March

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Non sapevo bene cosa mi stesse succedendo. Ma per stare sicura, tenni tutto per me, evitando di raccontare anche alle amiche più strette tutte quelle dolci fantasie che facevo su Federico. Nella mia strana mente, a quell'epoca, tutte le creature di pezza della mia stanza erano le uniche che potevano sapere dei miei pensieri, e nonostante questo, vedevo dai loro sguardi che non approvavano quello che pensavo, e quello che facevo.

Nella mia testa si era formata persino l'idea che Bolt, il cagnolino bianco del film Disney, ce l'avesse con me per aver fatto entrare in camera il Commissario Rex. Bolt era stato uno dei miei peluche preferiti fino a che li avevo tenuti sul letto. Da quando mia madre aveva deciso che dovevo rifarmi da sola il letto, io avevo spostato i pupazzi sulle mensole e sulla cassettiera, in modo da non doverli risistemare ogni mattina. Erano diciotto, si erano accumulati nel tempo ed in alcuni momenti li avevo considerati i miei migliori amici.

Rex non era ingombrante, ma ugualmente non avevo trovato immediatamente il posto per lui nelle superfici della mia camera. E poi, inutile nasconderlo, il fatto che a tutti gli effetti fosse un "trovatello" mi fece propendere per tenerlo sul letto, e farne una mia compagnia fissa per la notte. Era pur sempre un pastore tedesco, un cane da guardia.

Ehi, non datemi della disagiata, ero una ragazzina!

Gli animali non approvavano le mie fantasie, quindi, e men che meno quel timidissimo sfiorarsi che a volte facevo nel bagno dopo la doccia, ma che mi metteva in apprensione perché il bagno era un luogo dove tutti potevano entrare da un momento all'altro. Nella mia casa era solennemente vietato chiudere le porte a chiave e il bagno non faceva eccezione.

Eppure erano carezze che avevo desiderio di fare, e che accompagnavo sempre ad immagini bellissime, quasi struggenti, di me e Federico in posti bellissimi, a baciarci ed accarezzarci.

La mattina del sette marzo, a scuola, la prof di italiano ci fece un bellissimo discorso su ciò che significava celebrare l'otto marzo, liberarsi dei luoghi comuni, ricercare una equità di trattamento per ambo i sessi. Poi disse qualcosa che immaginavo fosse riferito ad alcune ragazze della nostra classe che forse soffrivano di disturbi alimentari.

«La vera vittoria, soprattutto per tutti voi che siete giovani, sarà il superamento degli stereotipi legati alla bellezza del corpo, che sono quelli che generano le prigioni alimentari dentro cui, involontariamente, ci rinchiudiamo».

E siccome non avremmo avuto italiano il giorno dopo, come compito per giovedì, due giorni dopo, aveva dato un elaborato di un paio di pagine dove dovevamo riflettere su questo aspetto.

«Maty domani è l'otto non c'ho voglia che devo lavarmi i capelli. Se ci sei, lo facciamo oggi» mi disse Chiara distrattamente, mentre uscivamo.

«Chià ma è individuale, mica a gruppi».

«Lo so ma assieme organizziamo le idee» mi disse tutta sorridente.

Era strana quella cosa che doveva portarsi avanti con i compiti perchè doveva lavarsi i capelli, ma ero abituata al fatto che dicesse cose diverse da quelle che pensava, ed in fondo non era un danno che, per una volta, volesse fare qualcosa pro-istruzione. L'importante è che non ricominciasse con la storia di Facebook.

Ovviamente nel pomeriggio, a casa sua, il tempo che avevamo dedicato ad "organizzare le idee" fu minimo. Chiara scalpitava per chiudere in fretta quel compito, prese sottogamba un componimento che a me invece importava molto, perchè mi sentivo molto toccata dall'argomento del superamento dell'aspetto esteriore. Troppo spesso mi sentivo giudicata più da come ero fuori rispetto a come credevo di essere dentro.

«Adesso però andiamo a vedere le foto dei tipi» ordinò Chiara appena finito, e schizzò al PC accedendo al suo profilo Facebook da una sessione fantasma. Passò i successivi cinque minuti a scorrere foto di tipi, quando improvvisamente uscì una finestra di chat sul social.

Cate: "Scema non ti becco su whatsapp ma sei online qui cazzo quante siamo domani sera scema rispondi sul cell!!!"

Chiara si girò immediatamente verso di me.

«Serata dalla Cate. Vuoi venire?».

Capii che probabilmente stava solo cercando di rimediarla, peraltro scoprendo che avevano scaricato Whatsapp, di cui molti parlavano, senza aver mai parlato dell'argomento con me. Ma me lo potevo aspettare, ero l'ultima con cui parlare di innovazioni "social". Tuttavia, in un moto di desiderio di essere come le altre, non mi buttai via.

«Non mi dispiacerebbe, che fate? Pigiama party?».

«Io rimango di sicuro da Cate, Alessia boh, vallo a capire, forse si. Marty non lo so, l'ha sentita Cate. Tu rimani?».

«Sento con mia mamma».

Ovviamente, mia madre si guardò bene dal darmi l'autorizzazione a dormire fuori infrasettimana. Così confermai la mia presenza ma solo fino alle undici e mezza, quando mio padre sarebbe tornato a recuperarmi per consentirmi di dormire "in sicurezza" nel mio letto.

Trovai un mazzetto di mimosa nel mio posto a colazione, un pensiero di mio padre che mi diede un bacio in fronte per poi dileguarsi verso il lavoro. Fu uno dei pochi gesti di riguardo nei miei confronti, quel giorno, costellato a scuola di battute dei miei compagni sulle ragazze privilegiate per avere una festa dedicata a loro.

Con mio padre passai al McDrive per prendere tutto, e mi feci scaricare davanti alla casa enorme dove abitava Caterina. Entrai trionfalmente urlando «Tadà!» e non immaginando minimamente che la serata potesse diventare così difficile, per me. Le altre ragazze, nonostante fosse una semplice serata a mangiare assieme del takeaway, parlarono solo di ragazzi. E ne parlarono veramente come se fossero dei capi di bestiame visti alla fiera dell'allevamento.

Ma i momenti che mi misero veramente in crisi furono quelli in cui iniziarono a raccontare le loro fantasie con i ragazzi che nominavano, riempiendo le pause di gridolini e risate di complicità. Chiara nominò persino Fede, ma le altre la sovrastarono tirando fuori ragazzi del '94 e del '95 che facevano già le superiori e che conoscevano magari di vista, incontrati in giro.

Io non giravo molto. Forse è meglio dire che non giravo affatto.

«Sono già in crisi ormonale se mi nomini Willy» disse con un mezzo gridolino, Caterina.

«Willy si, Willy che mi fa un sacco sesso» le andò dietro Alessia.

«Si, ti fa sesso, al massimo ti fa dita» replicò Cate, facendo ridere tutte.

Se pensavo ad Alessia, pensavo a tutto tranne ad una ragazza in qualche modo sessualmente pronta: viveva in un mondo fatto di felpe larghe, vaschette di gelato al sabato sera e Una mamma per amica. Il suo sogno nel cassetto era ancora salvare i panda, che un po' faceva il paio con il mio voler salvare le creature artiche dal surriscaldamento globale. Sentirle parlare in maniera così vivace del sedere di William Fantini mi lasciò senza parole.

Il fatto che anche lei si fosse esposta così chiaramente sull'argomento fu il colpo di scena che non mi aspettavo: si misero a raccontare come si toccavano quando immaginavano di essere con i ragazzi che avevano nominato. Ovviamente, dati i miei silenzi, capirono tutte che io non avevo molto da dire a riguardo. Mi aspettai un po' di empatia da parte loro, per la mia palese difficoltà sull'argomento, ma questo inizialmente non avvenne e subii diverse punzecchiature dalle mie amiche che a tal proposito mostravano espressioni tra lo scandalizzato ed il divertito. Veramente non mi toccavo mai?

Cercai di chiarire che si trattava di un argomento che mi metteva a disagio, vi assicuro che non lo dissi in maniera da alimentare l'ilarità. Fu Chiara, proprio quella che aveva dato il via al carosello di desideri e modalità di soddisfazione femminile, che lo fece finire.

«Ragazze stop. Basta parlarne, Maty è a disagio, i motivi non sono affare nostro, ma è nostra amica e io non voglio stare male vedendola stare male, parliamo di lucidalabbra, ok?».

In realtà non parlammo propriamente di lucidalabbra, finimmo per parlare lo stesso di maschi, ma di quelli stupidi che avevamo in classe. Ci fu ancora qualche accenno a dettagli fisici piacevoli dei ragazzi, ma tutto con molto più imbarazzo di prima. Come se si limitassero controvoglia, e solo perchè c'ero io, la piccola che non doveva sentir parlare di argomenti sconvenienti.

Questo portò semplicemente ad una mia grande vergogna per non essere al passo con le mie amiche coetanee. Verso le undici tornò a prendermi mio padre e, arrivata a casa, lo salutai e mi rifugiai in camera, scrivendo un messaggio a tutte, chiedendo scusa per aver "rovinato la serata". Cate e Chiara mi risposero subito tranquillizzandomi, anzi Cate si scusò per aver insistito. In attesa dell'eventuale risposta di Alessia, sentii le guance bagnate dalle lacrime e non sapevo nemmeno dire perché stava succedendo.

Presi il commissario Rex e scioccamente gli domandai perché mi sentivo così male per una cosa che semplicemente non mi andava di fare. I suoi occhi neri e lucidi non mi diedero risposta, e sebbene fosse normale non ottenere risposta da un cane di pezza, continuai a stringerlo e a sperare che mi rispondesse.

Il suo pelo morbido perlomeno mi diede una sensazione positiva sulla pelle e continuai a stringerlo e a pensare che nonostante tutto fosse la cosa più vicina ad una consolazione per quella sera. Non so bene nemmeno come, ma mi persi in quella sensazione positiva. Feci scivolare il peluche sulle mutandine. La sensazione mi rilassò e le lacrime asciugarono.

Arrivò la vibrazione del messaggio di Alessia, che mi diceva "Tutto a posto Maty scusa se abbiamo fatto le defy :)". Sorrisi, ma appena alzai lo sguardo, vidi tutti gli altri animali di pezza fissarmi con il solito sguardo contrariato. Mi parve quasi che la foca avesse gli occhi lucidi, come sul punto di piangere.

Mi vergognai di aver "giocato" con il peluche, che nel frattempo era rimasto tra le mie gambe. Il suo pelo mi solleticava lievemente. Lo spostai e mi rigirai nel letto, ma prendere sonno fu difficile.

La mattina dopo, per un motivo o per l'altro, sia io che le mie amiche, avevamo facce un po' spente, per aver dormito poco e male, ognuna per i propri motivi. Alessia, con una felpa con cappuccio a macchie "pandesche", venne subito ad abbracciarmi chiedendomi scusa per le insistenze. Chiara mi disse se avevo voglia di andare da lei quel pomeriggio, ma di tornare da lei e beccarsi una nuova sessione di foto di ragazzi, sommata all'imbarazzo per quello che era successo la sera prima, mi fece declinare.

«Scusa Chià, non me la sento».

«Allora vengo io da te» propose lei.

Non seppi dire di no e poco dopo le tre, eccola suonare il campanello, per poi entrare in casa con una strana luce negli occhi. Luce che le rimase anche mentre svolgemmo i compiti, e che avvampò una volta finito.

«Chià che hai?» le chiesi, quasi sospirando.

«Capisco l'imbarazzo di parlarne con le altre lì davanti, ma tutto ok sulla questione toccarsi? Cioè, hai problemi non so, di dolori, o cose così?».

«No, no, sto benissimo!» dissi, mettendomi sulla difensiva.

«Ok, meglio, quindi è solo una questione di desiderio di farlo, in pratica».

«Si, si, nel senso che non mi piace l'idea di farlo».

«Io ti capisco, cioè figurati, prendiamo in giro i maschi continuamente perché si masturbano. Pensare di farlo magari ti fa sentire ipocrita ma non lo è. Per noi è diverso, è una piacevole ma non ossessiva, e poi ci fa scoprire noi stesse».

Vidi Snoopy fissarmi, l'orso polare seguirlo a ruota, infine Bolt, dagli occhi spietati.

«Chià ok, ho capito, me lo avete detto ma... non mi interessa».

«No aspetta, fammi finire, magari senti dei freni a farlo. Non so, tipo il fatto della religione».

«Non c'entra la religione, ma figurati!» la interruppi di nuovo.

«Ok, ok, però che ne so, avrai sicuramente le tue motivazioni. Ma se vuoi ti aiuto io».

«In che senso?» chiesi, ma credo fosse la stessa domanda che persino ricci e delfini stessero per fare.

«A toccarti, possiamo farlo insieme. Ti aiuto, cioè non voglio mastur... aspetta, non pensare che sono lesbica, è solo per darti una mano. Cioè da parte mia che l'ho già fatto. E, dai, me la cavo abbastanza bene, direi» disse, piuttosto orgogliosa.

«Chià, non credo che... e poi non penso che...»

«Ok, ma ti ripeto non pensare che lo faccia per metterti le mani tra le gambe o cose del genere... capito? E' solo questione di aiutarti» ribadì, sbattendo le ciglia e guardandomi in un modo che reputai quasi troppo sereno.

«Si, si, ho capito, si. Chià scusa ma... devo assolutamente andare a prendere una cosa al supermercato per stasera per mia mamma. Scusa ma è una cosa... urgentissima che mi è venuta in mente ora. Scusa».

Con quella pietosissima scusa, le feci togliere le tende. Lei ovviamente capì che si trattava di una balla, ma capì anche che la sua proposta mi aveva messo in palese confusione e che avevo bisogno di sedimentare tutto e ragionarci sopra con calma. Uscì dandomi i soliti tre baci, io ovviamente non andai al supermercato ma mi buttai sul letto. Ascoltai a ripetizione Halo di Beyoncé e piansi per essere finita in un tunnel di disagi e incomprensioni. Ma ormai ci ero dentro e non potevo sfuggirne facilmente.


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