Capitolo 19 - Il ritorno di Jacob

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Darren aveva ricevuto il permesso da parte di Annabelle per uscire dal loro covo sotterraneo. E poi non erano prigionieri, solo ospiti, eh?

Comunque aveva insistito la sera prima con la donna in rosso perché sentiva il bisogno di mettere il naso fuori da quel sepolcro e fare due passi in città. Voleva rendersi conto di persona della situazione e capire se fosse cambiato qualcosa in quelle trentasei ore che avevano passati rinchiusi sottoterra.

Quella era la motivazione ufficiale, la realtà era che non ce la faceva più a vedere Theresa con le lacrime agli occhi e Alex che faceva di tutto per ignorarla. Aveva seguito il loro battibecco del giorno precedente e aveva deciso di non intervenire, ma, forse, avrebbe dovuto dare ascolto al sui intuito.

Alex era stato terribilmente ingiusto con sua sorella, ma il mezzelfo lo capiva, anche se solo in parte: Theresa era una presenza ingombrante accanto alla quale vivere. Non lo faceva apposta, era chiaro, ma tutto nei suoi comportamenti e nella sua presenza fisica aveva la tendenza ad attirare l'attenzione, a canalizzare gli sguardi e la considerazione delle altre persone su di lei. Lei era alta, maestosa, bellissima e solare, e non perdeva occasione per rincuorare le persone e battersi per ciò che era giusto. Le mancava forse soltanto un po' più di fiducia nelle sue capacità per poter diventare una leader perfetta, un capo che chiunque avrebbe seguito senza porsi domande.

Era scontato che un ragazzo silenzioso, timido e paffuto si sarebbe sentito inutile, accanto a Theresa. Forse addirittura sfortunato, più che inutile.

Beh, Darren da una parte era sicuro che le cose si sarebbero risolte in breve tempo, dopotutto non era la prima volta che i due orfani litigavano per qualche strana ragione; erano giovani, era la prima volta che mettevano piede fuori dalla loro città e guarda che gran cazzo di casino che si erano trovati ad affrontare. Si poteva quasi pensare che avessero mantenuto la lucidità mentale anche troppo a lungo.

Comunque, malgrado il cacciatore di taglie fosse sicuro che il diverbio tra i due sarebbe durato poco, proprio non gli andava di rimanere chiuso lì sotto un altro giorno. Alex aveva in programma di continuare a imparare la magia insieme a Tracy e agli altri scagnozzi di Annabelle e Theresa si era detta del tutto intenzionata a rimanere a controllare che non succedesse qualcosa di strano. Era stata aggredita in malo modo dal fratello, ma era ovvio a chiunque vedesse il suo viso afflitto che si sentiva in colpa per l'inaspettata esplosione di Alex. Sempre così, Thera: qualsiasi cosa dipendeva da lei, bella o brutta che fosse. Era la mentalità di chi ambiva a cambiare il mondo con le sue sole forze.

Dopo aver subìto un trattamento magico da parte di uno degli sgherri di Annabelle, Darren fu pronto per uscire. Il nano malmostoso aveva usato su di lui un incantesimo che gli aveva cambiato il volto, trasformandolo in un umano di mezza età con una calvizie evidente e la pappagorgia sotta il mento; Darren aveva accettato con uno stoico spirito di sacrificio quel simpatico scherzo e aveva ignorato le grasse risate del nano infame e dei suoi colleghi, sapendo che la cosa importante era aver ottenuto la possibilità di allontanarsi anche solo qualche ora.

Con il suo nuovo viso da umano grassoccio, il mezzelfo era stato accompagnato fuori dal covo da Roger, lo stesso che li aveva attesi e che aveva fatto loro da guida, due notti prima. Sembrava che in quella micro società che Annabelle aveva creato ciascuno di loro avesse un compito ben preciso: Tracy era la sua consigliera, il nano dalla risata roca era l'addetto alle trasformazioni e ai camuffamenti e Roger... beh, Roger era il portinaio. Accompagnava le persone dentro e fuori. Chissà se si pentiva di aver lasciato la CIA per finire a fare l'usciere di Annabelle.

Quella mattina si rivelò afosa e Darren si sentì subito schiaffeggiato da una densa cappa di umidità. Il sole era sorto da poco, ma i suoi raggi e il cielo erano velati da una strana coltre di nuvole grigiastre.

Un lieve venticello spazzava la città, e gli portò alle narici uno strano odore nauseante, come di metallo bruciato. Respirare a pieni polmoni gli causò un forte colpo di tosse, come se l'atmosfera fosse viziata da scorie invisibili che si erano mescolate all'aria. Si fermò subito al centro della via che costeggiava il fiume e si guardò intorno, socchiudendo gli occhi con sospetto. Non dovette cercare a lungo.

Era stato a Elizabeth City da poco, ma la sagoma del vecchio cannone che svettava sulla cittadina era stata una presenza costante e inquietante in quei giorni: quel contorno tondeggiante che rifletteva la luce era visibile da ogni angolo ed era raro non riuscire a scorgerlo attraverso qualche edificio più alto degli altri.

La prima cosa che Darren notò quella mattina, fu che il cannone non c'era. Non era colpa della distanza, anzi! Il covo di Annabelle sorgeva in riva al fiume e il cannone era costruito sulla vicina isoletta; da quel punto la sua presenza era ancora più torreggiante e il mezzelfo l'aveva notata anche al buio, durante la notte in cui si erano rinchiusi nel nascondiglio sotterraneo.

No, non era certo colpa della distanza, anche perché la colonna di denso fumo nero che si alzava da un punto indefinito oltre il fiume era un chiaro segno di quello che era successo. Il mezzelfo oltrepassò i resti di una recinzione e superò un prato vuoto, arrivando sull'argine del fiume per avere una linea visiva libera: il sole illuminava in modo chiaro i detriti metallici e contorti di quello che una volta era il gigantesco cannone. Ricoprivano gran parte della porzione dell'isola che riusciva a vedere dalla sua posizione, come se l'antica arma fosse esplosa dall'interno e avesse rigurgitato i suoi pezzi tutti intorno, sparpagliando le sue interiora artificiali. La muraglia di vapore nero come la pece doveva essere immensa e si congiungeva con il cielo, dipanandosi sempre di più man mano che saliva e generando così la coltre di nubi che velavano il cielo e il sole.

Darren rimase interdetto a osservare quella scena per quasi un minuto. Quando cazzo era successo? Un affare di quelle dimensioni che esplodeva non sarebbe certo passato inosservato, possibile che nessuno all'interno della base della donna in rosso avesse sentito qualcosa? Quando l'arma si era attivata, la settimana prima, avevano sentito l'esplosione anche da miglia di distanza.

Tirò su con il naso e una zaffata di puzza rivoltante gli causò un conato. Ci mancava soltanto quello per i pochi abitanti rimasti di Elizabeth City: una bella nube tossica per sciacquare via il ricordo dell'esplosione e della devastazione.

Scosse la testa e si allontanò dal fiume, ritrovando la strada e mettendosi in marcia verso la zona centrale della cittadina. Il suo scopo per la mattinata era scoprire che cosa fosse successo al cannone, non sarebbe rientrato nel nascondiglio senza un quadro preciso della vicenda.

L'atmosfera che si respirava a Elizabeth City non era cambiata affatto durante quei due giorni di reclusione. Le operazioni per ripulire la città dalle macerie proseguivano in modo lento, come se le autorità stessero concentrando le loro forze verso altri obiettivi; le vie del centro erano più praticabili, ma i resti degli edifici crollati giacevano ancora lungo i bordi della strada, come eterno ricordo di quello che era successo.

Non c'era anima viva per le strade, fatta eccezione per qualche pattuglia della polizia ordinaria. Incontrando gli occhi degli agenti, Darren lesse nervosismo e paura. No, non era cambiato proprio nulla in quei due giorni, e il cacciatore di taglie sospettava che il nuovo episodio che aveva coinvolto il cannone avesse alimentato ancor di più tutte le sensazioni negative che attanagliavano quelle persone.

Passeggiò con aria noncurante tra gli edifici del centro città, studiando l'esterno della centrale di polizia e analizzando i movimenti delle forze dell'ordine per qualche minuto. C'era fermento anche intorno al municipio e il mezzelfo notò Evelyn Rayne varcare la soglia dell'edificio insieme a un paio di uomini in completo nero.

Il numero di federali a spasso in giro per la città era diminuito, in effetti: quei due erano i primi che vedeva quella mattina. Era probabile che tutta l'attenzione fosse concentrata intorno al cannone e che le operazioni per catturare i pericolosi ricercati fossero state accantonate. Era una buona occasione per organizzare una fuga sfruttando il calo d'attenzione delle forze dell'ordine.

Appoggiato al muro di un edificio dall'altro lato della piazza, il cacciatore di taglie studiò il tozzo edificio in mattoni rossi e si prese qualche minuto per contare i poliziotti che bazzicavano nel piazzale, intenti in una specie di ronda nervosa e poco attenta: un orco armato di ascia si sarebbe potuto infilare all'interno del municipio dall'ingresso principale e loro non se ne sarebbero accorti. Beh, non gliene poteva fare una colpa, dopotutto erano agenti di una minuscola cittadina che si erano ritrovati a far fronte a un disastro di scala nazionale; nessuno di loro poteva dirsi preparato per una cosa del genere.

Darren si schiarì la voce e provò a voce bassa a camuffare il suo timbro originale, poi socchiuse gli occhi e si stampò in faccia un sorriso ebete di circostanza; la parte del sempliciotto gli riusciva sempre bene, ci cascavano tutti quanti.

Oltrepassò la strada vuota e mise piede nell'ampio piazzale antistante all'edificio pubblico di Elizabeth City; camminava a passo lento e guardandosi intorno con aria noncurante, come un qualunque passante che si stava godendo una passeggiata la domenica pomeriggio. Non ci volle molto prima che un agente lo notasse e si avvicinasse a lui.

«Signore, farebbe bene a tornare in casa,» disse il poliziotto, guardandosi intorno con evidente nervosismo. «Non ha sentito gli avvisi questa mattina?»

La sua sagoma allampanata e longilinea terminava in una zazzera di capelli castani che gli crescevano sulla testa come un arbusto. Indossava su bocca e naso uno straccio bianco a mo' di maschera protettiva, in un tentativo alquanto inutile di proteggersi dall'aria viziata. Non doveva avere più di venticinque anni, a prima occhiata.

«Eh, quali avvisi?» chiese Darren con timbro squillante, scrutando il ragazzo dal basso verso l'alto. «Voglio solo fare due passi.»

«Questa notte c'è stato un incendio e l'aria è tossica,» spiegò lui, con un sospiro. «I maghi hanno emanato un avviso questa mattina su richiesta del sindaco: tutti sono invitati a rimanere in casa con le finestre ben chiuse.»

Darren si grattò la testa e si dovette sforzare per non parlare con la sua solita voce graffiante.

«Ma le finestre di casa mia sono state distrutte dal cannone,» protestò. «E sono fortunato di avercela ancora, una casa.»

Il ragazzo in divisa esitò e non rispose. Era facile limitarsi a seguire gli ordini, anche quelli più stupidi, ma quando veniva richiesto un minimo d'intelligenza o di immaginazione nessuno di loro riusciva ad andare oltre. Lo aveva già detto, ma non si sarebbe mai stufato di ripeterlo: quello era il più grosso problema delle forze dell'ordine nel loro paese. Si accontentavano di addestrare pupazzi, scimmiette ammaestrate a eseguire ogni comando, contenti di poter ricevere un biscotto in premio.

«Che cos'è successo?» continuò Darren, indicando la colonna di fumo che si alzava da oltre i tetti della città.

Il poliziotto si guardò alle spalle per sincerarsi, forse, che i suoi colleghi fossero abbastanza lontani.

«Qualcuno ha distrutto il cannone, questa notte,» sussurrò, chinandosi verso Darren in una posizione cospiratoria.

Darren strabuzzò gli occhi, per davvero.

«Come si fa a distruggere una roba gigante come il cannone?» chiese. «Siamo stati attaccati da un esercito? Non mi sembra di aver sentito nulla durante la notte.»

Il poliziotto cambiò posizione sulle gambe magre e incrociò le braccia sul petto; sul viso gli si accese una scintilla di rabbia.

«Ci sono soltanto indiscrezioni, nulla di ufficiale,» raccontò lui, tenendo lo sguardo abbassato. «Il sindaco ha ricevuto una comunicazione dalla Casa Bianca e ne sta discutendo ora con il capo, ma girano già delle voci: sembra che dei maghi abbiano colpito il cannone e l'abbiano raso al suolo con la magia. È una cosa gravissima, potrebbe essere l'inizio di una guerra.»

Darren ingoiò della saliva e schioccò la lingua contro il palato, dimenticando il personaggio e lasciandosi andare alle sue reali abitudini.

«Una guerra contro i maghi? Non capisco,» replicò, ritrovando appena in tempo la voce impostata del sempliciotto di mezza età di Elizabeth City.

«Una guerra contro l'Europa,» mormorò il poliziotto. «Erano dei maghi europei quelli che hanno distrutto il cannone.»

Ah, ora era tutto chiaro. Chiaro, sì, ma inquietante e disturbante. Non era difficile capire cosa stesse succedendo: il cannone si era attivato, aveva sparato e la sua furia distruttrice aveva colpito un luogo oltre l'oceano. Era ovvio che qualcuno, dall'altra parte di quella distesa d'acqua salata, fosse incazzato di brutto, tanto da scomodarsi e venire a smantellare di persona quelle armi.

Le avevano tutti quanti considerate soltanto un ricordo, un monumento a un'era che non sarebbe più tornata. Ed ecco la cosa brutta dei ricordi: non rimangono mai dove vengono sepolti. Ritornano sempre a galla, scavano nella terra come e riemergono dalle tombe, come in un romanzo horror pieno di zombie affamati di cervelli.

«Non la passeranno liscia,» ringhiò il poliziotto. «L'esercito si sta mobilitando, un contingente sarà qui a breve. Dicono che la presidentessa terrà un discorso pubblico oggi, i maghi lo trasmetteranno qui in piazza.»

Esercito, presidentessa, discorso pubblico. Esercito. Oh, no, quello sì che era un gran cazzo di casino! La polizia la poteva gestire, soprattutto quella di paese; l'FBI ancora ancora poteva sopportarlo, ma l'esercito... quello era tutto un altro discorso. Avere l'esercito in giro per le vie di quella minuscola cittadina significava rischiare di non mettere mai più piede fuori dal sepolcro di Annabelle. Merda, quella era gente pericolosa! Doveva portare Alex e Theresa lontano da lì il prima possibile, andassero affanculo la presidentessa finta, la magia e la ridicola teoria della cospirazione della donna in rosso!

Darren non si prese neanche la briga di salutare l'agente dalla bocca larga; si voltò e prese a camminare sul marciapiede a passo sostenuto verso il nascondiglio. Avevano i minuti contati, non poteva perdere neanche mezzo secondo; fermarsi non era un'opzione, così come proseguire sulla strada che i due fratelli avevano deciso di percorrere. Era già pericolosa in partenza, ma le cose stavano degenerando a un ritmo troppo elevato.

Arrivato a metà strada, stava camminando così veloce che sembrava si stesse allenando per una maratona. Poco gli importava, non c'era nessuno per strada a notare la stranezza di quell'uomo di mezza età stempiato che correva, cadenzando il fiato come un atleta ben allenato.

Fu quando svoltò nella strada che costeggiava il fiume e che l'avrebbe riportato davanti al fabbricato fatiscente che nascondeva l'ingresso del covo di Annabelle che Darren lo vide.

«Jacob?» proruppe, sgranando gli occhi e fermandosi di scatto in mezzo alla strada.

Il loro agente federale camminava a passo lento, rasentando il muro di un edificio e guardandosi intorno furtivo. I capelli erano spettinati, la barba sfatta e i vestiti sgualciti; il polsino destro della camicia aveva perso un bottone e i lembi svolazzavano intorno al braccio del federale come una tenda strappata. In generale non sembrava avere una bella cera; a dirla tutta, pareva entrato e uscito dall'inferno nel giro di poche ore.

Quando si sentì chiamare, sobbalzò e si girò di scatto, portando rapidamente la mano al punto della cintura dove spuntava la fondina vuota. Era spaventato a morte, si era trasformato in una persona diversa dal freddo agente del FBI che il mezzelfo aveva conosciuto qualche giorno prima.

«Hai sbagliato persona,» disse, con voce roca, dopo aver lanciato un'attenta occhiata al camuffamento magico di Darren.

«Sono io, Darren!» Fece un passo in avanti, ma il federale si ritrasse di scatto per mantenere la distanza.

Il cacciatore di taglie sospirò: quella giornata non era iniziata proprio con il piede giusto.

«Tua madre era al Sentara Albemarle,» disse. «Ci siamo separati l'altra sera, quando hai deciso di andare a costituirti.»

L'agente del FBI rimosse la mano dalla fondina e rilassò il viso.

«Cazzo, Darren, che cos'hai fatto alla faccia?» chiese, sommesso.

Sembrava stanco, tanto da poter crollare sull'asfalto in quel momento.

«Un incantesimo per fare un giro in città,» spiegò, lapidario. «Si può sapere cos'è successo? Ti abbiamo dato per morto.»

Lui scosse la testa e si passò sotto braccio una voluminosa cartella di cartone scuro che stava tenendo con entrambe le mani fino a un attimo prima.

«Dobbiamo parlare tutti quanti, sta succedendo un casino.»

Darren aprì la bocca per insistere, ma il viso tirato e gli occhi cerchiati del federale gli fecero cambiare idea: aveva bisogno di riposare un po' e poi di raccontare la sua storia con i suoi tempi, forzarlo non sarebbe servito a nulla.

«Andiamo, ti accompagno dentro,» disse il cacciatore di taglie.

Annabelle li aveva ricevuti subito nel suo ufficio.

Quando erano rientrati nella saletta comune del nascondiglio, Darren e Jacob avevano trovato Alex e Tracy che si esercitavano con qualche strano incantesimo, e Theresa seduta nell'angolo più lontano della stanza che li osservava con viso torvo e corrucciato.

Si erano tutti bloccati alla vista del federale, come se avessero assistito all'apparizione di un fantasma. Darren non poteva dar loro torto, dopotutto il loro compagno aveva un aspetto terrificante.

Theresa si era sciolta in una risata genuina e felice e aveva abbracciato Jacob, che si era irrigidito sotto la stretta della ragazza; si poteva quasi dire che fosse in imbarazzo.

Alex si limitò a salutare il federale con tono distaccato e Tracy lanciò un'imprecazione, lamentandosi di aver perso un'altra scommessa con Sheela. Una cosa che accomunava tutti i sottoposti della donna in rosso era la mancanza di tatto.

Nel loro breve tragitto verso l'ufficio del capo, altri abitanti del nascondiglio fecero capolino da alcune porte, scoccando occhiate dubbioso al federale e bisbigliando tra di loro qualcosa di incomprensibile. Darren non si sarebbe aspettato una festa di benvenuto, ma quell'atteggiamento gli fece nascere l'improvvisa voglia di estrarre un coltello e lanciarlo contro qualcuno; sarebbero dovuti essere tutti alleati, no? Allora perché continuava a sentirsi un ospite? Anzi, ospite era quasi un parolone... prigioniero rendeva l'idea molto meglio.

Annabelle, d'altro canto, si comportava in modo diametralmente opposto rispetto ai suoi scagnozzi: accolse Jacob con un sorriso e si disse felice di rivederlo. Quel sorriso finto avrebbe potuto ingannare Alex, magari, ma non lo scaltro mezzelfo. Non si sarebbe mai fidato di lei e, a giudicare da come la guardava, anche Jacob condivideva quel pensiero. Se la dovevano far piacere entrambi, in ogni caso, visto che la misteriosa donna in rosso era l'unico alleato su cui potevano contare.

Alex era rimasto con Tracy, quindi Jacob espose il racconto delle sue due nottate a un'afflitta Theresa, a Jacob e ad Annabelle stessa.

«E quindi questa donna francese ti ha liberato e ha distrutto il cannone,» commentò lei, terminato il racconto.

«Dobbiamo pensare a Claire,» disse Jacob, categorico. «Aiutami a proteggerla e lavorerò per te, senza porre altre condizioni.»

Darren schioccò la lingua contro il palato. Stupido, non poteva vendersi così facilmente! Il mezzelfo era sicuro che il federale non si sarebbe mai fidato della donna in rosso e contava anche sul suo supporto per tenerla d'occhio, ma quello cambiava tutto: Jacob avrebbe scambiato la sua etica e le cose in cui credeva per salvare la persona che amava. "Non ti innamorare mai, ragazzo", gli diceva sempre Greg; "se ti prendi un abbaglio per qualcuno è la fine. Nel nostro lavoro basta un attimo, un cazzo di secondo di distrazione e finisci a dar da mangiare ai vermi. Se ti innamori, sei un uomo morto."

Cazzo, Greg aveva proprio ragione. Jacob poteva avere tutti i difetti del mondo: era un grande stronzo, un arrogante bastardo e provava un morboso attaccamento all'arma che si portava sempre dietro, ma era un uomo genuinamente innamorato. Così tanto da diventare il cagnolino di una persona che disprezzava fino a poche ore prima.

«Faccio mandare subito un messaggio a uno dei miei contatti a Washington,» rispose Annabelle, annuendo. «Farò mettere tua moglie sotto protezione, l'FBI non le torcerà neanche un capello, te lo garantisco.»

Jacob, che stava trattenendo il fiato, tornò a respirare in modo regolare: quelle parole così sicure e cariche di empatia gli avevano tolto il macigno che gli era franato sul costato. Ma era tutto troppo bello ciò che era uscito dalla boccuccia della donna in rosso, e Darren si chiese quanto lontano era il momento in cui lei avrebbe mandato il conto da pagare.

Annabelle si sporse sul tavolo e afferrò con due dita il plico che Jacob aveva lasciato cadere sulla superficie, lo avvicinò a sé e lo aprì per iniziare a scrutare i fogli che il federale aveva raccolto.

«Ho sentito che la presidentessa terrà un discorso questo pomeriggio,» disse Darren, giusto per rompere il fastidioso silenzio che si era formato. «Tra le forze dell'ordine si parla già di guerra con l'Europa.»

Annabelle fece un sommesso verso nasale che si poteva considerare una risatina soffocata.

«Non mi stupisce,» commentò, alzando un foglio e scorrendolo con le sue pupille, attente e rapide.

«Non ti stupisce?» ripeté Darren, interdetto. «Vogliamo ricordarci cos'è successo durante l'ultima guerra globale?»

Lei scosse il capo.

«Vi ho già detto che ho visto cambiare la politica del governo in modo drastico. Volevano la nostra ricerca sull'antica tecnologia, e non per far funzionare i frigoriferi. Stanno cercando di creare un pretesto per mettere in moto qualcosa; direi che ci stanno riuscendo.»

Girò il foglio verso di loro per permettere a tutti quanti di vederne il contenuto.

Darren dovette sporgersi sul tavolo e strizzare le palpebre per distinguere i caratteri minuscoli e fitti che ricoprivano la pagina quasi fino ai bordi.

«Sono numeri,» disse Theresa, confusa.

«È scritto in codice,» spiegò Jacob a mezza voce, massaggiandosi le palpebre.

«Lo sai leggere?» chiese Annabelle.

Jacob scosse la testa.

«Non è la procedura standard inviare documenti in codice agli agenti. Questa è roba più da servizi segreti.»

Annabelle annuì e sorrise.

«Già, ma sospetto che le nostre chiavi di lettura non funzioneranno con questo.» Voltò di nuovo il foglio e scorse con un dito le altre pagine all'interno della cartella. «Tutti cifrati. Beh, presumo che scopriremo cose molto interessanti, una volta che li avremo tradotti. Metterò subito al lavoro Tracy.»

Darren si sistemò sulla sedia e si schiarì la voce, richiamando su di sé gli occhi della loro presunta alleata.

«Dovremmo andarcene finché siamo in tempo,» disse, guardando in tralice Theresa. «Avere qui l'esercito sarà molto peggio che essere inseguiti dalla polizia.»

Theresa fece per ribattere, ma un veloce cenno della mano di Annabelle la zittì.

«Qui abbiamo tutti gli strumenti che ci servono, non andremo da nessuna parte,» replicò lei. «Mi sembrava di essere stata chiara, Darren: non potrete tornare alle vostre vite semplicemente scappando da Elizabeth City.»

«Ci ammazzeranno tutti come animali!» ringhiò il mezzelfo. «Stiamo parlando del fottuto esercito, non dei boy scout!»

«Appena la situazione sarà più chiara, tutto si sistemerà,» insistette lei. Il volto le si indurì e serrò le labbra mentre parlava. «Dobbiamo parlare con la presidentessa e sentire la sua storia.»

«Non sapete neanche se si sveglierà mai!» urlò Darren, sbattendo il pugno sul bracciolo.

Theresa sussultò, ma Jacob rimase impassibile. Almeno su quell'argomento, Darren era sicuro che fossero d'accordo.

Annabelle alzò una mano, ma in quel momento qualcuno bussò alla porta e il suono metallico si diffuse all'interno della stanza, smorzando sul nascere la tensione.

La donna in rosso prese un respiro lento e profondo, prima di rispondere:

«Avanti.»

Il battente lucido slittò all'interno del muro e Nick fece il suo ingresso, titubante.

«Scusate se vi disturbo, ma è urgente,» disse.

Parlava con affanno e si torceva le mani in modo nervoso.

«Su, dimmi,» lo invitò Annabelle, senza nascondere il timbro stizzito.

«Si è svegliata,» annunciò, con voce tremante. «Parla, è cosciente e ha chiesto di parlare con qualcuno. Subito.»

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