March, again

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Respirai il raffreddamento del rapporto tra me e Chiara per tutto il resto di quella settimana ed anche quella successiva. Ma non volevo di certo fare il primo passo per non dare l'idea che quella proposta assurda potesse in qualche modo avere un seguito.

Darmi una mano a masturbarmi, che idea idiota, perchè in questo modo la lessi, e non certo come campanello d'allarme lesbico dato che, se c'era una cosa di cui ero sicura avendola affianco un sacco di tempo, era che fosse etero.

Ma non avevo più molte certezze, e quando anche quel sabato trascorse senza che Chiara si facesse viva, rimasi delusa e triste, con una gran voglia di andare a letto e svegliarmi direttamente il lunedì mattina per la scuola.

Mi chiusi nella camera senza sapere bene cosa fare, così mi sforzai nella mia mente, di far tornare l'immagine di me e Fede stesi su una spiaggia a baciarci appassionatamente, ma di nuovo vidi i musetti dei miei pupazzi che mi fissavano. Non ce la facevo. Mi sembrò che l'unico animale che non mi stesse giudicando con i tuoi occhi di bottone fosse proprio l'ultimo arrivato.

Me lo misi sulla pancia e proprio come una bambina gioca con i suoi animali di pezza, mi misi a parlare con lui.

«Cos'ho che non va rispetto a tutte le mie amiche?» chiesi.

Non rispondendo nulla, pensai che mi stesse dicendo"nulla", così continuai.

«Se non c'è nulla che non va in me, dimmi cosa c'è che non va?» chiesi mentre scivolavo sotto le coperte con lui, per rendere segreto quel dialogo. Questo in un certo senso mi tranquillizzò.

Continuai a lungo a parlare con il pastore tedesco dalla livrea nero carbone, che teneva verso di me un atteggiamento accondiscendente tale da farmi in un certo senso rilassare. Ora forse tutto questo vi farà ridere, ma io in quel momento vedevo veramente in lui un atteggiamento di vicinanza verso di me ed i miei problemi. In fin dei conti fu bello al punto che mi persi con lui in una sorta di meraviglioso abbraccio, tanto profondo e dolce che, senza nemmeno rendermene conto, me lo fece scivolare di nuovo verso l'inguine.

Un rumore attutito mi fece saltare fuori dalle coperte con il cuore a mille. Aguzzai la vista, e nel buio cercai di capire quale fosse la provenienza di tale rumore. Alla fine vidi il cane di pezza Bolt che era caduto dalla mensola su cui era appoggiato. Posai Rex sul materasso, scesi dal letto vergognosa, presi il cagnolino di pezza bianco e lo rimisi sulla sulla mensola dandogli un bacetto come facevo sempre, ma non potendo non notare il suo sguardo estremamente contrariato.

Tornai nel letto mentre Rex mi aspettava rovesciato. Lo rimisi dritto e lo appoggiai nuovamente sulla pancia, infine mi misi a piangere pensando che anche la mia stessa stanza da letto ce l'avesse con me. Tirai le coperte fin sopra la testa e cercai di dormire. Ma il sonno non arrivava.

Mi alzai, andai in bagno, guardai il mio viso già un po' scialbo di suo, diventato orribile per quel non riuscire a trovare pace. Mi sciacquai la faccia e tornai in camera tirandomi di nuovo le coltri sopra la testa.

«Matilde smettila» mi sentii dire. Tolsi le coperte da sopra la testa e mi guardai attorno, ma la stanza era completamente vuota ad esclusione di me e i miei pupazzi. Pensai che fosse una mia visione e tornai sotto le coperte raggomitolandomi ancora di più punto.

«Matilde? Su, dai, devi farla finita di farti condizionare da loro».

E sentii una pressione sul braccio. A quel punto girai la testa e mi trovai faccia a faccia con il cane di pezza che mi guardava dritto negli occhi.

«Matilde tu hai un problema con i tuoi animali di pezza».

«Ma tu stai parlando?» chiesi a dir poco stupita.

«Sì, sto parlando e nello specifico sto parlando con te».

«Ma gli animali di pezza non parlano!».

«Se possono influenzare a tal punto la tua vita tanto da non consentirti nemmeno di essere felice e serena con te stessa, vuoi che io non possa dirti qualche parola, magari di conforto? Magari qualche consiglio?».

«Che consigli mi potresti mai dare tu che sei un cane di pezza?» chiesi scandalizzata per il fatto che un cane di pezza si fosse rivolto a me offrendomi consigli sul mio rapporto con i miei animali di pezza.

«Intanto di fregartene di cosa pensano i tuoi animali e di lasciare che sia il tuo corpo a scegliere quali segnali accettare e quali no».

«Non capisco cosa stai dicendo».

«Adesso te lo faccio vedere».

Con mia grande sorpresa, il cane di pezza zampettò fino alle mie mutandine e con il muso si mise ad accarezzarle ripetutamente.

«Smettila» sussurrai ridendo.

«Beh, già ridi, vedi che funziona?» ribattè lui, iniziando a utilizzare la lingua di feltro sulla stoffa leggera.

«Basta, dai! Ma sei pazzo?!» provai a fermarlo, ma lui non la smise, continuò producendomi dei brividi che raramente avevo sentito. Ma quello non si limitò, infilò il naso di plastica sotto l'elastico degli slip ed io, terrorizzata, gli misi una mano davanti agli occhi esclamando un «No, no, no!».

Lui girò la testa verso di me, con gli occhi lucidi che sembravano brillare.

«Sul serio? Sul serio vuoi che mi fermi? Sul serio stai così male da volermi fermare?» mi chiese, con aria di sfida.

Lasciai la presa, lo accarezzai sulla schiena, in cuor mio volevo riprendere, ma bastò uno sguardo alle mensole, a quelle diciotto paia di occhi che mi guardavano, che sospirai.

«Fermati, ti prego».

Lui si girò, risalì fino al mio viso e mi diede un leccotto di feltro. Poi mi sussurrò all'orecchio «Adesso farò una cosa che avresti dovuto fare tu».

Zampettò fino ai miei piedi, fissando le mensole dove c'erano i suoi simili, sembrava l'oratore davanti al suo uditorio.

«Sarò breve» disse, poi si schiarì la voce, «fatevi i cazzi vostri. A Matilde non serve il vostro giudizio, serve il vostro supporto. Ma già so che non lo può ottenere. Volete trattenerla, pensando di fare il suo bene. In realtà siete solo egoisti, volete tenerla per voi, dentro queste quattro mura, mentre tutto, lì fuori, sta cambiando come cambia lei».

Poi, semplicemente, ringhiò.

«Non azzardatevi a farle più le vostre patetiche facce da genitori delusi, o ve la vedrete con me».

Per la prima volta, anche ai miei occhi, in quella stanza vi fu un vero e completo silenzio. Gli occhi degli animali si erano fatti timorosi, quasi inespressivi. Rex tornò sulla mia pancia.

«Io ti voglio bene. E la gente va messa al suo posto».

Inaspettatamente mi addormentai serena. Sognai me e Fede, sognai splendidi baci ed ancor più splendidi abbracci. Sognai un selfie di noi due con al centro un cane di pezza uguale a Rex.

Festeggiammo la Giornata del Papà andando a pranzo in collina e rimanendo a cazzeggiare in uno dei laghetti tra i boschi di castagno, non molto lontano dal ristorante. Ci godemmo un tiepido sole che sembrava un piccolo antipasto di primavera. Tuttavia ero un po' sulle spine, e mia madre se ne accorse.

«Matilde, tutto bene?».

«Si, mamma, certo».

«Hai studiato tutto? Sei in regola con i compiti? Sembri in ansia?».

«No, assolutamente, è tutto a posto coi compiti» e non mentivo.

«Ci sono problemi con le tue amiche? Anche se, non tutto il male verrebbe per nuocere» non si risparmiò la frecciatina a Chiara.

«Tutto a posto mamma. E Chiara è meglio di quanto pensi» risposi. Sebbene il rapporto fosse un po' più freddo, continuavo a consierarla la mia migliore amica.

«Magari quando sarai più adulta cambierai idea» continuò. E si attaccò a questo per farmi una specie di lezione su quello che si ritiene giusto a tredici anni semplicemente perché non si misurano correttamente le conseguenze. La ascoltai veramente, ma non ribattei, in fondo ero veramente in pace con me stessa. Semplicemente ero un po' in ansia per la prima sera dopo la assurda scena con protagonisti i miei pupazzi.

Durante il viaggio di ritorno mi appisolai, nel dormiveglia mi immaginai con Fede su una coperta a guardare il lago, poi baciarci, poi ridere. Poi mio padre trovò un po' di traffico per strada a causa di lavori, ed iniziò a smozzicare parolacce, con mia madre che cercava di tenerlo tranquillo.

Arrivata a casa, a seguito di quel dormiveglia, mi sentii stanca, e mi buttai sul letto. Rex mi guardava ma era immobile, sembrava tornato ad essere un semplice cane di pezza, ed io mi sentii una gran stupida ad aver creduto che un sogno fosse stato in effetti realtà.

Sentii in lontananza le onde del mare mosso. Chissà cosa stava facendo Fede, magari stava facendo surf, magari ci stava andando, magari lo aveva già fatto, magari stava tornando a casa, stava pensando al giorno dopo.

Mi svegliò mia madre per cena, una cena leggera, che era in pratica un antipasto del lunedì in cui saremmo tornati a scuola. A me in fondo in fondo non dispiaceva. Mangiai comunque poco, andai in camera e mi preparai per la doccia. Mi guardai allo specchio e mi chiesi come poteva mai trovare qualcosa di interessante in me uno come Fede, ma in generale un qualsiasi ragazzo.

Sorrisi pensando che l'unico che si era interessato a me fosse stato un cane. Di pezza. In sogno.

Alle nove e mezza ero in pigiama, a leggere nel letto. Mia madre passò a darmi la buona notte e a farmi le solite domande sui compiti completati, lo zaino pronto, il cellulare spento. Mi attardai a leggere fin verso le dieci e tre quarti, poi spensi la luce e presi Rex.

Lo strinsi, senza nemmeno sapere se volevo conforto, o volevo sentirlo parlare, o volevo che mi desse di nuovo le sensazioni del giorno prima. Sfregai leggermente il suo didietro sui miei slip, poi di nuovo, e di nuovo. Il piacere era lieve, ma ero titubante.

«Così facciamo mattina, Matilde. E mi consumi il sedere, mi ritroverò ad essere come certi babbuini».

Quasi urlai, guardandolo.

«Ma sei vivo!».

«Non fare quelle scene da filmetto sentimentale. Parliamo di cose serie, mi stavi usando male».

«Scusami, non volevo».

«Eh, invece mi sa proprio che volevi. Va bene, facciamo le cose fatte bene, su su» replicò il cagnolino, girandosi e cercando di abbassare le mutandine con la bocca.

«No, dai!».

«Sì, dai, smettila con questi commentini ipocriti. Ti piace!».

Sospirai per la sua testardaggine. E poi sospirai sul serio, mentre lui sussurrava «Prima fermata, Monte di Venere... Seconda fermata, Prepuzio... Terza fermata, stazione centrale, Clitoride».

Iniziò a lavorarci con il nasino di plastica. Non ebbi il coraggio di fare null'altro che accarezzare la sua schiena, mentre faceva quella cosa fantastica che mi rapì, letteralmente. Arrivai quasi a non avere il controllo del respiro, l'aria entrava ed usciva a caso dai miei polmoni. Pian piano rallentò, poi ancora e ancora.

Mi sentii tutta strana, lui si girò.

«Non è male, vero?» disse, tornando ad appoggiare il naso al mio volto.

Sentii l'umidiccio.

«Ma sei bagnato!».

«No, cara. Tu sei bagnata».

Il mio «Oh» fu a metà strada tra l'imbarazzato e lo scandalizzato. Con la mano mi toccai scoprendo che, in effetti, non ero proprio asciuttissima. Annusai.

«Mi asciughi il naso per piacere? Con le zampe non è facile» mi disse lui, «Ok, Matilde, come vedi non è male provare questo tipo di piacere».

Gli pulii il naso, lui mi diede un leccotto sulla guancia.

«E vedrai che dormirai piuttosto bene stanotte».

Quanto aveva ragione, dormii benissimo, non sognai nulla, o almeno la mattina ebbi l'impressione di non aver sognato nulla ma di essermi riposata magnificamente, più che riposata mi sembrò di essermi rilassata.

L'imbarazzo mi colse quando mi accorsi che il peluche aveva il naso non proprio perfettamente pulito, me lo portai con urgenza in bagno per sistemarlo, ne uscii con mia madre che mi guardava con occhi un po' straniti.

«Matilde, capisco che ti piaccia quel peluche, ma pensavo che avessi smesso da un pezzo di portarteli ovunque».

«Oh, no, no! Devo... ehm, averci sbavato... un po' sopra stanotte».

«Sbavato? Hai il naso chiuso? Hai preso freddo ieri in collina?».

«Mamma, calma, è tutto a posto» risposi, tagliando corto.

Non succedeva spesso che troncassi i discorsi con i miei genitori, ma l'imbarazzo per quella vicenda mi portò ad usare questa arma. Tornai in camera e finsi di scegliere accuratamente cosa mettermi, per evitare di passare tempo al tavolo della colazione, dove mia mamma stava ovviamente dicendo a mio padre che ero stata un po' brusca.

Non mi capitava molto spesso di scegliere l'outfit con attenzione, anche perché avevo un guardaroba scarnissimo. La verità è che non mi interessava molto cosa mettermi, non avevo cose sgargianti, e nemmeno dal disegno particolare. Ero banale, e quella mattina, una volta di più, me ne resi conto. Ma in fondo, mi dissi, anche Fede non splendeva per glamour, era sciatto, ne conveniva anche Chiara.

Beh, in fondo avevamo un punto in comune.

Mi misi una felpa con il cappuccio, un paio di jeans, presi lo zaino, salutai Rex con un bacino sul naso, feci velocemente colazione e scappai a scuola. Mi lasciai alle spalle i miei che rimasero con le parole in bocca, senza possibilità di chiedermi perché fossi stata così brusca con mia madre.

A scuola, la mattina era molto fresca ed il cielo era coperto. Un vento da nord-est spirava sul piazzale portando un vago sentore di salsedine. Salutai Chiara e Caterina quando mi raggiunsero nel piazzale antistante l'ingresso, parlammo del più e del meno nei pochi minuti che ci dividevano dalla campanella.

«Sei meno moscia del solito Maty, hai bevuto Redbull stamattina?» mi chiese Chiara, allontanandosi un passo e guardandomi incuriosita.

Risposi con una smorfia, poi fui attirata da Federico, che arrivò a scuola fremendo, guardandosi attorno come ad aspettare qualcosa. Fu una delle rare mattine in cui gli vidi il cappuccio abbassato, fu come vedere un cane fiutare l'aria.


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