magari all'uscita».

Lo salutammo con le mani a mezz'altezza, e ci avviammo verso le porte, battibeccando animatamente, addossandoci la colpa di quella ingloriosa scena finale.

Tuttavia lui era venuto a prendermi, aveva fatto la strada con me, aveva detto che mi aspettava all'uscita. Non potevo non essere contenta di quella mattina.

Cate ci aspettava, mano su un fianco.

«Siete patetiche, manca che puliate la pozzanghera di bava che avete lasciato» disse un po' acida, poi si rivolse a me, «siamo al livello limone almeno?».

Le intimai il silenzio e la spinsi verso la classe, sperando non avesse sentito nessuno.

All'intervallo Chiara schizzò via facendomi la lingua e dicendomi «Vado da Fede». Io di riflesso le corsi dietro, ma prese una velocità inaspettata e raggiunse la 3C prima che io riuscissi a raggiungerla. Quelle maledette gambe da gazzella si sommarono alla mia allergia ad ogni tipo di disciplina sportiva.

«Fede! Vieni qua subito!» urlò sulla porta. Quando la raggiunsi, mi trovai davanti lui.

«Oh, siete in delegazione?» rispose lui, guardando prima me, poi la mia maledetta amica.

«No, no, me ne vado subito, volevo solo accompagnare la Maty. Perchè, sai, la Maty ci tiene molto a te».

Arrossii e cercai di rifilarle un calcio negli stinchi, ma lei si spostò, agile come una capra di montagna, lasciandoci da soli. Beh, non proprio da soli: c'erano almeno dieci paia di occhi che ci guardavano. Così lui si spostò fino a coprire la visuale ai guardoni.

«Grazie di essere passato stamattina, sei stato gentile» gli dissi, sincera.

Si vedeva che avrebbe voluto fare qualcosa, ma non sapeva bene cosa.

«E abbracciatevi, cazzo!» sentii dire da oltre la porta, era la voce di Chiara.

Potevo scegliere se girarmi verso di lei e fulminarla, o ascoltare il suo consiglio. Scelsi la seconda, gli diedi un veloce abbraccio. In realtà fu come buttarsi a bomba in mare, trattenendo il respiro e godendo dell'acqua che ti avvolge, poi una rapida risalita verso la coscienza, quando ci staccammo.

«Allora, ci vediamo all'uscita» mi confermò.

Io annuii, gettando una veloce occhiata a tutti quelli che ci stavano guardando. Ero sotto gli occhi di tutti, ma non mi importava.

Sabato ci baciammo, e ci mettemmo insieme. E qui iniziarono i guai.


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