Capitolo 0. In cinque anni (2)

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1 aprile 2080

Erik Maverick si passò una mano nei folti capelli ramati e appoggiò il gomito al tavolo di vetro a cui era seduto.

«Cristo Santo...» sussurrò.

Non riusciva a staccare gli occhi dalle immagini proiettate sull'enorme schermo che copriva l'intera parete della sala riunioni.

A qualche posto di distanza, Sara Guelfi era sprofondata nella comoda poltrona imbottita e si copriva la bocca con la mano. Stava piangendo.

Sebbene avessero avuto reazioni più pacate, anche il resto dei membri presenti alla riunione era sconvolto da quello che il notiziario stava mostrando. A ben vedere, dopotutto: quello era l'episodio più osceno che fosse stato riportato durante quei cinque anni di guerra globale.

«Io l'avevo detto,» disse Sara, singhiozzando sommessa. «Io l'avevo detto che non dovevamo esporci.»

«Cazzate, Sara!» proruppe Mikhail, con le iridi verdi che saettavano dallo schermo alla italiana in lacrime. «Non potevamo più nasconderci, ormai. Non dopo i portali. Cazzo, sono usciti elfi, draghi e maghi da lì, il mondo avrebbe rubato da loro e l'avrebbe fatto sfuggendo dal nostro controllo. Non potevamo fare altrimenti.»

«Non avremmo permesso loro di fare... di fare questo!» rispose Sara, indicando l'immagine del gigantesco cannone di San Francisco. «Ci siamo rivelati e che cosa abbiamo ottenuto? Hanno usato la magia per uccidersi a vicenda.»

«Abbiamo aiutato quelle persone che sono arrivate dall'altro mondo,» intervenne Adéle, con i polpastrelli delle dita congiunti, come racchiusa in una silenziosa preghiera. «Se non avessimo usato la magia per iniziare un dialogo, sarebbero tutti stati catturati, sezionati, trattati come cavie da laboratorio. Si stanno integrando grazie a noi. Abbiamo salvato delle vite, Sara.»

«La guerra non era stata pianificata... nessuno l'avrebbe pensato,» disse Erik, cambiando posizione sulla sedia, all'improvviso scomoda come un macigno gelido.

«Nessuno l'aveva pensato, ma avremmo dovuto,» replicò l'italiana, categorica. «Si poteva sentire puzza di marcio già pochi mesi dopo l'apertura dei portali: Cina, Stati Uniti e Russia non stavano aspettando che una scusa per iniziare a spararsi addosso e conquistare i portali, come fossero un cazzo di premio bellico da strappare agli altri.»

«Siamo stati poco previdenti, è questo che vuoi sentirti dire?» intervenne Alberich, con voce gracchiante e supponente. «Non serve a niente stare qui a discutere sulla guerra e sull'uso improprio della magia. Ci siamo rivelati per fare del bene, ma le nostre capacità sono state usate per costruire armi sempre più letali, fine. È andata così, ormai; possiamo soltanto metterci una pezza.»

«E che pezza vorresti mettere a quello che hanno appena fatto?» urlò Sara, indicando ancora lo schermo.

Erik buttò un occhio alle immagini del servizio giornalistico e deglutì. I droni stavano riprendendo dall'alto ciò che, fino a poche ore prima, era la città metropolitana di Tokyo: macerie, desolazione, terriccio bruciato e brullo, rivoli di vapore che si innalzavano da cumuli di ceneri che, una volta, dovevano essere edifici. Una gigantesca metropoli, con i suoi sobborghi e periferia, spazzata via da un unico colpo della nuova arma che gli Stati Uniti avevano costruito.

«Quello l'ha fatto solo uno dei cannoni sulla costa ovest, sai?» incalzò Sara, mentre tutti gli altri presenti distoglievano l'attenzione dallo schermo. «Lo sapete quanti altri ne hanno installati?»

Le porte scorrevoli della sala si spalancarono con un ronzio, consentendo l'ingresso a due nuovi arrivati.

«Sono sette sulla costa ovest,» rispose il biondissimo Theodore Lawson, togliendosi un cappotto pesante e abbandonandolo sulla sedia a lui designata al tavolo del consiglio. «Dieci sulla costa est, invece. Il presidente ha il mondo sotto scacco, in questo momento.»

Il suo accompagnatore era rimasto fermo accanto all'ingresso, ma gli sguardi di tutti si erano fermati sul volto spigoloso, salendo fino alle sinuose orecchie appuntite che lo definivano come un giovane elfo. Uno degli elfi dei portali, chiaramente: erano ben diversi da quelli che abitavano la Terra secoli prima e che si erano ormai estinti.

«Gran bel lavoro che hai fatto a tenerlo sotto controllo, stronzo americano!» sbottò Mikhail, senza neanche degnare di un'occhiata il collega appena arrivato. «Come minimo ti saresti dovuto presentare qui con nomi e cognomi degli infami che hanno lavorato ai cannoni.»

Theodore gli diede le spalle e fece un cenno all'elfo che lo accompagnava, invitandolo a sedersi al suo posto. Lui rimase in piedi dietro allo schienale, prendendosi alcuni secondi per scrutare i maghi lì riuniti.

«E questo chi è?» chiese Alberich, squadrando il misterioso arrivato in modo molto poco cortese.

«Melek Ayrsur,» rispose lui, muovendo gli occhi chiari a incrociare quelli diffidenti del mago tedesco. Doveva essere un utilizzatore di arti arcane, o non avrebbe mai potuto esibire una così perfetta pronuncia inglese. «Onorato di fare la vostra conoscenza.»

«Sei stato tu a lavorare con gli americani a quelle armi?» Sara lo aggredì senza tante cerimonie, alzandosi e protendendosi in avanti sul tavolo, che tremò sotto la sua stazza non proprio minuta.

Melek aprì la bocca, ma venne subito zittito dalle aspre parole di Theodore.

«Abbiamo visitato uno dei cannoni qualche giorno fa e posso confermare i vostri sospetti: quegli affari funzionano con uno strano miscuglio di magia e tecnologia d'avanguardia. Purtroppo non ho idea di chi possa essere il mago che si è venduto al governo e, ovviamente, il mio amico non ha nulla a che vedere con questa orribile faccenda.»

L'americano iniziò a passeggiare intorno all'ampio tavolo, calcando a grandi passi l'elaborato tappeto persiano che ricopriva il pavimento.

«In ogni caso l'attacco non è stato indolore, per gli Stati Uniti. I canali d'informazione ancora non lo sanno perché il governo ha provato a nasconderlo, ma l'attivazione dell'arma ha avuto un pesante effetto collaterale. Non saprei come definirlo: è come se l'energia arcana canalizzata per ampliare l'esplosione si sia riversata all'esterno del cannone, in una sorta di rinculo magico, che ha spazzato via i sobborghi di San Francisco.» La figura longilinea di Theodore si fermò davanti allo schermo e l'americano si mise a fissare le immagini di quella che una volta era la capitale del Giappone. «Una magra consolazione per i viventi che si sono spenti oggi.»

«Quindi sono anche instabili?» chiese Erik, alzando la testa per un istante. «Gli Stati Uniti hanno speso gli ultimi anni di guerra a costruire dei giganteschi mortai magici che possono annichilire paesi da un continente all'altro, e sono pericolosi anche per loro?»

Theodore fece spallucce e si voltò a guardare l'inglese.

«Già, proprio così, ma io dubito che questo fermerà il governo. Hanno lanciato un chiaro messaggio al mondo e non si possono permettere di mostrarsi deboli,» disse l'americano, arricciando il labbro. «Hanno usato i cannoni la prima volta, ormai il dado è tratto. Non si faranno problemi a farlo di nuovo e io dubito che il mondo potrà sopravvivere a quello che accadrà dopo.»

Sara tornò a sedersi e sospirò.

«Quindi, cosa facciamo?» mormorò Erik, guardando di sottecchi il silenzioso elfo.

«Quindi, li fermiamo,» rispose Theodore, serrando la mascella e corrugando l'ampia fronte. «Li fermiamo tutti: Giappone, Russia, Cina, Stati Uniti, Europa; se dovessero usare ancora i cannoni, i viventi verrebbero decimati, la guerra non finirebbe mai più e il mondo si estinguerebbe coperto da una coltre di morte e distruzione.»

Si voltò di nuovo a fissare lo schermo e il raccapricciante servizio che continuava a mostrare riprese della distruzione di Tokyo.

«Tutto il mondo sarà così nel giro di poche settimane, se non facciamo qualcosa,» aggiunse, a mezza voce.

Adéle si alzò in piedi e sbatté il palmo sul bordo del tavolo.

«Prendiamo i nostri maghi più fidati e distruggiamo quei cannoni!» urlò. «Pensano di poter essere più potenti di noi solo perché hanno armi laser, droni da guerra e cannoni dell'apocalisse? Beh, io dico va te faire foutre! Una manciata di maghi può ridurre in cenere qualsiasi esercito.»

«Ne convengo, madame Moreau,» rispose Theodore, spostando la sedia assegnata a Jotaro Kumi per sedersi al tavolo.

Il mago giapponese era disperso e irraggiungibile già da molte ore e i partecipanti all'incontro dubitavano che si sarebbero presentato in quella sala, non dopo ciò che era successo al suo paese.

«Ma il nostro scopo non è sconfiggere gli altri paesi nella loro guerra,» continuò l'americano, accomodandosi e accavallando le gambe. «Noi dobbiamo fermare questo conflitto, ma non lo faremo soltanto togliendo uno dei tanti giocattolini di morte. Togli il coltello a un assassino, tornerà con una pistola; privalo della pistola e si presenterà a cavallo di una testata atomica.»

«Allora cosa suggerisci?» chiese Mikhail, accigliato.

«Suggerisco di far sparire tutte le armi,» rispose, serio. «Suggerisco di togliere la possibilità a tutti di uccidersi a vicenda con facilità. Niente più cannoni, niente più eserciti di automi armati di fucili termici, niente più droni bombardieri, niente più testate chimiche e atomiche. Cancelliamo tutto quello che ha il potenziale di distruggere il mondo.»

Erik si appoggiò allo schienale e prese un ampio respiro.

«Mi sembra un piano folle, Theodore,» disse, scuotendo il capo. «Siamo potenti, ma pochi. Anche facendoci aiutare dai maghi dell'altro mondo, come pensi di ottenere qualcosa di simile senza entrare in guerra?»

«No, Erik, prova a pensarci!» esclamò Theodore, spostandosi in avanti. «Pensaci! C'è qualcosa su cui possiamo mettere mano noi maghi, qualcosa che accomuna tutte le armi di distruzione di massa che minacciano la vita. È la soluzione finale, l'ultima alternativa per preservare il mondo.»

Melek si mosse e attirò l'attenzione di tutti con un rapido colpo di tosse.

«Senza dubbio è stato più facile per me, solo perché il vostro mondo è così diverso dal mio,» disse, chiudendo gli palpebre, come se stesse richiamando a sé ricordi lontani. «Il mio vecchio mondo è morto per cause molto simili a quelle che stiamo sperimentando oggi. Ci è stata data la possibilità di sopravvivere all'estinzione, di ricominciare da capo, ma stiamo vivendo il medesimo orrore dal quale noi pochi sopravvissuti siamo sfuggiti per grazia degli spiriti. Io non voglio che mio figlio abbia attraversato pena e sofferenza soltanto per lasciarsi morire in un mondo che ancora non gli appartiene, per mano di una tecnologia sconosciuta e aliena. Quindi sì: mi è stato facile capire che cosa toccare nel vostro mondo per fermare tutto questo, è lampante per noi che conviviamo con voi da così pochi anni.»

Alberich cacciò un grugnito e si lasciò sprofondare nello schienale.

«Oh, Dio,» sussurrò. «Cristo Santissimo, voi siete pazzi! Non potete neanche pensare a una cosa simile!»

«Che cosa?» chiese Sara, le pupille lucide che saettavano da un capo all'altro del tavolo.

«Non c'è altro modo,» rispose Theodore, categorico. «La Trama e la magia sono una forza cosmica primaria e, anche se non è mai stato fatto, con essa possiamo modificare a piacimento la realtà, manipolare le forze e le leggi che governano il mondo. La magia è una forma di energia, proprio come l'elettricità: possiamo usare i nostri poteri per sopprimere per sempre ciò che alimenta ormai tutte le armi utilizzate.»

Erik scoppiò in una risata isterica involontaria.

«Vuoi sopprimere l'energia elettrica? Cazzo, Theodore, così non fermerai la guerra... fermerai tutto. Tutto funziona a elettricità, ogni cazzo di cosa!»

«Voglio sopprimere la corrente elettrica applicata a tutto ciò che c'è di artificiale al mondo. L'ho detto: è la soluzione finale,» ribatté l'americano. «Definitiva, senza mezzi termini. O tutto, o niente. O la distruzione, o la vita ma con compromessi.»

«Compromessi?» scandì Mikhail, strabuzzando gli occhi. «Getteresti il mondo indietro di almeno due secoli. Butteresti all'aria anni di studi e progressi scientifici e medici... no, ci deve essere un altro modo!»

Theodore si alzò in piedi e protese le mani in avanti.

«Avanti, sentiamo!» esclamò. «Volete un altro modo? Datemelo ora e qui, perché non abbiamo più tempo per studiare soluzioni fantasiose e cervellotiche! Abbiamo avuto cinque anni da quando i soldati cinesi hanno sparato agli americani davanti al portale in Egitto, cinque anni nei quali non abbiamo fatto altro che guardare uomini che si ammazzavano a vicenda. Non avete dato soluzioni allora e non me le darete neanche adesso, perché non ne esistono.»

Scese un silenzio teso intorno al tavolo, intervallato dai rumori rauchi di Sara che tirava su con il naso: aveva ricominciato a piangere, come se in cuor suo avesse già accettato la realtà di quello che avrebbero dovuto fare.

«Vedo che siete bravi a contestare, ma non altrettanto a proporre,» sibilò Theodore, con fare canzonatorio. «Ora procederemo come questo consiglio ha sempre fatto dalla sua fondazione: voteremo. La democrazia non deve essere accantonata neanche in tempi di crisi, pertanto mi auguro che ciascuno di voi faccia ciò che è giusto.»

Nessuno ebbe il coraggio di replicare, quindi Theodore Lawson tornò a sedersi e indicò l'elfo con un cenno del capo.

«Melek ha il grande vanto di aver avuto l'idea e averla sviluppata in un rituale arcano, pertanto ha il diritto di partecipare a questa riunione della nostra assemblea,» disse l'americano, che si era ormai appropriato dello scettro di presidente del consiglio segreto mondiale della società arcana. «Voterà al posto di Jotaro, in questo modo saranno mantenuti i giusti equilibri.»

Anche a quell'affermazione nessuno trovò qualcosa per cui replicare. Erik allungò la mano per raggiungere il pannello di controllo dello schermo a parete e premette il pulsante di spegnimento: non riusciva a ignorare quel video e iniziava a sentire una nausea soverchiante farsi strada attraverso l'esofago, verso la gola.

«Chi è a favore nell'eseguire subito il rituale che altererà la realtà e causerà lo spegnimento forzato di tutto ciò che viene alimentato dall'energia elettrica?» chiese Theodore in tono liturgico, ponendo in modo chiaro e conciso la domanda su cui il consiglio avrebbe dovuto votare, com'era tradizione ormai da circa sessant'anni.

Alzò subito la mano, seguita da quella di Melek. Pochi istanti dopo anche Mikhail e Alberich rivolsero i palmi verso l'alto, seguiti da Sara e da Adéle.

Erik abbassò il capo e prese un ampio respiro affranto: ormai era fatta.

Per ultimo, sotto gli sguardi dei suoi colleghi, alzò la mano.

«Perché non voglio che questa decisione non venga presa all'unanimità,» mormorò, guardandosi bene dall'incontrare il viso dei presenti. «L'idea di togliere all'umanità secoli di storia mi... mi causa il vomito.»

«Abbiamo avuto la nostra possibilità, Erik,» disse Theodore. Aveva la mascella serrata e la fronte contratta, ma gli occhi erano lucidi e la voce gentile, quasi comprensiva. «Siamo stati capaci di fare grandi cose, ma abbiamo preso la scienza e l'abbiamo corrotta, malformata e trasformata in orrore e distruzione. Forse arriverà un giorno in cui gli abitanti di questo mondo saranno di nuovo degni di aspirare all'eccellenza e, quando arriverà quel momento, noi saremo lì. Se non noi, lo saranno i nostri figli.»

Alberich sbuffò e si alzò dalla sedia, iniziando a passeggiare avanti e indietro davanti alle ampie finestre a picco sul parco che circondava la villa dei Maverick.

«Chissà che una caduta non faccia bene al mondo, dopo essere arrivato così in alto,» si chiese l'anziano mago tedesco, soffermandosi un istante a guardare l'esterno.

«Una cosa è certa,» commentò Sara, chinando il capo e lasciando scorrere i lunghi capelli castani oltre le spalle. «Domani ci sveglieremo in un mondo del tutto diverso.»

«Credete a uno che ha visto in faccia la distruzione,» disse Melek, abbozzando un mezzo sorriso. «Le cose potranno soltanto migliorare.»

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