Capitolo 18 - Un uomo senza la pistola

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Dopo lo schiaffo che gli aveva cambiato i connotati, Jacob era stato portato fuori dalla stanza della vetrata, ma si sentiva ancora così rincoglionito dal colpo che non era riuscito a capire dove gli agenti lo stessero portando.

Nessun altro gli aveva alzato le mani addosso, anche perché il colpo della Direttrice era stato anche abbastanza. Per quel poco che era riuscito a capire, lo avevano portato giù per una rampa di scale, poi trascinato attraverso un corridoio buio e infine buttato all'interno di una stanza fredda ma afosa, che gli aveva provocato subito una sensazione di claustrofobia disperata.

Per la prima ora non era riuscito a fare nulla che non fosse restare sdraiato sul pavimento gelido a fissare il buio intorno a lui, immerso nel silenzio totale. Probabilmente si era anche addormentato, ma il suo sonno era stato agitato e si era svegliato in continuazione con orribili immagini stampate nel cervello che ritraevano Claire uccisa nelle maniere più atroci.

Quando si svegliò del tutto era coperto di sudore, il braccio sinistro era atrofizzato a causa della posizione scomposta in cui si trovava e la schiena iniziò a flagellarlo con lancinanti fitte di dolore al primo tentativo di movimento.

Intorno a lui c'era il buio, neanche uno spiraglio di luce a consolarlo.

Non aveva idea di che ore fossero; poteva anche essere mezzogiorno e fuori esserci un sole cocente, ma lui non avrebbe mai potuto saperlo, chiuso in quella specie di bara extra large. Fece qualche passo titubante nell'oscurità, tenendo le mani tese in avanti finché non incontrò la parete, gelida al tatto. Ne seguì i contorni e si disegnò nella mente il perimetro della sua cella improvvisata.

Piccola, ma non minuscola. Vuota, neanche uno sgabello dove potersi appoggiare. Era chiaro che i suoi colleghi del Bureau non si fossero preparati una cella per occasioni come quella, avevano dovuto ricorrere alla prima stanza buia che avevano trovato. Sì, ma poi? Che cazzo volevano fare con lui? Tanto valeva ammazzarlo subito, che senso aveva lasciarlo in vita e chiuderlo in quel posto?

Avrebbero dovuto farlo subito, perché tanto vivere in quelle condizioni non aveva alcun senso per lui. Non aveva più la sua pistola, non aveva più il suo lavoro, Claire poteva già essere stata uccisa per quel che ne sapeva e, anche se fosse mai riuscito a trovare la libertà, avrebbe dovuto vivere come un rinnegato per tutto il resto della vita, un ricercato che si sarebbe dovuto guardare le spalle per sempre.

Era diventato uno di quelle persone che aveva cacciato per tutti quegli anni di servizio. Non aveva alcun senso una vita del genere ed era ovvio che gli avessero tolto la pistola per un unico motivo: Jacob non avrebbe esitato a rivolgersela contro e mettere fine a quella ridicola faccenda.

Ma perché non farlo loro stessi, cazzo?

Volevano farlo uscire di testa e poi morire di fame? Osservarlo che impazziva mentre si strappava a morsi pezzi del suo stesso corpo per mettere a tacere i morsi della fame? Volevano vederlo piangere disperato, arrovellandosi nel pensiero di Claire e di quello che le avevano fatto per colpa delle sue decisioni?

Che cosa cazzo era diventato il Federal Bureau of Investigation? Quelli non erano i loro metodi, non era il modo giusto per fare le cose. Loro erano la legge, non un'organizzazione di torturatori dediti alla violenza psicologica.

Muovendo il palmo lungo la parete, incontrò la maniglia metallica di una porta. Provò ad abbassarla, ma il battente non si mosse di un millimetro. Non che avesse poi tante speranze di trovare aperta l'uscita della sua cella improvvisata, ma l'istinto aveva agito prima che la ragione e il pessimismo potessero fermarlo.

Jacob sbatté il pugno chiuso contro la superficie e il tonfo gli rimbombò intorno, facendogli compagnia per una frazione di secondo e lasciandolo poi di nuovo da solo nell'oscurità e nel silenzio.

Non aveva alcuna via di uscita. Sarebbe morto lì, da solo come un cane, senza la sua pistola. Senza rivedere Claire, senza aver potuto dire addio a sua mamma. Anche lei era morta da sola, ma Jacob aveva la speranza che i suoi assassini l'avessero uccisa in modo rapido nel sonno, senza farla soffrire. Una speranza, sì, ma neanche troppo realistica: se avevano usato con lei lo stesso metodo che stavano applicando a lui, Agnes doveva aver sofferto le pene dell'inferno.

L'ormai ex federale ringhiò tutta la sua frustrazione e sbatté il pugno contro la porta più e più volte, finché non sentì la mano esplodergli di dolore. Urlò e gli sembrò che le pareti scure gli si stringessero intorno e che il pavimento lo stesse inglobando, come fosse una porzione di fango limaccioso, sabbie mobili artificiali dall'anima d'acciaio create apposta per farlo soffrire e disperare.

No, così non andava bene.

Doveva ritrovare la calma. Era chiuso in quello sgabuzzino del cazzo da poche ore (lo erano davvero?) e già stava diventando pazzo. Doveva ritrovare la sua freddezza e il suo controllo. Sì, come gli avevano insegnato all'accademia: freddezza e controllo.

«Proprio come quando mi hai ammazzato.»

Jacob si lasciò sfuggire un urlo strozzato e si girò di scatto lasciando aderire le spalle alla superficie della porta e spingendo, quasi a volerla sfondare con la sua sola forza. Respirava a bocca aperta, sudava e si sentiva il cuore in gola.

L'aveva sentito, era lui. Era la sua cazzo di voce, proprio la sua. Era lì con lui in quella cazzo di stanza, a pochi passi, alle sue spalle. Lo aspettava al varco per portarselo via nel medesimo luogo in cui Jacob l'aveva fatto sprofondare qualche settimana prima.

La mano tremante corse alla fondina, un gesto dettato in parte dall'istinto e in parte dalla disperazione.

La trovò vuota e gli venne voglia di piangere.

Come poteva contrastare il mondo senza la sua arma? Come poteva sopportare quel tormento senza sentirsela, calda e morbida, tra le dita?

Si lasciò scivolare a terra e si portò le gambe al petto, sprofondando la faccia nelle ginocchia.

Non poteva essere Decker. Non poteva essere lì con lui. Se l'era immaginato.

Decker era morto. Morto stecchito, morto sepolto, crivellato dalla sua meravigliosa pistola, mangiato dai vermi, marcio e decomposto. I morti non potevano tornare, quello era un viaggio definitivo e senza ritorno. Decker non avrebbe mai più potuto camminare su quel mondo, era stato Jacob stesso a mandarlo all'inferno; non poteva essere lì con lui, non poteva, cazzo, non poteva!

Lanciò un urlo di frustrazione, strinse le palpebre fino a sentire le orecchie fischiare e le tempie pulsare.

Quando riaprì gli occhi era più calmo: il battito si era regolarizzato e aveva smesso di annaspare alla ricerca d'aria. Cazzo, qualche ora in isolamento e già aveva le allucinazioni? Faceva davvero così cagare a mantenere il controllo? Beh, sì: la sua storia recente lo aveva dimostrato. Ma, purtroppo, in quella condizione non poteva risolvere tutto estraendo la pistola e svuotando il caricatore nelle ombre che lo circondavano.

Non poteva neanche rassegnarsi a lasciarsi morire in quel luogo. Non esisteva proprio abbandonare Claire al suo destino, no, col cazzo. Lui l'aveva messa in pericolo, lui l'avrebbe salvata.

Si rialzò di scatto e tornò a fronteggiare la porta. Ne cercò i bordi con le mani e provò a infilare i polpastrelli nella sottile intercapedine che si forma di solito dove il battente incontra lo stipite, ma non trovò nulla del genere; la porta proseguiva liscia, aderendo in modo perfetto e quasi naturale alla parete della stanza.

Iniziò sottovoce una sequela di bestemmie indirizzate a una lunga lista di divinità e tornò ad accanirsi sulla maniglia. La manopola metallica, stretta e affusolata, scendeva verso il basso, assecondando la sua forza, ma la porta non si smuoveva neanche di un millimetro.

Dopo interi minuti passati a grugnire, spingere e tirare da ogni angolazione possibile, Jacob si arrese e tornò ad accasciarsi sul pavimento nudo. Aveva ripreso a sudare e si sentiva la camicia zuppa, neanche fosse appena uscito da una vasca da bagno.

Le facevano proprio bene le porte cento anni prima, eh? Bella roba l'industria, la tecnologia e tutte quelle belle stronzate che l'umanità di un secolo prima aveva potuto sfruttare. Ammesso che fosse davvero l'uscita, quella; per quel che ne sapeva quella troia della Kennedy avrebbe potuto rinchiuderlo in una stanza senza una vera uscita e aveva attaccato quella finta maniglia alla parete soltanto per tormentarlo e dargli una speranza. Chissà che grasse risate si stava facendo, quella grandissima stronza.

Sospirando, affannato e con la fronte gocciolante, abbandonò la testa contro la parete dietro di lui e chiuse gli occhi un istante.

Si addormentò subito dopo, ma si risvegliò di botto dopo quelli che gli parvero pochi secondi.

Un fragore soffocato, neanche troppo lontano dalla sua posizione, lo fece sobbalzare e il muro di metallo dietro di lui aveva iniziato a vibrare con intensità crescente.

Scattò in piedi e si guardò intorno, come se avesse potuto distinguere qualcosa nel buio. Una seconda esplosione e anche il pavimento cominciò a tremare. Delle urla indistinte e ovattate in lontananza gli giunsero alle orecchie, segno che non era stato abbandonato del tutto in quel relitto di un'era passata.

Che cazzo stava succedendo? Il cannone si era attivato ancora? Possibile che anche dietro a quell'episodio ci fosse il Bureau? No, c'era qualcosa di diverso: la notte in cui il cannone aveva sparato, il fragore era stato così intenso che Jacob l'aveva sentito persino da casa di sua madre, in una delle zone periferiche della cittadina. Da dentro il cannone, quel medesimo rumore sarebbe stato letteralmente assordante.

Ma cosa poteva provocare quella serie di esplosioni che continuava a sentire? Erano come potentissimi petardi fatti esplodere in sequenza e la frequenza di quegli scoppi cresceva sempre di più. Petardi, che cazzo di analogia stupida! Quale petardo avrebbe potuto far tremare la struttura gigante dell'antica arma in quel modo? Dinamite, forse? Esplosivi di altra natura? Qualcuno stava attaccando il cannone.

Si spostò in avanti, ritrovò la superficie gelida e iniziò a battere il pugno e a urlare a squarciagola. Era la sua possibilità di uscire vivo da quello sgabuzzino della pazzia; qualcuno avrebbe potuto sentire le sue urla e l'avrebbe liberato. Non gli importava immaginare chi potesse essere così pazzo da assalire quel posto pieno zeppo di agenti federali, gli sarebbe andato bene anche essere tratto in salvo da una banda di briganti come quella ormai eliminata di Edgar Allan. Sì, si sarebbe associato persino a dei luridi tagliagole pur di andarsene da lì e correre da Claire; avrebbe potuto salvarla, avrebbe potuto fare ammenda per tutte le mancanze di cui si era macchiato durante la loro relazione. Non era stato capace di darle un figlio, ma le avrebbe salvato la vita, almeno. E poi l'avrebbe mandata via, lontano da lui... sarebbe stato straziante, ma era l'unica cosa da fare per poterla proteggere.

Continuò a sbattere e calciare la porta (o forse era il muro? Nel buio aveva perso l'orientamento); mani e piedi gli facevano un male dell'anima a ogni nuovo colpo e le corde vocali gli si erano infiammate e bruciavano a ogni nuovo urlo roco che emetteva.

Le esplosioni si erano fatte più frequenti e vicine, il pavimento ronzava sotto di lui e ai boati continuavano ad aggiungersi sempre più urla e grida di allarme. Qualunque fosse la cosa che stava causando quello scompiglio, si stava avvicinando; Jacob non poteva arrendersi, non ora. Era stanco, accaldato e in parte anche spaventato, ma demordere in quel momento avrebbe voluto dire rassegnarsi a morire e abbandonare per sempre sua moglie.

Urlò e urlò, prendendo anche a spallate l'immobile superficie della porta. Poteva sembrare una missione senza speranza, ma sarebbe andato avanti fino alla fine. Lo doveva fare almeno per lei, perché per Claire non era ancora troppo tardi.

Un fragore improvviso gli investì le orecchie e l'intero perimetro della sua stanza vibrò in modo allarmante, come se le parete, il soffitto e il pavimento stessero per contrarsi, ribaltarsi e infine implodere. Il metallo su cui aveva appoggiato le mani si fece all'improvviso tiepido, poi bollente, tanto che dovette ritrarsi per non rimanere ustionato. Il caldo all'interno si fece soffocante, era come stare all'interno di un forno, e Jacob gridò di frustrazione, pronto ormai a finire ucciso, bollito a morte in quelle quattro pareti.

Un fine rettangolo di luce rossa si accese nel muro davanti a lui, come se qualcuno avesse appiccato un incendio fuori dalla sua stanza. Ci furono delle urla di dolore vicino a lui, forse nel corridoio esterno, e poi un macabro odore di pelle bruciata invase la cella e gli penetrò nelle narici, procurandogli un capogiro e un conato.

Tutto durò pochi secondi; il ruggito dell'esplosione si placò e la luce esterna si fece più soffusa. Il caldo, però, non accennò a diminuire e Jacob lanciò un ultimo grido d'allarme, prima di chinarsi sul pavimento e rigettare un fiotto di bile acida.

Il muggito di metallo piegato gli fece compagnia mentre vomitava e una luce lo investì proprio mentre rialzava il volto. Socchiuse le palpebre e si fece scudo con la mano tremante e ci mise qualche secondo ad abituarsi alla luce intensa che attraversava l'ingresso ormai sgombro della porta che lo imprigionava fino a pochi istanti prima.

«E tu chi saresti?»

La voce femminile e dal curioso accento apparteneva alla donna incorniciata nello stipite vuoto. Alcune fiamme scarlatte danzavano nel corridoio alle sue spalle e il suo viso era in ombra, tanto che Jacob riuscì a scorgerne soltanto i lineamenti più marcati, all'inizio.

«Sono Jacob,» rantolò lui, in ginocchio e con gli occhi semichiusi.

La sua lucidità mentale era ormai andata a farsi fottere.

Lei si girò a mostrargli il fianco per lasciare che la luce del fuoco entrasse con prepotenza nella cella.

Jacob osservò come il piccolo nasino all'insù della sua salvatrice dominasse il suo profilo. I capelli mossi castani le nascondevano le orecchie e le toccavano le spalle avvolte in una semplice camicia smanicata color ocra.

«Non sono qui per fare conversazione,» disse lei. Parlava con tono volutamente duro, ma l'accento le conferiva una tonalità morbida alla voce. «Perché sei chiuso qui?»

«L'FBI mi ha arrestato per...»

Si interruppe di botto e scrutò il viso della donna misteriosa. Lei lo osservava in tralice con intense iridi color mare che rilucevano della luce calda alle sue spalle; si stavano entrambi studiando, tutti e due intenti a capire quanto ci si potesse fidare l'uno dell'altra.

«Facciamola breve,» disse la donna, incrociando le braccia sotto il seno, appena accennato attraverso la camicia. «Ti devo ammazzare come ho fatto con gli altri connards che ho trovato in questo posto?»

Francia, ecco da dove veniva. O Canada, forse? Anche lì si parlava il francese, dopotutto, e quella donna esibiva un evidente accento. Incredibile che Jacob non fosse riuscito a riconoscerlo fin da subito, doveva essere davvero rincoglionito dalla prigionia. Quanto era durata, poi, la sua reclusione? Non potevano essere passate più di qualche ora, dopotutto non aveva fame e la vescica gli pizzicava soltanto un po', ma non in modo esasperato. Non aveva dato peso a nessuno stimolo del suo fisico nelle ultime ore, così concentrato com'era a cercare la libertà.

«Credo volessero ammazzarmi, ma non sono con loro.»

Non più, almeno, ma evitò di specificare la cosa. Quella donna sembrava pericolosa e non voleva che giungesse alla conclusione che fare fuori anche lui fosse più semplice che tentare di capire la sua condizione.

«Senti: se mi lasci andare io farò finta di non averti vista. Voglio soltanto tornare da mia moglie, hanno minacciato di farle qualcosa di orribile.»

La disperazione nella voce di Jacob era palpabile, ma non provò neanche a nasconderla per sfoggiare il suo solito comportamento freddo e autoritario; non era proprio il momento adatto per mantenere quella facciata, dopotutto si trovava in una posizione di svantaggio e supplicare era la sua unica arma.

La donna francese si schiarì la gola e gli fece un cenno con il capo.

Jacob si rimise in piedi, continuando a fissarle gli occhi e le sopracciglia aggrottate. Ora che era in piedi, si rese conto di quanto la sua salvatrice fosse bassa, Jacob la superava di almeno una spanna. Eppure, alta o bassa, quella donna gli metteva una paura fottuta.

«Dai, esci,» disse, aprendo le braccia e muovendo le dita verso di lui. «Se mi dovessi fermare ad ammazzare ogni singolo americano che incontro, non finirei più.»

Jacob le si avvicinò, titubante, e la oltrepassò per uscire nel corridoio. Vedendola più da vicino, sembrava avere la sua stessa età, o forse qualche anno di più, abbastanza per portarla a superare di poco la quarantina. Sembrava snella, anche se era difficile dirlo con precisione visti i pantaloni larghi e la camicia poco aderente che indossava. Il volto sarebbe stato completamente anonimo se non ci fossero stati quegli occhi blu intenso a catalizzare l'attenzione.

«Grazie,» rispose l'ex federale.

«Ti consiglio di andartene da qui il prima possibile,» rispose lei, seguendolo nel corridoio.

Pareva impossibile, ma la superficie di metallo delle pareti e porzioni di pavimento erano percorse da fiammelle rosse intense che continuavano a danzare immote e a illuminare l'ambiente. Jacob ne aveva viste abbastanza da immaginare che la fonte di quel fuoco non fosse naturale; magia, di nuovo. Perché cazzo ogni persona che incontrava negli ultimi giorni faceva uso della magia? Dov'erano finite le persone normali come lui? Era rimasto l'unico comune mortale che doveva affidarsi a strumenti normali per proteggersi?

«Cosa sta succedendo?» chiese Jacob, anche se immaginava già la risposta.

«Rado al suolo questo abominio,» rispose la francese, candida e con un mezzo sorriso a illuminarle il viso.

Jacob la fissò per qualche istante, tentando di ragionare su quello che aveva appena visto. Quella tizia, da sola, aveva attaccato una proprietà militare del governo degli Stati Uniti d'America. E stava sorridendo mentre lo diceva?

«Lo sai che questo posto è pieno di agenti federali?» mormorò Jacob, mentre un brivido gli percorreva la spina dorsale.

Lei annuì.

«Ce n'erano pochi già prima che arrivassi, ma ora non ne sono rimasti molti. Dovresti trovare la via libera verso l'uscita.»

«Lo sai che il governo non rimarrà con le mani in mano?» incalzò Jacob.

Il sorriso le svanì dalle labbra e il colore degli occhi le si fece più scuro, molto più simile al mare in tempesta che a quello placido da villeggiatura estiva. Jacob rabbrividì.

«Neanche noi staremo fermi a guardare il tuo paese che spadroneggia sul mondo. È già successo tempo fa ed è stato fermato; io sono quella che lo fermerà in questa epoca.»

Se lo diceva con quella faccia, Jacob non poteva fare a meno di crederle. Forse era il sapere che avrebbe potuto carbonizzarlo con uno sguardo, proprio come aveva fatto con quella sagoma indistinte e dalle forme vagamente umane che giaceva in fondo al corridoio, ma quella donna emetteva un'energia oscura e terrificante. Non si sarebbe sognato di contraddirla per nessuna ragione al mondo.

«D'accordo, io... io devo solo fare una cosa, dammi qualche minuto.»

C'era un oggetto molto importante di cui desiderava tornare in possesso; non si sentiva completo senza e poteva trovarlo nella stessa stanza dove quella bastarda gliel'aveva sottratto. Forse, con il favore degli dei, la Kennedy aveva trovato la sua fine sotto gli incantesimi di quella donna e lui si sarebbe potuto riprendere l'arma che gli era stata sottratta e, già che c'era, pisciare sul cadavere di quella stronza, magari!

«Niente minuti, ho fretta,» replicò lei, scuotendo il capo. «Ho tutta la costa est da battere, non posso perdere tempo.»

Quella era pazza da legare. Il governo avrebbe mobilitato l'esercito e chiunque, poteri magici o no, sarebbe finito ammazzato dalla potenza delle loro forze armate. Oh beh, non erano affari suoi: se quella donna francese voleva dichiarare guerra agli Stati Uniti da sola, sarebbe andata incontro alla fine che desiderava.

«Farò il prima possibile,» ribadì Jacob, iniziando ad allontanarsi da lei. «Come ti chiami?»

Lei alzò gli occhi al soffitto.

«Clotilde,» rispose.

«Grazie, Clotilde,» disse l'ex federale, alzando una mano a mo' di saluto. «Vedi di non farti ammazzare, mi dispiacerebbe.»

Era vero, tutto sommato. Se gli era stata data una seconda occasione, il merito era soltanto di quella francese arrivata dal nulla. Poteva riprendersi in mano la vita grazie a lei, non se lo sarebbe mai dimenticato.

Lei fece un suono nasale alzando il mento, come offesa, poi si voltò e prese a correre dall'altro lato del corridoio, scomparendo dietro una svolta.

Jacob non fu da meno e si mise alla ricerca compulsiva delle scale. Non aveva idea di dove si trovasse rispetto alla stanza della vetrata: non era proprio lucido quando lo avevano chiuso in quella cella di fortuna e non ricordava nulla del percorso se non di aver sceso dei gradini, forse un paio di rampe.

Trovò l'apertura che conduceva alla tromba delle scale e iniziò l'ascesa quando il rombo di un'esplosione si diffuse attraverso il vano metallico. Clotilde aveva ripreso la sua opera di distruzione e Jacob non sapeva proprio dire quanto una singola maga ci avrebbe impiegato per radere al suolo un'immensa struttura costruita con l'ausilio della vecchia tecnologia. Nel dubbio, avrebbe fatto meglio a darsi una mossa.

Oltrepassò un paio di pianerottoli avvolti dalle ombre, un lontano chiarore che arrivava dal basso rischiarava appena la strada. Le prime porte che incontrò erano chiuse, e Jacob si decise che non aveva tempo di provare a forzarle, soprattutto se erano della stessa natura di quella della sua cella; si limitò a proseguire verso l'alto, correndo affannato, finché non trovò un'apertura non sigillata. Il corridoio che si apriva gli diede una sensazione famigliare e, in fondo, riuscì a scorgere un lieve cambio d'illuminazione provenire da una doppia porta lasciata aperta. Era lì, sì, se lo ricordava bene!

Corse lungo il corridoio ignorando la pressione al petto e il dolore alla milza e varcò l'ingressa della stanza della vetrata: era vuota, se non per i tavoli su cui gli agenti del Bureau avevano abbandonato i documenti su cui stavano lavorando. Oltre i vetri che componevano la parete esterna si vedeva il cielo notturno rischiarato da una pallida luna appena coperta da un sottile strato di nubi fosche.

Una nuova esplosione e i vetri e il pavimento tremarono in modo preoccupante. Un bagliore esterno, proveniente da un punto imprecisato verso il basso della struttura, illuminò per un istante il panorama circostante. Clotilde ci teneva a ricordargli che aveva fretta, se non voleva finire ammazzato sotto le macerie di quel posto.

Si mosse attraverso i tavoli lucidi alla ricerca di qualcosa, ma non vide neanche un cadavere, né la sua pistola. Clotilde era arrivata tardi: la Kennedy era scappata, portando con sé i suoi uomini e la sua fidata amica.

Jacob percorse lo stesso tragitto almeno quattro volte, anche inginocchiandosi sul pavimento e tastando la fredda superficie con le mani per avvalersi del tatto dove la vista non riusciva ad arrivare. Alla fine sbatté i pugni e ringhiò come un animale ferito.

Se l'era portata via. Quella stronza gliel'aveva sottratta e gliel'aveva portata via per sempre. Non poteva più farci nulla, ormai: era perduta. La sua pistola, la consolazione di tante giornate lavorative, la fedele compagna che riusciva a consolarlo sempre... non c'era più.

Soffocò un singhiozzo e sbatté ancora le nocche sul pavimento, contento del dolore pungente che gli fece dimenticare solo per pochi istanti quanto male facesse quella separazione. Era riuscito a uscire dai momenti difficili soltanto grazie alla presenza confortante della sua pistola... come poteva risollevarsi, in quel momento, senza di lei? No, tanto valeva lasciarsi andare e smetterla di soffrire. Tanto valeva stendersi a riposare e aspettare che la donna francese lo seppellisse sotto i resti di quell'antica arma di morte. D'altronde, che cosa aveva dato al mondo con la sua presenza? L'unica cosa giusta che pensava di aver fatto era stata mandare all'inferno quel figlio di puttana, ed era pure stato punito. Nessuno avrebbe sentito la sua mancanza, nessuno avrebbe sofferto per la sua morte, nessuno...

O, forse, Claire?

Cazzo, Claire era ancora in pericolo.

Claire non avrebbe pianto per lui perché sarebbe morta prima, se non avesse fatto qualcosa per proteggerla.

Dov'era finita la sua motivazione di poco prima? Dov'era finita la sua volontà di farle vivere un'esistenza migliore? Dipendeva così tanto da quella fottuta arma da perdere ogni stimolo di vita soltanto a causa della sua perdita? No, cazzo, no! No, lui era migliore di così. Lui era lui, un essere fisico dotato di corpo e intelletto, non una stupida propaggine biologica della sua cazzo di pistola.

Si alzò in piedi con un ennesimo ringhio, appoggiandosi al bordo del tavolo per aiutarsi. I suoi adorati colleghi di una vita prima dovevano essersela data a gambe molto in fretta, visto che avevano abbandonato lì tutta quella roba. Che cazzo erano, poi, tutti quei fogli? Non era certo una procedura standard del FBI scappare e abbandonare documenti riservati in quel modo.

Jacob fece per allontanarsi e imboccare di nuovo la porta, ma si bloccò di scatto.

Documenti riservati, eh? Di certo una volpona come la Kennedy non avrebbe lasciato a portata di tutti delle informazioni scottanti, ma perché non provare a dare uno sguardo?

Il pavimento gli tremò sotto i piedi e un boato fin troppo vicino gli ricordò che c'era una francese pazza armata di magia che stava smantellando il cannone; avrebbe dovuto dare uno sguardo molto rapido, se voleva uscire da lì vivo.

Si chinò sul tavolo più vicino e iniziò a scorrere i documenti, ma la luce era quella che era e gli venne difficile distinguere o capire qualcosa nei caratteri fitti di cui erano ricoperti i fogli. Lanciò una bestemmia e strizzò le palpebre, ma non ottenne l'effetto sperato; non era un cazzo di elfo, ma un semplice umano dalla vita corta e dalla vista normalissima.

«Fanculo!» sbottò.

Iniziò a raccogliere con mano tremante tutti i fogli sparsi sul tavolo e, senza preoccuparsi che fossero in ordine, li ficcò in una cartelletta di cartone; il plico raffazzonato che aveva creato era voluminoso e gli pesava tra le braccia come un grosso librone di geografia, e l'idea che potesse non contenere nulla di utile gli suggerì di desistere e di andarsene.

No, doveva almeno provarci. Sarebbe bastato anche un piccolo elemento per creare uno scandalo epocale che avrebbe portato a fondo la Kennedy e tutti gli stronzi che si erano associati con lei.

Con esplosioni sempre più frequenti e boati come sottofondo, Jacob fece un ghigno sinistro e prese la porta, stringendo al petto il prezioso plico come se contenesse qualcosa di vitale importanza.

Ah, sì: avrebbe fatto pagare alla Direttrice quello schiaffo, quell'umiliazione e l'aver minacciato la donna che amava.

E, soprattutto, avrebbe rimpianto l'avergli rubato la sua pistola.

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