Capitolo 6. La sostanza che compone la realtà

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Darren aveva proprio bisogno di fare due passi da solo per schiarirsi le idee.

Oltretutto era certo che lui e l'agente Collins sarebbero arrivati alle mani se non si fossero presi una pausa di riflessione di qualche ora. Per un breve istante aveva pensato che il federale gli avrebbe sparato davvero: c'era un guizzo evidente di follia nel profondo delle pupille dell'uomo, uno scintilla simile a quella che aveva visto illuminare lo sguardo di tanti altri avanzi di galera che aveva contribuito a mandare in un posto migliore.

Ma Collins era un agente del FBI, un integerrimo combattente della legalità e della giustizia. Oppure no? Si aggrappava alla sua pistola come se non avesse null'altro al mondo. Come se l'arma racchiudesse la soluzione a ogni problema. Era un pensiero molto pericoloso, quello; perfino per il cervello di un agente della polizia federale.

Il mezzelfo si allontanò dall'abitazione deserta e percorse a passo rapido la strada silenziosa. Oltre i tetti delle basse casupole era facile scorgere la corpulenta sagoma dell'ospedale, persino attraverso la pioggia torrenziale che non accennava a diminuire; gli trasmetteva una strana sensazione, come di disagio. Ricordava l'oppressivo contorno del cannone di Elizabeth City: una montagna che sormontava la cittadina, silenziosa, antica e pericolosa.

Percorse la viuzza che serpeggiava in mezzo ai radi edifici, seguendo a distanza l'estensione del lato sud del Sentara Albemarle Hospital. Era chiaro che qualcuno si fosse introdotto nella struttura e che stesse piantonando l'ingresso principale, ma Darren era sicuro di riuscire a trovare un'entrata secondaria, probabilmente sul retro, dalla quale sarebbe stato più semplice trovare un varco.

Sfruttando la copertura delle abitazioni abbandonate, raggiunse a passo svelto il limitare della via, che si interrompeva sul ciglio di un'intricata macchia boscosa. Litigando con i rametti ingarbugliati del sottobosco incolto, il mezzelfo iniziò a spostarsi verso nord per avvicinarsi all'ospedale, premurandosi di rimanere ben nascosto dietro ai fini tronchi delle piante e alla voluminosa coltre di cespugli e foglie umide.

Grazie a quel nascondiglio naturale e alla pioggia che ovattava i suoni dei passi, arrivò nel giro di una ventina di minuti in vista della parte retrostante del tozzo fabbricato che ospitava il Sentara Albemarle. La zona boscosa si estendeva vicina al perimetro della costruzione, tanto che Darren riuscì a scorgere chiaramente le finestre che si aprivano sul cortile posteriore. Con un rapido scatto, percorse la manciata di metri che lo separava da un capanno di legno costruito sul ciglio del cortile e si acquattò dietro l'angolo per sbirciare sfruttando la posizione di vantaggio.

La prima cosa anomala che notò furono i cavalli legati a delle transenne metalliche che delimitavano una porzione del piccolo cortile. Darren ne contò cinque, ancora bardati con delle selle che, senza dubbio, avevano visto giorni migliori. Le probabilità che quelle cavalcature appartenessero ai dipendenti della struttura erano molto scarse, anche perché, dalle informazioni che aveva raccolto prima di lasciare la città, la maggior parte dei medici e degli apprendisti alloggiava nelle vicinanze del campus, poco più a nord. No, quei cavalli dovevano appartenere a chiunque si fosse infiltrato all'interno e avesse ammazzato i poliziotti in avanscoperta. Darren era pronto a scommetterci dei bei soldi, se qualcuno gliel'avesse proposto.

Un minuscolo viottolo d'asfalto crepato si allontanava dal cortile per congiungersi alla parete dell'edificio, in corrispondenza di una porta di metallo arrugginito. "Bingo", avrebbe detto Greg. Già, era proprio un bingo bello grosso! Pensandoci, Greg si sarebbe cavato dalle labbra il sigaro puzzolente che masticava ogni santa ora del giorno, avrebbe tirato una bestemmia e si sarebbe lanciato a testa bassa contro la porta, brandendo il suo fucile a doppia canna per il quale diceva di avere un permesso speciale. Greg gli aveva insegnato molte cose, ma non era mai riuscito a trasmettergli la sua irruenza: Darren ci avrebbe pensato ben più di due volte prima di avvicinarsi a all'ingresso secondario, e il motivo era palese a qualsiasi buon osservatore.

Se gli invasori misteriosi si erano infiltrati nelle corsie del Sentara Albemarle da quella porta, era facile pensare che avrebbero evitato di correre il rischio di venire colti dallo stesso trucco: chiunque fosse dotato di cervello avrebbe sorvegliato anche l'ingresso posteriore oltre alla porta frontale dell'edificio. Darren non poteva ancora avere la certezza che gli ignoti assassini fossero a tutti gli effetti dotati di cervello, ma per prendere in ostaggio un ospedale diretto da un sacerdote del dio della vita c'era bisogno di almeno un po' di cognizione e pensiero razionale.

Trattenendo il respiro per cercare qualsiasi suono anomalo che potesse aiutarlo, il cacciatore di taglie aguzzò gli occhi e percorse pian piano tutta la facciata della costruzione, provando a sbirciare attraverso i vetri delle finestre: purtroppo erano tutte coperte da pesanti tendaggi celesti che rendevano impossibile vedere all'interno. Soltanto gli ampi finestroni che si aprivano al piano terra erano liberi, ma all'interno non si scorgeva nulla se non buio e ombre indistinte.

Le attente pupille di Darren guizzarono verso l'alto, dove il muro si interrompeva in concomitanza di una recinzione metallica che doveva delimitare una terrazza o uno spazio pianeggiante sul tetto dell'edificio.

«Di nuovo bingo!» mormorò, lasciando sporgere dal suo nascondiglio soltanto un lato della faccia.

Un uomo coperto da un lungo pastrano marrone stava accucciato dietro alla balaustra e, sfidando le intemperie, guardava un punto indefinito verso est. Reggeva in mano una grossa balestra nera, ma il mezzelfo non riuscì a scorgere altri dettagli del suo equipaggiamento o del volto, sovrastato da un cappello a tesa larga che lo proteggeva in parte dalla pioggia.

Ancora una volta, Darren si era dimostrato un cacciatore di taglie ben più lungimirante del suo vecchio mentore. Se fosse uscito dal nascondiglio e si fosse avvicinato all'ingresso, la sentinella l'avrebbe ridotto come quei poveri agenti che avevano incontrato poche ore prima. C'era comunque poco da stare allegri: aveva trovato un ingresso e aveva individuato una sentinella, ma la posizione rendeva quel misterioso avversario una gran brutta gatta da pelare. Il balestriere poteva sfruttare un gran numero di coperture per nascondersi mentre loro avrebbero dovuto abbandonare ogni riparo per raggiungere la porta.

Darren tornò a celarsi del tutto dietro al muro della rimessa e rimase a fissare l'erba, pensoso. Iniziare uno scontro armato in quella condizione sarebbe stato sconsigliabile; inoltre, non potevano neanche avere la sicurezza che l'ingresso posteriore non fosse chiuso dall'interno. No, avevano bisogno di tempo per agire con discrezione e logica. Forse Alex sarebbe stata la chiave per risolvere quel pasticcio: quei criminali rintanati là dentro potevano aspettarsi di tutto, eccetto che un ragazzo capace di far addormentare le persone con la magia.

Il mezzelfo sorrise e si rituffò, rapido, nella boscaglia, per allontanarsi dall'ospedale e tornare dai nipoti. Al federale sarebbe venuto un colpo a vedere Alex usare la magia di nuovo, e la cosa non poteva che fare un immenso piacere al cacciatore di taglie.

«Si sta svegliando!»

La squillante voce di Theresa riscosse Alex dallo stato di torpore in cui era caduto.

Si era seduto in un angolo e aveva solo chiuso gli occhi un istante per riposarsi, ma era finito per addormentarsi. Quella giornata non era ancora terminata ed era già stata stremante, tanto che non ricordava neanche di aver sognato; era molto strano, per lui.

Hiss era acciambellato sul suo ginocchio, ma alzò la testa di scatto a cercare la figura del poliziotto sopravvissuto che si stava muovendo debolmente nell'angolo della cucina dove zio Darren lo aveva guarito. Alex distese le gambe e spinse via il serpente, che si librò nell'aria, placido. Quando si alzò in piedi, Theresa e Jacob erano già in cucina a circondare l'agente.

«Chi siete?» urlò l'uomo, con la voce vibrante di terrore.

Non doveva essere stato un gran risveglio, poveraccio. Era ancora cosciente quando Alex e gli altri lo avevano trovato, ma le sue condizioni erano gravissime ed era logico pensare che avesse rimosso, almeno per il momento, quei ricordi offuscati che precedevano il sonno magico nel quale era crollato. Il ragazzo era anche stato più violento del normale e aveva bombardato la mente del pover'uomo con una quantità forse eccessiva di potere, ma non voleva rischiare che il sonno fosse troppo leggero e che si svegliasse nel bel mezzo dell'estrazione dei dardi. Non voleva neanche pensare a quanto potesse fare male una roba del genere! Si ritrovò a rabbrividire al solo pensiero, mentre si appoggiava allo stipite della porta e fissava gli squarci nella divisa del poliziotto da dove, poco prima, spuntavano le frecce mortali.

«Calma, stai calmo!» esclamò Jacob, estraendo da una tasca il tesserino identificativo e sventolandoglielo davanti. «FBI, va tutto bene.»

Lui sembrò rasserenarsi, perché fece addirittura un sorriso tirato e rilassò i muscoli delle braccia.

«Grazie agli dei, siete già arrivati!» disse, tastandosi con una smorfia il punto dove la balestra l'aveva colpito. «In città è un disastro e... ah, l'ospedale!»

«Sì, lo sappiamo,» rispose il federale, chinandosi su di lui. «Dicci cos'è successo.»

«Il capo ci aveva mandato a controllare se all'ospedale stessero tutti bene,» iniziò lui, raccogliendo le gambe al petto e allungando le braccia, come a stiracchiarsele dopo una lunga notte di sonno. «Quando siamo arrivati all'ingresso, ho sentito fischiare qualcosa nell'aria, Pat ha urlato ed è crollato a terra.»

Si abbracciò le gambe e strinse il polpaccio, come a cercare conforto.

«Chuck ha gridato di retrocedere, ma è stato colpito subito dopo. Prima che potessi girarmi per scappare due dardi mi hanno beccato e sono caduto a terra. Forse mi hanno dato per morto, perché sono riuscito a strisciare verso gli alberi prima che completassero l'opera. Quei figli di puttana hanno fatto un grossissimo errore.»

«Non avete idea di chi possa essere stato?» chiese Theresa, preoccupata e con gli occhi lucidi.

«Zero,» rispose il poliziotto. «Ma non credo che siano stati i medici a spararci. Dev'essere successo qualcosa in questi giorni, da quando si sono chiusi in isolamento per operazioni sanitarie, o roba del genere.»

«Già,» fece Jacob, pensoso. Si alzò in piedi e gli batté una leggera pacca sulla spalla. «Hai fatto un buon lavoro; mi dispiace soltanto di non aver potuto aiutare anche i tuoi colleghi.»

«Il nostro mestiere è così,» rispose, alzando le spalle, ma il suo volto lasciava trasparire ben altri pensieri. «Spero solo che la paghino, tutto qui.»

«Entreremo in quell'ospedale e arresteremo i colpevoli!» proruppe Theresa, stringendo i pugni. «L'agente Jacob farà in modo che la giustizia faccia il suo corso, e noi lo aiuteremo!»

Alex alzò l'angolo della bocca in un sorriso amaro. No, non sarebbe stato così semplice, purtroppo. Sua sorella aveva una visione della vita poco realistica e condivideva quel candore puro con i bambini più spensierati. Per quanto l'idea lo spaventasse, il ragazzo era sicuro che quella giornata si sarebbe conclusa con uno spargimento di sangue. Nessuno avrebbe assaltato e preso in ostaggio un ospedale senza essere pronto a rischiare la vita per farla franca.

«Torna a fare rapporto in città,» disse Jacob al poliziotto. «Qui ci pensiamo noi.»

«Con tutto il rispetto, agente Collins,» rispose l'uomo, corrugando il cipiglio e sfregandosi il grosso naso a patata. «Col cazzo, signore. Quegli stronzi hanno ammazzato i miei colleghi, i miei amici. Sarò presente quando faranno la stessa fine.»

«Non morirà nessun altro!» protestò Theresa, accigliata.

Jacob assottigliò lo sguardo e le fece un cenno con il capo.

«Theresa, due parole, per favore.»

Ecco, sua sorella aveva esagerato con il buonismo. Finiva sempre così con lei: la sua visione semplicistica e zuccherosa del mondo riusciva a infastidire persino le autorità!

«Agente Collins, mia sorella voleva solo—»

«Anche tu, Alex.» Il federale lo bloccò con un imperioso gesto della mano. «Torniamo tra un momento, agente...?»

«Davies,» fece il poliziotto, occhieggiando perplesso verso i suoi tre salvatori. «Ramon Davies.»

Jacob appoggiò una mano sulla spalla di Alex e lo spinse piano verso la stanza attigua. Hiss sibilò, ostile, e si protese verso il volto dell'agente del FBI, come a minacciarlo in modo blando e silenzioso. Nessuno lo poteva vedere, ma il serpente poteva toccare gli altri? Poteva mordere? Poteva stringersi intorno ai loro arti? Tutte gran belle domande! Avrebbe dovuto chiederglielo, la prossima volta che si fossero ritrovati in un sogno.

«Non sono ufficialmente in servizio, ma qui comando io,» disse Jacob, dopo aver portato i due fratelli nell'angolo del salotto più lontano dalla cucina. «Si fa quello che dico io e lo si fa come lo dico io, ci siamo intesi?»

Il viso dell'uomo era rabbuiato e nel profondo delle pupille si era accesa la luce che Alex aveva scorto poco prima, quando reggeva la pistola e la puntava contro di lui e la sua famiglia. Quello sì che era un uomo pericoloso, e non sarebbero bastati mille distintivi per convincere il giovane mago di avere a che fare con un buono che combatteva per ciò che era giusto. Una cosa era certa: in quella casa abbandonata c'era soltanto una persona che Alex avrebbe considerato buona al cento per cento, e aveva lunghi capelli biondi e una voce imperiosa e talvolta fastidiosa.

«Mi perdoni, agente Collins, io... io sono allibita!» rispose Theresa. Le labbra le tremavano appena, ma non per paura. «Lei è un agente della polizia federale! Si dovrebbe opporre alla morte e al dolore!»

«Questo non è un romanzetto da quattro soldi, Theresa,» insistette lui. «La tua stupida ideologia potrà andare bene nel tempio di Deladan a Filadelfia, ma qui no.»

Hiss sibilò così forte che Alex temette che tutti quanti potessero sentirlo. Theresa rimase impietrita a fissare i lineamenti contratti dal nervosismo del pubblico ufficiale che avrebbe dovuto proteggere la popolazione degli Stati Uniti d'America. Il ragazzo mosse la mano in avanti, deciso a far finire quella discussione a modo suo; potevano anche aver ragione su Theresa, ma nessuno poteva azzardarsi a parlarle così. Nessuno.

Il suono dell'ingresso spalancato lo colse con le dita protese verso il fianco di Jacob. Quando Darren fece il suo ingresso, li trovò in quello stato: il federale con il volto rabbioso proteso verso la ragazzina con gli occhioni da cerbiatta e Alex che stava per scagliare i suoi poteri magici contro di lui.

«Che cosa sta succedendo qui?» chiese il cacciatore di taglie, calmo ma con la fronte contratta.

«Discuto sui metodi di gestione di una squadra con l'agente Collins,» sibilò Theresa, appoggiando il palmo sul petto dell'uomo e spingendolo via. «Trovo che dovremmo parlarne tutti insieme ora, non crede?»

«L'agente stava tentando ancora di arrestarvi?» chiese Darren, avvicinandosi ai nipoti senza mai smettere di fissare Jacob. Sembrava una leonessa pronta ad azzannare per proteggere i cuccioli.

Il federale si allontanò di qualche passo e ricambiò lo sguardo del mezzelfo. Nessuno si sarebbe stupito nel vedere scintille bluastre sfrigolare nell'aria tra loro due.

«Stavamo discutendo su come agire d'ora in avanti,» rispose. «Non possiamo entrare nell'ospedale senza avere chiara la gerarchia tra di noi.»

L'agente Davies, forse incuriosito dalla nuova voce che si era unita alla discussione, aveva fatto capolino dall'altra stanza e fissava dubbioso Darren.

«A proposito di ciò,» disse il cacciatore di taglie, cambiando argomento di netto. «Ho fatto un giro intorno all'edificio e ho un'idea su come infiltrarci là dentro.»

Si abbassò il cappuccio e fece un sorriso affabile al poliziotto, che non ricambiò. Alex nascose una risatina dietro un colpo di tosse provvidenziale. Era chiaro che lo zio ci stesse mettendo tutto l'impegno possibile per far infastidire l'irascibile federale; per quanto la situazione apparisse divertente, a prima vista, non era molto saggio portare all'esasperazione l'agente Collins. Soltanto gli dei potevano sapere che cosa avrebbe potuto fare uno come lui una volta perso il controllo.

Comunque, quel guizzo di violenza e follia nello sguardo di Jacob pareva ormai essersi sopito, nascosto dietro la lastra di ghiaccio trasparente che copriva le iridi nocciola dell'uomo. Si limitò ad annuire, socchiudendo le palpebre con aria stanca. Un uomo sconfitto, totalmente differente dal mostro di rabbia che aveva potuto osservare solo pochi minuti prima. Che cosa si nascondeva nel suo animo? Quanto sarebbe stato bello fare un giro nei suoi sogni!

Bello, sì, ma l'idea lo spaventava a morte.

Era buio e faceva freddo, ma il temporale era sul punto di placarsi. Scendeva ancora quella pioggerellina leggera e fastidiosa, abbastanza forte da far sentire la presenza, ma comunque non troppo pesante da infradiciare gli abiti dopo soli pochi istanti, com'era accaduto quel pomeriggio.

La visibilità era scarsa, questa volta per colpa del buio della notte senza luna e stelle che li avvolgeva. L'ospedale svettava sopra di loro, una massa offuscata stagliata contro l'oscurità del cielo ricoperto da nubi. Alex era consapevole della sua vicinanza soltanto grazie alla presenza di alcune finestre illuminate ai piani superiori che lasciavano ben intendere che l'edificio non fosse abbandonato, come poteva sembrare allo sguardo di un osservatore poco attento.

Lui e i suoi compagni erano nascosti dietro un capanno, nel cortile sul retro del Sentara Albemarle, e a turno si sporgevano dall'angolo per studiare con attenzione la distanza che li separava dall'ingresso posteriore.

Non era la porta in sé a turbarli, quanto più la sagoma appena visibile appostata sul tetto, posizionata proprio a sovrastare l'ingresso e la piazzola che avrebbero dovuto percorrere per arrivare alla loro meta.

Alex avrebbe potuto pensare che quella misteriosa sentinella fosse fasulla: un pupazzo fatto di cuscini, come succedeva nei romanzi, costruito apposta per scoraggiare eventuali invasori. Ma Darren aveva giurato di averlo visto, quel pomeriggio, e ogni tanto la guardia si lasciava andare a qualche movimento, come se stesse cambiando posizione o si stesse appoggiando meglio alla balaustra.

«Dobbiamo ripassare ancora il piano o possiamo procedere?» chiese Jacob, poco convinto.

«C'è poco da ripassare. Se davvero dobbiamo farlo, questa è l'unica soluzione,» rispose subito Darren, infilando una mano nella borsa che portava alla cintura per estrarre un lungo coltello da caccia.

«Certo che dobbiamo farlo!» sibilò Theresa, inviperita. «C'è Erika lì dentro! Non me ne andrò senza di lei... e senza aver aiutato quelle persone, ovvio!»

Erika, già. Ad Alex non era mai andata giù. Avevano passati molti anni insieme, all'orfanotrofio delle sorelle di Galadar, ma a lui proprio non era mai piaciuta. Era una ragazzina piagnucolona, petulante e sgarbata; non si capacitava di come Theresa potesse essersi affezionata così tanto a lei. Aveva addirittura pianto per una settimana intera quando se n'era andata, qualche anno prima, presa sotto l'ala di un giovane prete del dio della vita per essere addestrata come infermiera. Era probabile che sua sorella fosse più empatica e che quindi fosse in grado di vedere cose che a lui rimanevano invisibili e incomprensibili.

«Va bene, non ha senso continuare a discuterne,» ribatté Jacob.

Si voltò a fare un cenno al poliziotto che aveva insistito per partecipare all'invasione dell'ospedale.

«Pronto,» rispose l'agente Davies, mettendo mano alla balestra d'ordinanza, un'arma di modeste dimensioni che faceva della leggerezza e maneggevolezza il suo punto di forza.

Tutti quanti si voltarono a fissare Alex e Hiss gli sibilò vicino all'orecchio, suadente ed eccitato da ciò che stava per accadere. Non l'aveva mai fatto da così lontano, e se non ne fosse stato capace? Che cosa prendeva a tutti quanti, così all'improvviso? Gli avevano ripetuto per tutta la vita di non mostrare mai le sue capacità, di nascondersi, di non dirlo ad anima viva... e ora tutti volevano vederlo mentre addormentava la gente! E pure a distanza di decine di metri! Lui non era un mago, non sapeva usare la magia, non... non era proprio nulla, era soltanto un bibliotecario di Filadelfia a cui piacevano i vecchi libri di storia e l'odore della carta. Non era una persona su cui qualcuno potesse contare, non per un'operazione delicata come quella.

Nessuno lo aveva considerato per tantissimo tempo, perché iniziavano ora? Pure la donna misteriosa, nel suo ultimo sogno. Trovami, aveva detto. Come se ne fosse capace.

«Alex?» lo chiamò Theresa, abbagliandolo con quelle gigantesche pupille piene di calore e di comprensione. «Lo facciamo per una buona causa.»

Ah, lei pensava che fosse quello il problema. Come se gli importasse di violare qualche stupida legge ideata da un gruppo di inetti al governo. Ma sua sorella era così, dopotutto: lei non si era mai imposta dei limiti, perché era convinta di non averne. Tutto era sempre alla sua portata e il confine era rappresentato solo da etica e morale. Infinito potenziale, delimitato da tanti stupidi paletti illogici.

Alex ingoiò della saliva e scoccò un'occhiata obliqua a Hiss, attorcigliato intorno all'avambraccio. Forse, con il suo supporto, ce l'avrebbe fatta. Hiss l'aveva sempre aiutato e spronato a usare quella magia che non comprendeva appieno.

Fece un paio di passi in avanti e sporse il capo dalla parete del capanno; individuò subito la sagoma dell'individuo che doveva colpire ed esitò, sforzandosi di allontanare la voce della coscienza che gli sussurrava che non era abbastanza bravo per riuscirci. Perché lui lo era, abbastanza bravo. Ne era convinto davvero? Magari aveva ragione l'altra voce, aveva molte prove valide dalla sua e... la lingua biforcuta di Hiss gli solleticò l'orecchio all'improvviso e il ragazzo sobbalzò, sentendosi il sangue gelare.

«Ti ho detto mille volte di non farlo!» sbottò Alex, serrando le dita sulla superficie del capanno a cui si era attaccato.

«Che cosa?» chiese l'agente Collins, allarmato.

«Nulla, lascia perdere,» intervenne Darren, alzando il braccio fra il nipote e il federale.

Jacob doveva ormai essersi rassegnato alle stranezze della strana famiglia, perché fece spallucce, alzò le sopracciglia e si mise a braccia conserte, in attesa che succedesse qualcosa.

Alex scrollò le spalle un paio di volte per allontanarsi dalla testa il serpente che continuava a sibilare irrisorio, come se si stesse facendo una gran bella risata a sue spese. Ma gli sembrava il momento di fare cazzate del genere? Davanti a un agente di polizia poi! Rischiava l'ergastolo soltanto utilizzando magia senza permesso, figurarsi poi se Collins avesse scoperto del serpente invisibile nessun altro poteva vedere e sentire. Neanche Galadar stesso gli avrebbe risparmiato l'istituto psichiatrico.

Il ragazzo strizzò le palpebre e fissò la sagoma della guardia, ancora ferma nello stesso punto. Non era difficile: avrebbe dovuto fare la stessa cosa di sempre, ma da lontano. Non era difficile. Non era difficile neanche per lui.

Sentì l'energia del mondo fluirgli intorno. Gli si palesò come una matassa di intricati fili rossastri, una ragnatela infinita che imprigionava ogni vivente, oggetto animato o inanimato; una connessione soprannaturale e arcana, impossibile da comprendere o da spiegare, che i maghi ufficiali erano soliti chiamare con un nome strano che Alex non aveva mai memorizzato. Ma a lui non importava un cavolo dei nomi: un nome non ha alcuna rilevanza, agli occhi del creato. Ciò che era importante era l'essenza delle cose, ciò di cui era fatta la realtà. I nomi muoiono, l'essenza permane per l'eternità; e quella cosa intricata e confusa che lui vedeva ma non riusciva a chiamare era la sostanza di cui era composta la realtà stessa.

Percorse con lo sguardo il filo sottile che congiungeva lui alla guardia e la sentì vicina, come se potesse allungare il braccio e dargli un'amichevole pacca sulla spalla. Ma non lo fece; si limitò, invece, a toccarlo con la mente e insinuargli nella testa un unico pensiero: dormi.

E l'uomo dormì. Lo vide stramazzare di botto contro la ringhiera a cui era appoggiato e poi scivolare fuori dal suo campo visivo.

Ce l'aveva fatta davvero o era un sogno troppo vivido? Non aveva mai creduto di potercela fare.

«Molto bene, Alex!» disse zio Darren, arruffandogli i capelli con una mano. «Davvero bravo!»

«Smettila, zio! Non fargli i complimenti, non dovrebbe abituarsi a usare la magia così!» esclamò Theresa, ma stava sorridendo e non provava neanche a nascondere quell'orgoglio che soltanto una sorella poteva provare per i successi dell'amato fratello.

«Cazzo,» mormorò l'agente Davies, uscendo allo scoperto da dietro il capanno e squadrando la parete dell'ospedale. «Mi sa che questo devo lasciarlo fuori dal rapporto.»

«Sì, penso proprio che sia meglio, o saremmo noi i primi a saltare,» mugugnò Jacob.

Mise mano alla fondina ed estrasse la sua arma dalle molteplici forme. Il guizzo di malvagità di poche ore prima gli attraversò il viso per un istante, e solo Alex se ne accorse, intento a seguire ogni movimento che il federale compiva dopo aver messo mano alla pistola.

Gli faceva paura, una paura fottuta.
Hiss gli strusciò la testa contro la guancia e sibilò brevemente. Fuori dai sogni non poteva capirlo, ma il suo messaggio era chiaro: "teniamolo d'occhio, insieme".

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