Capitolo 11 - La donna in rosso

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Darren osservava fuori dalla finestra con la spalla appoggiata al muro, lasciando sporgere soltanto un occhio stipite polveroso; guizzava da un angolo all'altro del parcheggio del motel, appena visibile nell'oscurità della notte.

Era rimasto da solo in camera.

No, non solo: Amanda Lawson era stesa sul letto lì accanto, esanime e silenziosa. Era sicuro che la Signora Presidentessa degli Stati Uniti d'America avrebbe avuto molto da ridire su quella sistemazione, se solo non avesse avuto la stessa loquacità di una pianta grassa.

Alex, Theresa e Jacob erano usciti pochi minuti prima, diretti al luogo in cui Edgar Allan avrebbe dovuto incontrare la misteriosa committente del rapimento.

Perché non potevano proprio andarsene in giro con Amanda Lawson sulle spalle, soprattutto dopo quello che aveva scoperto la mattina prima.

Darren schioccò la lingua e iniziò a battere il piede in modo nervoso sul pavimento: si erano fatti fregare come degli idioti, si era fatto fregare come un novellino. Avevano avuto così tanta fretta di nascondere la presidentessa in quel lurido motel che non avevano pensato a tornare dalla polizia a fare rapporto sulla situazione dell'ospedale.

E i loro avversari avevano sfruttato la cosa in modo brillante.

Dopo aver abbandonato l'ospedale, erano tornati a Elizabeth City con le prime luci dell'alba e si erano rinchiusi nel primo motel di periferia che avevano trovato per riposarsi dalla nottata.

E quello era stato il primo gravissimo errore: nel pomeriggio della domenica la città brulicava di agenti federali che stavano cercando i quattro pericolosi terroristi colpevoli di aver compiuto un massacro al Sentara Albemarle.

Un massacro al Sentara Albemarle... le voci dicevano che erano stati uccisi tutti e che solo un testimone era sopravvissuto e aveva riportato la notizia, insieme agli identikit dei quattro criminali.

Era ovvio dove quella storia sarebbe andata a parare: l'FBI era arrivato, aveva cancellato ogni traccia del proprio passaggio al Sentara Albemarle e aveva fatto ricadere la colpa su quei deficienti che avevano pensato di mettersi contro di loro.

Era solo questione di tempo prima che li trovassero e li impiccassero davanti a tutta la città inferocita.

Erano rimasti rinchiusi in quella tomba a forma di camera di motel fino alla sera del lunedì, attendendo il momento in cui una squadra di militari avrebbe sfondato la porta e iniziato a sparare a casaccio contro di loro.

Le preghiere di Theresa dovevano aver ottenuto qualcosa, perché il parcheggio che circondava il loro motel rimase silenzioso e disabitato per entrambe le giornate. Doveva soltanto resistere fino alla notte dell'appuntamento: avrebbero incontrato la committente e si sarebbero liberati di quella bomba a orologeria in coma sulle lenzuola.

Darren e Jacob avevano discusso a lungo sul piano per quella sera e alla fine era riuscito a spuntarla: il cacciatore di taglie sarebbe rimasto a fare la guardia alla Lawson, mentre il federale sarebbe andato a incontrare la misteriosa donna in rosso insieme ai suoi nipoti. Perché lui era la legge, era suo dovere andare a interrogare quella pericolosa donna che organizzava rapimenti di persone famose.

La legge, come no. Jacob ancora non aveva capito di aver perso tutto e di non essere più nessuno. La legge, quella vera, lo stava cercando e nessun poliziotto avrebbe esitato a piantargli una freccia nella schiena.

Manifesti con le loro facce erano appesi ai muri di Elizabeth City e i maghi che lavoravano nell'ufficio stampa del sindaco emanavano giorno e notte i comunicati della Casa Bianca che prometteva che i responsabili dell'attentato sarebbero stati catturati e puniti per i loro crimini.

Peccato che chiunque avesse inviato quei comunicati non fosse la vera presidentessa. O forse era la donna in coma a non essere quella vera, e loro erano finiti in un mare di merda per nulla.

In ogni caso, tutto il cazzo di Stato era sulle loro tracce. Poco importava che a uscire per raggiungere il cimitero di Elizabeth City fosse stato Darren o Jacob: loro due erano uguali, ormai. Due criminali da consegnare alle autorità, vivi o morti.

Da quando Alex e Thera aveva lasciato il motel, Darren era rimasto attaccato alla finestra a fissare fuori. Poteva giurare di non aver lasciato tracce, dopotutto era uscito soltanto una volta quella mattina per recuperare qualcosa da mangiare nell'unico negozio che era rimasto aperto dopo l'incidente.

Non era stato seguito da nessuno e non aveva attirato attenzioni, ma c'era il fottuto FBI sulle loro tracce e prima o poi qualcuno sarebbe arrivato a controllare anche l'Ellie Motel; avevano solo quella notte per andarsene, niente di più.

Se fosse dipeso da lui, avrebbe preso i ragazzi e se la sarebbe data a gambe già il giorno prima, ma Alex era stato irremovibile: voleva sapere. Era strano che lui si impuntasse su qualcosa, di solito quello era un comportamento da Theresa; vederlo così determinato era un'anomalia che Darren aveva deciso di non ignorare.

Sarebbe stata l'ennesima decisione del cazzo che prendeva in quel viaggio? Forse stava davvero iniziando a perdere lo smalto, doveva mettersi a pensare alla pensione.

Sospirò, si voltò e appoggiò la schiena alla parete, fissando sconsolato il volto pallido di Amanda Lawson.

O della donna identica a lei.

Esistevano migliaia di metodi per fare in modo che qualcuno assomigliasse a qualcun altro. Senza dubbio era più credibile che...

Un suono soffocato dall'esterno gli fece gelare il sangue nelle vene.

Si girò di scatto e mosse di un solo centimetro la tendina per guardare fuori, appena in tempo per notare una sagoma scura che si nascondeva dietro la parete di un edificio dall'altro lato del parcheggio.

Poteva voler dire qualsiasi cosa, poteva essere chiunque.

Oppure era lì per lui e per la donna che stava proteggendo.

«Cazzo!»

Ringhiò tra i denti e si mosse rapido per afferrare il mantello e la borsa magica. Rovistò all'interno finché non trovò il sacchetto di pelle lavorata che gli aveva regalato Greg per il suo primo anniversario da cacciatore di taglie: della fine polverina contenuta al suo interno rimanevano solo un paio di manciate, abbastanza da rendere invisibile lui e Amanda.

Avrebbe dovuto farsene dare altra appena fosse tornato a far visita al vecchio mentore, quella polvere della sparizione era la cosa migliore che aveva in quella borsa!

Si aggiustò il mantello e si caricò in spalla la presidentessa, poi afferrò una generosa manciata della polvere e se la gettò sulla testa.

Il loro soggiorno all'Ellie Motel era già concluso. Per fortuna che aveva pagato in anticipo soltanto due notti.




Jacob sapeva che non avrebbero dovuto impiegarci più di una mezz'ora a piedi per raggiungere il cimitero. Purtroppo la loro non era una tranquilla passeggiata notturna.

Avevano lasciato l'Ellie Motel intorno alle dieci e trenta di sera, ma non avevano preso la larga Halstead Boulevard che li avrebbe condotti, sempre dritto per una ventina di minuti, verso l'università. Jacob aveva preferito inoltrarsi in quartieri residenziali deserti, imboccando piccole vie che serpeggiavano attraverso giardini privati e casette squassate dall'incidente.

Prima di infilarsi in quel quartiere meno trafficato, avevano avuto modo di osservare un paio di pattuglie di uomini in completo neri passeggiare in fondo alla strada, chiaramente alla ricerca di qualcuno.

Era uno spiegamento di forze impressionante, sembrava che ogni fottuto agente del Bureau fosse stato inviato in quella sperduta cittadina.

Sarebbe stato complicato andarsene, soprattutto portandosi dietro Amanda Lawson. Sapeva come lavoravano al FBI: le strade in uscita dalla città sarebbero state bloccate da posti di blocco e poteva giurare che anche i campi che circondavano Elizabeth City sarebbero stati pattugliati giorno e notte. Avrebbero avuto bisogno di un miracolo.

Il New Hollywood Cemetery occupava una vasta area pianeggiante a sud del centro del piccolo agglomerato urbano, non troppo distante dall'università. Non era neppure recintato, anche se basse colonne di mattoni ingrigiti dalle intemperie si intervallano lungo il perimetro.

La vista di quel posto gli metteva sempre addosso una grande ansia e Jacob non ci aveva più messo piede dopo il funerale del padre. Quelle lunghissime file di lapidi gli ricordavano ossa che spuntavano dal terreno, colture nate dagli stessi corpi seppelliti nella terra fredda e umida.

La cripta che dovevano raggiungere si trovava lungo l'estremità opposta del camposanto, più a ovest rispetto al punto dal quale erano entrati e non troppo distante dalla tomba del fu Jack Collins.

Jacob non si avvicinava così tanto a quella lapide da anni e ora si trovava costretto a farlo per motivi che trascendevano suo padre, la famiglia e... chissà se c'era un posto libero per Agnes, accanto a papà. Perché era morta anche lei, dicevano; vittima inconsapevole di una guerra che non avrebbe potuto comprendere.

E doveva credere che fosse stato l'FBI a fare un simile massacro?

No, non poteva accettarlo! Erano stronzate, solo una trappola per indurli a uscire allo scoperto. Sapevano che sua madre era ricoverata nell'ospedale, fingere la sua morte era solo un trucco del cazzo.

Agnes stava bene, doveva stare bene.

Non avrebbe mai sopportato di assistere a un altro funerale, non ancora.

La cripta della famiglia Bryce si stagliava inconfondibile in mezzo a tutte quelle basse lapidi, come un monarca che si ergeva sul popolino. Era l'unico monumento funebre così alto e persino nell'oscurità della notte la sua tozza sagoma risaltava tra le ombre degli alberi che crescevano lì accanto.

«Non mi piacciono i cimiteri,» commentò Alex, rompendo il silenzio.

Jacob roteò gli occhi. E a chi è che piacevano?

Chiunque fosse la donna che aveva organizzato quell'incontro, aveva un gusto davvero orrendo.

«Siamo in anticipo, non vedo nessuno,» disse Theresa, facendo un passo per superare il federale fermo accanto a una lapide.

«Aspetta, dobbiamo capire come agire,» rispose lui, alzando la mano appena in tempo per afferrarle l'avambraccio. «Ricordati che la persona che arriverà ha organizzato il rapimento della...»

Della fottuta presidentessa degli Stati Uniti d'America. Merda, anche solo pensarlo era ridicolo. Ammesso che fosse davvero lei e non... l'altra.

Non ne aveva ancora parlato con nessuno.

«Lo so!» sibilò Theresa, divincolandosi dalla presa dell'agente. «Saremo pronti, non preoccuparti. Alex ha la magia e io ho la mia spada.»

Jacob si mordicchiò l'interno della guancia per trattenere le aspre parole che avrebbe voluto vomitarle addosso. Una spada smussata contro una possibile banda di criminali. Che culo, erano proprio in una botte di ferro!

«Fate parlare me e rimanetemi accanto,» si raccomandò, fissando la sagoma scura del volto della novizia. Con quel buio era difficile persino distinguerne i contorni, ma accendere una lanterna sarebbe stato da stupidi.

«Agli ordini, agente Collins,» fece Alex, laconico.

Il federale strinse il pugno, ma non rispose. Non era suo dovere insegnare a quel ragazzino il rispetto per le autorità, ma in un momento diverso gli avrebbe dato una bella lezione. I suoi figli non sarebbero mai venuti su in quel modo se... peccato che non ne avrebbe mai avuti.

Facile fare il padre modello quando la natura ti aveva donato degli spermatozoi malfunzionanti. Le fortune, invece, tutte agli altri.

Senza parlare, tutti e tre si avvicinarono alla sagoma della cripta. Osservarne i dettagli era impossibile, e Jacob si limitò a tastare con il palmo la fredda parete esterna; c'erano due gradini sulla parte frontale che dovevano condurre all'ingresso della camera interna. Nulla che potesse interessargli, comunque: erano lì per ciò che si trovava fuori, ancora a piede libero nel mondo.

«Chissà se sono in orario,» mormorò Theresa, appoggiata all'angolo della costruzione.

Alex sbuffò e si sedette sul secondo scalino.

«Cosa pensi che faranno quando vedranno che non abbiamo con noi la presidentessa?» chiese il ragazzo, dopo qualche istante di silenzio.

Jacob fece spallucce e si appoggiò la mano sulla fondina. Si sentì subito meglio: più sollevato e molto, molto meno preoccupato per il futuro. Agnes stava bene, avrebbero trovato un modo per sistemare il problema della presidentessa e la sua pistola era lì con lui. Non esisteva rompicapo che non potesse essere risolto se l'agente Collins impugnava la sua arma.

Premere il grilletto era così facile e... appagante. Non c'era nulla di più bello di sentire il colpo e vedere il proiettile che schizzava fuori dalla canna.

Sì, si sarebbe sistemato tutto alla perfezione.

Chiuse gli occhi, prese un profondo respiro e sorrise.

«Si dovranno preoccupare di cosa faremo noi a loro, invece,» rispose, con la voce ridotta a un flebile sussurro.

Si sentì gli occhi dei fratelli addosso e il sorriso si tramutò in un ghigno sghembo, mentre sfiorava con i polpastrelli l'impugnatura tiepida dell'arma.

Un lumicino si accese nell'aria a qualche metro da loro.

Mosse dal puro istinto, le dita gli si serrare intorno alla pistola e il braccio si distese in avanti, pronto a fare fuoco.

Jacob sorrideva ancora.

Il chiarore era flebile e rischiarava appena le lapidi e l'erba; era generato da una piccola pallina lucente che fluttuava nel vuoto, i contorni fluidi e poco nitidi come se fosse fatta di un materiale malleabile.

Fluttuò a sinistra e soltanto allora Jacob vide la donna che stava in piedi accanto alla luce.

La lapide più vicina le arrivava appena al bacino, coperto, come tutto il resto del corpo, da un lungo impermeabile scarlatto che le nascondeva dal collo fino alle caviglie; spuntavano soltanto le punte di un paio di stivali neri luci e il volto seminascosto dall'alto bavero. Calato sulla fronte c'era un cappello a tesa larga dello stesso colore dell'impermeabile, che disegnava una lunga porzione scura sui lineamenti del viso della donna.

«Immaginavo che non avrei trovato Edgar, questa sera, ma due ragazzini e un uomo armato di pistola non erano proprio nei miei progetti,» disse, alzando la mano guantata a mo' di saluto.

Parlava con timbro squillante e vivace, e Jacob giurò che stesse sorridendo da dietro il bavero alzato. Dietro tutto quel tessuto scarlatto si vedevano in modo chiaro soltanto gli occhi smeraldini, che rifulgevano in modo sinistro alla luce che le fluttuava intorno.

«Chi sei?» chiese Jacob, senza abbassare l'arma.

«Classica scortesia maschile,» borbottò la donna, avvicinandosi di un passo.

«Rimani immobile!» intimò Jacob, correggendo la mira e puntando la pistola verso la testa della visitatrice.

Lei si fermò, appoggiò a terra la valigetta di metallo argentato che teneva con la sinistra e alzò al contempo la destra.

Come strattonata da un uomo di cento chili di muscoli, Jacob sentì l'arma volargli via dalle mani.

«Cazzo!» gracchiò, osservando la pistola attraversare veloce l'aria e atterrare tra le dita della donna in rosso.

«Fammi indovinare,» disse lei, pensosa. «FBI, vero? Non era tanto difficile, le vostre armi sono inconfondibili.»

Si rigirò la pistola tra le dita, studiandola per qualche secondo, poi alzò le spalle e la fece sparire all'interno di un'ampia tasca dell'impermeabile.

«Te la ridarò quando avremo finito, non temere,» disse, sfilandosi l'ampio cappello per liberare una cascata di capelli corvini che le cadde oltre le spalle. «Sono Annabelle, e presumo che voi siate quelli che hanno rovinato le prospettive di gloria e ricchezza che Edgar si stava figurando. Ottimo lavoro all'ospedale: senza il vostro intervento avremmo rischiato grosso.»

Theresa estrasse la spada e si affiancò a Jacob, ancora scosso dalla rapidità degli eventi.

Senza la pistola accanto si sentiva freddo come un cadavere; l'aveva ritrovata dopo molte settimane di lontananza, e ora gliel'avevano portata via di nuovo... senza quell'arma non era nessuno, non poteva combinare nulla.

«L'abbiamo fatto per salvare delle vite,» disse Theresa, squadrando Annabelle con le sopracciglia contratte.

«Beh, diciamo che vi siete un po' persi nel finale,» commentò lei, incrociando le braccia sotto il seno, appena accennato sotto il cappotto. «Sono tutti morti, ora.»

«No!» squittì Theresa, poi si girò a guardare Jacob. «Sono menzogne che hanno diramato per farci perdere la calma!»

Jacob abbassò gli occhi e si fissò le mani, vuote. Non ne era più così sicuro.

«Thera,» mormorò Alex, accostandosi alla sorella per appoggiarle una mano sulla spalla. «Nell'ospedale non sogna più nessuno, da più di ventiquattr'ore.»

Un tremito lungo il braccio e Theresa abbassò la spada, la punta rivolta verso il terreno. I suoi grandi occhioni espressivi si erano riempiti di lacrime.

«Ma Erika...» mugolò, guardando il fratello.

«Non adesso,» disse Jacob, scuotendo il capo.

Le parole di quella donna non cambiavano nulla: poteva mentire anche lei, come tutti gli altri. E comunque, anche se fosse stato vero ormai che cosa potevano fare?

Mai mostrarsi deboli davanti ai nemici, mai esitare a premere il grilletto.

«Sono molto dispiaciuta per le vostre perdite, è davvero una tragedia,» disse Annabelle, simulando in modo grottesco un tono fin troppo dispiaciuto. «Possiamo venire agli affari, ora? Avevo commissionato il lavoro a Edgar, ma non ho nulla in contrario a pagare voi per il vostro servizio.» Si guardò intorno e il sorriso le scomparve dal volto. «Dov'è il paziente speciale?»

«Non qui!» ringhiò Theresa, strofinandosi gli occhi e tornando ad alzare la sua innocua lama.

«Dicci perché hai ingaggiato Allan per rapirla,» disse Jacob, scuro in viso.

Era stata una mossa molto saggia quella di levargli subito la pistola. Quella ridicola conversazione si sarebbe già conclusa, altrimenti.

«Ah, è una donna, quindi!» esclamò Annabelle, portandosi l'indice al labbro inferiore. «Curioso, avevo scommesso fosse un uomo di mezza età, magari un senatore o qualche politico di spicco.»

Jacob socchiuse gli occhi e fece un basso ringhio. Quella stronza li stava prendendo per il culo: sapeva bene che era inerme senza la pistola e si stava divertendo a sue spese.

«Non... non sai chi è la persona che volevi rapire?» chiese Alex, stupito.

«Proprio così,» rispose l'enigmatica donna, appoggiando il fianco a una lapide. «Mi hanno solo detto di rapire un paziente speciale nel Sentara Albemarle; mi hanno detto dove l'avrei trovato e mi hanno consigliato di agire in una determinata data e a una determinata ora. Nessuno poteva immaginare che ci sarebbe stato un disastro del genere, sono rimasta senza parole anch'io!»

«Sono tutte cazzate,» disse Jacob, categorico. «Ti consiglio di parlare in modo chiaro, hai due minuti e poi ti dichiarerò in arresto.»

Lei scoppiò in una sonora risata, rovesciando all'indietro il capo.

«Tu non puoi arrestare proprio nessuno, Jacob Collins,» replicò Annabelle. «Sei ricercato con l'accusa di terrorismo. Mi darebbero una medaglia se ti consegnassi alle autorità, sai?»

Theresa si frappose fra lei e lo sgomento Jacob.

«Tranquilli, non sono qui per questo; voglio soltanto il mio paziente speciale, stiamo tutti morendo dalla curiosità di sapere chi è. Una mia amica aveva scommesso sulla moglie di un influente membro del congresso, è quella che si è avvicinata di più!»

«È la presidentessa Amanda Lawson!» sbottò Alex, guadagnandosi un'occhiata furente dalla sorella.

Jacob era ancora troppo scosso per pensare di zittire il ragazzo.

Chi cazzo poteva essere quella donna? Era così informata su di lui, ma non sapeva l'identità della persona che aveva pagato per rapire. Il mondo aveva smesso di avere senso quando erano entrati in quella merdosa stanza all'ospedale.

Annabelle si rimise il cappello, muovendosi con gesti lenti e misurati.

«Ma non mi dire,» sussurrò, voltandosi a guardare l'oscurità alle sue spalle. «Beh, sì... ha senso.»

«Che cosa?» chiese Theresa.

«Tutto quanto,» rispose la donna in rosso, girandosi a guardarla. «Ditemi dov'è, posso andare a recuperarla anche da sola.»

«Non te la consegneremo!» strillò Theresa.

«E allora perché siete venuti qui?» chiese Annabelle, perplessa.

Già, perché? Jacob scrutò i due fratelli qualche istante, poi scosse la testa. Avrebbero dovuto ascoltarlo e lasciare quella donna che assomigliava ad Amanda Lawson in quella cazzo di camera. Quante persone erano morte a causa di quella scelta sbagliata?

«Siamo venuti qui perché speravamo che...» rispose Alex, ma la donna lo interruppe.

«Speravate che io vi rivelassi il mio malvagio piano per la conquista della Casa Bianca, poi mi avreste arrestato e la mia confessione vi avrebbe scagionati dalle tremende accuse che vi hanno addossato,» disse Annabelle, annuendo vistosamente. «In questo caso, mi dispiace: non posso aiutarvi. Non c'entro nulla con l'esplosione del cannone e non avevo idea che stavo per rapire la presidentessa. O, almeno, così dite voi: la presidentessa è tuttora a Washington e questo pomeriggio ha rilasciato una dichiarazione pubblica riguardo l'incidente.»

«Sai usare la magia,» protestò Alex. «Sai benissimo che potrebbe essere qualcuno mascherato con un incantesimo.»

«Lo stesso si potrebbe dire della vostra presidentessa,» ribatté lei, scostando il bavero per un breve istante, abbastanza per poter vedere che sorrideva. «Oppure la soluzione è ancora più semplice, e mi stupisce che il vostro amico del FBI non ci sia ancora arrivato.»

In realtà, Jacob ci stava rimuginando da tutto il giorno. Aveva taciuto perché quell'ipotesi sembrava ancora più ridicola.

«Potrebbe essere la sorella della presidentessa,» ammise il federale, a mezza voce.

«Cosa? Sorella?» proruppe Theresa. «Ha una sorella?»

«Non mi stupisce che non lo sappiate,» disse Annabelle, arricciandosi una ciocca di capelli intorno all'indice. «La maggior parte della popolazione non ha idea dei dettagli della vita privata delle persone importanti. Il vice presidente è sposato? E il segretario di stato che lavoro faceva prima della carica? Tutte cose che nessuno di voi sa, ma che un agente federale dovrebbe conoscere. Sì, Amanda Lawson ha una sorella gemella.»

«Allora la persona che abbiamo preso è la gemella della presidentessa,» mormorò Alex, spostando lo sguardo verso l'alto.

«Potremmo scoprirlo insieme, se davvero siete così interessati alla faccenda,» propose Annabelle. «Ditemi dov'è, andiamo a prenderla e portiamola da me.»

«No!» strillò Theresa. «Non sappiamo chi sei, non sappiamo cosa vuoi. Non ti consegnerò una donna inerme.»

Annabelle sbuffò e arricciò il labbro in un sorriso sgradevole.

«Davvero volete farmi tornare a casa con questa valigia piena di soldi?» chiese, alzando il discreto bagaglio metallico e lasciandolo ondeggiare davanti al viso. «È proprio pesante e io sono stufa di portarmelo dietro.»

Theresa indietreggiò di un passo e sbatté contro il fratello, che emise un gemito strozzato.

Era stata una pessima idea portarsi dietro quei due ragazzini, non avevano la preparazione e le competenze necessarie per fare quel lavoro.

«Possiamo risolvere la questione prima che si ingigantisca,» insisté l'agente del Bureau, mostrando i palmi in segno di resa. «Andremo alla polizia insieme, consegneremo la... donna che abbiamo trovato e tu ci racconterai quello che sai. È ovvio che sta succedendo qualcosa di strano, ma possiamo collaborare tutti per venirne a capo.»

Lei scosse il capo con aria dispiaciuta.

«No, purtroppo non possiamo rivolgerci alle autorità,» mormorò, risistemandosi l'ampio cappello sulla testa. «Non posso espormi più di così, è già un rischio che io abbia deciso di uscire con tutti questi federali in città. Tu non lo sai ancora, agente Collins, ma siete compromessi; lo siete tutti quanti, ormai. Ma tu sei fortunato, perché hai la possibilità di svincolarti dai tuoi obblighi e fare la cosa giusta. Lo hai già fatto, dopotutto. Hai già preso una decisione, non tanto tempo fa.»

Jacob digrignò i denti così forte che lo scricchiolare delle radici nelle gengive gli riempì il cranio. Fare la cosa giusta. Aveva davvero fatto la cosa giusta? Quell'uomo non si sarebbe mai fermato; quanti altri innocenti avrebbero sofferto per colpa sua?

Guardò in tralice i due fratelli adottivi, salvati da bambini da un uomo che viveva ai limiti della legge, trascinati via da un'esistenza infame.

Jacob aveva ucciso Mark Decker a sangue freddo, ignorando l'etica e la morale, calpestando con violenza ogni promessa che aveva fatto quando era diventato un agente del FBI.

Aveva giurato che avrebbe premuto quel grilletto soltanto per difesa.

Stava difendendo qualcuno quando aveva sparato all'uomo disarmato che lo fissava, deridendolo con le sue parole e con il suo sorriso beffardo?

"Giù al sud sono così facili da vendere."

Assolutamente sì.

Jacob serrò le palpebre e scosse il capo. Non le voleva sentire di nuovo, non voleva più vedere quelle orbite vuote che lo studiavano, quei denti grigi che stridevano tra di loro mentre il proiettile della pistola spappolava il cranio del loro proprietario.

Perché doveva sentirsi in colpa per ciò che aveva fatto, se quella era l'unica soluzione? Perché lo avevano sospeso, sbattuto in cura da uno strizzacervelli di merda e mandato a in vacanza a riflettere sui suoi errori?

Non era stato un errore, cazzo, no!

Aveva ammazzato Decker come il porco che era e aveva impedito che creasse altri orfani come Theresa e Alex. Aveva fatto il suo dovere: sparare solo per difesa.

«Io non...» sussurrò, guardando le ombre che tremolavano placide sull'erba fine del prato. «Devi dirmi chi sei, almeno.»

Theresa si girò di scatto a fulminarlo con gli occhi.

«Agente Collins, noi non dovremmo trattare con i criminali! Questa donna ha pagato un ladro per rapire una donna.»

Ma chi si credeva di essere quella ragazzina? Richiamarlo come se fosse un suo superiore, con quel tono sdegnoso. Era in viaggio per ottenere la benedizione di un prete, non certo per diventare la salvatrice dell'universo.

Fu sul punto di urlarle addosso, ma Alex si frappose fra i due con la fronte corrugata e protese la mano verso Annabelle, intenta a fissare la scena con aria perplessa.

«Adesso basta, ti portiamo via con noi,» avvisò il ragazzo, piantando gli occhi in quelli della donna.

Rimasero tutti immobili in quella posizione per qualche secondo, poi Annabelle scoppiò in una risata e si portò la mano libera alla bocca.

«Stai scherzando, vero?» chiese ad Alex. «Ti sarà anche facile esercitare le tue capacità sulle persone normali, ma l'hai detto tu stesso: io so usare la magia, e ho sputato sangue per anni per arrivare dove sono adesso. Devi ancora fare tanta strada per mettere a nanna una come me, Alex.»

Il ragazzo ritrasse il braccio e prese a fissarsi le dita. Sembrava atterrito.

«Va bene, mi avete stufata e ho tante cose da fare,» continuò Annabelle, staccandosi dalla lapida alla quale si era appoggiata. «Ok, avete vinto: tenetevi la paziente speciale, è tutta vostra.»

Theresa abbassò la spada di qualche centimetro.

«Non ci vuoi attaccare e prendere quello che cerchi con la forza?» chiese la novizia, dubbiosa.

La donna in rosso scrollò le spalle e le rifilò un sorriso amabile.

«No, non è nel mio stile,» rispose. «Perché costringere le persone a fare ciò che vuoi quando ti basta aspettare che siano loro a cercarti?»

Jacob assottigliò le palpebre e si mordicchiò l'interno della guancia: era ovvio dove quella stronza volesse andare a parare.

La mano di Annabelle sparì all'interno della tasca e ne riemerse stretta intorno alla pistola di Jacob; tra due nocche era infilato un piccolo cartoncino bianco, che la donna si premuro di arrotolare e infilare nella bocca dell'arma con un sorriso malizioso dipinto sul volto.

«Quando la polizia, i federali o l'esercito staranno per trovarvi e vi sarete convinti che da soli vi farete soltanto ammazzare, cercatemi a questo indirizzo,» spiegò, appoggiando la pistola sulla sommità della lapide.

«Aspetta,» gridò Jacob, facendo un passo avanti, ma la luce magica di Annabelle sparì, scagliando lui e i due fratelli di nuovo nell'oscurità.

Quando i suoi occhi si furono abituati al buio, la sagoma della donna in rosso era sparita; niente si muoveva nel cimitero, né vicino né lontano alla loro posizione.

«Merda!» ringhiò Jacob, pestando un piede per terra.

Avevano gettato via la loro unica possibilità di uscire illesi da quella faccenda.

O forse no.

Muovendosi a tentoni, si avvicinò alla lapide e si affrettò a trovare la presenza confortante della sua pistola.

Ora sì che si ragionava: il mondo era un posto migliore quando aveva con sé la sua migliore amica.

«Non è andata bene,» commentò Alex, a bassa voce.

«Abbiamo ancora una possibilità,» replicò Theresa, rinfoderando la lama. «Cosa c'è scritto su quel foglietto?»

«Non vedo al buio,» sbottò Jacob, sfilando il cartoncino e infilandoselo nella tasca dei pantaloni. «Torniamo al motel, siamo via da troppo.»

Theresa fece un irritante verso nasale.

«C'è zio Darren con la presidentessa,» proclamò. «Sonosicura che non sia successo nulla di strano in queste ore.»

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